Ogni commento, critica(soprattutto), apprezzamento sarà gradito!
Spero di intrattenervi un po', e buona lettura!
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Babysitter per un weekend
Jacob
Aldrin, professore ordinario di letteratura inglese alla
Columbia University, al suo cellulare non badava più di
tanto. Al dire il vero,
ancora non riusciva a comprendere come mai il mondo fosse affezionato
così
tanto a quell’aggeggio che lui riteneva anti-estetico,
ingombrante e spesso
poco affidabile, quando esisteva il telefono di casa,
quell’adorabile
apparecchio dalla bella e rassicurante forma, operativo dal lontano
1871 grazie
al fiorentino Meucci.
Il
suo vecchio cellulare, un modello piuttosto retrodatato, era
stato utilizzato solo quando era fuori casa, o almeno così
era stato finché non
conobbe la sua fidanzata Kimberly, che con il suo tecnologico cellulare
faceva
di tutto e che lo costrinse a modernizzarsi, acquistando anche lui il
tanto
odiato smartphone, che per il professor Aldrin di
“smart” non aveva proprio
nulla.
Nonostante
ciò, lui continuava ad attribuirgli la stessa
considerazione di sempre, ovvero quasi nulla, e per tali motivazioni
spesso non
riconosceva nemmeno la suoneria, frutto anche questa di una capriccio
di Kim che
aveva imposto “I love rock ‘n’
roll” al suo fidanzato.
“Pronto?
Oh, ciao Sarah” rispose al cellulare dopo che questi
aveva squillato per un buon quarto d’ora.
“Jake,
finalmente! Ti ho chiamato diverse volte” esclamò
la
donna dall’altro capo della linea quando sentì la
voce dell’amico, che si scusò
e domandò alla collega se desiderasse qualcosa.
“Sì,
infatti, per questo ti chiamavo..” esordì
l’amica con tono
leggermente titubante. “Io e Finn dobbiamo partire per New
Orleans questo
weekend, purtroppo non sarà una visita piacevole, e vorremmo
evitare di portare
con noi Edwin. Abbiamo contattato l’agenzia di babysitting
ma, dato lo scarso
preavviso, ci è stato detto che non sarà
possibile avere una babysitter
disponibile per tutto il weekend, perciò io mi domandavo
se..” spiegò la bionda
interrotta dal giovane genio, che capì subito che la sua
collega, nonché amica
di vecchia di data, voleva che il suo figlioccio trascorresse un
po’ di tempo
con lui.
“Sarah,
è perfetto. Baderò io ad Edwin questo fine
settimana più
che volentieri” la rassicurò, ad essere del tutto
sinceri, era elettrizzato
all’idea di passare del tempo con il piccolo Edwin. Gli era
molto affezionato,
lo considerava quasi come un figlio, dopotutto l’aveva visto
crescere e pensava
che quel caschetto biondo fosse un bambino molto sveglio e perspicace
nonostante avesse poco più di tre anni.
La
bionda tirò un sospiro di sollievo. “Oh, grazie,
Jake. Ci hai
salvato!”
L’entusiasmo
della collega durò molto poco, si ricordò,
infatti,
che ora Jacob conviveva con la sua fidanzata e che di conseguenza era
possibile
che avesse già altri progetti in mente. “Sei
sicuro di non avere impegni per
questo finesettimana? Basta che lo dici..”
“Sarah,
non ho nulla da fare e poi Kim adora Edwin,
quindi anche se li avessi avuti, ora
non esisterebbero più” la rasserenò il
giovane professore che immaginava già la
gioia della sua fidanzata quando sarebbe venuta a conoscenza del loro
piccolo
ospite.
Sarah
scoppiò a ridere e informò il collega che
avrebbero
portato il piccolo Edwin l’indomani dopo il lavoro e che
sarebbe rimasto a casa
sua solo per due giorni, ovvero fino a domenica sera.
Ringraziò ancora una
volta Aldrin per la gentilezza e riattaccò dopo avergli
augurato una buona
serata.
Poco
più tardi quella stessa sera, Kimberly di ritorno dal
lavoro apriva la porta di casa del professor Aldrin, che ormai era
anche la
sua, con due pizze appena comprate.
Andò
in cucina e posò sul tavolo la cena, dopodiché
aprì le
finestre, stava morendo di caldo. Mentre ritornava in cucina, si
accorse della
presenza della tracolla del suo fidanzato sparpagliata, come al solito,
sul
divano.
“Ma è
in casa?” si
domandò a voce alta, solitamente non riusciva nemmeno ad
inserire la chiave
nella serratura che Jake aveva già aperto la porta.
Si
diresse verso la loro camera da letto e lo trovò
addormentato
sul letto. “Ma che fai? Fai anche la siesta
adesso?” lo prese in giro saltando
sul letto anche lei.
Il
giovane professore si destò dal suo sonnellino pomeridiano
dopo aver avvertito il cambiamento di pressione sulla superficie del
materasso
e sorrise vedendo Kimberly Carter, la sua fidanzata, attualmente
impiegata in
un’agenzia pubblicitaria, dove si occupava della scrittura
delle sceneggiature
degli amati/odiati spot pubblicitari, infatti, lei era una storyteller.
“Sto
morendo dal mal di testa” confessò Aldrin intanto
che si accoccolava
accanto alla sua fidanzata.
“Di
nuovo?” domandò sorpresa, non capiva quale fosse
l’origine
dei suoi mal di testa nonostante i diversi libri che aveva divorato in
quei
mesi per riuscire a comprendere quale male affliggesse il suo
fidanzato. Tuttavia,
di una cosa era certa: il temuto Alzheimer non era la causa.
Aveva
anche consultato in proposito l’amico di suoi, il dottor
Cooper, uno stimato dottore nell’ospedale di New York, il
quale concordò con
gli altri centinaia di specialisti che aveva interpellato il prof negli
ultimi
tre anni, che non avevano nulla a che fare con la malattia di sua madre.
“Hai
preso qualcosa?” chiese in seguito facendogli un massaggio
alle tempie perché si rilassasse.
Jake
annuì e le sorrise. “Ho una notizia da
darti” cambiò
argomento il biondo e si sedette sul letto, deciso ad ignorare il suo
mal di
testa.
Dal
tono allegro Kimberly capì che si trattava di una bella
notizia perciò si rilassò. “Edwin
starà con noi questo finesettimana” disse
d’un
fiato Aldrin.
La
mora sorrise immediatamente. “Davvero? Che bello!”
esclamò
elettrizzata battendo le mani per l’entusiasmo e
saltò giù dal letto.
“Dobbiamo
noleggiare i dvd della Disney, io ne dovrei avere
qualcuno, poi compriamo tante schifezze, anche i mashmallow
così li arrostiamo
sul fuoco, poi..”
“Pulce,
innanzitutto è estate, quindi non penso che sia il caso
di accendere un camino, e in ogni modo noi non abbiamo nemmeno un
camino”
ribadì divertito.
“Giusto”
affermò Kim che rimase un attimo pensierosa.
“M’inventerò qualcosa”
aggiunse.
“Dobbiamo
anche preparare la stanza degli ospiti! Useremo le
lenzuola con la coccinella” disse mentre annotava mentalmente
la lista di “cose
da fare” prima dell’arrivo del piccolo Edwin.
Jacob
aggrottò la fronte, non ricordava che avessero lenzuola
con disegni di coccinelle o altri animaletti, oppure sì?
“Pulce, di quale
lenzuola
parli?” le domandò.
“Di
quelle che sono esposte in vetrina nel negozio di biancheria
per la casa, quello all’angolo fra la 34esima e 35esima
strada” rispose lei
come se fosse un’ovvietà, roteando gli occhi.
Il
prof Aldrin scosse la testa, doveva aspettarsela una simile
risposta, stava per dirle qualcosa quando lei lo interruppe di nuovo.
“Gli
amici della notte” esclamò puntando il dito in
aria. “Gli
amici della notte?”
“Sì,
le lucine per la notte per i bambini” spiegò lei.
“Le
compriamo tanto anche noi servono” proseguì mentre
usciva dalla stanza da letto.
A quell’affermazione il nostro caro prof si agitò,
perché a loro dovrebbero
servire questi ‘amici della notte’? Kimberly non
sarà mica …?
Si
alzò dal letto in fretta e quasi inciampò con le
lenzuola. “Berly,
ma perché ci servono?” le chiese con un tono
leggermente spaventato,
utilizzando quell’assurdo soprannome a cui
la sua fidanzata si era tanta affezionata,
dato che l’unico sulla faccia della terra a chiamarla
così.
La
sua fidanzata si voltò verso di lui e sorrise.
“Per te, no?
Hai paura del buio!”
Jacob
tirò un sospiro di sollievo e la sua fidanzata
sollevò un
sopracciglio. “Pensavi fossi incinta?” lo
stuzzicò lei scoppiando a ridere
subito dopo per il rossore che aveva colorato le gote del prof Aldrin
al suono
della parola ‘incinta’.
“Tranquillo,
non sono incinta” lo rassicurò dandogli un bacino
sulla guancia. “Andiamo a mangiare? Ho comprato le
pizze” lo informò e saltellò
verso la cucina precedendo Jacob il cui battito cardiaco per
l’infondato
spavento iniziava a normalizzarsi.
Stavano
mangiando la pizza in silenzio quando Kimberly posò la
propria porzione e si schiarì la gola per richiamare
l’attenzione del giovane
professore.
“Qualcosa
non va?” le domandò Jacob che continuava a
tagliuzzare
la propria pizza fingendo un finto autocontrollo, in verità
si sentiva ancora
stranamente agitato.
“Non
te l’ho mai chiesto, ma.. visto che ci siamo,
insomma..” balbettò
la mora che si mordicchiò le labbra per temporeggiare,
voleva formulare la
frase con le giuste parole. “Tu li vuoi dei bambini,
vero?” domandò di botto,
in effetti, non esistevano parole con cui si riuscisse meglio a
calibrare la
frase.
Jacob
deglutì rumorosamente, il suo battito cardiaco
ritornò
martellante, aprì la bocca ma le sue labbra si serrarono.
Guardò la mora che
gli stava puntando addosso i suoi occhi verdi con espressione
leggermente
rabbuiata, improvvisamente anche lei si sentì agitata, e se
Jacob non volesse
bambini?
“Li
voglio, ma non ora. Non credo di essere pronto” rispose con
franchezza. Essere sinceri l’un con l’altra era il
primo presupposto in una
relazione affinché quest’ultima funzionasse e
Aldrin, dopo aver sperimentato un
solo giorno lontano da Kimberly, era deciso a farla funzionare ad ogni
costo,
in quanto aveva realizzato che senza di lei era lui che semplicemente
non
funzionava.
Kimberly
annuì, non era esattamente ciò che avrebbe voluto
che
dicesse, ma ammetteva che era un buon inizio.
“Ottimo” disse e riprese a
mangiare la sua pizza interrompendosi immediatamente.
“E
quando pensi di essere pronto? Perché io voglio tanti
bambini
e ..” affermò senza scandire bene le parole, stava
blaterando sul suo orologio
biologico che faceva tic-toc quando Jake la bloccò. Si
sentiva decisamente
sotto pressione.
“Berly,
non lo so quando sarò pronto. Non credo che io lo possa
decidere..” provò a farla ragionare. “E
poi noi due non siamo nemmeno sposati,
non ti sembra troppo presto per parlare di bambini?”
“Il
matrimonio è un requisito fondamentale per te per avere
figli?” chiese la mora piuttosto seria.
“Beh,
sì. È quello che normalmente le persone fanno,
anche se è
vero che non bisogna fare molto affidamento sull’istituto del
matrimonio,
considerando che, ai giorni nostri, un matrimonio su tre
fallisce” osservò il professor
Aldrin.
Kimberly
sgranò gli occhi, il loro eventuale matrimonio sarebbe
stato quell’uno su tre?
“No,
pulce, il nostro non sarà quell’uno su
tre” la rassicurò
notando lo sguardo terrorizzato di Kim.
“Comunque,
Berly, oggi le donne possono avere figli anche dopo i
quarant’anni, anzi è una tendenza che si sta
affermando sempre più
vigorosamente. D’altronde, grazie ai cambiamenti
socio-culturali, nonché
economici..” sciorinò notizie il prof Aldrin.
“Io
non aspetterò i quarant’anni”
dichiarò con fermezza la mora.
“Quindi vedi di essere pronto prima” lo
intimò chiudendo il discorso e riprese
a mangiare la sua pizza, mentre Jake, il cui appetito era ormai
svanito,
sorrideva fintamente.
Nella
sua testa una sola parola volteggiava impietosa: bambini,
tanti bambini. Immagini di bebè urlanti, con il pannolino
sporco, che
gattonavano per casa invasero la brillante mente del prof Aldrin, che
si
sentiva soffocare da una sensazione di terrore che
s’insinuava nelle sue
viscere.
“Vado
un attimo in bagno” comunicò alla sua fidanzata e
scappò
di corsa sotto lo sguardo divertito della sua fidanzata che lo seguì a
sua volta.
Aprì
la porta della stanza da bagno e lo trovò con la testa
fuori dalla finestra compiendo lunghi e profondi respiri per calmarsi.
“Scricciolo,
io non voglio aspettare i quarant’anni ma non deve nemmeno
succedere domani.
Rilassati” lo tranquillizzò Kimberly mettendogli
una mano sulla spalla.
Il
giovane prof si voltò e annuì, la sua fidanzata
aprì le
braccia e Jake si tuffò per farsi coccolare un
po’. “Berly, non credere che io
non ci abbia pensato, sono sicuro di volerli. Ma io devo ancora
abituarmi a noi
due..” provò a spiegare il giovane ma la sua
fidanzata posò il dito indice
sulle sue labbra.
“Lo
so. Non c’è bisogno che ti giustifichi”
rispose Berly che
posò un bacio sulle labbra del prof Aldrin che gliene diede
un altro intanto
che la sollevava da terra sistemandola sul mobile del lavandino.
“Tre”
affermò Jake mentre la baciava. “Cosa
tre?” chiese lei, le
cui parole si sfumarono in un sussurro, faceva fatica a pensare in quel
momento. Il professorino era particolarmente bravo a baciare.
“Tre
bambini. Ne vorrei tre” rispose lui, anche la sua mente
iniziava ad annebbiarsi, esattamente come accadeva ogni volta che
iniziavano
quel giochino che terminava nella loro camera da letto.
“Tre
è il numero perfetto” osservò Carter
spostandosi
nell’incavo del collo del prof Aldrin, morse la soffice pelle
del prof curandosi
di non fargli troppo male e succhiò via la propria saliva
con la punta della
lingua.
Jake inarcò la
schiena
stravolto da quella sensazione mista di piacere e dolore,
scostò i capelli
castano scuro della sua fidanzata tutti da un lato e riservò
al suo collo lo
stesso trattamento.
Sentì
le mani della giovane infilarsi sotto la sua maglietta di
cotone intanto che lui con fare deciso succhiava il candido collo della
sua
fidanzata, che si morse le labbra per non gemere.
“Mi
rimarrà il segno” si lamentò con voce
malferma approfittando
dell’ultimo barlume di lucidità di cui era ancora
in possesso, il giovane prof
rise e lasciò il suo lavoro incompleto allontanandosi da
Carter le cui mani
caddero nel vuoto.
“Cosa
stavamo dicendo?” disse lui con finto tono innocente
distruggendo l’atmosfera che si era creata pochi minuti prima.
“Che
vuoi tre bambini” gli rispose lei che pian piano
riacquistava il dono della parola. “Davvero ne vuoi
tre?” domandò incredula.
Jacob
annuì, fin da bambino quando pensava alla famiglia
perfetta, la aveva identificata con tre bambini che giocavano nel
giardino
fronte casa con i loro genitori.
“Anche
io ne voglio tre” affermò la mora con tono allegro
e
saltò giù dal lavabo. Si avvicinò di
nuovo al prof Aldrin. “Esistono altri
posti dove il segno non si vede” sussurrò al suo
orecchio maliziosamente.
Jake
rise una seconda volta. “Fammene vedere uno allora”
le
rispose e la trascinò in camera da letto.
Il
cellulare del prof Aldrin risuonò insolente nel sacro
silenzio della loro stanza da letto svegliando la giovane coppia che
ancora non
era pronta ad affrontare una nuova giornata.
“Dannato
sia il tuo lavoro, caro mio prof” affermò Carter
con la
voce impastata dal sonno che si girò su un fianco
allontanandosi dal suo
fidanzato, a cui era saldamente abbracciata, provocando in lui un
improvviso
brivido di freddo nonostante stessero entrando nel mese di Giugno. La
temperatura del corpo della nostra pubblicitaria era molto al di sopra
della
media.
“Pronto?”
rispose al cellulare quando riuscì a trovarlo.
“Salve,
dottor Espinoza” salutò il dottore di sua madre e
si mise a sedere sul letto
strofinandosi forte gli occhi con il dorso mano per svegliarsi e
trattenendosi
dallo sbagliare. Lo stimato dottore iniziò a delineare il
mutato quadro clinico
della signora Aldrin al giovane prof, il cui cervello sembrava fare
fatica
quella mattina a carburare.
Carter,
accortasi che non era una chiamata di lavoro, si mise a
sedere sul letto coprendo sé stessa con il lenzuolo, e
lanciò uno sguardo
interrogativo, mimando un ‘che succede’, al prof
Aldrin, il quale le fece segno
di aspettare un secondo.
“Quindi
cosa potremmo fare?” domandò allo psichiatria e
iniziò a
battere il piede contro la sponda del letto. Dal tono utilizzato,
Kimberly si
allarmò, qualcosa di grave era accaduto
all’istituto Sarah Toga.
Jake
fece un lungo sospiro. “Certamente. Mi richiami per
qualsiasi altra evenienza” e riattaccò.
“Che
è successo? Grace sta bene?” domandò
preoccupata la
giovane, che aveva conosciuto la signora Aldrin di persona.
Poco
dopo l’inizio della loro convivenza, infatti, Jacob aveva
portato la giovane pubblicitaria a Los Angeles, la sua città
natale, affinché
conoscesse sua madre, residente in una casa di cura, esaudendo il
desiderio di Grace,
la quale aveva insistito a lungo durante la loro frequenti telefonate
perché il
suo adorato figlio l’accontentasse e le presentasse la sua
fidanzata, di cui Grace
sapeva ormai tutto.
Inizialmente
la donna si era rivelata piuttosto diffidente nei
confronti della giovane pubblicitaria, percependola come una sorta di
minaccia
nel suo rapporto con il figlio, e facendo preoccupare il prof Aldrin,
che per
un momento temette per il peggio. Timore che si rivelò del
tutto immotivato
quando Kimberly con una battuta sull’atteggiamento poco
professionale delle
infermiere riuscì a conquistare la simpatia della signora
Aldrin.
“E’
una
ragazza splendida. Mi piace molto”
aveva
detto al figlio poco prima che partisse, il giovane aveva abbracciato
sua madre
dopo averla ringraziata per aver concesso alla sua pulce una
possibilità, in
verità il giudizio di Grace Aldrin era talmente importante
per Jacob al punto
che gli sarebbe stato difficile, se non impossibile, accettare che sua
madre
non volesse Kimberly nella sua vita.
“Sembra
che le medicine non ti stiano facendo effetto, quindi
dovranno cambiare terapia. Ieri ha anche aggredito
un’infermiera” spiegò d’un
fiato e fece un sospiro rassegnato, sua madre non faceva che
peggiorare.
Improvvisamente immagini della sua persona che si dimenava nervosamente
mentre
uomini in camici bianchi lo sovrastavano riempirono la sua mente e
scivolò
verso il basso serrando forte le palpebre.
Kimberly
si accorse del mutato atteggiamento del suo fidanzato
che tentava di coprirsi il suo perfetto viso con il lenzuolo e lo
tirò giù
scoprendolo.
Incontrò
lo sguardo malinconico di Jacob che sbuffò, stringendo
le mascelle e
serrò i pugni avvolgendo
le loro lenzuola celesti attorno alle sue ossute dita, quasi tentasse
di
aggrapparsi a qualcosa per non impazzire; rimasero a fissarsi per
qualche
istante, stavano avendo una silenziosa conversazione in cui a parlare
erano i
loro occhi.
“Per
molti cultori di pittura, il colore verde è ritenuto un
colore neutrale. Viene erroneamente considerato un colore freddo come
il viola,
tuttavia se tendente al giallo, come quello dei tuoi occhi, assume
tonalità più
calde. Oggi
sembravano di colore ambra, mi
sembra di fare della cromoterapia quando ti guardo negli
occhi” mormorò intanto
che le dita della sua fidanzata percorrevano il contorno delle sue
labbra.
Aveva
labbra bellissime: carnose e morbide, si sporse di più
verso di lui e i loro nasi si sfiorarono.
“Il
nocciola dei tuoi occhi è dovuto invece ad una combinazione
dello scattering Rayleigh e alla melanina che si è
depositata nel bordo
anteriore dell’iride” sussurrò invece
lei mentre sostituiva il bordo della
lenzuola con le sue dita che s’intrecciarono a quelle di
Jacob.
“E
tu che ne sai?” domandò sorpreso, credeva di
essere l’unico a
memorizzare inutili nozioni scientifiche.
“L’ho
letto su uno dei tuoi soporiferi libri” confessò
lei che
ogni tanto, soprattutto quando era da sola a casa, aveva aperto
qualcuno dei
manuali di Jacob per ammazzare la noia, annoiandosi ancora di
più però.
La
bocca del prof si modulò in uno dei suoi sorrisi disarmanti,
che
fece sorridere la giovane a sua volta.
Jake
la strinse a sé cingendole la vita sottile con le sue magre
braccia. “E se soffrissi di Alzheimer anche io?”
domandò con tono incerto.
“Non
ne soffri” ribadì con convinzione la sua fidanzata
che posò
la testa sul petto del prof Aldrin.
“E
se ne soffrissi?” domandò di nuovo abbandonandosi
ad un lungo
sospiro di rassegnazione.
Kimberly
si sollevò sui gomiti, si avvicinò al suo viso e
gli
baciò la fronte. “Io mi prenderei di cura di
te” fece una pausa per baciare le
sue guancie e il mento sottile. “Non ti lascerei
mai” affermò con una punta di
sicurezza nella sua voce che non sfuggì al professor Aldrin,
il quale stava per
replicare.
“Prima
che tu lo dica: sì, sono consapevole che non sarebbe
affatto facile” anticipò lei le sue parole, il
giovane professore lesse tutto
l’amore e la comprensione, di cui credeva l’essere
umano capace, negli occhi
della sua fidanzata e realizzò che non mentiva. Era davvero
disposta a
prendersi cura di lui.
Le
loro labbra si sfiorarono in un bacio leggero e Kimberly
posò
nuovamente la testa sul suo petto all’altezza del cuore
concentrandosi sul suo
battito cardiaco dal ritmo regolare e confortante, da cui si faceva
cullare ogni
sera.
“Ti
amo” le disse mentre le dava un bacio sulla testa. Il suono
di quelle parole pronunciate dal professore rasentava la perfezione, a
detta
della giovane pubblicitaria.
Forse
era il modo in cui la sua lingua sfiorava i suoi candidi
denti, oppure il suo chiaro, squillante e caldo tono di voce, ma ogni
volta che
glielo diceva, le sembrava che un pezzettino del suo cuore si
sciogliesse, come
neve al sole.
La
mora baciò il suo petto. “Anche io”
mormorò.
Rimasero
in silenzio in quella posizione finché la sveglia,
segnalante
l’inizio di una nuova giornata lavorativa, non
suonò. “Ci dobbiamo alzare”
disse il giovane con tono poco convinto.
La
sua fidanzata annuì, ma si accoccolò ancora di
più, rendendo
quel distacco dal letto ancora più arduo.
“I
really can’t stay, but, baby, it’s cold
outside” cantò la
mora facendo ridere Jake che prese l’iniziativa e si
alzò.
“Uno
dei due doveva farlo” asserì il giovane
rispondendo allo
sguardo di disappunto che si era disegnato sul faccino della giovane
pubblicitaria per essere stata abbandonata.
Kimberly
sbuffò e il suo soffio mosse la sua frangia verso
l’alto. “Ora mi alzo” gli disse, nel
frattempo Jacob si rinchiuse nella
toilette per prepararsi.
Infine,
una volta pronti entrambi, fecero colazione e uscirono
insieme di casa. Kimberly avvisò il suo fidanzato che
avrebbe staccato da
lavoro verso le sei e che durante la pausa pranzo avrebbe comprato le
cose che
servivano per l’arrivo del piccolo ospite.
“Perfetto, Edwin sarà da noi verso
le sette e mezza. Sarah e Finn hanno prenotato l’ultimo volo
per New Orleans”
la informò Jake e partì di corsa diretto alla sua
lezione su Shakespeare
nell’aula F6, era piuttosto in ritardo.
Alle
sette e mezza precise, il citofono dell’appartamento del
professor Aldrin suonò. Kimberly, che aveva appena finito di
rassettare il
letto della stanzetta degli ospiti, utilizzando le lenzuola, decorate
con una
simpatica e sorridente coccinella comprate qualche ora prima, si
precipitò
verso la porta.
Sentì
il campanello suonare una seconda, prolungando il suo
acuto rumore, molto probabilmente avrà suonato Edwin,
pensò.
“Vi
apro subito” rispose al citofono e premette il pulsante per
l’apertura del portone del palazzo.
Qualche
minuto più tardi un nanetto dai capelli lisci biondi
saltava in braccio alla giovane pubblicitaria urlando
‘Dada’, ovvero lo strano
soprannome che il bambino aveva affibbiato alla fidanzata del suo
padrino.
“Ciao
piccolino” lo salutò dandogli un bacetto sulla
guancia.
“Buonasera”
la salutò Sarah con tono gioviale ricambiata subito
dalla giovane, che si presentò a Finn Benson, il marito
della professoressa,
che non conosceva fino a quel momento.
“Dov’è
lo zio?” domandò timidamente Edwin mentre tentava
di
guardare dentro casa da dietro le spalle di Carter. “Lo zio
è uscito, torna fra
pochissimo” rispose lei aggiungendo che era andato a prendere
il latte.
“Volete
entrare?” invitò
la coppia ad accomodarsi, la
quale
rifiutò cordialmente l’invito. “Dobbiamo
scappare. Il gate chiude fra meno di
un’ora” accennò Finn, anche sua moglie
annuì.
Sarah
prese un attimo il piccolo in braccio, a cui raccomandò di
comportarsi bene con lo zio Jake e Dada, e tese verso la giovane una
piccola
borsa, in cui erano custoditi i vestiti del piccolo Edwin, che venne
prontamente
afferrata dalla nuova padrona di casa.
Dopodiché
i coniugi Benson salutarono di nuovo la giovane e, dopo
essersi raccomandati ancora una volta con il figlio, partirono.
Kimberly
richiuse la porta e si abbassò semi piegandosi sulle
ginocchia. “Andiamo a portare questa nella tua
stanzetta?” chiese al piccolino
davanti a lei.
Il
bimbo piegò la testa da un lato facendo ondeggiare i suoi
biondi capelli, gesto che fece sorridere la giovane. “La mia
stanzetta?”
domandò insicuro.
“Sì,
anche qui hai una stanzetta” confermò, lo prese
per mano e
lo portò nella stanza degli ospiti.
Gli
occhi di Edwin s’ingrandirono per lo stupore quando vide il
copriletto di Winnie the Pooh, che Jacob aveva criticato sostenendo che
i suoi
personaggi ritraevano noti disturbi psicologici e che sicuramente al
suo
figlioccio non piaceva.
“Ti
piace?” gli chiese Kim intanto che sistemava i suoi minuti
vestiti nella cassettiera della sua ex camera da letto.
Il
bimbo annuì sorridente e salì sul letto
arrampicandosi, era
leggermente alto per la sua altezza.
“Un
punto per me” esclamò sotto voce la mora. Ad Edwin
piaceva
Winnie, proprio come pensava.
“Dada
mi dai Stewie?” domandò alla giovane indicando un
cucciolo
di pezza che indossava un impermeabile rosso che Sarah aveva messo
nella
piccola valigetta.
La
giovane passò il pupazzo al piccolino che riprese a giocarci
fingendo che volasse.
In
seguito saltò giù dal letto e tirò la
mora per la
manica. “Dada
vieni a giocale? Plendi
l’alto pupazzo” le suggerì il bimbo.
La
mora annuì, prese un pupazzo a forma di papera e si sedette
per terra. “Io mi chiamo Duck the Duke, tu chi
sei?” domandò al cane di pezza
facendo la vocina da bambina.
“Io
sono Stewie, giochiamo?” rispose il bimbo. Duck the Duke
andò a cavallo per le terre sconosciute del vecchio West,
dove una banda di
coyote cattivi lo prese in ostaggio, e fu salvato dal valoroso cane
dall’impermeabile rosso.
Kimberly
stava inventandosi un’altra avventura da far vivere ai
due pupazzi, in cui Stewie conquistava il cuore della coniglietta
Bunny, un
pupazzo che la giovane conservava da quando era piccola, quando Edwin
parlò. “Lo
sapevi che zio Jake dice che è tanto felice da quando ci sei
tu?”
Il
bimbo continuò a giocare e non si accorse minimamente del
sorriso da ebete che si era dipinto sul viso di Kimberly il cui cuore
aveva
saltato un battito.
“Te
lo ha detto lui?” gli chiese con una certa insistenza, il
bimbo sollevò lo sguardo verso di lei e annuì.
“Anche
io sono tanto felice” confessò la giovane con le
guancie leggermente
imporporate; la sua risata cristallina riecheggiò nella
stanza contagiando
anche il piccolo Edwin che abbandonò il cane di pezza e
abbracciò
istintivamente Carter, che iniziò a fargli il solletico
amplificando la risata
squillante del piccolo ospite.
Era
questa la scena che si aprì davanti agli occhi del prof
Aldrin, appena rientrato dal supermercato, che osservava i due in piedi
sulla
soglia della porta della camera.
Una
bellissima scena, come quelle delle commedie romantiche o
dei romanzi rosa di Danielle Steel, che la sua collega Sarah aveva
tentato invano
di fargli leggere. “Ti stai divertendo Edwin?”
richiamò l’attenzione del
piccolo ospite.
Il
bimbo alzò lo sguardo, trillò un ‘zio
Jake’ e corse verso Aldrin,
che lo prese in braccio intanto che la mora si alzava a sua volta da
terra
ravvivandosi i capelli arruffati.
“Hai
trovato fila al supermercato?” gli domandò, era
stato fuori
un bel po’. “Non esattamente” rispose
Jacob sorridendo. “Ho portato una cosa ad
Edwin” spiegò. “La vuoi
vedere?” si rivolse al figlioccio.
Il
bimbo annuì sorridente ed insieme si diressero di corsa
verso
il salotto dove li attendeva la sorpresa: un triciclo rosso fiammante.
“Me lo
legali?” domandò al suo padrino che
confermò che era per lui; Edwin tutto
contento iniziò a saltellare per tutta la stanza.
“Gazie,
zio Jake” esclamò e diede un bacino allo zio
preferito,
che gli promise che lo avrebbe portato l’indomani al parco
così avrebbe potuto
collaudare il bolide.
“Così
lo vizi” osservò Kimberly fingendo un tono da
rimprovero,
il giovane prof sollevò le spalle.
“Una
volta ogni tanto” ribadì divertito guardando il
piccolo Edwin che era salito
sul triciclo e andava avanti e indietro.
La
giovane gli diede un bacio sulle labbra. “Vado a preparare la
cena” gli comunicò, ma prima
s’accertò dei gusti del piccolo.
“Ti
piacciono le cotolette?”
chiese al bimbo che annuì. “Con le
patatine flitte” esclamò trovando il
disaccordo della giovane che sostenne che troppo fritto gli avrebbe
fatto al
pancino.
“Ti
faccio il purè, va bene?” fece la sua
controproposta Kim che
non piacque gran che al piccolino e andò a preparare a cena.
Dalla
cucina la giovane pubblicitaria sentiva i due ridere intanto
che si rincorrevano per il salotto.
Jacob
aveva mostrato al figlioccio uno dei tanti trucchi di
magia del suo repertorio che stupivano sempre il piccolo, che urlava
“ancora
ancora”.
Qualche
minuto più tardi, Jake entrò in cucina con Edwin
in
braccio, coinvolgendolo in un’importante missione:
apparecchiare la tavola.
Terminata
l’operazione, essendo pronta la deliziosa pietanza
preparata dalla mora, i tre si sedettero a mangiare; Kimberly
tagliò a
pezzettini la cotoletta di Edwin che fece diversi capricci
perché non voleva
mangiare il purè.
“Se
mangi il purè, Dada ti dà il gelato
dopo” lo incoraggiò Jake
sottolineando che la zietta aveva comprato il suo gusto preferito,
ovvero il
cioccolato, il bimbo fece una smorfia e mangiò tutto il
purè. D’altra parte,
per il gelato valeva la pena fare quel sacrificio.
Dopo
cena, si sedettero sul divano e guardarono uno dei tanti
dvd che Kimberly aveva noleggiato ; la scelta del film da guardare
richiese più
tempo del previsto, Edwin non riusciva a decidere se vedere
‘Aladdin’ oppure
‘Il Re Leone’, alla fine vinse il secondo su
consiglio della giovane, che
adorava quel cartone animato.
Alla
fine del film, Edwin sbadigliava, i suoi occhietti
imploravano di essere chiusi nonostante ribadisse di voler ancora
restare
sveglio.
Kimberly
lo prese in braccio e lo portò nella stanzetta sdraiandolo
sul letto. Gli
rimboccò le coperte
posizionando ai suoi piedi il copriletto. Era stata una giornata
particolarmente calda.
“La
favola della buonanotte!” pretese il bimbo, e
indicò un
libro di favole per bambini, che gli era stato regalato da Jacob per
Natale.
Kimberly
lesse una delle tante storielle raccontate nel libro e,
arrivata nemmeno a metà della storia, il bimbo si
addormentò.
“Buonanotte,
piccolino” lo salutò la mora con un bacino sulla
guancia. Infine, dopo aver spento la lampada del comodino,
uscì dalla stanza,
rischiarata dalla lucina a forma di stella attaccata sopra il letto del
loro
ospite, e lasciò socchiusa la porta perché
filtrasse più luce.
“Si
è addormentato?” domandò il suo
fidanzato, intanto che
correggeva una pila di saggi sullo stile di Chaucer, quando fu di
ritorno in
salotto.
La
giovane si lasciò cadere sulla poltrona.
“Sì, come un
angioletto” affermò mentre accendeva il laptop che
posizionò sulle sue gambe.
Jake
alzò lo sguardo verso di lei, osservandola da sopra i suoi
occhiali neri, e sorrise. “Vera prosa o il solito
spot?” domandò in seguito, la
sua fidanzata non era solo una storyteller, ma era sopratutto una
scrittrice,
proprio come lui.
Loro,
infatti, si erano conosciuti ad un corso di scrittura
creativa frequentato alla Columbia, al quale si erano iscritti per
passatempo. Kimberly
era laureata in Psicologia della Comunicazione, a differenza di Jacob,
laureato
invece in Letteratura Inglese e Americana.
La
giovane sorrise. “Vera prosa” rispose, stava
lavorando da qualche
mese ad un libro, una vera storia, che parlava anche della loro
relazione, in
parte.
“Prima
o poi mi consentirai di leggere qualcosa?”
chiese lui che abbandonò i saggi dei suoi
studenti per avvicinarsi alla sua pulce; la ragazza
ridacchiò e finse di
pensare picchiettandosi un dito sul dito.
“Mmm..no!” asserì facendo la
linguaccia.
Il
suo fidanzato prese il laptop dalle sue gambe e lo riposò
sul
tavolino. “Sei davvero una pessima fidanzata” le
sussurrò all’orecchio intanto
che poggiava il suo ginocchio nell’unico spazio libero sulla
poltrona lasciato
dalla sua fidanzata, che aveva allargato le gambe, per consentirgli di
salirvi.
Appoggiò
entrambi le mani sullo schienale, le loro fronti si
toccarono. Sentì il delizioso profumo di ciliegie e mora che
emanavano i
capelli color cioccolato della sua pulce e posò le sue
labbra sulle sue,
applicando una leggera pressione.
La
giovane schiuse le labbra per consentire alla lingua del suo
scricciolo di esplorare l’interno dalla sua bocca
abbandonandosi ad un bacio
tenero e delicato.
Aldrin
sentì le mani della pubblicitaria accarezzargli i suoi
morbidi
capelli castano chiaro e si rilassò immediatamente, era
piacevole farsi
coccolare da lei, ne aveva costantemente bisogno. Si era affezionato
alla
presenza di quella ragazzetta piena di allegria e fantasia al punto da
non
riuscire più nemmeno a ricordare come fosse la sua vita
prima di Kimberly.
Anche
Carter si era persa in quegli occhi nocciola fin dal primo
istante in cui aveva posato il suo sguardo quel martedì
pomeriggio di quattro anni
prima, per lei fu un vero coup de foudre, come amano dire i francesi;
un colpo
di fulmine che stravolse la sua vita.
Non
fu sempre tutto rose e fiori però. Infatti, la loro storia
partì con un’amicizia che tardò a
decollare, per via della diffidenza di Jake,
che nella vita aveva avuto diverse delusioni.
Era
talmente tanto spaventato dall’iniziare una nuova relazione,
che spesso aveva inconsciamente allontanato la giovane, che catturata
dal
magnetismo dei suoi occhi, del suo splendido sorriso, aveva continuato
ad
insistere. Si era insinuata pian piano nella sua vita, cercando di non
fare
troppo rumore per non spaventarlo, aspettando amorevolmente,
consapevole che il
suo amore sarebbe stato ricambiato.
E
non si sbagliava. Lo capì il giorno del Ringraziamento del
duemiladieci quando Jake si era presentato a casa sua, nella soleggiata
Georgia, con un orsacchiotto di pezza e un grosso biglietto di scuse
attaccato
al collo.
Si
erano baciati sulla soglia della sua alta porta di legno di
mogano sotto lo sguardo attonito dei genitori della giovane che
guardavano Jake
quasi fosse un alieno e da quel momento non si erano mai più
lasciati.
Ora,
a distanza di poco più di due anni, convivevano
nell’appartamento di Jacob a Brooklyn da circa sei mesi e le
loro intenzioni
diventavano sempre più serie.
“Non
hai una pila di saggi da correggere?” lo stuzzicò
lei
interrompendo quel lungo bacio che sembrava non terminare mai.
Il
professor Aldrin scosse la testa e continuò a baciare la
ragazza scendendo pian piano verso il collo lasciando una scia di baci
umidi
che solleticavano Carter, che mandò la testa
all’indietro strofinando la sua
voluminosa chioma bruna contro lo schienale della poltrona.
Il
giovane non sembrava averne abbastanza, proseguì lambendo la
spalla scoperta dalla maglietta a mono spalla della sua fidanzata, che
sentiva
i denti di Aldrin stuzzicargli quel sottile strato di pelle che la
ricopriva.
Le
sue mani erano sempre più frenetiche, sollevava con una mano
verso l’alto la maglietta di Carter sfiorando il suo addome
intanto che con
l’altra abbassava la cerniera dei pantaloncini di jeans della
giovane.
Carter
puntellò entrambe le mani sui pettorali del professore
accarezzandolo per qualche secondo ed infine lo spinse in avanti.
“Andiamo in
camera” suggerì muovendo il capo in direzione
della stanzetta degli ospiti dove
il piccolo Edwin dormiva beato; Jake annuì e la prese in
braccio posizionando
sulla sua spalla come se fosse un sacco di patate, Carter
scoppiò a ridere e, dimenando
i piedi in aria, ordinò il suo fidanzato di metterla
giù, che ovviamente ignorò
candidamente la sua richiesta.
Giunti
in camera da letto, la sdraiò sul letto e si
premurò di
chiudere la porta a chiave nel caso il loro piccolo ospite decidesse di
farsi
vivo. Salì sul letto a gattoni afferrando la sua pulce per i
fianchi e si mise
a cavalcioni su di lei, che aveva già tolta la maglietta
intenzionata a portare
quel gioco al livello successivo.
Ovviamente
il professorino non perdette nemmeno un secondo,
agile come un gatto si mosse su di lei scorrendo con un dito la pancia
nuda
della sua fidanzata che aveva affondato le dita nei suoi capelli.
Jake
continuò ad indugiare sull’addome di Kim
solleticando il
suo ombelico con la punta della lingua, la giovane inarcò la
schiena
slacciandosi il reggiseno scoprendo i suoi seni che offrì al
prof che colse al
volo la sua offerta.
il
prof risalì verso di lei leccando la sua profumata pelle e
baciò l’incavo dei seni, con la lingua
accarezzò i capezzoli che succhiò con
avidità facendo gemere di piacere Carter che si morse il
labbro inferiore
aggrappandosi alla spalliera del letto.
Il
ventre di Carter s’incendiò, un’ondata
di caldo si propagò
per tutto il suo corpo, le sue mani si mossero svelte spogliando il
prof che
continuava a lambire i suoi seni. Afferrò il mento di Jake
sollevando con due
dita verso di sé, il giovane capì che voleva
essere baciata e s’apprestò a
soddisfare la sua richiesta senza smettere di accarezzarla.
Nel
frattempo Kim continuò a spogliarlo sbottando i suoi jeans,
si
sollevò sui gomiti e ribaltò la situazione
facendo finire Jake sotto di lei
premurandosi di coprire ogni sua superficie scoperta di baci umidi.
Sfilò
l’inutile paio di jeans del prof e iniziò a
giocare
l’elastico dei suoi boxer intanto che il giovane, incapace
ormai di controllare
il proprio corpo, palpava il suo corpo.
Carter
si posizionò saldamente su di lui e iniziò ad
ondeggiare
strofinandosi contro il suo sesso ingrossato costretto in quel angusto
spazio.
Anche il ventre di Jake s’incendiò, una goccia di
sudore scese la sua fronte,
doveva farla sua.
Avvertiva
un dolore lancinante, la sua vista era completamente
annebbiata, ansimò forte sentendo la sua fidanzata diventare
sempre più audace
con i suoi movimenti di bacini. “Ti prego”
sussurrò quasi fosse una richiesta
d’aiuto.
La
sua fidanzata ridacchiò, si abbassò di lui e
morse le sue
labbra senza smettere di muoversi, si drizzò di nuovo sulla
schiena e sfilò
lentamente i suoi
boxer liberando la sua
costrizione.
Si
disfò anche dei suoi slip e ritornò sopra di lui,
che ormai
la implorava, accovacciandosi, sentì il membro di Jake
entrare pian piano nella
cavità umida e calda e le sue mani stringere il suo bacino.
Riprese
a muoversi su e giù puntellando le mani sul loro
copriletto stuzzicando Jacob, che gradì quella presa di
posizione della
pubblicitaria, e lasciando che le sue mani andassero alla scoperta del
suo
corpo.
La
giovane prese a muoversi sempre più velocemente
approfondendo
quel contatto ad ogni movimento, tirò la testa indietro e
ansimò. Stava
raggiungendo l’apice.
Anche
Jake fremeva diventando sempre più ansioso, il suo corpo
era madido di sudore, seguiva come ipnotizzato i movimenti della sua
fidanzata,
gemendo di piacere e mormorando il suo nome.
Carter
cacciò un urletto raggiungendo l’orgasmo e si
abbandonò in
avanti unendo le sue labbra con quelle di Jacob che accarezzava la sua
schiena.
“Sei
bellissima” sussurrò quando riuscì a
riprendere fiato e
scocciò un bacio sul suo naso, Kim sorrise e
ricambiò quella tenerezza. “Tu sei
stupendo invece” mormorò lei scostando le ciocche
ribelli dal viso del suo
scricciolo.
Jake
si accoccolò strofinando la sua guancia su quella di
Carter. “Lo sai che sei la mia pulce, vero?”
“Così
sembra” rispose lei accoccolandosi a sua volta, il giovane
prof la strinse a sé e la coprì con il lenzuolo.
I
loro piedi s’intrecciarono, erano così vicini che
ognuno
riusciva a sentire il battito dell’altro. Aldrin prese ad
accarezzare i
capelli
di Kim che chiuse gli occhi cadendo addormentata fra le
braccia del scricciolo.
La
mattina seguente la sveglia di Kim suonò di
buon’ora, la
giovane pubblicitaria si liberò dall’abbraccio del
suo fidanzato che continuò a
sonnecchiare spensierato.
Si
rivestì infilandosi i vestiti del giorno precedente e
andò a
dare un’occhiata al loro ospite che dormiva nel suo letto
compiacendo la
padrona di casa che ne approfittò per farsi una doccia.
Uscita
dalla toilette, si vestì velocemente e andò a
preparare
la colazione per i due che sembravano non avere fretta di svegliarsi
quella
mattina.
Accese
lo stereo tenendolo ad un volume non troppo alto avviando
uno dei tanti cd della sua collezione, scegliendo Train come colonna
sonora per
quel sabato mattina. Stava cantando mentre con un movimento di polso
deciso
girò le frittelle nella padella quando Edwin
arrivò di corsa irrompendo in
cucina in pigiama e indossando un solo calzino.
“Oh,
guarda chi si è svegliato!” esclamò la
giovane prendendolo
in braccio. “Buongiorno piccolino” aggiunse
dandogli un bacino sulla guancia,
allora notò l’assenza del calzino sinistro e fece
solletico al piedino.
“Qualcuno ha perso il calzino, eh?” disse al bimbo
che rideva.
Le
risate dei due svegliarono del tutto il prof Aldrin che si
alzò dal letto sorridente, si fece una doccia veloce ed
infine si rivestì
indossando un paio di jeans e una maglietta di cotone e andò
in cucina.
“La
pappa è pronta?” domandò il giovane
prendendo posto a sedere
dopo aver salutato Edwin che beveva un bicchiere di latte freddo al
cioccolato
sporcandosi tutto il musetto.
Kim
allungò verso di lui una tazza di caffè latte e
si sedette
sulle sue gambe.”Dove vogliamo andare oggi? Central Park o
Coney Island? ”
domandò Jake abbracciando la sua fidanzata che mangiucchiava
una frittella.
Una
volta sentita la proposta di andare a Coney Island, Edwin
abbandonò il suo bicchiere e urlò entusiasta
‘Coney Island’, Kim fece spallucce
sostenendo che per lei andava bene qualsiasi cosa e Jake allora si
affrettò a
finire la sua colazione nel frattempo che la sua fidanzata vestiva il
piccolo
Edwin.
S’immisero
nel traffico newyorkese del sabato mattina in
direzione della penisola di Brooklyn incontrando una fila pazzesca che
scorreva
lentamente cantando ‘Stia con noi’, ovvero una
canzone della colonna sonora di
‘La Bella e la Bestia’.
“Stia
con noi, qui con noi, si rilassi d’ora in poi”
cantavano i
due sotto lo sguardo divertito di Jake che guidava la sua Chevrolet.
Era una
giornata soleggiata e abbastanza calda, il meteo non prevedeva piogge,
a
differenza dei tre weekend precedenti, perciò si
preannunciava per il trio una
giornata piena all’insegna del divertimento.
Ci
vollero ben quaranta minuti per raggiungere il Luna Park,
praticamente lo stesso tempo che avrebbe richiesto il viaggio in metro
partendo
però da Manhattan, riuscirono per miracolo a trovare
parcheggio nei pressi e
scesero andando di corsa alla biglietteria per acquistare i vari ticket.
“Quale
attrazione vuoi fare per prima?” domandò Kim al
piccolino
che rimase pensieroso per diversi secondi.
“Le
tazzine” esclamò ridendo, i due si mostrarono
d’accordo e
furono trascinati verso l’attrazione dal braccio.
Fu
Kim a salire sulla giostra assieme ad Edwin che batteva le
mani entusiasta mentre Jake li osservava scattando qualche fotografia
ogni
tanto.
Dopo
quella giostra, fu il turno del trenino che il bimbo
esperimentò assieme al padrino, dopodiché
salirono tutti e tre sull’attrazione
della sirenetta e sui boat dove si bagnarono i vestiti quando la
giostra curvò
lungo il percorso.
A
pranzo si recarono nello storico chiosco di hot dog,
Nathan’s,
conosciuto nel mondo, ma soprattutto a New York, come
l’inventore di quella
tipica pietanza americana.
Durante
il pomeriggio fecero alcuni dei giochi presenti nel
parco, tra cui quello dei tiri contro le lattine, dove Jake vinse due
orsacchiotti di pezza che regalò rispettivamente al piccolo
Edwin e alla sua
fidanzata, che dopo il primo pupazzo vinto, ne pretese uno per
sé.
Fecero
una capatina anche al chiosco dei gelati situato lungo il
lungomare e scesero in spiaggia, dove giocarono con un pallone di beach
volley
che trovarono abbandonato. “Questa gita all’aperto
ci voleva proprio” disse il
prof Aldrin alla sua pulce mentre erano seduti sulla riva ad osservare
il
piccolo Edwin che correva a piedi scalzi ricorrendo le onde.
La
ragazza si voltò e annuì sorridente.
“Decisamente sì” asserì
dando un bacio sulle labbra al suo fidanzato.
Infine,
poco prima di rincasare, ritornarono nel luna park e
salirono sulla Wonder Wheel, ovvero la storica ruota panoramica,
collocando
Edwin in mezzo a loro due perché non avesse troppa paura.
Di
ritorno a casa, si fermarono al McDonald’s dove cenarono
tutti e tre a base di Happy Meal e giocarono nelle giostre per i
bambini che il
locale aveva in dotazione.
“Ti
sei divertito, piccolo?” domandò il padrino ad
Edwin che
continuava a saltellare sul divano di casa di Aldrin senza accennare un
minimo
di stanchezza.
Il
bimbo annuì e saltò facendosi afferrare da Jacob
che gli fece
fare l’aeroplanino, dopodiché lo portò
nella stanza da bagno e li lavò i
dentini. “Edwin, ora andiamo a letto, va bene?”
disse al piccolino
sbadigliando, Edwin s’imbronciò e
protestò dicendo che non aveva sonno; a quel
punto, vedendo Aldrin in difficoltà, intervenne Kim che si
occupò del piccolo
ospite costringendolo ad infilarsi il pigiama e lo portarono nella sua
stanza.
Furono
necessarie tre fiabe della buonanotte per riuscire a
farlo addormentare, ma alla fine, Edwin cedette alla stanchezza e cadde
addormentato.
“Andiamo
a farci cullare da Morfeo anche noi?” suggerì
Carter al
suo fidanzato che annuì, stava morendo di sonno; i due
s’infilarono in fretta
il pigiama e, dopo essersi lavati i denti, filarono nella loro stanza.
Si
erano appena messi a letto quando sentirono dei piccoli
passettini nel corridoio, la porta della loro stanza si aprì
e si ritrovarono
Edwin ai piedi del loro con Stewie sotto il braccio.
“Qualcosa non va?” domandò
Jake mettendosi a sedere sul materasso.
Il
piccolo abbassò la testa imbarazzato. “Ho paula,
posso stale
con voi?” chiese a bassa voce, si vergognava per aver fatto
quella richiesta,
sua mamma gli aveva detto che era un bambino grande ormai e che doveva
dormire
da solo.
Kim
s’intenerì e guardò il suo scricciolo
sbattendo le ciglia
per convincerlo a farlo dormire con loro, non si poteva ignorare quel
faccino
delizioso.
Jake
rise e disse al bambino di saltare pure su, Edwin non se lo
fece ripetere due volte e salì sul letto piazzandosi in
mezzo alla coppia che
gli fece spazio, fece un po’ fatica a trovare la posizione
più comoda e alla
fine si mise a pancia in giù abbracciando il suo zietto
preferito che lo
guardava sorridente, anche Carter sorrise e si girò su un
fianco mettendo un
braccio attorno al corpicino di Edwin.
Vedendo
quella scena, improvvisamente scattò l’istinto
paterno
in Jake che si trovò a pensare che forse dopotutto un
bambino non era una così
pessima idea.
La
mattina seguente prima ancora delle nove il piccolo Edwin
svegliò entrambi saltando sul letto. “Edwin, non
sono nemmeno le nove” protestò
il padrino rimettendosi a pancia in giù e dando una scossa
alla sua fidanzata
come per chiederle di occuparsene lei. “Tuo il figlioccio,
tua la
responsabilità” gli disse la giovane che si
girò su un fianco ignorando la sua
richiesta.
Il
piccolo ospite continuò a saltare sul letto imperterrito
chiedendo al suo padrino di alzarsi , Jake sbuffò ma, alla
fine, cedette e si
alzò accontentando il figlioccio che lo portò per
la mano in cucina di modo che
gli preparasse la colazione.
“Latte
e cereali, ti va?” propose il prof che aveva ancora le
palpebre incollate, il bimbo scosse la testa contrariato.
“Mamma
mi polta sempre le ciabelle la domenica” affermò
il
piccolino, Jake gli lanciò un’occhiata e vedendo
quegli occhietti da cucciolo
non seppe rifiutare la richiesta.
“Va
bene, piccolo. Vorrà dire che faremo colazione fuori, va
bene?”
suggerì Aldrin sicuro che la proposta avrebbe entusiasmato
Edwin che, infatti,
trillò un ‘sì’.
“Allora
andiamo a svegliare a Berly” aggiunse il prof e corsero
in camera da letto, il bimbo saltò sul letto assieme a Jake
e iniziarono a dare
piccole scossoni alla ragazza che si era addormentata di nuovo.
Kim
mugugnò e si girò a pancia in su aprendo gli
occhi. “Ma
perché non mi volete far dormire voi due?” si
lamentò con tono scherzoso.
“Alzati,
dai, andiamo a fare colazione fuori” le riferì il
prof,
la giovane fece un cenno di approvazione con il capo e si
alzò dal letto più
che volentieri.
Dopodiché Jake si
preoccupò di vestire il piccolo Edwin e quando furono tutti
e tre pronti
uscirono di casa portandosi dietro il triciclo rosso fiammante.
Avrebbero approfittato
della bella giornata per fare un giro al Central Park.
Trascorsero
la giornata fuori, dopo la colazione, fatta al bar
preferito della coppia, si avviarono con la metro verso Manhattan e
andarono a
fare una passeggiata al Central Park.
Diedero
da mangiare alle paperelle e giocarono con i cagnolini
di una coppia di anziani che se ne stava a riposare in una delle
panchine del
bel parco, cuore della Grande Mela. Provarono anche il triciclo o il
bolide,
come Jake preferiva definirlo, ricorrendo gli scoiattoli e le colombe
che
abitavano sugli alberi dalle ampie e folte chiome verdi e gialle. Il
loro
inseguimento però si rivelò fin troppo efficace,
infatti, una colomba finì in
testa ad una donna che stava facendo jogging che iniziò a
sbraitare provocando
le risate cristalline dei tre che osservavano la scena.
Pranzarono
al parco con dei panini seduti sul prato ricoperte da
piccole margherite selvatiche sparse qua e là ed infine
verso le quattro
ritornarono a casa dopo aver fatto un giro per i negozi del quartiere.
“Certo
che qui non si può comprare nulla. ” aveva
esclamato il
giovane prof da Macy’s dopo aver visto un abito gessato
prezzato 2952 dollari
sotto lo sguardo divertito di Kim.
Di ritorno a casa, dovettero fare il bagnetto
al loro ospite che
si era sporcato di fango, che non impazzì di gioia per
quella proposta, e infine,
videro un altro film della Disney scelto dal piccolo Edwin.
Stavano
guardando il film quando sentirono il citofono suonare,
erano Sarah e Finn ritornati da New Orleans.
“Piccolo,
sono arrivati mamma e papà” avvisò Kim
ad Edwin che
sorrise e saltò giù dal divano andando di corsa
verso la porta. “Ti sei
comportato bene, piccolo?”
domandò la
mamma prendendolo in braccio.
“E’
stato bravissimo” riferì Jake alla collega e
iniziò a
raccontare tutto quello che avevano fatto quel finesettimana nel
frattempo che
Kim andava nella stanzetta degli ospiti a recuperare la sua valigetta.
“Zio
Jake mi ha compato un ticiclo” disse Edwin ai suoi genitori
che rimasero attoniti.
“Jake
non avresti dovuto” affermò Finn sostenuto dalla
moglie
che annuiva con la testa, il prof Aldrin fece spallucce e
afferrò il bimbo si era
proteso verso il padrino.
“Piccolo,
adesso devi andare con mamma e papà” gli disse
dandogli
un bacio sulla guancia, in quel momento ritornò Kim che
passò il borsone e il
triciclo ai genitori che la ringraziarono.
“Bene,
saluta di nuovo lo zio Jake e Dada” lo raccomandò
la
mamma prima di uscire. Edwin diede un bacino ad entrambi e
ritornò dal papà che
lo prese per mano.
“Ancora
grazie per la disponibilità” ripeté
Sarah.
“Non è
nulla” la
rassicurano i due. Dopodiché, i coniugi Benson insieme al
figlio lasciarono
l’appartamento della giovane coppia che si lanciò
sul divano.
“Ordiamo
dal cinese?” suggerì il giovane prof incapace di
fare
un passo mentre erano sdraiati sul divano a prendere fiato. Era stanco
persino
per ordinare qualcosa al telefono, la giovane annuì e
compose il numero del
loro ristorante cinese preferito, ordinando il loro solito.
“Non
preoccuparti, vado io a prendere le ordinazioni” lo
tranquillizzò Kim, il prof sorrise e si sporse verso di lei.
“Sei
fantastica” le disse e la baciò.
Kim
increspò le labbra insoddisfatta. “Solo un bacio
mi merito?”
Il
prof Aldrin rise e la baciò di nuovo, la spinse verso
giù
sdraiandosi su di lei e riprese a baciarla con fare deciso.
“Wow,
come sei passionale” lo stuzzicò la giovane che
iniziava
ad accaldarsi per quel contatto, il prof colse al volo la frecciatina,
alzò la
gonna della sua pulce e, dopo aver posizionato la sua gamba sulla sua
palla,
iniziò a depositare piccoli baci fra le sue cosce.
La
giovane inarcò la schiena scossa da mille brividi che
capponarono la sua pelle, posò una mano fra i capelli di
Jacob affondando le
sue dita fino a sfiorare la sua cute tenendo ferma la sua testa per
prolungare
quel momento il più a lungo possibile.
Jake
era una continua scoperta, sapeva sempre cosa fare, come
gestire i suoi mutevoli stati d’animo. Lui era il suo faro
nelle notti di buio
e tempesta, lui era la sua casa, il suo rifugio. L’unica
persona da cui non
sarebbe mai scappata.
Aveva
imparato a conoscerlo, a capire che, dietro
quell’apparente aria distaccata e fredda, esisteva un mondo
in attesa di essere
scoperto, un altro Jake che tutto ciò che desiderava era
soltanto un po’ di
amore e calore.
Un
ragazzo sensibile e fragile disposto a darti il suo cuore in
cambio di quell’affetto che aveva tanto cercato nelle persone
sbagliate.
Era stato facile
innamorarsi di lui, non ci volle nessun artificio o promessa da parte
di Jacob,
e ora nemmeno lei avrebbe saputo fare a meno del suo scricciolo.
Il
citofonò suonò riportando la coppia alla nuda
realtà, la
giovane tirò un sospirò e si spostò
mettendosi in piedi. Nel frattempo che
andava verso la porta, si sistemò la gonna che si era
sgualcita e si ravvivò i
capelli.
“Scendo
subito” comunicò al fattorino e uscì
dall’appartamento
dopo aver lanciato un’occhiata al suo fidanzato che la
fissava con aria
maliziosa. Nei suoi occhi lesse il desiderio, voleva averla tutta per
sé e non
avrebbe trovato alcuna resistenza.
Carter
ritornò di corsa al loro appartamento, abbandonò
la cena
appena comprata sul tavolo della cucina e raggiunse il prof che ne
stava sul
divano. “Niente cena?” ironizzò lui
ammiccando.
La
giovane si sdraiò su di lui e prese una delle sue mani
posandola sul seno sinistro. “Prima dovremmo finire una
cosa” lo sedusse
mordendosi il labbro inferiore e posando la sua mano fra le sue cosce.
“Mmm..
mi piace questa cosa” rispose lui ribaltando la
situazione, si tolse la maglietta scoprendo i suoi pettorali ben
scolpiti e si
buttò a capofitto su di lei che gli accarezzò le
braccia muscolose. “Sta
funzionando questa roba della palestra” osservò
alludendo alla sua iscrizione
di due mesi prima alla palestra del loro quartiere.
“Sì,
tra poco diventerò un figo pazzesco e ci sarà la
fila sotto
casa” scherzò Aldrin intanto che le baciava il
collo.
Lei
rise e tirò la sua testa indietro per consentirgli di
continuare nel suo operato. “Sarò sempre la tua
ragazza preferita?”
Jake
si sollevò sorreggendosi con le mani e cercò la
sua bocca,
le loro lingue si toccarono in un secondo interminabile.
“Sarai l’unica”
sussurrò, continuarono a baciarsi spogliandosi a vicenda
finché non rimasero in
intimo.
Jake
osservò il completino indossato dalla giovane e
sollevò un
sopracciglio. “Però! Come siamo sexy”
commentò mentre accarezzava il suo
reggiseno in pizzo bianco trasparente che non lasciava nulla
all’immaginazione,
lo slacciò e sfiorò con i polpastrelli i
capezzoli turgidi di Carter che con lo
sguardo lo implorava di toccarla ancora. “Leccami”
mormorò quasi stesse
ansimando.
Aldrin
sorrise e accontentò la ragazza che ad ogni carezza della
lingua si contraeva per il piacere, con le mani le sfilò lo
slip e introdusse
due dita nella sua cavità per portarla all’apice.
“Ti prego” gemette.
“Ma
quanto sei impaziente” ironizzò il prof senza
accennare a
voler soddisfare la sua richiesta, continuò a vezzeggiarla
con l’unico obiettivo
di farla impazzire.
Nel
frattempo Carter si contraeva sotto di lui, tratteneva il
respiro strofinando il capo contro il divano, la sua mente era
completamente
annebbiata, mormorava il nome di Jacob a singhiozzi.
Non
seppe con esattezza distinguere il momento in cui il suo
fidanzato passò all’azione liberandosi del suo
slip e introducendosi in
lei.
Fecero
l’amore più volte quasi fosse il loro ultimo
incontro, infine,
stanchi e sudati si addormentarono nudi sul divano scordandosi della
cena,
rimasta abbandonata sul tavolo.
Un
mese dopo
Jake
rientrava dall’università viaggiando in
metropolitana, la
sua automobile languiva morente dal meccanico, il quale non aveva
ottimi
sentimenti sulla possibilità che tornasse alla vita.
Aveva
avuto una giornata pesantissima, era giunta la sessione
degli esami alla Columbia e dovette interrogare l’intera sua
classe, discutendo
con diversi suoi allievi che avevano mancato di presentare la loro
relazione
prima della fine delle lezioni, step indispensabile ai fini del
sostenimento
dell’esame, e pretendevano di essere interrogati in ogni caso.
Giunto
al palazzo, strisciando quasi i piedi, si trovò davanti
un’altra sorpresa, dovette salire le scale, essendo anche
l’ascensore in riparazione,
lesse, infatti, un grosso cartello giallo con la scritta
‘Work in progress”.
Sbuffò
e si avviò con aria funesta verso il suo appartamento,
sperava che Carter fosse in casa per rilassarsi un po’ con
lei, magari avrebbe
potuto vedere un film, pensava il prof nel mentre infilava la chiave
nell’orifizio della serratura.
Entrò
dentro e sistemò la sua tracolla
nell’appendiabiti, mosse
qualche passo nell’appartamento alla ricerca della sua pulce
e la sentì cantare
sotto la doccia.
“E’
di ottimo umore” dedusse il prof e sorrise, quando Kim era
di buon umore, automaticamente lo diventava anche lui.
“Pulce,
sono io Jake” si annunciò aprendo al porta della
stanza
da bagno e si sedette sul gabinetto.
La
giovane da dietro le tendine sorrise, era arrivato al momento
giusto. “Un attimo e sono da te”
Continuò
a cantare finendo di sciacquarsi,
poi aprì le tendine ed uscì
afferrando l’accappatoio. “Non coprirti,
è un bello spettacolo quello che vedo”
la provocò Aldrin alzandosi ed incamminandosi verso di lei.
La
ragazza rise e si avvolse nell’accappatoio, iniziò
a
districare i nodi che si erano formati alle punte e riprese a cantare.
“Come
mai sei così felice oggi?” domandò il
suo fidanzato
incuriosito, era evidente che avesse avuto un’ottima giornata.
La
guardò a lungo riflettendo su cosa avrebbe potuto
entusiasmarla a quel punto e agitò un dito in aria.
“Ti pubblicano?” azzardò
l’ipotesi, in effetti, una simile notizia avrebbe fatto
gioire entrambi.
Carter
scosse la testa. “Ancora più bella!”
“Più
bella di essere pubblicata?”
La
sua fidanzata annuì aggiungendo che era molto più
bella ed
iniziò a vestirsi, intanto che Jake si scervellava.
“Mmm..
Hai ricevuto una promozione, ora tu organizzi le campagne”
ipotizzò ancora.
Kim
rise. “Sei fuori strada, con la sfera professione non
c’entra nulla”
Aldrin
aggrottò la fronte, cosa poteva essere allora? Quale
altra notizia avrebbe potuto ricevere? Forse si sposava sua sorella
Ginevra,
pensò.
“Ginny
si sposa?” le domandò infatti, Carter rise ancora
più
forte. “Ma figurati se Ginny si sposa!”
“Allora
mi arrendo” esclamò il prof seguendo la sua
fidanzata
nella loro camera da letto dove Carter aveva lasciato i vestiti.
Kim
indossò il suo vestito nero con piccoli fiori rossi stampati
e si lanciò sul letto. “Guarda sulla
cassettiera” disse al prof che annuì.
Guardò
la scena con ansia e trepidazione, non riusciva più a
contenere il suo entusiasmo, quella notizia l’aveva fatta
esplodere dalla
felicità, attese il momento in cui il prof si
voltò mordicchiandosi il labbro e
sperando vivamente di vedere un sorriso sul suo volto.
Il
prof Aldrin dovette guardare due volte il test di gravidanza
che la sua fidanzata aveva lasciato sulla cassettiera prima di
realizzare
quanto era successo.
Sgranò
gli occhi e deglutì, di sicuro una simile notizia non se
l’aspettava minimamente. “E’
incinta” sussurrò con tono di voce così
basso che
Carter nemmeno se ne accorse.
“Sei
incinta” disse a voce più alta voltandosi verso di
lei, la
giovane lo guardò timorosa, per un attimo ebbe paura che il
suo fidanzato non
avrebbe accolto bene la notizia. Sul viso di Jake non distinse alcuna
emozione,
cosa che la preoccupò ancora di più.
Il
suo fidanzato le andò vicino e l’alzò
dal letto. “Hai
ragione, era una notizia ancora più bella”
sussurrò facendo toccare le loro fronti.
Carter
sorrise e provò ad abbracciare il suo scricciolo che nel
frattempo aveva posato entrambe le mani sul suo ventre accarezzandolo,
s’inginocchiò e posò un bacio sul suo
vestito. “Ti amo” mormorò la sua
fidanzata leggermente emozionata di fronte a quel gesto che le fece
capire
quanto Jake amasse già quella piccola vita che stava
crescendo dentro di lei.
Si
alzò di nuovo in piedi e si avvicinò alle labbra
della sua
pulce che rispose al bacio. Fu un bacio dal sapore diverso, tenero e,
per
alcuni versi, piuttosto timido, senza la solita scarica di
passionalità che li
contraddistingueva.
Jake
si staccò dalla sua bocca e le diede un bacio sulla fronte.
“Anche io ti amo, pulce” mormorò lui
guardandola negli occhi.
Era
un nuovo inizio, inaspettato e, nonostante ciò, giunto al
momento giusto.
Avrebbero cominciato una
nuova vita insieme al loro fagiolino ed entrambi erano consapevoli che
nulla
avrebbe potuto rovinare mai quel momento di perfezione che stavano
vivendo.