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Autore: Madness in me    13/01/2014    2 recensioni
La mia mente fu colpita dal ricordo dell'ultima sera che avevamo passato in Italia, la sera che eravamo scappate di casa ed eravamo dirette in California senza una lira in tasca e solo con tanta voglia di fare musica. [...]
"E ora ?" chiesi, con la voce tremante.
"Take my hand, we get away."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tante volte mi dicono che vivo di sogni,
mi dicono anche che i sogni non sfamano,
che i sogni non pagano, non scaldano,
non lavano e non curano.
Ma io penso che sbaglino.
Perché secondo me se i sogni li insegui
e li raggiungi, quando li hai presi e portati
a termine possono sfamarti, pagarti, scaldarti
lavarti e curarti.
Devi solo riuscire a seguirli senza mollare, afferrarli,
combattere per essi e non mollarli quando ti
sembra che le cose diventino dure.
Non bisogna mai smettere di sognare. 
E più mi diranno di smettere, più impegni ci metterò
per realizzare ogni mio fottutissimo sogno.

 

“Alza la cazzo di voce e smetti di avere paura, Chelsea!” gridò, dall’altra parte del vetro, la mia amica Jenna portandosi, disperata, una ciocca di capelli fucsia dietro l’orecchio.
Mi sfilai le cuffie e le riposi sull’apposito gancio poi uscii dalla sala di registrazione e mi avviai verso l’uscita sul retro annunciando “Ho bisogno di una pausa” per poi uscire sbattendo la porta.
Mi misi seduta su una delle sedie nel cortile e mi accesi una sigaretta.
Dopo qualche istante la porta si aprì di nuovo e di fianco a me, in piedi, si posizionò qualcuno.
Alzai, lentamente, lo sguardo.
Pantaloncini da basket bianchi con due righe nere sui lati che lasciavano in vista delle gambe allenate ricoperte di tatuaggi, più su la canottiera degli A Day To Remember con la scritta coperta da due braccia, anch’esse muscolose e tatuate, incrociate.
Salii fino ad incontrare un mezzo sorriso ironico e poi ancora degli enormi occhioni verdi contornati da degli occhiali con una montatura nera e spessa e  suoi classici capelli color carota sparati in tutte le direzioni.
“Non dovresti fumare.” Disse.
“Sono stressata, Joh, lasciami stare.” Dissi, sospirando.
“Il fatto che quel pezzo non ti viene non ti giustifica ad arrenderti così, Chelsea. Siamo tutte sotto stress e come te siamo qui da stanotte ed abbiamo anche noi parti che non riusciamo a concludere, ma non possiamo mollare.” Concluse Joh, allargando le braccia.
Mi alzai titubante buttai la sigaretta e mi avvicinai a lei per farmi abbracciare.
“Lo so, ma-“ Joh mi prese un braccio, mi posizionò su una spalla come un sacco di patate ed aprì la porta con un calcio  “OH, ANDIAMO JOH, METTEMI GIU’, NON MI VA DI RIENTRARE!” iniziai a gridare, scalciando.
Joh, senza dire nulla, passò davanti a Jenna che mi aspettava sbragata davanti ai mixer di fronte alla saletta dove registravamo le parti covali delle canzoni.
Era li seduta con i capelli fucsia dietro le orecchie, i leggings neri pieni di teschi e le vans nere poggiati sul bordo dei mixer e la maglietta della Drop Dead che si vedeva appena dato che lei stava tutta arrotolata in dio solo sa quale modo.
Joh mi mise giù davanti al microfono nella saletta registrazioni poi chiuse la porta e rimase in piedi a fissarmi.
“Non puoi obbligarmi a cantare, Joh!” dissi.
“Oh, sì che posso.” Annunciò orgogliosa la mia bassista incrociando di nuovo le braccia e lasciandomi capire che non sarei usciti di lì finché non avessi finito la registrazione.
Sbuffai e mi girai verso Jenna che se la rideva, le mostrai il dito medio poi iniziai a cantare specchiandomi nel riflesso del vetro di fronte a me.
Il ciuffo nero cadeva libero e un po’ incasinato sulla parte sinistra del mio viso mentre la parte rossa e rasata della mia testa spiccava, nonostante i capelli fossero in disordine e fin troppo ricresciuti.
La mia canottiera bianca era fin troppo trasparente e lasciava intravedere fin troppo il top nero che avevo sotto, guardai poi i miei pantaloni a righe bianche e nere e pensai “questi pantaloni ne hanno viste di cotte e di crude.”, tra un pensiero e l’altro riuscii a finire la registrazione e mi avviai, seguita da Joh, nella stanza in cui Red stava registrando le parti di batteria, mentre Jenna rimase a provare i suoi ari assoli di chitarra.
Entrammo nello stanzino con tutte le attrezzature dove trovammo Charlie seduta davanti ai mixer che fissava Red sorridendo.
Charlie, a differenza di ciò che il suo nome lasciava intendere, era una meravigliosa ragazza nonché la nostra seconda chitarrista.
Aveva dei lunghi capelli blu, lunghissimi dal lato destro della testa e rasato sul sinistro, portava un cappellino grigio con il simbolo della Vengeance University, dei jeans stretti, un paio di anfibi neri e una maglia dei Simple Plan.
“Come se la cava ?” chiese Joh, prendendo posto su una sedia vicino a Charlie e facendomi cenno di sedermi sulle sue ginocchia, obbedii ed affondai poi il viso nell’incavo del collo della mia bassista.
“Tutto bene, ha detto che non uscirà da lì finché non ha finito tutto.” Disse, scuotendo la testa, Charlie.
“E tu a che punto sei ?” chiesi, senza alzare il viso dal collo di Joh.
“Finito tutto, voi ?”
“A me manca una piccola parte di una canzone, poi sono apposto.” Annunciò, orgogliosa, Joh.
“Io ho finito poco fa.” Sussurrai.
“FANTASTICO!” gridò Red dall’altra parte del vetro.
Mi girai e la vedi alzarsi e riaffiorare da dietro la sua gigantesca batteria rossa, legò i capelli –anch’essi rossi- in una coda alta e si stiracchiò mostrando per intero la maglia dei misfits e la scritta Vengeance sulla gamba della sua tuta nera ed infine le orribili infradito rovinate.
Arrivò da noi e ci sorrise per poi piegarsi e dare un bacio di sfuggita a Charlie che le sorrise dolcemente.
“Da oggi poi sono il vostro dio.” Annunciò Red.
“Perché mai ?” chiese Charlie.
“Perché ho finito prima di tutti a registrare tutte le mie parti, AH!”
“Sbagliato, io ho finito due ore fa e Chelsea cinque minuti fa.” Le disse, sorridendo, Charlie.
“Oh.. fanculo!” gridò Red “Andiamo a fumare!” annunciò, e si diresse verso l’uscita seguita da Charlie.
Stavo per alzarmi ma Joh mi trattenne, stringendomi a sé.
“Non devi fumare.” Disse, sorridendo malvagiamente.
“Oh e dai Joh! Lasciami andare o giuro che..” iniziai a cercare di divincolarmi, invano.
“Giuri che.. ? Sono curiosa!”
“TI MORDO.”
“Voglio proprio vedere se ne hai il coraggio.” Scherzò lei.
Sorrisi e mi avvicinai, lentamente, al suo viso e lei iniziò a fissarmi, le nostre labbra erano così vicine che potevo sentire il suo respiro infrangersi contro le mie labbra.
La fissai negli occhi per qualche istante poi scattai verso una sua spalla e le assestai un morso fortissimo.
Joh, imprecando, lasciò la presa su miei fianchi per portare una mano sul punto che avevo morso e alzarsi di scatto ed io, ridendo, corsi via, sfrecciando davanti a Jenna intenta a suonare e mi fiondai nel cortile, buttandomi in braccio a Red gridando “VUOLE UCCIDERMI!”
Dopo qualche secondo, Joh spalancò la porta gridando “PICCOLA NANETTA MALEFICA, QUESTA ME LA PAGHI!”
Joh mi prese in braccio ed iniziò a farmi il solletico, poi si stancò e si lasciò cadere su una sedia sempre con me in braccio ed io mi arrotolati su di lei poggiando la testa su suo petto, accendendomi una sigaretta e sentendola sbuffare per poi iniziare ad accarezzarmi la testa.
Poco dopo ci raggiunse anche Jenna che prese posto vicino a Charlie.
“Ci credete ? Tra tre giorni pubblicheremo il nostro primo album.” Sussurrò Red.
Joh sorrise, Jenna scosse la testa, Charlie arrossì ed io mi arrotolai ancora di più in braccio a Joh.
La mia mente fu colpita dal ricordo dell’ultima sera che avevamo passato in Italia, la sera che eravamo scappate di dirette in California senza una lira in tasca e solo con tanta voglia di fare musica.

 

 

 

 

Il mio telefono squillava all’impazzata, si fermava per qualche secondo poi riprendeva.
Ma non potevo rispondere.
Ero impegnata a difendermi da mia madre che mi lanciava qualsiasi tipo di oggetto che le capitava sotto mano.
“SEI UNO SCHERZO DELLA NATURA, MI FAI SCHIFO” gridava mia madre ed io correvo per casa, in lacrime.
Afferrai il cellulare da sopra il tavolo e mi lanciai al piano di sopra, barricandomi in camera e portando l’armadio davanti alla porta.
Risposi al telefono, era Joh.
“Baby, va tutto bene ? Cos’era quel messaggio ? Che succede ?”
“Mia madre ha dato di matto di nuovo, Joh, non ce la faccio più. Ti prego. Portami via..”
Ci fu qualche istante di silenzio poi Joh sospirò.
“Ora basta..” sussurrò “Prepara le valigie, vengo a prenderti.” Ed attaccò.
Non c’era bisogno di dirlo, tirai fuori la valigia che tenevo pronta sotto il letto, poi presi il mio zainetto e ci infilai dentro cellulare, sigarette, portafogli e il brattolino con tutti i soldi che avevo raccolto negli ultimi 10 anni poi mi misi in spalla la chitarra acustica che mi avevano regalato le ragazza per i miei diciotto anni, afferrai tutti i miei CD dalla mensola e li infilai nella valigia, buttai in borsa tutti miei quaderni con gli appunti ed infine mi infilai le scarpe e rimasi in attesa davanti alla finestra della mia camera che dava sulla strada.
Dopo circa un’ora vidi la Jeep di Joh fermarsi dall’altro lato della strada, lanciai la valigia sul cespuglio sotto la mia finestra, mi misi lo zaino in spalla e mi buttai anche io.
Mi rialzai, afferrai la valigia e corsi verso la macchina, lanciai la valigia nei sedili posteriori e salii di fianco a Joh che partì sgommando, mi allacciai la cintura e la guardai “E ora ?” chiesi, con la voce tremante.
“Take my hand, we get away.” Disse, stringendo poi la mano che le porsi.
Annuii, passammo a prendere le nostre migliori amiche, Jenna, Red e Charlie che erano state avvisate da Joh ed avevano le valigie pronte, salirono in macchina e partimmo.
Passammo intere settimane in giro per vari motel suonando ogni tanto nei locali per racimolare soldi fino al giorno in cui una donna che possedeva una casa discografica ci notò e ci portò in California dove partecipammo a vari festival per band emergenti fino ad arrivare a cominciare ad incidere il nostro primo album.

 

 

 

 








“Chelsea ? Ci sei ? Sei connessa ? Terra chiama Chelsea, terra chiama Chelsea!” continuava a ripetere Red, passandomi una mano davanti agli occhi.
“Oh, sì, sì scusate! Ero sovrappensiero” dissi, sorridendo.
Mi alzai seguendo le altre e fui subito seguita da Joh che mi fu a fianco in un istante e mi circondò le spalle con un braccio.
“Allora, andiamo prima dal tatuatore o prima a mangiare qualcosa ?” chiese Jenna, salendo in macchina.
Joh si mie alla guida della macchina ed io presi il mio solito posto di fianco a lei.
“ANDIAMO A MANGIARE!” gridò Charlie.
“CONCORDO!” continuò Red.
“Oh, non rompete, il tatuatore poi rischiamo di trovarlo chiuso.” Dissi io, fulminandole entrambe con lo sguardo.
Joh sorrise e partì “Quindi, tatuatore e poi pizzeria ?” chiese poi.
“Sì!” gridammo noi altre in coro.
Eravamo tutte ricoperte di tatuaggi, ma avevamo tutte un posto libero, sul polso sinistro.
Lo avevamo tenuto apposta.
Dopo qualche minuto Joh parcheggio e tutte scendemmo ed entrammo nel negozio di tatuaggi dove la nostra amica Sally, nonché la nostra tatuatrice di fiducia, ci trascinò tutte nella saletta privata.
Raccontammo a Sally la nostra giornata ed una ad una, a partire da Red, iniziammo a farci tatuare.
Io fui l’ultima.
Sorrisi quando stringendo le mani delle mie amiche tutte e cinque fissammo la nuova scritta fissata per sempre ad inchiostro sotto la nostra pelle.
“Take my hand, we get away.”  Sussurrammo in coro mentre guardavamo quelle parole ancora un po’ rosse incise sui nostri polsi ed infine ci abbracciammo.
Salutammo Sally e poi uscimmo dal negozio dopo aver pagato ed andammo in pizzeria dove passammo il resto della serata ridendo e facendo un casino, come nostro solito.
“ACCIDERBOLINA, MA C’E’ UN UNICORNO QUI IN QUESTA STRADA!” gridava Red, barcollando con un braccio intorno alle spalle di Charlie che, con le guance tutte rosse e senza smettere di ridere, gridò “RED SMETTILA SEI UBRIACA!”
“Anche tu, Charlie.” Sussurrò Jenna, costretta a sorreggere le due.
Io ero aggrappata dietro la schiena di Joh che mi teneva come fossi uno zainetto.
Passeggiavamo allegramente per le strade della California, molti negozi erano ancora aperti e le strade, così come le spiagge, erano affollate da milioni di turisti, dopotutto era estate e la sera lì potevi fare anche le 4 di notte in giro per le strade senza sentire freddo.
“ODDIO, QUESTO NEGOZIO MI PIACE!” gridò Red, fiondandosi in un negozietto indiano e trascinando con se Jenna e Charlie.
Joh sbuffò e poi le seguì, una volta nel negozio mi mise delicatamente giù e mi poggiò una mano in testa scompigliandomi i capelli.
Ero presa a guardare quanti tipi diversi di candele ci fossero lì dentro quando Joh mi chiamò.
La raggiunsi al bancone e lei mi disse “Tira su il polso destro” ed io obbedii.
Lei mi legò intorno al polso un bellissimo braccialetto con due cordicelle azzurre che tenevano un mini acchiappasogni.
Io adoravo alla follia gli acchiappasogni, a tal punto che ne avevo uno enorme tatuato dietro il collo, così le saltai in braccio ed iniziai a gridare “GRAZIE, JOH, GRAZIE!”, lei sorrise, mi strinse per un po’ poi mi rimise giù.
Alla fine uscimmo dal negozio salutando il gentile signore che ci aveva lasciate girare liberamente per tutto il negozio.
Joh mi riprese sulle spalle e ricominciammo a camminare.
“SORELLE!” gridò Red e tutti ci girammo a guardarla.
La sbornia le era passata, si sentiva dal tono di voce.
“SIETE LA MIA FOTTUTA VITA, GRAZIE DI TUTTO!” annunciò.
Tutte quante scoppiammo a ridere e gridammo “ A NOI CHE ARRIVEREMO IN CIMA AL MONDO!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E questa one shot è tutta dedicata a loro, le mie donne.
Red, Jenna, Joh e Charlie.
Ragazze, arriveremo in cima al mondo, ok ? Questa one shot è solo per ricordarvelo.
Ce ne andremo.
Vi amo ragazze, vi amo davvero.



Ci tengo a precisare che la parte in grassetto prima della storia è roba mia, chiaro ? Chiaro aw
Detto ciò, adios,
Somuchlove,
Sah. 

  
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