Sguardi
Chi è
quest’uomo che mi fissa? E, soprattutto, perché?
Io sono
morta, non ho nulla dentro di me. Solamente il vuoto. I miei sogni sono
distrutti, portati via dalla brezza che entra dalla piccola finestra della mia
stanza. Non c’è alcuna luce dentro di me.
Ma lui mi
fissa.
Ho chiesto,
oggi, al guardiano della casa, chi sia quest’uomo e lui mi ha risposto che si
tratta di Faramir, secondogenito di Denethor, sovrintendente di Gondor.
Non posso credere che anche lui sia qui. Lui dovrebbe combattere per la sua
gente. Lui dovrebbe guidare la sua
gente, non stare qui a lagnarsi per qualche piccolo graffio.
Invece sta
qui e mi fissa, mentre passeggio nei cortili, quando le forze me lo permettono.
L’ho osservato a mia volta, curiosa. Sembra alto, anche se dalla distanza che
ci ha sempre separati non posso dirlo con certezza, ha dei capelli neri che gli
arrivano alle spalle, così diversi da quelli che ho sempre visto negli uomini.
Nelle terre del Mark, a Rohan, tutti hanno i capelli
chiari, come me o, al massimo, come mio fratello. Invece i suoi sembrano di
pece, quasi diabolici.
I suoi
occhi chiari mi scrutano. Non so definirne il colore esatto, ma vedo che sono
certamente chiari. A volte mi sembra come un falco che spia la preda prima di
acciuffarla con gli artigli.
A volte
invece sembra gentile. Chi può dire quale sia la verità?
Ma io non
mi pongo più domande sugli uomini. Ho amato una sola volta. Per una sola volta
ho provato gioia per qualcosa che non fossero battaglie occasioni di trionfo militare. Ho amato
una sola volta e sono stata rifiutata. Il mio cuore ora è morto.
Mi hanno
chiusa qui, così che non possa combattere durante la battaglia finale.
L’ennesima crudeltà per Eowyn, figlia di Eomund, che in gabbia non sa stare. La sola cosa che ho
sempre temuto era proprio la gabbia, la prigionia, e ora vi sono costretta.
Faramir, il signore di Gondor,
mi sta guardando anche ora. Sembra che stia tentando di incrociare il mio
cammino. Ma io non glie lo permetterò. La mia solitudine mi è cara.
Eppure a
volte, mentre mi guarda, sento qualcosa che mi fa alzare lo sguardo verso di
lui e me lo fa abbassare appena incontro i suoi occhi. Perché? Io non provo
vergogna o timidezza. Io sono la principessa guerriera, il fiore d’acciaio che
i sudditi di Rohan hanno sempre adorato ed amato.
Questi
sguardi mi fanno sentire strana. Mi sento inadeguata. Per la prima volta mi
sento inadeguata. Non mi piace. Non mi è mai piaciuta questa sensazione. Io
posso essere padrona di ogni situazione.
Posso
ancora? Una volta ridevo, scherzavo e facevo tremare anche i cavalieri di mio
zio quando tenevo tra le mani una lama. Ora sono ridotta ad una dama inutile e
qualunque, costretta a restare in una stanza, temendo per colore che ama e per
quello in cui crede. Sono come un dipinto, messo in una cornice e appeso al suo
muro, per sempre suo santuario e riposo.
Sono qui e
posso solo ricambiare gli sguardi enigmatici del cavaliere di Gondor, che ogni volta che vedo, riporta le mie memorie al
signore che ha avuto il mio cuore. Me lo ricorda anche se
non si assomigliano, perché sono entrambi della stessa patria.
La patria è
tutto per me. È ciò che caratterizza un uomo.
Lui è come
tutti gli uomini di Gondor. E come tale, non avrà
nulla da me. Nulla di nulla. Neppure la mia compagnia. Ho giurato questo quando
mi sono accorta per la prima volta che fissava.
Amo ed odio
i suoi sguardi. Li amo perchè sono qualcosa che mi fa
sentire viva, ancora importante. Li podio perché mi
fanno sentire inadeguata e sciocca come una bambina.
Li odio
perché non li conosco. Non conosco questi sguardi, enigmatici, per me.
Eppure il
cavaliere continua a guardarmi ed io non posso fare a meno di ricambiarlo, di
tanto in tanto.
Ma
un’occhiata può essere ingannevole anche per me. So che potrei tradirmi. Mai
far vedere ciò che senti. È la prima cosa che ho imparato da mio padre e dal
maestro d’arme: se colui che hai di fronte capisce la tua paura o la tua
riluttanza, hai già perso.
E io non
perderò, perché sono Eowyn. Non ho mai perso.
Nemmeno
quando si tratta di sguardi e non di lame.