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Autore: Lady_Cassandra    13/01/2014    0 recensioni
Jacob Aldrin, professore di Letteratura Americana e Inglese, si ritroverà alle prese con un piccolo ospite, il suo figlioccio Edwin.
Non sarà da solo, a dargli una mano ci penserà la sua fidanzata Kimberly, con cui convive da oltre sei mesi.
Kim si sente già pronta a mettere su famiglia, il professore non proprio.
Riuscirà questo fine settimana a fargli nascere il desiderio di diventare papà?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve, prima One-Shot che pubblico in questo sezione! E' anche la mia prima originale, quindi mi piacerebe davvero sapere cosa ne pensate.
Ogni commento, critica(soprattutto), apprezzamento sarà gradito!
Spero di intrattenervi un po', e buona lettura!
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Babysitter per un weekend

 

Jacob Aldrin, professore ordinario di letteratura inglese alla Columbia University, al suo cellulare non badava più di tanto. Al dire il vero, ancora non riusciva a comprendere come mai il mondo fosse affezionato così tanto a quell’aggeggio che lui riteneva anti-estetico, ingombrante e spesso poco affidabile, quando esisteva il telefono di casa, quell’adorabile apparecchio dalla bella e rassicurante forma, operativo dal lontano 1871 grazie al fiorentino Meucci.

Il suo vecchio cellulare, un modello piuttosto retrodatato, era stato utilizzato solo quando era fuori casa, o almeno così era stato finché non conobbe la sua fidanzata Kimberly, che con il suo tecnologico cellulare faceva di tutto e che lo costrinse a modernizzarsi, acquistando anche lui il tanto odiato smartphone, che per il professor Aldrin di “smart” non aveva proprio nulla.

Nonostante ciò, lui continuava ad attribuirgli la stessa considerazione di sempre, ovvero quasi nulla, e per tali motivazioni spesso non riconosceva nemmeno la suoneria, frutto anche questa di una capriccio di Kim che aveva imposto “I love rock ‘n’ roll” al suo fidanzato.

“Pronto? Oh, ciao Sarah” rispose al cellulare dopo che questi aveva squillato per un buon quarto d’ora.

“Jake, finalmente! Ti ho chiamato diverse volte” esclamò la donna dall’altro capo della linea quando sentì la voce dell’amico, che si scusò e domandò alla collega se desiderasse qualcosa.

“Sì, infatti, per questo ti chiamavo..” esordì l’amica con tono leggermente titubante. “Io e Finn dobbiamo partire per New Orleans questo weekend, purtroppo non sarà una visita piacevole, e vorremmo evitare di portare con noi Edwin. Abbiamo contattato l’agenzia di babysitting ma, dato lo scarso preavviso, ci è stato detto che non sarà possibile avere una babysitter disponibile per tutto il weekend, perciò io mi domandavo se..” spiegò la bionda interrotta dal giovane genio, che capì subito che la sua collega, nonché amica di vecchia di data, voleva che il suo figlioccio trascorresse un po’ di tempo con lui.

“Sarah, è perfetto. Baderò io ad Edwin questo fine settimana più che volentieri” la rassicurò, ad essere del tutto sinceri, era elettrizzato all’idea di passare del tempo con il piccolo Edwin. Gli era molto affezionato, lo considerava quasi come un figlio, dopotutto l’aveva visto crescere e pensava che quel caschetto biondo fosse un bambino molto sveglio e perspicace nonostante avesse poco più di tre anni.

La bionda tirò un sospiro di sollievo. “Oh, grazie, Jake. Ci hai salvato!”

L’entusiasmo della collega durò molto poco, si ricordò, infatti, che ora Jacob conviveva con la sua fidanzata e che di conseguenza era possibile che avesse già altri progetti in mente. “Sei sicuro di non avere impegni per questo finesettimana? Basta che lo dici..”

“Sarah, non ho nulla da fare e poi Kim adora  Edwin, quindi anche se li avessi avuti, ora non esisterebbero più” la rasserenò il giovane professore che immaginava già la gioia della sua fidanzata quando sarebbe venuta a conoscenza del loro piccolo ospite.

Sarah scoppiò a ridere e informò il collega che avrebbero portato il piccolo Edwin l’indomani dopo il lavoro e che sarebbe rimasto a casa sua solo per due giorni, ovvero fino a domenica sera. Ringraziò ancora una volta Aldrin per la gentilezza e riattaccò dopo avergli augurato una buona serata.

 

Poco più tardi quella stessa sera, Kimberly di ritorno dal lavoro apriva la porta di casa del professor Aldrin, che ormai era anche la sua, con due pizze appena comprate.

Andò in cucina e posò sul tavolo la cena, dopodiché aprì le finestre, stava morendo di caldo. Mentre ritornava in cucina, si accorse della presenza della tracolla del suo fidanzato sparpagliata, come al solito, sul divano.

 “Ma è in casa?” si domandò a voce alta, solitamente non riusciva nemmeno ad inserire la chiave nella serratura che Jake aveva già aperto la porta.

Si diresse verso la loro camera da letto e lo trovò addormentato sul letto. “Ma che fai? Fai anche la siesta adesso?” lo prese in giro saltando sul letto anche lei.

Il giovane professore si destò dal suo sonnellino pomeridiano dopo aver avvertito il cambiamento di pressione sulla superficie del materasso e sorrise vedendo Kimberly Carter, la sua fidanzata, attualmente impiegata in un’agenzia pubblicitaria, dove si occupava della scrittura delle sceneggiature degli amati/odiati spot pubblicitari, infatti, lei era una storyteller.

“Sto morendo dal mal di testa” confessò Aldrin intanto che si accoccolava accanto alla sua fidanzata.

“Di nuovo?” domandò sorpresa, non capiva quale fosse l’origine dei suoi mal di testa nonostante i diversi libri che aveva divorato in quei mesi per riuscire a comprendere quale male affliggesse il suo fidanzato. Tuttavia, di una cosa era certa: il temuto Alzheimer non era la causa.

Aveva anche consultato in proposito l’amico di suoi, il dottor Cooper, uno stimato dottore nell’ospedale di New York, il quale concordò con gli altri centinaia di specialisti che aveva interpellato il prof negli ultimi tre anni, che non avevano nulla a che fare con la malattia di sua madre.

“Hai preso qualcosa?” chiese in seguito facendogli un massaggio alle tempie perché si rilassasse.

Jake annuì e le sorrise. “Ho una notizia da darti” cambiò argomento il biondo e si sedette sul letto, deciso ad ignorare il suo mal di testa.

Dal tono allegro Kimberly capì che si trattava di una bella notizia perciò si rilassò. “Edwin starà con noi questo finesettimana” disse d’un fiato Aldrin.

La mora sorrise immediatamente. “Davvero? Che bello!” esclamò elettrizzata battendo le mani per l’entusiasmo e saltò giù dal letto.

“Dobbiamo noleggiare i dvd della Disney, io ne dovrei avere qualcuno, poi compriamo tante schifezze, anche i mashmallow così li arrostiamo sul fuoco, poi..”

“Pulce, innanzitutto è estate, quindi non penso che sia il caso di accendere un camino, e in ogni modo noi non abbiamo nemmeno un camino” ribadì divertito.

“Giusto” affermò Kim che rimase un attimo pensierosa. “M’inventerò qualcosa” aggiunse.

“Dobbiamo anche preparare la stanza degli ospiti! Useremo le lenzuola con la coccinella” disse mentre annotava mentalmente la lista di “cose da fare” prima dell’arrivo del piccolo Edwin.

Jacob aggrottò la fronte, non ricordava che avessero lenzuola con disegni di coccinelle o altri animaletti, oppure sì?

 “Pulce, di quale lenzuola parli?” le domandò.

“Di quelle che sono esposte in vetrina nel negozio di biancheria per la casa, quello all’angolo fra la 34esima e 35esima strada” rispose lei come se fosse un’ovvietà, roteando gli occhi.

Il prof Aldrin scosse la testa, doveva aspettarsela una simile risposta, stava per dirle qualcosa quando lei lo interruppe di nuovo.

“Gli amici della notte” esclamò puntando il dito in aria. “Gli amici della notte?”

“Sì, le lucine per la notte per i bambini” spiegò lei. “Le compriamo tanto anche noi servono” proseguì mentre usciva dalla stanza da letto. A quell’affermazione il nostro caro prof si agitò, perché a loro dovrebbero servire questi ‘amici della notte’? Kimberly non sarà mica …?

Si alzò dal letto in fretta e quasi inciampò con le lenzuola. “Berly, ma perché ci servono?” le chiese con un tono leggermente spaventato, utilizzando quell’assurdo soprannome a  cui la sua fidanzata si era tanta affezionata, dato che l’unico sulla faccia della terra a chiamarla così. 

La sua fidanzata si voltò verso di lui e sorrise. “Per te, no? Hai paura del buio!”

Jacob tirò un sospiro di sollievo e la sua fidanzata sollevò un sopracciglio. “Pensavi fossi incinta?” lo stuzzicò lei scoppiando a ridere subito dopo per il rossore che aveva colorato le gote del prof Aldrin al suono della parola ‘incinta’.

“Tranquillo, non sono incinta” lo rassicurò dandogli un bacino sulla guancia. “Andiamo a mangiare? Ho comprato le pizze” lo informò e saltellò verso la cucina precedendo Jacob il cui battito cardiaco per l’infondato spavento iniziava a normalizzarsi.

 

Stavano mangiando la pizza in silenzio quando Kimberly posò la propria porzione e si schiarì la gola per richiamare l’attenzione del giovane professore.

“Qualcosa non va?” le domandò Jacob che continuava a tagliuzzare la propria pizza fingendo un finto autocontrollo, in verità si sentiva ancora stranamente agitato.

“Non te l’ho mai chiesto, ma.. visto che ci siamo, insomma..” balbettò la mora che si mordicchiò le labbra per temporeggiare, voleva formulare la frase con le giuste parole. “Tu li vuoi dei bambini, vero?” domandò di botto, in effetti, non esistevano parole con cui si riuscisse meglio a calibrare la frase.

Jacob deglutì rumorosamente, il suo battito cardiaco ritornò martellante, aprì la bocca ma le sue labbra si serrarono. Guardò la mora che gli stava puntando addosso i suoi occhi verdi con espressione leggermente rabbuiata, improvvisamente anche lei si sentì agitata, e se Jacob non volesse bambini?

“Li voglio, ma non ora. Non credo di essere pronto” rispose con franchezza. Essere sinceri l’un con l’altra era il primo presupposto in una relazione affinché quest’ultima funzionasse e Aldrin, dopo aver sperimentato un solo giorno lontano da Kimberly, era deciso a farla funzionare ad ogni costo, in quanto aveva realizzato che senza di lei era lui che semplicemente non funzionava.

Kimberly annuì, non era esattamente ciò che avrebbe voluto che dicesse, ma ammetteva che era un buon inizio. “Ottimo” disse e riprese a mangiare la sua pizza interrompendosi immediatamente.

“E quando pensi di essere pronto? Perché io voglio tanti bambini e ..” affermò senza scandire bene le parole, stava blaterando sul suo orologio biologico che faceva tic-toc quando Jake la bloccò. Si sentiva decisamente sotto pressione.

“Berly, non lo so quando sarò pronto. Non credo che io lo possa decidere..” provò a farla ragionare. “E poi noi due non siamo nemmeno sposati, non ti sembra troppo presto per parlare di bambini?”

“Il matrimonio è un requisito fondamentale per te per avere figli?” chiese la mora piuttosto seria.

“Beh, sì. È quello che normalmente le persone fanno, anche se è vero che non bisogna fare molto affidamento sull’istituto del matrimonio, considerando che, ai giorni nostri, un matrimonio su tre fallisce” osservò il professor Aldrin.

Kimberly sgranò gli occhi, il loro eventuale matrimonio sarebbe stato quell’uno su tre?

“No, pulce, il nostro non sarà quell’uno su tre” la rassicurò notando lo sguardo terrorizzato di Kim.

“Comunque, Berly, oggi le donne possono avere figli anche dopo i quarant’anni, anzi è una tendenza che si sta affermando sempre più vigorosamente. D’altronde, grazie ai cambiamenti socio-culturali, nonché economici..” sciorinò notizie il prof Aldrin.

“Io non aspetterò i quarant’anni” dichiarò con fermezza la mora. “Quindi vedi di essere pronto prima” lo intimò chiudendo il discorso e riprese a mangiare la sua pizza, mentre Jake, il cui appetito era ormai svanito, sorrideva fintamente.

Nella sua testa una sola parola volteggiava impietosa: bambini, tanti bambini. Immagini di bebè urlanti, con il pannolino sporco, che gattonavano per casa invasero la brillante mente del prof Aldrin, che si sentiva soffocare da una sensazione di terrore che s’insinuava nelle sue viscere.

“Vado un attimo in bagno” comunicò alla sua fidanzata e scappò di corsa sotto lo sguardo divertito della sua fidanzata  che lo seguì a sua volta.

Aprì la porta della stanza da bagno e lo trovò con la testa fuori dalla finestra compiendo lunghi e profondi respiri per calmarsi. “Scricciolo, io non voglio aspettare i quarant’anni ma non deve nemmeno succedere domani. Rilassati” lo tranquillizzò Kimberly mettendogli una mano sulla spalla.

Il giovane prof si voltò e annuì, la sua fidanzata aprì le braccia e Jake si tuffò per farsi coccolare un po’. “Berly, non credere che io non ci abbia pensato, sono sicuro di volerli. Ma io devo ancora abituarmi a noi due..” provò a spiegare il giovane ma la sua fidanzata posò il dito indice sulle sue labbra.

“Lo so. Non c’è bisogno che ti giustifichi” rispose Berly che posò un bacio sulle labbra del prof Aldrin che gliene diede un altro intanto che la sollevava da terra sistemandola sul mobile del lavandino. 

“Tre” affermò Jake mentre la baciava. “Cosa tre?” chiese lei, le cui parole si sfumarono in un sussurro, faceva fatica a pensare in quel momento. Il professorino era particolarmente bravo a baciare.

“Tre bambini. Ne vorrei tre” rispose lui, anche la sua mente iniziava ad annebbiarsi, esattamente come accadeva ogni volta che iniziavano quel giochino che terminava nella loro camera da letto.

“Tre è il numero perfetto” osservò Carter spostandosi nell’incavo del collo del prof Aldrin, morse la soffice pelle del prof curandosi di non fargli troppo male e succhiò via la propria saliva con la punta della lingua.

 Jake inarcò la schiena stravolto da quella sensazione mista di piacere e dolore, scostò i capelli castano scuro della sua fidanzata tutti da un lato e riservò al suo collo lo stesso trattamento.

Sentì le mani della giovane infilarsi sotto la sua maglietta di cotone intanto che lui con fare deciso succhiava il candido collo della sua fidanzata, che si morse le labbra per non gemere.

“Mi rimarrà il segno” si lamentò con voce malferma approfittando dell’ultimo barlume di lucidità di cui era ancora in possesso, il giovane prof rise e lasciò il suo lavoro incompleto allontanandosi da Carter le cui mani caddero nel vuoto.

“Cosa stavamo dicendo?” disse lui con finto tono innocente distruggendo l’atmosfera che si era creata pochi minuti prima.

“Che vuoi tre bambini” gli rispose lei che pian piano riacquistava il dono della parola. “Davvero ne vuoi tre?” domandò incredula.

Jacob annuì, fin da bambino quando pensava alla famiglia perfetta, la aveva identificata con tre bambini che giocavano nel giardino fronte casa con i loro genitori.

“Anche io ne voglio tre” affermò la mora con tono allegro e saltò giù dal lavabo. Si avvicinò di nuovo al prof Aldrin. “Esistono altri posti dove il segno non si vede” sussurrò al suo orecchio maliziosamente.

Jake rise una seconda volta. “Fammene vedere uno allora” le rispose e la trascinò in camera da letto.

 

Il cellulare del prof Aldrin risuonò insolente nel sacro silenzio della loro stanza da letto svegliando la giovane coppia che ancora non era pronta ad affrontare una nuova giornata.

“Dannato sia il tuo lavoro, caro mio prof” affermò Carter con la voce impastata dal sonno che si girò su un fianco allontanandosi dal suo fidanzato, a cui era saldamente abbracciata, provocando in lui un improvviso brivido di freddo nonostante stessero entrando nel mese di Giugno. La temperatura del corpo della nostra pubblicitaria era molto al di sopra della media.

“Pronto?” rispose al cellulare quando riuscì a trovarlo. “Salve, dottor Espinoza” salutò il dottore di sua madre e si mise a sedere sul letto strofinandosi forte gli occhi con il dorso mano per svegliarsi e trattenendosi dallo sbagliare. Lo stimato dottore iniziò a delineare il mutato quadro clinico della signora Aldrin al giovane prof, il cui cervello sembrava fare fatica quella mattina a carburare.

Carter, accortasi che non era una chiamata di lavoro, si mise a sedere sul letto coprendo sé stessa con il lenzuolo, e lanciò uno sguardo interrogativo, mimando un ‘che succede’, al prof Aldrin, il quale le fece segno di aspettare un secondo.

“Quindi cosa potremmo fare?” domandò allo psichiatria e iniziò a battere il piede contro la sponda del letto. Dal tono utilizzato, Kimberly si allarmò, qualcosa di grave era accaduto all’istituto Sarah Toga.

Jake fece un lungo sospiro. “Certamente. Mi richiami per qualsiasi altra evenienza” e riattaccò.

“Che è successo? Grace sta bene?” domandò preoccupata la giovane, che aveva conosciuto la signora Aldrin di persona.

Poco dopo l’inizio della loro convivenza, infatti, Jacob aveva portato la giovane pubblicitaria a Los Angeles, la sua città natale, affinché conoscesse sua madre, residente in una casa di cura, esaudendo il desiderio di Grace, la quale aveva insistito a lungo durante la loro frequenti telefonate perché il suo adorato figlio l’accontentasse e le presentasse la sua fidanzata, di cui Grace sapeva ormai tutto.

Inizialmente la donna si era rivelata piuttosto diffidente nei confronti della giovane pubblicitaria, percependola come una sorta di minaccia nel suo rapporto con il figlio, e facendo preoccupare il prof Aldrin, che per un momento temette per il peggio. Timore che si rivelò del tutto immotivato quando Kimberly con una battuta sull’atteggiamento poco professionale delle infermiere riuscì a conquistare la simpatia della signora Aldrin.

“E’ una ragazza splendida. Mi piace molto” aveva detto al figlio poco prima che partisse, il giovane aveva abbracciato sua madre dopo averla ringraziata per aver concesso alla sua pulce una possibilità, in verità il giudizio di Grace Aldrin era talmente importante per Jacob al punto che gli sarebbe stato difficile, se non impossibile, accettare che sua madre non volesse Kimberly nella sua vita.

“Sembra che le medicine non ti stiano facendo effetto, quindi dovranno cambiare terapia. Ieri ha anche aggredito un’infermiera” spiegò d’un fiato e fece un sospiro rassegnato, sua madre non faceva che peggiorare. Improvvisamente immagini della sua persona che si dimenava nervosamente mentre uomini in camici bianchi lo sovrastavano riempirono la sua mente e scivolò verso il basso serrando forte le palpebre.

Kimberly si accorse del mutato atteggiamento del suo fidanzato che tentava di coprirsi il suo perfetto viso con il lenzuolo e lo tirò giù scoprendolo.

Incontrò lo sguardo malinconico di Jacob che sbuffò, stringendo le mascelle  e serrò i pugni avvolgendo le loro lenzuola celesti attorno alle sue ossute dita, quasi tentasse di aggrapparsi a qualcosa per non impazzire; rimasero a fissarsi per qualche istante, stavano avendo una silenziosa conversazione in cui a parlare erano i loro occhi.

“Per molti cultori di pittura, il colore verde è ritenuto un colore neutrale. Viene erroneamente considerato un colore freddo come il viola, tuttavia se tendente al giallo, come quello dei tuoi occhi, assume tonalità più calde.  Oggi sembravano di colore ambra, mi sembra di fare della cromoterapia quando ti guardo negli occhi” mormorò intanto che le dita della sua fidanzata percorrevano il contorno delle sue labbra.

Aveva labbra bellissime: carnose e morbide, si sporse di più verso di lui e i loro nasi si sfiorarono.

“Il nocciola dei tuoi occhi è dovuto invece ad una combinazione dello scattering Rayleigh e alla melanina che si è depositata nel bordo anteriore dell’iride” sussurrò invece lei mentre sostituiva il bordo della lenzuola con le sue dita che s’intrecciarono a quelle di Jacob.

“E tu che ne sai?” domandò sorpreso, credeva di essere l’unico a memorizzare inutili nozioni scientifiche.

“L’ho letto su uno dei tuoi soporiferi libri” confessò lei che ogni tanto, soprattutto quando era da sola a casa, aveva aperto qualcuno dei manuali di Jacob per ammazzare la noia, annoiandosi ancora di più però.

La bocca del prof si modulò in uno dei suoi sorrisi disarmanti, che fece sorridere la giovane a sua volta.

Jake la strinse a sé cingendole la vita sottile con le sue magre braccia. “E se soffrissi di Alzheimer anche io?” domandò con tono incerto.

“Non ne soffri” ribadì con convinzione la sua fidanzata che posò la testa sul petto del prof Aldrin.

“E se ne soffrissi?” domandò di nuovo abbandonandosi ad un lungo sospiro di rassegnazione.

Kimberly si sollevò sui gomiti, si avvicinò al suo viso e gli baciò la fronte. “Io mi prenderei di cura di te” fece una pausa per baciare le sue guancie e il mento sottile. “Non ti lascerei mai” affermò con una punta di sicurezza nella sua voce che non sfuggì al professor Aldrin, il quale stava per replicare.

“Prima che tu lo dica: sì, sono consapevole che non sarebbe affatto facile” anticipò lei le sue parole, il giovane professore lesse tutto l’amore e la comprensione, di cui credeva l’essere umano capace, negli occhi della sua fidanzata e realizzò che non mentiva. Era davvero disposta a prendersi cura di lui.

Le loro labbra si sfiorarono in un bacio leggero e Kimberly posò nuovamente la testa sul suo petto all’altezza del cuore concentrandosi sul suo battito cardiaco dal ritmo regolare e confortante, da cui si faceva cullare ogni sera.

“Ti amo” le disse mentre le dava un bacio sulla testa. Il suono di quelle parole pronunciate dal professore rasentava la perfezione, a detta della giovane pubblicitaria.

Forse era il modo in cui la sua lingua sfiorava i suoi candidi denti, oppure il suo chiaro, squillante e caldo tono di voce, ma ogni volta che glielo diceva, le sembrava che un pezzettino del suo cuore si sciogliesse, come neve al sole.

La mora baciò il suo petto. “Anche io” mormorò.

Rimasero in silenzio in quella posizione finché la sveglia, segnalante l’inizio di una nuova giornata lavorativa, non suonò. “Ci dobbiamo alzare” disse il giovane con tono poco convinto.

La sua fidanzata annuì, ma si accoccolò ancora di più, rendendo quel distacco dal letto ancora più arduo.

“I really can’t stay, but, baby, it’s cold outside” cantò la mora facendo ridere Jake che prese l’iniziativa e si alzò.

“Uno dei due doveva farlo” asserì il giovane rispondendo allo sguardo di disappunto che si era disegnato sul faccino della giovane pubblicitaria per essere stata abbandonata.

Kimberly sbuffò e il suo soffio mosse la sua frangia verso l’alto. “Ora mi alzo” gli disse, nel frattempo Jacob si rinchiuse nella toilette per prepararsi.

Infine, una volta pronti entrambi, fecero colazione e uscirono insieme di casa. Kimberly avvisò il suo fidanzato che avrebbe staccato da lavoro verso le sei e che durante la pausa pranzo avrebbe comprato le cose che servivano per l’arrivo del piccolo ospite. “Perfetto, Edwin sarà da noi verso le sette e mezza. Sarah e Finn hanno prenotato l’ultimo volo per New Orleans” la informò Jake e partì di corsa diretto alla sua lezione su Shakespeare nell’aula F6, era piuttosto in ritardo.

 

Alle sette e mezza precise, il citofono dell’appartamento del professor Aldrin suonò. Kimberly, che aveva appena finito di rassettare il letto della stanzetta degli ospiti, utilizzando le lenzuola, decorate con una simpatica e sorridente coccinella comprate qualche ora prima, si precipitò verso la porta.

Sentì il campanello suonare una seconda, prolungando il suo acuto rumore, molto probabilmente avrà suonato Edwin, pensò.

“Vi apro subito” rispose al citofono e premette il pulsante per l’apertura del portone del palazzo.

Qualche minuto più tardi un nanetto dai capelli lisci biondi saltava in braccio alla giovane pubblicitaria urlando ‘Dada’, ovvero lo strano soprannome che il bambino aveva affibbiato alla fidanzata del suo padrino.

“Ciao piccolino” lo salutò dandogli un bacetto sulla guancia.

“Buonasera” la salutò Sarah con tono gioviale ricambiata subito dalla giovane, che si presentò a Finn Benson, il marito della professoressa, che non conosceva fino a quel momento.

“Dov’è lo zio?” domandò timidamente Edwin mentre tentava di guardare dentro casa da dietro le spalle di Carter. “Lo zio è uscito, torna fra pochissimo” rispose lei aggiungendo che era andato a prendere il latte.

“Volete entrare?”  invitò la coppia ad accomodarsi,  la quale rifiutò cordialmente l’invito. “Dobbiamo scappare. Il gate chiude fra meno di un’ora” accennò Finn, anche sua moglie annuì.

Sarah prese un attimo il piccolo in braccio, a cui raccomandò di comportarsi bene con lo zio Jake e Dada, e tese verso la giovane una piccola borsa, in cui erano custoditi i vestiti del piccolo Edwin, che venne prontamente afferrata dalla nuova padrona di casa.

Dopodiché i coniugi Benson salutarono di nuovo la giovane e, dopo essersi raccomandati ancora una volta con il figlio, partirono.

 

Kimberly richiuse la porta e si abbassò semi piegandosi sulle ginocchia. “Andiamo a portare questa nella tua stanzetta?” chiese al piccolino davanti a lei.

Il bimbo piegò la testa da un lato facendo ondeggiare i suoi biondi capelli, gesto che fece sorridere la giovane. “La mia stanzetta?” domandò insicuro.

“Sì, anche qui hai una stanzetta” confermò, lo prese per mano e lo portò nella stanza degli ospiti.

Gli occhi di Edwin s’ingrandirono per lo stupore quando vide il copriletto di Winnie the Pooh, che Jacob aveva criticato sostenendo che i suoi personaggi ritraevano noti disturbi psicologici e che sicuramente al suo figlioccio non piaceva.

“Ti piace?” gli chiese Kim intanto che sistemava i suoi minuti vestiti nella cassettiera della sua ex camera da letto.

Il bimbo annuì sorridente e salì sul letto arrampicandosi, era leggermente alto per la sua altezza.

“Un punto per me” esclamò sotto voce la mora. Ad Edwin piaceva Winnie, proprio come pensava.

“Dada mi dai Stewie?” domandò alla giovane indicando un cucciolo di pezza che indossava un impermeabile rosso che Sarah aveva messo nella piccola valigetta.

La giovane passò il pupazzo al piccolino che riprese a giocarci fingendo che volasse.

In seguito saltò giù dal letto e tirò la mora per la manica.  “Dada vieni a giocale? Plendi l’alto pupazzo” le suggerì il bimbo.

La mora annuì, prese un pupazzo a forma di papera e si sedette per terra. “Io mi chiamo Duck the Duke, tu chi sei?” domandò al cane di pezza facendo la vocina da bambina.

“Io sono Stewie, giochiamo?” rispose il bimbo. Duck the Duke andò a cavallo per le terre sconosciute del vecchio West, dove una banda di coyote cattivi lo prese in ostaggio, e fu salvato dal valoroso cane dall’impermeabile rosso.

Kimberly stava inventandosi un’altra avventura da far vivere ai due pupazzi, in cui Stewie conquistava il cuore della coniglietta Bunny, un pupazzo che la giovane conservava da quando era piccola, quando Edwin parlò. “Lo sapevi che zio Jake dice che è tanto felice da quando ci sei tu?”

Il bimbo continuò a giocare e non si accorse minimamente del sorriso da ebete che si era dipinto sul viso di Kimberly il cui cuore aveva saltato un battito.

“Te lo ha detto lui?” gli chiese con una certa insistenza, il bimbo sollevò lo sguardo verso di lei e annuì.

“Anche io sono tanto felice” confessò la giovane con le guancie leggermente imporporate; la sua risata cristallina riecheggiò nella stanza contagiando anche il piccolo Edwin che abbandonò il cane di pezza e abbracciò istintivamente Carter, che iniziò a fargli il solletico amplificando la risata squillante del piccolo ospite.

Era questa la scena che si aprì davanti agli occhi del prof Aldrin, appena rientrato dal supermercato, che osservava i due in piedi sulla soglia della porta della camera.

Una bellissima scena, come quelle delle commedie romantiche o dei romanzi rosa di Danielle Steel, che la sua collega Sarah aveva tentato invano di fargli leggere. “Ti stai divertendo Edwin?” richiamò l’attenzione del piccolo ospite.

Il bimbo alzò lo sguardo, trillò un ‘zio Jake’ e corse verso Aldrin, che lo prese in braccio intanto che la mora si alzava a sua volta da terra ravvivandosi i capelli arruffati.

“Hai trovato fila al supermercato?” gli domandò, era stato fuori un bel po’. “Non esattamente” rispose Jacob sorridendo. “Ho portato una cosa ad Edwin” spiegò. “La vuoi vedere?” si rivolse al figlioccio.

Il bimbo annuì sorridente ed insieme si diressero di corsa verso il salotto dove li attendeva la sorpresa: un triciclo rosso fiammante. “Me lo legali?” domandò al suo padrino che confermò che era per lui; Edwin tutto contento iniziò a saltellare per tutta la stanza.

“Gazie, zio Jake” esclamò e diede un bacino allo zio preferito, che gli promise che lo avrebbe portato l’indomani al parco così avrebbe potuto collaudare il bolide.

“Così lo vizi” osservò Kimberly fingendo un tono da rimprovero, il giovane prof sollevò le spalle.  “Una volta ogni tanto” ribadì divertito guardando il piccolo Edwin che era salito sul triciclo e andava avanti e indietro.

La giovane gli diede un bacio sulle labbra. “Vado a preparare la cena” gli comunicò, ma prima s’accertò dei gusti del piccolo.

“Ti piacciono le cotolette?”  chiese al bimbo che annuì. “Con le patatine flitte” esclamò trovando il disaccordo della giovane che sostenne che troppo fritto gli avrebbe fatto al pancino.

“Ti faccio il purè, va bene?” fece la sua controproposta Kim che non piacque gran che al piccolino e andò a preparare a cena.

Dalla cucina la giovane pubblicitaria sentiva i due ridere intanto che si rincorrevano per il salotto.

Jacob aveva mostrato al figlioccio uno dei tanti trucchi di magia del suo repertorio che stupivano sempre il piccolo, che urlava “ancora ancora”.

Qualche minuto più tardi, Jake entrò in cucina con Edwin in braccio, coinvolgendolo in un’importante missione: apparecchiare la tavola.

Terminata l’operazione, essendo pronta la deliziosa pietanza preparata dalla mora, i tre si sedettero a mangiare; Kimberly tagliò a pezzettini la cotoletta di Edwin che fece diversi capricci perché non voleva mangiare il purè.

“Se mangi il purè, Dada ti dà il gelato dopo” lo incoraggiò Jake sottolineando che la zietta aveva comprato il suo gusto preferito, ovvero il cioccolato, il bimbo fece una smorfia e mangiò tutto il purè. D’altra parte, per il gelato valeva la pena fare quel sacrificio.

 

Dopo cena, si sedettero sul divano e guardarono uno dei tanti dvd che Kimberly aveva noleggiato ; la scelta del film da guardare richiese più tempo del previsto, Edwin non riusciva a decidere se vedere ‘Aladdin’ oppure ‘Il Re Leone’, alla fine vinse il secondo su consiglio della giovane, che adorava quel cartone animato.

Alla fine del film, Edwin sbadigliava, i suoi occhietti imploravano di essere chiusi nonostante ribadisse di voler ancora restare sveglio.

Kimberly lo prese in braccio e lo portò nella stanzetta sdraiandolo sul letto.  Gli rimboccò le coperte posizionando ai suoi piedi il copriletto. Era stata una giornata particolarmente calda.

“La favola della buonanotte!” pretese il bimbo, e indicò un libro di favole per bambini, che gli era stato regalato da Jacob per Natale.

Kimberly lesse una delle tante storielle raccontate nel libro e, arrivata nemmeno a metà della storia, il bimbo si addormentò.

“Buonanotte, piccolino” lo salutò la mora con un bacino sulla guancia. Infine, dopo aver spento la lampada del comodino, uscì dalla stanza, rischiarata dalla lucina a forma di stella attaccata sopra il letto del loro ospite, e lasciò socchiusa la porta perché filtrasse più luce.

“Si è addormentato?” domandò il suo fidanzato, intanto che correggeva una pila di saggi sullo stile di Chaucer, quando fu di ritorno in salotto.

La giovane si lasciò cadere sulla poltrona. “Sì, come un angioletto” affermò mentre accendeva il laptop che posizionò sulle sue gambe.

Jake alzò lo sguardo verso di lei, osservandola da sopra i suoi occhiali neri, e sorrise. “Vera prosa o il solito spot?” domandò in seguito, la sua fidanzata non era solo una storyteller, ma era sopratutto una scrittrice, proprio come lui.

Loro, infatti, si erano conosciuti ad un corso di scrittura creativa frequentato alla Columbia, al quale si erano iscritti per passatempo. Kimberly era laureata in Psicologia della Comunicazione, a differenza di Jacob, laureato invece in Letteratura Inglese e Americana.

La giovane sorrise. “Vera prosa” rispose, stava lavorando da qualche mese ad un libro, una vera storia, che parlava anche della loro relazione, in parte.

“Prima o poi mi consentirai di leggere qualcosa?”  chiese lui che abbandonò i saggi dei suoi studenti per avvicinarsi alla sua pulce; la ragazza ridacchiò e finse di pensare picchiettandosi un dito sul dito. “Mmm..no!” asserì facendo la linguaccia.

Il suo fidanzato prese il laptop dalle sue gambe e lo riposò sul tavolino. “Sei davvero una pessima fidanzata” le sussurrò all’orecchio intanto che poggiava il suo ginocchio nell’unico spazio libero sulla poltrona lasciato dalla sua fidanzata, che aveva allargato le gambe, per consentirgli di salirvi.

Appoggiò entrambi le mani sullo schienale, le loro fronti si toccarono. Sentì il delizioso profumo di ciliegie e mora che emanavano i capelli color cioccolato della sua pulce e posò le sue labbra sulle sue, applicando una leggera pressione.

La giovane schiuse le labbra per consentire alla lingua del suo scricciolo di esplorare l’interno dalla sua bocca abbandonandosi ad un bacio tenero e delicato.

Aldrin sentì le mani della pubblicitaria accarezzargli i suoi morbidi capelli castano chiaro e si rilassò immediatamente, era piacevole farsi coccolare da lei, ne aveva costantemente bisogno. Si era affezionato alla presenza di quella ragazzetta piena di allegria e fantasia al punto da non riuscire più nemmeno a ricordare come fosse la sua vita prima di Kimberly.

Anche Carter si era persa in quegli occhi nocciola fin dal primo istante in cui aveva posato il suo sguardo quel martedì pomeriggio di quattro anni prima, per lei fu un vero coup de foudre, come amano dire i francesi; un colpo di fulmine che stravolse la sua vita.

Non fu sempre tutto rose e fiori però. Infatti, la loro storia partì con un’amicizia che tardò a decollare, per via della diffidenza di Jake, che nella vita aveva avuto diverse delusioni.

Era talmente tanto spaventato dall’iniziare una nuova relazione, che spesso aveva inconsciamente allontanato la giovane, che catturata dal magnetismo dei suoi occhi, del suo splendido sorriso, aveva continuato ad insistere. Si era insinuata pian piano nella sua vita, cercando di non fare troppo rumore per non spaventarlo, aspettando amorevolmente, consapevole che il suo amore sarebbe stato ricambiato.

E non si sbagliava. Lo capì il giorno del Ringraziamento del duemiladieci quando Jake si era presentato a casa sua, nella soleggiata Georgia, con un orsacchiotto di pezza e un grosso biglietto di scuse attaccato al collo.

Si erano baciati sulla soglia della sua alta porta di legno di mogano sotto lo sguardo attonito dei genitori della giovane che guardavano Jake quasi fosse un alieno e da quel momento non si erano mai più lasciati.

Ora, a distanza di poco più di due anni, convivevano nell’appartamento di Jacob a Brooklyn da circa sei mesi e le loro intenzioni diventavano sempre più serie.

“Non hai una pila di saggi da correggere?” lo stuzzicò lei interrompendo quel lungo bacio che sembrava non terminare mai.

Il professor Aldrin scosse la testa e continuò a baciare la ragazza scendendo pian piano verso il collo lasciando una scia di baci umidi che solleticavano Carter, che mandò la testa all’indietro strofinando la sua voluminosa chioma bruna contro lo schienale della poltrona.

Il giovane non sembrava averne abbastanza, proseguì lambendo la spalla scoperta dalla maglietta a mono spalla della sua fidanzata, che sentiva i denti di Aldrin stuzzicargli quel sottile strato di pelle che la ricopriva.

Le sue mani erano sempre più frenetiche, sollevava con una mano verso l’alto la maglietta di Carter sfiorando il suo addome intanto che con l’altra abbassava la cerniera dei pantaloncini di jeans della giovane.

Carter puntellò entrambe le mani sui pettorali del professore accarezzandolo per qualche secondo ed infine lo spinse in avanti. “Andiamo in camera” suggerì muovendo il capo in direzione della stanzetta degli ospiti dove il piccolo Edwin dormiva beato; Jake annuì e la prese in braccio posizionando sulla sua spalla come se fosse un sacco di patate, Carter scoppiò a ridere e, dimenando i piedi in aria, ordinò il suo fidanzato di metterla giù, che ovviamente ignorò candidamente la sua richiesta.

Giunti in camera da letto, la sdraiò sul letto e si premurò di chiudere la porta a chiave nel caso il loro piccolo ospite decidesse di farsi vivo. Salì sul letto a gattoni afferrando la sua pulce per i fianchi e si mise a cavalcioni su di lei, che aveva già tolta la maglietta intenzionata a portare quel gioco al livello successivo.

Ovviamente il professorino non perdette nemmeno un secondo, agile come un gatto si mosse su di lei scorrendo con un dito la pancia nuda della sua fidanzata che aveva affondato le dita nei suoi capelli.

Jake continuò ad indugiare sull’addome di Kim solleticando il suo ombelico con la punta della lingua, la giovane inarcò la schiena slacciandosi il reggiseno scoprendo i suoi seni che offrì al prof che colse al volo la sua offerta.

il prof risalì verso di lei leccando la sua profumata pelle e baciò l’incavo dei seni, con la lingua accarezzò i capezzoli che succhiò con avidità facendo gemere di piacere Carter che si morse il labbro inferiore aggrappandosi alla spalliera del letto.

Il ventre di Carter s’incendiò, un’ondata di caldo si propagò per tutto il suo corpo, le sue mani si mossero svelte spogliando il prof che continuava a lambire i suoi seni. Afferrò il mento di Jake sollevando con due dita verso di sé, il giovane capì che voleva essere baciata e s’apprestò a soddisfare la sua richiesta senza smettere di accarezzarla.

Nel frattempo Kim continuò a spogliarlo sbottando i suoi jeans, si sollevò sui gomiti e ribaltò la situazione facendo finire Jake sotto di lei premurandosi di coprire ogni sua superficie scoperta di baci umidi.

Sfilò l’inutile paio di jeans del prof e iniziò a giocare l’elastico dei suoi boxer intanto che il giovane, incapace ormai di controllare il proprio corpo, palpava il suo corpo.

Carter si posizionò saldamente su di lui e iniziò ad ondeggiare strofinandosi contro il suo sesso ingrossato costretto in quel angusto spazio. Anche il ventre di Jake s’incendiò, una goccia di sudore scese la sua fronte, doveva farla sua.

Avvertiva un dolore lancinante, la sua vista era completamente annebbiata, ansimò forte sentendo la sua fidanzata diventare sempre più audace con i suoi movimenti di bacini. “Ti prego” sussurrò quasi fosse una richiesta d’aiuto.

La sua fidanzata ridacchiò, si abbassò di lui e morse le sue labbra senza smettere di muoversi, si drizzò di nuovo sulla schiena e sfilò lentamente  i suoi boxer liberando la sua costrizione.

Si disfò anche dei suoi slip e ritornò sopra di lui, che ormai la implorava, accovacciandosi, sentì il membro di Jake entrare pian piano nella cavità umida e calda e le sue mani stringere il suo bacino.

Riprese a muoversi su e giù puntellando le mani sul loro copriletto stuzzicando Jacob, che gradì quella presa di posizione della pubblicitaria, e lasciando che le sue mani andassero alla scoperta del suo corpo.

La giovane prese a muoversi sempre più velocemente approfondendo quel contatto ad ogni movimento, tirò la testa indietro e ansimò. Stava raggiungendo l’apice.

Anche Jake fremeva diventando sempre più ansioso, il suo corpo era madido di sudore, seguiva come ipnotizzato i movimenti della sua fidanzata, gemendo di piacere e mormorando il suo nome.

Carter cacciò un urletto raggiungendo l’orgasmo e si abbandonò in avanti unendo le sue labbra con quelle di Jacob che accarezzava la sua schiena.

“Sei bellissima” sussurrò quando riuscì a riprendere fiato e scocciò un bacio sul suo naso, Kim sorrise e ricambiò quella tenerezza. “Tu sei stupendo invece” mormorò lei scostando le ciocche ribelli dal viso del suo scricciolo.

Jake si accoccolò strofinando la sua guancia su quella di Carter. “Lo sai che sei la mia pulce, vero?”

“Così sembra” rispose lei accoccolandosi a sua volta, il giovane prof la strinse a sé e la coprì con il lenzuolo.

I loro piedi s’intrecciarono, erano così vicini che ognuno riusciva a sentire il battito dell’altro. Aldrin prese ad accarezzare i

capelli di Kim che chiuse gli occhi cadendo addormentata fra le braccia del scricciolo.

 

La mattina seguente la sveglia di Kim suonò di buon’ora, la giovane pubblicitaria si liberò dall’abbraccio del suo fidanzato che continuò a sonnecchiare spensierato.

Si rivestì infilandosi i vestiti del giorno precedente e andò a dare un’occhiata al loro ospite che dormiva nel suo letto compiacendo la padrona di casa che ne approfittò per farsi una doccia.

Uscita dalla toilette, si vestì velocemente e andò a preparare la colazione per i due che sembravano non avere fretta di svegliarsi quella mattina.

Accese lo stereo tenendolo ad un volume non troppo alto avviando uno dei tanti cd della sua collezione, scegliendo Train come colonna sonora per quel sabato mattina. Stava cantando mentre con un movimento di polso deciso girò le frittelle nella padella quando Edwin arrivò di corsa irrompendo in cucina in pigiama e indossando un solo calzino.

“Oh, guarda chi si è svegliato!” esclamò la giovane prendendolo in braccio. “Buongiorno piccolino” aggiunse dandogli un bacino sulla guancia, allora notò l’assenza del calzino sinistro e fece solletico al piedino. “Qualcuno ha perso il calzino, eh?” disse al bimbo che rideva.

Le risate dei due svegliarono del tutto il prof Aldrin che si alzò dal letto sorridente, si fece una doccia veloce ed infine si rivestì indossando un paio di jeans e una maglietta di cotone e andò in cucina.

“La pappa è pronta?” domandò il giovane prendendo posto a sedere dopo aver salutato Edwin che beveva un bicchiere di latte freddo al cioccolato sporcandosi tutto il musetto.

Kim allungò verso di lui una tazza di caffè latte e si sedette sulle sue gambe.”Dove vogliamo andare oggi? Central Park o Coney Island? ” domandò Jake abbracciando la sua fidanzata che mangiucchiava una frittella.

Una volta sentita la proposta di andare a Coney Island, Edwin abbandonò il suo bicchiere e urlò entusiasta ‘Coney Island’, Kim fece spallucce sostenendo che per lei andava bene qualsiasi cosa e Jake allora si affrettò a finire la sua colazione nel frattempo che la sua fidanzata vestiva il piccolo Edwin.

 

S’immisero nel traffico newyorkese del sabato mattina in direzione della penisola di Brooklyn incontrando una fila pazzesca che scorreva lentamente cantando ‘Stia con noi’, ovvero una canzone della colonna sonora di ‘La Bella e la Bestia’.

“Stia con noi, qui con noi, si rilassi d’ora in poi” cantavano i due sotto lo sguardo divertito di Jake che guidava la sua Chevrolet. Era una giornata soleggiata e abbastanza calda, il meteo non prevedeva piogge, a differenza dei tre weekend precedenti, perciò si preannunciava per il trio una giornata piena all’insegna del divertimento.

Ci vollero ben quaranta minuti per raggiungere il Luna Park, praticamente lo stesso tempo che avrebbe richiesto il viaggio in metro partendo però da Manhattan, riuscirono per miracolo a trovare parcheggio nei pressi e scesero andando di corsa alla biglietteria per acquistare i vari ticket.

“Quale attrazione vuoi fare per prima?” domandò Kim al piccolino che rimase pensieroso per diversi secondi.

“Le tazzine” esclamò ridendo, i due si mostrarono d’accordo e furono trascinati verso l’attrazione dal braccio.

Fu Kim a salire sulla giostra assieme ad Edwin che batteva le mani entusiasta mentre Jake li osservava scattando qualche fotografia ogni tanto.

Dopo quella giostra, fu il turno del trenino che il bimbo esperimentò assieme al padrino, dopodiché salirono tutti e tre sull’attrazione della sirenetta e sui boat dove si bagnarono i vestiti quando la giostra curvò lungo il percorso.

A pranzo si recarono nello storico chiosco di hot dog, Nathan’s, conosciuto nel mondo, ma soprattutto a New York, come l’inventore di quella tipica pietanza americana.

Durante il pomeriggio fecero alcuni dei giochi presenti nel parco, tra cui quello dei tiri contro le lattine, dove Jake vinse due orsacchiotti di pezza che regalò rispettivamente al piccolo Edwin e alla sua fidanzata, che dopo il primo pupazzo vinto, ne pretese uno per sé.

Fecero una capatina anche al chiosco dei gelati situato lungo il lungomare e scesero in spiaggia, dove giocarono con un pallone di beach volley che trovarono abbandonato. “Questa gita all’aperto ci voleva proprio” disse il prof Aldrin alla sua pulce mentre erano seduti sulla riva ad osservare il piccolo Edwin che correva a piedi scalzi ricorrendo le onde.

La ragazza si voltò e annuì sorridente. “Decisamente sì” asserì dando un bacio sulle labbra al suo fidanzato.

Infine, poco prima di rincasare, ritornarono nel luna park e salirono sulla Wonder Wheel, ovvero la storica ruota panoramica, collocando Edwin in mezzo a loro due perché non avesse troppa paura.

Di ritorno a casa, si fermarono al McDonald’s dove cenarono tutti e tre a base di Happy Meal e giocarono nelle giostre per i bambini che il locale aveva in dotazione.

“Ti sei divertito, piccolo?” domandò il padrino ad Edwin che continuava a saltellare sul divano di casa di Aldrin senza accennare un minimo di stanchezza.

Il bimbo annuì e saltò facendosi afferrare da Jacob che gli fece fare l’aeroplanino, dopodiché lo portò nella stanza da bagno e li lavò i dentini. “Edwin, ora andiamo a letto, va bene?” disse al piccolino sbadigliando, Edwin s’imbronciò e protestò dicendo che non aveva sonno; a quel punto, vedendo Aldrin in difficoltà, intervenne Kim che si occupò del piccolo ospite costringendolo ad infilarsi il pigiama e lo portarono nella sua stanza.

Furono necessarie tre fiabe della buonanotte per riuscire a farlo addormentare, ma alla fine, Edwin cedette alla stanchezza e cadde addormentato.

“Andiamo a farci cullare da Morfeo anche noi?” suggerì Carter al suo fidanzato che annuì, stava morendo di sonno; i due s’infilarono in fretta il pigiama e, dopo essersi lavati i denti, filarono nella loro stanza.

Si erano appena messi a letto quando sentirono dei piccoli passettini nel corridoio, la porta della loro stanza si aprì e si ritrovarono Edwin ai piedi del loro con Stewie sotto il braccio. “Qualcosa non va?” domandò Jake mettendosi a sedere sul materasso.

Il piccolo abbassò la testa imbarazzato. “Ho paula, posso stale con voi?” chiese a bassa voce, si vergognava per aver fatto quella richiesta, sua mamma gli aveva detto che era un bambino grande ormai e che doveva dormire da solo.

Kim s’intenerì e guardò il suo scricciolo sbattendo le ciglia per convincerlo a farlo dormire con loro, non si poteva ignorare quel faccino delizioso.

Jake rise e disse al bambino di saltare pure su, Edwin non se lo fece ripetere due volte e salì sul letto piazzandosi in mezzo alla coppia che gli fece spazio, fece un po’ fatica a trovare la posizione più comoda e alla fine si mise a pancia in giù abbracciando il suo zietto preferito che lo guardava sorridente, anche Carter sorrise e si girò su un fianco mettendo un braccio attorno al corpicino di Edwin.

Vedendo quella scena, improvvisamente scattò l’istinto paterno in Jake che si trovò a pensare che forse dopotutto un bambino non era una così pessima idea.

 

La mattina seguente prima ancora delle nove il piccolo Edwin svegliò entrambi saltando sul letto. “Edwin, non sono nemmeno le nove” protestò il padrino rimettendosi a pancia in giù e dando una scossa alla sua fidanzata come per chiederle di occuparsene lei. “Tuo il figlioccio, tua la responsabilità” gli disse la giovane che si girò su un fianco ignorando la sua richiesta.

Il piccolo ospite continuò a saltare sul letto imperterrito chiedendo al suo padrino di alzarsi , Jake sbuffò ma, alla fine, cedette e si alzò accontentando il figlioccio che lo portò per la mano in cucina di modo che gli preparasse la colazione.

“Latte e cereali, ti va?” propose il prof che aveva ancora le palpebre incollate, il bimbo scosse la testa contrariato.

“Mamma mi polta sempre le ciabelle la domenica” affermò il piccolino, Jake gli lanciò un’occhiata e vedendo quegli occhietti da cucciolo non seppe rifiutare la richiesta.

“Va bene, piccolo. Vorrà dire che faremo colazione fuori, va bene?” suggerì Aldrin sicuro che la proposta avrebbe entusiasmato Edwin che, infatti, trillò un ‘sì’.

“Allora andiamo a svegliare a Berly” aggiunse il prof e corsero in camera da letto, il bimbo saltò sul letto assieme a Jake e iniziarono a dare piccole scossoni alla ragazza che si era addormentata di nuovo.

Kim mugugnò e si girò a pancia in su aprendo gli occhi. “Ma perché non mi volete far dormire voi due?” si lamentò con tono scherzoso.

“Alzati, dai, andiamo a fare colazione fuori” le riferì il prof, la giovane fece un cenno di approvazione con il capo e si alzò dal letto più che volentieri.

Dopodiché  Jake si preoccupò di vestire il piccolo Edwin e quando furono tutti e tre pronti uscirono di casa portandosi dietro il triciclo rosso fiammante. Avrebbero approfittato della bella giornata per fare un giro al Central Park.

 

Trascorsero la giornata fuori, dopo la colazione, fatta al bar preferito della coppia, si avviarono con la metro verso Manhattan e andarono a fare una passeggiata al Central Park.

Diedero da mangiare alle paperelle e giocarono con i cagnolini di una coppia di anziani che se ne stava a riposare in una delle panchine del bel parco, cuore della Grande Mela. Provarono anche il triciclo o il bolide, come Jake preferiva definirlo, ricorrendo gli scoiattoli e le colombe che abitavano sugli alberi dalle ampie e folte chiome verdi e gialle. Il loro inseguimento però si rivelò fin troppo efficace, infatti, una colomba finì in testa ad una donna che stava facendo jogging che iniziò a sbraitare provocando le risate cristalline dei tre che osservavano la scena.

Pranzarono al parco con dei panini seduti sul prato ricoperte da piccole margherite selvatiche sparse qua e là ed infine verso le quattro ritornarono a casa dopo aver fatto un giro per i negozi del quartiere.

“Certo che qui non si può comprare nulla. ” aveva esclamato il giovane prof da Macy’s dopo aver visto un abito gessato prezzato 2952 dollari sotto lo sguardo divertito di Kim.

 Di ritorno a casa,  dovettero fare il bagnetto al loro ospite che si era sporcato di fango, che non impazzì di gioia per quella proposta, e infine, videro un altro film della Disney scelto dal piccolo Edwin.

Stavano guardando il film quando sentirono il citofono suonare, erano Sarah e Finn ritornati da New Orleans.

“Piccolo, sono arrivati mamma e papà” avvisò Kim ad Edwin che sorrise e saltò giù dal divano andando di corsa verso la porta. “Ti sei comportato bene, piccolo?”  domandò la mamma prendendolo in braccio.

“E’ stato bravissimo” riferì Jake alla collega e iniziò a raccontare tutto quello che avevano fatto quel finesettimana nel frattempo che Kim andava nella stanzetta degli ospiti a recuperare la sua valigetta.

“Zio Jake mi ha compato un ticiclo” disse Edwin ai suoi genitori che rimasero attoniti.

“Jake non avresti dovuto” affermò Finn sostenuto dalla moglie che annuiva con la testa, il prof Aldrin fece spallucce e afferrò il bimbo si era proteso verso il padrino.

“Piccolo, adesso devi andare con mamma e papà” gli disse dandogli un bacio sulla guancia, in quel momento ritornò Kim che passò il borsone e il triciclo ai genitori che la ringraziarono.

“Bene, saluta di nuovo lo zio Jake e Dada” lo raccomandò la mamma prima di uscire. Edwin diede un bacino ad entrambi e ritornò dal papà che lo prese per mano.

“Ancora grazie per la disponibilità” ripeté Sarah.

 “Non è nulla” la rassicurano i due. Dopodiché, i coniugi Benson insieme al figlio lasciarono l’appartamento della giovane coppia che si lanciò sul divano.

 

“Ordiamo dal cinese?” suggerì il giovane prof incapace di fare un passo mentre erano sdraiati sul divano a prendere fiato. Era stanco persino per ordinare qualcosa al telefono, la giovane annuì e compose il numero del loro ristorante cinese preferito, ordinando il loro solito.

“Non preoccuparti, vado io a prendere le ordinazioni” lo tranquillizzò Kim, il prof sorrise e si sporse verso di lei.

“Sei fantastica” le disse e la baciò.

Kim increspò le labbra insoddisfatta. “Solo un bacio mi merito?”

Il prof Aldrin rise e la baciò di nuovo, la spinse verso giù sdraiandosi su di lei e riprese a baciarla con fare deciso.

“Wow, come sei passionale” lo stuzzicò la giovane che iniziava ad accaldarsi per quel contatto, il prof colse al volo la frecciatina, alzò la gonna della sua pulce e, dopo aver posizionato la sua gamba sulla sua palla, iniziò a depositare piccoli baci fra le sue cosce.

La giovane inarcò la schiena scossa da mille brividi che capponarono la sua pelle, posò una mano fra i capelli di Jacob affondando le sue dita fino a sfiorare la sua cute tenendo ferma la sua testa per prolungare quel momento il più a lungo possibile.

Jake era una continua scoperta, sapeva sempre cosa fare, come gestire i suoi mutevoli stati d’animo. Lui era il suo faro nelle notti di buio e tempesta, lui era la sua casa, il suo rifugio. L’unica persona da cui non sarebbe mai scappata.

Aveva imparato a conoscerlo, a capire che, dietro quell’apparente aria distaccata e fredda, esisteva un mondo in attesa di essere scoperto, un altro Jake che tutto ciò che desiderava era soltanto un po’ di amore e calore.

Un ragazzo sensibile e fragile disposto a darti il suo cuore in cambio di quell’affetto che aveva tanto cercato nelle persone sbagliate.

 Era stato facile innamorarsi di lui, non ci volle nessun artificio o promessa da parte di Jacob, e ora nemmeno lei avrebbe saputo fare a meno del suo scricciolo.

Il citofonò suonò riportando la coppia alla nuda realtà, la giovane tirò un sospirò e si spostò mettendosi in piedi. Nel frattempo che andava verso la porta, si sistemò la gonna che si era sgualcita e si ravvivò i capelli.

“Scendo subito” comunicò al fattorino e uscì dall’appartamento dopo aver lanciato un’occhiata al suo fidanzato che la fissava con aria maliziosa. Nei suoi occhi lesse il desiderio, voleva averla tutta per sé e non avrebbe trovato alcuna resistenza.

Carter ritornò di corsa al loro appartamento, abbandonò la cena appena comprata sul tavolo della cucina e raggiunse il prof che ne stava sul divano. “Niente cena?” ironizzò lui ammiccando.

La giovane si sdraiò su di lui e prese una delle sue mani posandola sul seno sinistro. “Prima dovremmo finire una cosa” lo sedusse mordendosi il labbro inferiore e posando la sua mano fra le sue cosce.

“Mmm.. mi piace questa cosa” rispose lui ribaltando la situazione, si tolse la maglietta scoprendo i suoi pettorali ben scolpiti e si buttò a capofitto su di lei che gli accarezzò le braccia muscolose. “Sta funzionando questa roba della palestra” osservò alludendo alla sua iscrizione di due mesi prima alla palestra del loro quartiere.

“Sì, tra poco diventerò un figo pazzesco e ci sarà la fila sotto casa” scherzò Aldrin intanto che le baciava il collo.

Lei rise e tirò la sua testa indietro per consentirgli di continuare nel suo operato. “Sarò sempre la tua ragazza preferita?”

Jake si sollevò sorreggendosi con le mani e cercò la sua bocca, le loro lingue si toccarono in un secondo interminabile. “Sarai l’unica” sussurrò, continuarono a baciarsi spogliandosi a vicenda finché non rimasero in intimo.

Jake osservò il completino indossato dalla giovane e sollevò un sopracciglio. “Però! Come siamo sexy” commentò mentre accarezzava il suo reggiseno in pizzo bianco trasparente che non lasciava nulla all’immaginazione, lo slacciò e sfiorò con i polpastrelli i capezzoli turgidi di Carter che con lo sguardo lo implorava di toccarla ancora. “Leccami” mormorò quasi stesse ansimando.

Aldrin sorrise e accontentò la ragazza che ad ogni carezza della lingua si contraeva per il piacere, con le mani le sfilò lo slip e introdusse due dita nella sua cavità per portarla all’apice. “Ti prego” gemette.

“Ma quanto sei impaziente” ironizzò il prof senza accennare a voler soddisfare la sua richiesta, continuò a vezzeggiarla con l’unico obiettivo di farla impazzire.

Nel frattempo Carter si contraeva sotto di lui, tratteneva il respiro strofinando il capo contro il divano, la sua mente era completamente annebbiata, mormorava il nome di Jacob a singhiozzi.

Non seppe con esattezza distinguere il momento in cui il suo fidanzato passò all’azione liberandosi del suo slip e introducendosi in lei. 

Fecero l’amore più volte quasi fosse il loro ultimo incontro, infine, stanchi e sudati si addormentarono nudi sul divano scordandosi della cena, rimasta abbandonata sul tavolo.

 

 

Un mese dopo

 

Jake rientrava dall’università viaggiando in metropolitana, la sua automobile languiva morente dal meccanico, il quale non aveva ottimi sentimenti sulla possibilità che tornasse alla vita.

Aveva avuto una giornata pesantissima, era giunta la sessione degli esami alla Columbia e dovette interrogare l’intera sua classe, discutendo con diversi suoi allievi che avevano mancato di presentare la loro relazione prima della fine delle lezioni, step indispensabile ai fini del sostenimento dell’esame, e pretendevano di essere interrogati in ogni caso.

Giunto al palazzo, strisciando quasi i piedi, si trovò davanti un’altra sorpresa, dovette salire le scale, essendo anche l’ascensore in riparazione, lesse, infatti, un grosso cartello giallo con la scritta ‘Work in progress”.

Sbuffò e si avviò con aria funesta verso il suo appartamento, sperava che Carter fosse in casa per rilassarsi un po’ con lei, magari avrebbe potuto vedere un film, pensava il prof nel mentre infilava la chiave nell’orifizio della serratura.

Entrò dentro e sistemò la sua tracolla nell’appendiabiti, mosse qualche passo nell’appartamento alla ricerca della sua pulce e la sentì cantare sotto la doccia.

“E’ di ottimo umore” dedusse il prof e sorrise, quando Kim era di buon umore, automaticamente lo diventava anche lui.

“Pulce, sono io Jake” si annunciò aprendo al porta della stanza da bagno e si sedette sul gabinetto.

La giovane da dietro le tendine sorrise, era arrivato al momento giusto. “Un attimo e sono da te”

Continuò a cantare finendo di  sciacquarsi, poi aprì le tendine ed uscì afferrando l’accappatoio. “Non coprirti, è un bello spettacolo quello che vedo” la provocò Aldrin alzandosi ed incamminandosi verso di lei.

La ragazza rise e si avvolse nell’accappatoio, iniziò a districare i nodi che si erano formati alle punte e riprese a cantare.

“Come mai sei così felice oggi?” domandò il suo fidanzato incuriosito, era evidente che avesse avuto un’ottima giornata.

La guardò a lungo riflettendo su cosa avrebbe potuto entusiasmarla a quel punto e agitò un dito in aria. “Ti pubblicano?” azzardò l’ipotesi, in effetti, una simile notizia avrebbe fatto gioire entrambi.

Carter scosse la testa. “Ancora più bella!”

“Più bella di essere pubblicata?”

La sua fidanzata annuì aggiungendo che era molto più bella ed iniziò a vestirsi, intanto che Jake si scervellava.

“Mmm.. Hai ricevuto una promozione, ora tu organizzi le campagne” ipotizzò ancora.

Kim rise. “Sei fuori strada, con la sfera professione non c’entra nulla”

Aldrin aggrottò la fronte, cosa poteva essere allora? Quale altra notizia avrebbe potuto ricevere? Forse si sposava sua sorella Ginevra, pensò.

“Ginny si sposa?” le domandò infatti, Carter rise ancora più forte. “Ma figurati se Ginny si sposa!”

“Allora mi arrendo” esclamò il prof seguendo la sua fidanzata nella loro camera da letto dove Carter aveva lasciato i vestiti.

Kim indossò il suo vestito nero con piccoli fiori rossi stampati e si lanciò sul letto. “Guarda sulla cassettiera” disse al prof che annuì.

Guardò la scena con ansia e trepidazione, non riusciva più a contenere il suo entusiasmo, quella notizia l’aveva fatta esplodere dalla felicità, attese il momento in cui il prof si voltò mordicchiandosi il labbro e sperando vivamente di vedere un sorriso sul suo volto.

Il prof Aldrin dovette guardare due volte il test di gravidanza che la sua fidanzata aveva lasciato sulla cassettiera prima di realizzare quanto era successo.

Sgranò gli occhi e deglutì, di sicuro una simile notizia non se l’aspettava minimamente. “E’ incinta” sussurrò con tono di voce così basso che Carter nemmeno se ne accorse.

“Sei incinta” disse a voce più alta voltandosi verso di lei, la giovane lo guardò timorosa, per un attimo ebbe paura che il suo fidanzato non avrebbe accolto bene la notizia. Sul viso di Jake non distinse alcuna emozione, cosa che la preoccupò ancora di più.

Il suo fidanzato le andò vicino e l’alzò dal letto. “Hai ragione, era una notizia ancora più bella” sussurrò facendo toccare le loro fronti.

Carter sorrise e provò ad abbracciare il suo scricciolo che nel frattempo aveva posato entrambe le mani sul suo ventre accarezzandolo, s’inginocchiò e posò un bacio sul suo vestito. “Ti amo” mormorò la sua fidanzata leggermente emozionata di fronte a quel gesto che le fece capire quanto Jake amasse già quella piccola vita che stava crescendo dentro di lei.

Si alzò di nuovo in piedi e si avvicinò alle labbra della sua pulce che rispose al bacio. Fu un bacio dal sapore diverso, tenero e, per alcuni versi, piuttosto timido, senza la solita scarica di passionalità che li contraddistingueva.

Jake si staccò dalla sua bocca e le diede un bacio sulla fronte. “Anche io ti amo, pulce” mormorò lui guardandola negli occhi.

Era un nuovo inizio, inaspettato e, nonostante ciò, giunto al momento giusto.

 Avrebbero cominciato una nuova vita insieme al loro fagiolino ed entrambi erano consapevoli che nulla avrebbe potuto rovinare mai quel momento di perfezione che stavano vivendo.

 

  
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