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Autore: clepp    12/01/2014    13 recensioni
"Cos'è l'amore, Wendy?"
Rimase per un attimo stordita da quell'improvvisa domanda.
"L'amore? - ci pensò un attimo, poi diede la più banale delle risposte - l'amore è quando l'altra metà è felice"
Silenzio. Wendy era abituata ad aspettare minuti prima di avere una risposta da lui. Era fatto così.
"Sei felice?" Le chiese.
Lei annuì. "Si, certo"
Silenzio.
"Allora credo di amarti"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Zayn and Wendy'
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THE DARK SIDE OF ME.

(TWENTY TWO)
-love is




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La guancia di Zayn bruciava ed i suoi occhi erano lucidi.
Correva verso la sua camera e si sbatteva la porta alle spalle mentre suo padre urlava e sua madre piangeva.
Zayn aveva sette anni la prima volta che suo padre l’aveva colpito in viso.
Aveva sette anni e a sette anni pensava soltanto a disegnare e a colorare.
La sua guancia bruciava e le voci dei suoi genitori erano tanto alte da farlo tremare.
Suo padre era così autoritario, così imponente mentre sua madre era così piccola e fragile.
E Zayn aveva paura perché aveva solo sette anni e la guancia ancora bruciava.
Mentre ascoltava la voce squillante di sua madre, si chinò davanti al suo letto.
Afferrò il cuscino e sgusciò sotto le assi in legno, spingendosi più vicino alla parete e al buio.
La guancia di Zayn bruciava come se avesse dei tizzoni ardenti sulla pelle.
L’appoggiò al pavimento freddo e, anche se non cambiò nulla, la tenne ancorata alla piastrella.
Si portò il cuscino sulla testa e si coprì orecchio e occhi perché non voleva né sentire né vedere.
Zayn aveva sette anni e ancora non capiva.
Zayn aveva sette anni ed era nascosto sotto il letto mentre i suoi genitori litigavano e la sua guancia gli faceva male.
Zayn aveva sette anni e già voleva sparire.
 
 
 
 
 
 
 
Zayn era seduto sul suo letto. La schiena poggiava inerme alla parete e le gambe erano incrociate e incastrate nel lenzuolo azzurro.
Lo sguardo era fisso davanti a lui, fisso sulla porta semichiusa di camera sua.
Gli occhi erano lucidi e un po’ vuoti, il respiro era pesante, le spalle si alzavano e si abbassavano ad un ritmo irregolare.
La voce di sua madre arrivava attutita, quella di suo padre invece la sentiva chiaramente.
Seduto sul letto di camera sua, circondato dai disegni appesi alla parete, dalla cartella buttata malamente a terra e dal pupazzo di Captain America sulla scrivania, ascoltava i suoi genitori litigare da un’ora e venti minuti esatti.
Era l’una di notte.
Suo padre era tornato a casa un’ora e mezza prima e sua madre era uscita dalla camera cinque minuti dopo il suo rientro.
E adesso litigavano da un’ora e venti.
Zayn non riusciva a dormire e riusciva a pensare soltanto che la voce di sua madre era davvero flebile.
La sentiva muoversi per il salotto e se la immaginava mentre fissava papà con uno sguardo freddo ma con le mani sempre pronte ad afferrarlo nel caso perdesse l’equilibrio.
Zayn a volte guardava sua madre e si chiedeva dove trovasse la forza di amare un uomo che una sera si e l’altra pure tornava a casa e le urlava in quel modo.
Poi però si diceva che aveva solo undici anni e che non poteva capire.
Forse l’amore è urlarsi addosso – si diceva – forse è gridare dal mattino alla sera, forse non è sorridere, ma soltanto lamentarsi.
Guardava Safaa sdraiata nella sua culla e si diceva che lui l’amava eppure non le urlava dietro, non la sgridava, non la offendeva.
Forse era davvero troppo piccolo per capire cose così complesse.
Sentì un colpo secco e le voci che un attimo prima avvolgevano la casa si spensero immediatamente.
Zayn doveva convivere con quei rumori da tanto tempo.
Era abituato eppure ogni volta era uno strazio.
Il cuore gli si riempiva di preoccupazione e gli occhi di lacrime.
Ma aveva solo undici anni e gli mancava il coraggio di andare a controllare che cosa fosse successo.
Comunque, riceveva risposta la mattina seguente, quando sua madre compariva in cucina con un occhio leggermente rigonfio e i segni di una notte passata a raccogliere i cocci di una donna che ormai non c’era più.
Zayn strinse i lembi del lenzuolo, poggiò la testa contro la parete e chiuse gli occhi.
Sentiva ma non voleva ascoltare.
Dalla porta semichiusa arrivava la voce di suo padre, lieve in un sussurro che non aveva nulla di romantico o passionale.
Zayn si chiedeva anche come avrebbe fatto lui a trattare sua moglie dato che non aveva esempi da seguire.
Si diceva che non voleva comportarsi come suo padre, perché intuiva che era sbagliato, eppure si diceva anche che non sapeva come fare.
Non avrebbe saputo toccarla senza farle male, non avrebbe saputo cosa dirle senza ferirla o come farla sorridere senza farla piangere.
E poi si chiedeva se lui la voleva una donna al suo fianco.
Si chiedeva se era colpa di sua madre se suo padre era così...
Non trovava risposte, perché lui non chiedeva e nessuno si interessava.
Zayn rimaneva sempre in silenzio eppure ascoltava ed osservava.
E soffriva.
Zayn soffriva ma a nessuno interessava e, forse, non sarebbe mai interessato.
Aveva undici anni, sapeva disegnare, cantare e suonare la chitarra. Aveva una sorella di due anni di cui occuparsi e parecchie materie scolastiche da alzare.
Ma a nessuno interessava che lui sapesse disegnare, cantare o suonare un qualche strumento. A nessuno interessava che avesse una sorella o dei voti pessimi.
A nessuno interessava e, forse, nemmeno a Zayn.
 
 
 
 
 
 
 
Zayn era appoggiato al muretto nel cortile della Bradford School.
Aveva quindici anni e le sue dita stringevano una sottile sigaretta accesa e quasi finita. Louis Tomlinson, di un anno più grande, gli stava accanto e gli parlava senza pretendere che lui lo ascoltasse. Comunque, Zayn non lo ascoltava ma annuiva di tanto in tanto.
Il suo sguardo era fisso davanti a se e il fumo della sigaretta gli annebbiava la visuale.
Gli studenti della Bradford School erano fuori, chi seduto sul prato, chi sotto qualche albero e chi, come lui, a fumare in qualche angolo.
Era primavera e Zayn odiava la primavera.
La sera prima aveva litigato con sua madre per una convocazione dalla preside e adesso il suo umore era nero.
Riusciva soltanto a pensare al fatto che lei si arrabbiava sempre e solo con lui per delle sciocchezze invece di farlo con suo padre che, ancora una volta, era tornato a casa alticcio.
Zayn iniziava a capire.
Capiva che l’occhio nero di sua madre non era dovuto al poco sonno, capiva che suo padre non era una bella persona e che in quella casa di amore non ce n’era più da tempo.
Louis intanto parlava, forse per cercare di distrarlo, forse perché il silenzio non era una buona idea.
Zayn continuava a non ascoltarlo e a tenere lo sguardo fisso davanti a se, a pensare.
Osservava quei ragazzini della sua età che sembravano sempre felici e senza problemi. Se c’era una cosa che non capiva, era proprio quella.
Perché lui era sempre incasinato mentre i suoi compagni no?
Perché lui non sorrideva e non rideva e non parlava?
Perché a lui era capitata quella vita?
Non lo capiva.
“Malik!”
La voce e il naso a uncino di Peter Duhamel attirarono la sua attenzione.
Peter era un ragazzo alto, magrolino, biondo e sbruffone, il tipico ragazzino figlio di papà che ha tutto e ha bisogno di attaccare chi non ha niente.
Zayn inspirò l’ultima boccata di fumo e gettò il mozzicone ancora acceso ai suoi piedi.
“Duhamel”
Il biondino sorrise e lanciò un’occhiata d’intesa ad uno dei quattro ragazzi che gli stavano dietro.
“Come sta tuo padre? – domandò con voce impregnata di sarcasmo – mia madre l’ha visto ieri mentre usciva dal supermercato con qualche lattina di birra in mano. Barcollava già”
Zayn sentiva la testa scoppiare e le mani prudere.
Non aveva mai fatto niente a nessuno, non aveva mai fatto del male, l’unica cosa che chiedeva era di essere lasciato in pace. Perché dovevano istigarlo in quel modo? Perché dovevano fare così?
“Tua madre deve avere problemi alla vista”
“Lo sappiamo tutti che tuo padre è un ubriacone, Malik, e che tu farai la sua stessa fine”
“Avanti ragazzi – intervenne Louis – siamo tutti tranquilli, è una bella giornata, perché dovete rompere i coglioni?”
Zayn sbuffò mentre Peter rideva esageratamente, portandosi una mano allo stomaco.
“E’ Malik senior che rompe i coglioni – rispose poi, con un sorriso storto – non è sicuro avere un ubriacone in giro per la città. Mia madre si è dovuta chiudere in macchina per evitare uno stupro”
Il difetto più grande che Zayn avesse mai potuto ereditare da suo padre era l’impulsività.
Se c’era una cosa che odiava di se stesso, era proprio quell’aspetto. Ci voleva un niente per farlo scattare come una bomba a mano. Ci voleva un niente per fargli fare cose di cui poi avrebbe pagato le conseguenze.
E mentre si avventava contro Duhamel con un pugno chiuso e gli occhi ciechi, non riusciva a pensare a nient’altro.
Non pensava alle conseguenze delle sue azioni, ad un eventuale richiamo della preside, alla faccia delusa e arrabbiata di sua madre o alle botte di suo padre.
Pensava soltanto che la vita era ingiusta e che lui aveva soltanto quindici fottutissimi anni.
E che in qualche modo doveva pur sfogare tutta la rabbia che aveva dentro.
 
 
 
 
 
 
 
Zayn aveva diciotto anni e aveva imparato ad alzare la voce e le mani.
Aveva diciotto anni ed un sacco di responsabilità sulle spalle. Era l’unico in casa che poteva tenere testa a suo padre e difendere la propria madre e la propria sorella.
Zayn aveva diciotto anni ed aveva sviluppato una voce in grado di intimorire chiunque e due braccia capaci di pestare con forza ma quando si scontrava con suo padre sembrava che l’unica cosa che riuscisse a fare era prenderle e basta.
Adesso aveva diciotto anni, non più undici o quindici. Adesso aveva il coraggio e la forza di uscire dalla sua camera, mettersi davanti a sua madre e subire al suo posto.
Zayn aveva capito tutto.
Era tutto perfettamente chiaro. Aveva capito quanto odiava suo padre, quanti sforzi dovesse ancora fare per portare via Safaa e quanta pazienza dovesse avere per sopportare quella situazione.
Era in piedi di fronte a suo padre, le spalle dritte e le braccia tese.
Discutevano e discutevano e discutevano circondati da scatoloni ancora chiusi in una casa semisconosciuta.
Safaa era in camera, la mamma seduta sul divano.
Zayn sapeva che mancava poco al momento in cui suo padre avrebbe esaurito la pazienza di parlare e sarebbe passato alle mani.
E il momento arrivò due minuti dopo. Secondo più, secondo meno, Zayn era pronto.
Sentiva i colpi di suo padre, le grida di sua madre e il pianto di sua sorella. Le sue orecchie oramai erano abituate a quei rumori che, a persone inesperte, potevano sembrare terribili.
Sentiva la sua testa vuota e i pensieri immobili.
Sentiva le lacrime di frustrazione che comunque non sarebbero mai uscite.
Sentiva la paura, la rabbia e la tristezza.
E poi sentiva i suoi piedi muoversi automaticamente e la porta di casa aprirsi. La voce stanca di sua madre che lo richiamava era uno strazio ogni volta, ma Zayn non aveva la forza di restare.
Si sentiva  bene in strada, dove sarebbe stato al sicuro dall’odio di suo padre.
La faccia gli pulsava e le nocche delle mani bruciavano come carboni ardenti.
Non si accorse nemmeno di essersi scontrato contro qualcuno fino a che questo qualcuno non lo richiamò.
E fino a quel momento non pensava che potesse esistere voce più bella, fastidiosa e pura di quella.
Fino a quel momento non pensava nemmeno che potesse esserci al mondo uno sguardo tanto preoccupato e compassionevole.
Si voltò e la vide: quell’ancora di salvezza a cui lui si stava già attaccando con un’insana disperazione.
 
 
 
 
 
 *
 
 
Il calendario appeso nel salotto di casa Tomlinson segnava il 12 gennaio.
Wendy sorrideva mentre apriva la porta della camera degli ospiti.
Le tapparelle erano basse, la finestra chiusa e le luci spente.
Il letto a due piazze giaceva come al solito in mezzo alla stanza.
Wendy si avvicinò lentamente al comodino ed accese la lampada. Uno sprazzo di luce illuminò il grumo di coperte sul letto, sotto le quali pareva esserci qualcuno.
Sorrise involontariamente e si inginocchiò sul materasso che si abbassò lievemente sotto il suo peso.
Con una mano afferrò il lembo della coperta e il viso addormentato di Zayn venne illuminato dalla luce fioca della lampada.
Wendy vide la sua fronte aggrottarsi e le ciglia lunghe vibrare.
Appoggiò sul comodino il piatto di carta che teneva tra le mani e allungò le braccia verso il ragazzo semiaddormentato.
“Zayn – sussurrò con voce dolce – è ora di alzarsi”
Le mani di Zayn andarono a coprirsi il viso e la faccia affondò di nuovo nel cuscino, mentre girava il corpo dalla parte opposta alla sua.
Wendy rise e si chinò di nuovo verso di lui, abbracciandolo da dietro.
“E’ il tuo compleanno, pigrone! – esclamò – è ora di alzarsi e festeggiare!”
Zayn emise qualche grugnito di disapprovazione e mugugnò qualcosa di incomprensibile che fece ridere Wendy ancora di più.
Lei sbuffò, afferrò la coperta e la tirò completamente indietro, scoprendo il suo corpo rannicchiato, coperto soltanto da un paio di boxer e una canottiera bianca.
“Wendy!”
Lei rise di nuovo e gli picchiettò il braccio, intimandolo ad alzarsi.
“Andiamo Zayn! Alzati! È il tuo compleanno, non c’è tempo da perdere!”
Lui teneva gli occhi ancora chiusi e la faccia ancora affondata nel cuscino, ma Wendy riuscì a scorgere un debole, quasi impercettibile sorriso che gli illuminava il viso.
“Ancora cinque minuti”
“Non li hai cinque minuti – borbottò lei – devi mangiare la tua colazione”
Zayn sollevò controvoglia una palpebra.
Wendy teneva tra le mani il piatto di carta sul quale giaceva un cupcake rosa con una candelina accesa nel mezzo.
“E’ il mio primo esperimento culinario – mormorò – quindi spero che il gusto sia migliore dell’aspetto”
Zayn richiuse gli occhi e trattenne uno sbuffo.
In diciotto – diciannove – anni di vita, non c’era stato compleanno che a lui fosse piaciuto festeggiare. Non era molto legato a quel giorno, forse per i brutti ricordi, o forse perché nessuno ci aveva mai dato poi così tanta importanza.
Puntò i gomiti sul materasso e si tirò su con fatica.
Decise che, per quel giorno, avrebbe fatto uno sforzo.
Non per lui, ma per Wendy.
Si sedette di fronte a lei mentre con una mano si sfregava gli occhi e con l’altra si spostava i capelli disordinati dalla faccia. Osservò prima lei e dopo il dolce che teneva tra le mani.
“Dovrei soffiare, giusto?”
Wendy roteò gli occhi: “Certo! E se non farai una faccia estasiata, ti canterò anche ‘Buon Compleanno’”
Zayn sorrise e scosse la testa.
Soffiò sulla fiammella accesa, smuovendo anche i capelli sciolti di Wendy.
Lei sorrise a trentadue denti e gli porse il piatto, battendo le mani.
“Spero ti piaccia – disse, lievemente preoccupata – l’impasto l’ha fatto mia madre ma la glassa l’ho fatta io, quindi non so quanto possa essere mangiabile”
Con malcelata diffidenza, Zayn si portò il dolce alle labbra e, sospirando, ne morse un pezzo.
“E’ buono” mentì.
Anche se non lo era, apprezzava di più lo sforzo e il pensiero.
Le sorrise con gentilezza e lei roteò gli occhi.
“Non sai proprio mentire – sbuffò, afferrandogli il dolce dalle mani e buttandolo sul piatto – e io non so cucinare”
Fu la volta di Zayn di roteare gli occhi.
“Posso tornare a dormire?”
Wendy scosse categoricamente la testa: “Certo che no! Dobbiamo fare ancora un sacco di cose prima di stasera, e Louis vuole salutarti prima di andare al lavoro. Anche mia madre vuole farti gli auguri e scommetto che Safaa muore dalla volta di vederti almeno ogg-“
Zayn afferrò il tortino e glielo spalmò sulla bocca, così da farla tacere per un attimo.
La glassa rosa gli sporcò le labbra, la punta del naso e la guancia destra, facendolo ridere sommessamente.
Wendy sbuffò ma non disse nulla perché vederlo in quel modo la destabilizzò per un attimo.
“Sei davvero antipatico”
“Lo sono”
E la baciò, leccandole via la glassa e ringraziandola con lo sguardo e con i gesti.
“Non era tanto male, comunque” ammise Wendy.
 
 
 
 
 
 
 
Wendy aprì gli occhi e sbatté le palpebre più volte.
Camera sua era fredda e lei poteva sentire un venticello fastidioso aleggiare nella stanza anche se era sotto le coperte ed era maggio inoltrato.
Accanto a lei, Zayn non c’era più.
Erano le tre del mattino.
Si tirò su a sedere mentre si stropicciava gli occhi e si stiracchiava le gambe.
La finestra che dava sul balcone era semichiusa e le persiane aperte del tutto.
Si alzò di scatto, improvvisamente preoccupata.
Andò verso la porta-finestra e quando uscì fuori al freddo della notte, intravide Zayn seduto sul pavimento piastrellato del balcone.
La schiena poggiata al muro, una sigaretta tra le labbra e il giubbotto a coprirlo davano di lui un immagine pensierosa.
Non la guardò ma avvertì la sua presenza.
Wendy fece qualche passo incerto verso di lui, chiedendosi se era il caso di lasciarlo solo oppure stare lì con lui. Non sapeva bene come interpretare quel suo comportamento; che fosse successo qualcosa?
Alla fine, decise di sedersi poco più lontano.
“Stai bene?”
Lui annuì appena, soffiando fuori una boccata di fumo.
“E’ successo qualcosa?”
Lui abbassò lo sguardo e lo riportò verso il cielo.
“Zayn – mormorò - parlami
Wendy si spostò un po’ più verso di lui.
Aspettò qualche secondo ma lui non rispose.
“Vuoi che io stia zitta, vero?”
Lui annuì appena, ancora con quei due occhi pensierosi e burrascosi, turbati da qualcosa che Wendy non riusciva a capire.
Rimasero in silenzio per svariati minuti nei quali Wendy osservava la sigaretta di Zayn spegnersi lentamente, e lui teneva gli occhi semichiusi puntati su una crepa della piastrella su cui era appoggiato.
“Posso venire lì?”
Zayn non annuì e non disse di si. Aprì impercettibilmente il braccio e lei seppe che poteva farlo.
Si avvicinò e si rannicchiò contro di lui mentre soffiava fuori una nuvoletta di vapore.
Lui le chiuse il braccio attorno alle spalle e chiuse gli occhi.
Rimasero di nuovo in silenzio per un tempo che parve infinito. Secondi? Minuti? Ore?
Forse anni.
Wendy stava così bene che forse non si sarebbe mai più alzata.
Intorno a loro c’era solo il silenzio della notte. Eppure, anche se ci fossero stati rumori, non li avrebbero sentiti perché c’erano i loro cuori a riempire le loro orecchie.
“Cos’è l’amore, Wendy?”
Rimase un attimo stordita da quell’improvvisa domanda.
“L’amore? – ci pensò su un attimo, poi diede la più banale delle risposte – l’amore è quando l’altra metà è felice”
Silenzio. Era abituata ad aspettare minuti interi prima di avere una risposta da lui. Era fatto così e in tanti altri modi.
“Sei felice?”
“Si, certo”
“Allora credo di amarti”
E una lacrima le bagnò la guancia perché le emozioni erano davvero troppe.
 





Dire che questo capitolo mi fa schifo è una bugia perchè mi fa più che schifo ahahah 
Comunque buonasera! Allora, per vostra fortuna (o sfortuna) ho deciso di scrivere un altro capitolo prima dell'epilogo che spiegasse in generale le tappe della vita di Zayn. La scena di quando lui ha diciotto anni e litiga con il padre è la scena che avviene nel capitolo sette, quando Wendy si scontra con lui e lo obbliga ad andare a casa con lei per medicarlo.
La scena del compleanno e quella del balcone invece sono scene nuove che avvengono separatamente. La prima, appunto, si ha il 12 gennaio (cioè oggi ahahah) e la seconda invece a fine maggio.
Non voglio dilungarmi troppo perchè non posso pensare che questo è il penultimo capitolo di questa storia, quasi non ci credo.
I ringraziamenti e i pianti li lascio all'epilogo dove ricompariranno tutti i personaggi di questa storia - Harry, Niall, Louis, Liam, Lola - che spero di postare presto.
Non ho ancora la minima idea di come impostarlo e di cosa far succedere, quindi auguratemi buona fortuna!
Un bacio e un grazie di cuore a tutti voi :)




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