Nota iniziale: Prerequisito per aver letto questa storia
è aver letto "Untitled", stesso autore, sezione originali, nonsense
Altrimenti non ci capireste molto. Alcuni personaggi sono gli stessi trovati in Namarie, che si colloca circa due anni dopo questa.
Detto ciò, vi auguro buona lettura.
Without Inspiration
Cap I
Fa freddo la mattina presto, a dicembre. Troppo freddo.
Reprimo uno sbadiglio e salgo sull’autobus. È odioso doverlo prendere alle
sette del mattino, perché ciò comporta svegliarsi alle sei, per essere pronti.
Ma è il prezzo da pagare per abitare lontano dal centro della
città.
Specialmente se la città è triste, come Trieste.
Prendo posto sul
mezzo, che rallenta di nuovo. Alla fermata sale una ragazza.
I suoi capelli
sono lunghi, di un biondo scuro che può apparir castano e mossi in modo tale da
sembrare un cespuglio. I suoi occhi nocciola mi notano. La saluto.
Prende
posto di fronte a me e mi sorride.
- Hai studiato fisica?- domanda.
In
risposta, rido. Posso impegnarmi quanto voglio, ma il libro perderà sempre
interesse, dopo qualche minuto. Sono una persona con la testa fra le nuvole, non
posso farci nulla.
Quando mi chiede il motivo di tale reticenza, non dico
nulla. Per risposta, osservo l’alba, fuori del finestrino. Devo ammettere che
uccide un po’ la poesia, guardarla dall’autobus, ma vedere le prime luci
riflettersi sul mare compensa il tutto. Infatti, anche la mia amica mira lo
spettacolo mattutino.
Mentre l’autobus continua il suo viaggio, ella nota il
mio sguardo perso.
- Kyle?-.
- Dimmi, Jess-.
- Che cos’hai stamattina?
Sembri perso. E intendo, più del solito-.
Jessica. Ormai mi conosce così bene
da carpire il mio stato d’animo all’istante. Per questo la considero mia
sorella, come ella considera me un fratello.
- Nulla, pensieri raminghi-
rispondo. Mi appoggio una mano sulla guancia, ricalcando il punto dove sono
stato colpito, solo il pomeriggio prima.
Quella ragazza è ancora fissa nella
mia mente. Quegli occhi, sono fissi nella mia mente.
- Kyle!- urla Jess,
riportandomi alla realtà.
- Che cosa c’è, ora?-.
- Dobbiamo
scendere-.
Smontiamo dal mezzo e ci avviamo su per la salita che porta al
liceo.
Mentre aspettiamo che il professore della prima ora arrivi, Jess prova
di nuovo a farmi dire che cosa mi turba. Invano.
Il professore arriva,
portandoci per un’ora ai tempi di Galileo, Copernico e Keplero. Dal canto mio,
sono impegnato in un disperato ripasso dell’ultima ora. Tragicamente (e come
sempre accade, quando si è in queste condizioni), nel momento in cui memorizzo
una formula, quella che ho imparato poco prima, svanisce. Poco male.
L’ora
passa velocemente, forse troppo.
Non ha neanche suonato, che i miei compagni
han già cominciato a dividere i banchi.
Puntuale come al solito, sento
Therese, la ragazza alle mie spalle, dirmi qualcosa del genere: - Kyle, ho
paura! Non ho studiato nulla, andrò male…-.
E, come al solito, Luke (il suo
ragazzo) ed io siamo pronti a dirle che non è vero, che andrà bene, che il
peggio che potrà prendere sarà un sette.
Finalmente entra il prof, felice di
trovarci già divisi.
Non perde tempo, mette un plico di fogli in mano a
Kimberly, un’altra nostra compagna di classe, affinché li
distribuisca.
Guardo Jess ed allungo la mano.
- Tre/quattro?-.
Ella
afferra la mia mano e la stringe con vigore.
- Tre/quattro- afferma. Oramai è
il nostro “rito propiziatorio”. Perché entrambi sappiamo che il nostro voto sarà
molto probabilmente un tre/quattro. È da aprile che siamo abbonati.
Campanella.
Intervallo.
Finalmente.
Consegno,
rassegnato, ed esco dalla classe, insieme a Jessica, Jack e ad un altro paio di
compagni. La conversazione verte inevitabilmente sul compito. Inutile dire che
le rette dei grafici andavano in una direzione diversa per ognuno di noi e che
il peso delle auto variava dai cento ai tremila chilogrammi.
Usciamo sul
retro, dove incontriamo tutto il gruppo d’amici delle altre classi, raccolti
sotto un piccolo portico.
Vengono estratti pacchetti, accendini girano e,
dopo poco tempo, la maggior parte di noi ha la sigaretta che pende dal labbro.
Tranne quei pochi che non fumano, di cui facevo parte anch’io, fino all’anno
prima.
Si parla del più e del meno, si ride, pensando ai voti che il prof ci
riporterà, finché Jack non ci ricorda che quel sabato sarebbe stato il suo
compleanno.
- Ti tirerò diciassette volte la coda- scherza Jessica,
ironizzando sulla chioma castana di Jack.
- Orco bubbetz, ti prova e te
verserò Jack per tutti i cavei!- risponde Jack in dialetto, imprecando e
minacciando di cospargere del Whisky suo omonimo i capelli di
Jessica.
Accanto, un paio di altri ed io ridiamo alla scena.
- Organizzi
qualcosa?- domanda Helena, accanto a me.
- Mah, non so. Pensavo di offrire da
bere in birreria, nulla di più-.
- Ti dispiace se viene anche una mia amica,
allora? Perché le avevo promesso che questo sabato saremmo andate da qualche
parte assieme- asserisce la ragazza, scostando uno dei suoi riccioli bruni da
davanti agli occhi color acquamarina.
- Basta che sia carina- afferma egli,
con un sorriso.
Una risata copre la campanella di fine intervallo.
***
Finita. Passate le altre tre ore di lezioni, usciamo
dall’edificio, pronti ad andare a prendere l’autobus per tornare a Muggia.
Mi
chiedo se per caso la rivedrò. Dubito, poiché ieri stavo tornando a casa ad
un’ora più tarda.
- Allora, a Jack che cosa possiamo prendere?- comincia
Jessica, per avviare il discorso.
- Non saprei. Tu che cosa gli
regaleresti?-.
- Non ne ho la più pallida idea. Che dici, questo pomeriggio
facciamo un giro per le librerie? Si trova sempre qualcosa
d’interessante-.
Annuisco. Ella tira fuori il suo fido compagno, il lettore
mp3. Lo stesso faccio io con l’iPod.
Continuiamo così il viaggio, con una
cuffia soltanto, parlando del più e del meno.
Per le mie orecchie passa un
po’ di tutto, da Venditti e la sua “Notte prima degli esami” alla voce carica di
passione di Jim Morrison.
Nelle orecchie di mia sorella, invece, passa una
vasta gamma di Rock’n’Roll e Metal, abilmente assortiti.
All’altezza del
cimitero di Muggia, mi domanda di nuovo che cosa mi stesse assillando, quella
stessa mattina. Sospiro.
Le racconto dell’incontro, degli schiaffi. Sorride,
sentendo che mi sono preso una sfilza di ceffoni destinati ad un altro. Sorrido
a mia volta. Ha un che di tragicomico, rinarrare la vicenda.
Arriviamo
finalmente alla stazione, dove ci sediamo sulla solita panca. La stessa dov’ero
il giorno prima.
Jess mi domanda se tutto il turbamento derivi solo dagli
schiaffi. Sospiro nuovamente, sorrido e la guardo.
- No-.
- Da che cosa,
allora?-.
- Son come Petrarca- asserisco.
Coglie l’allusione. Mi sorride
anch’ella. Mi dice che sono decisamente romantico. Forse un tantino
troppo.
Le rispondo che concordo.
L’autobus numero trentadue sale sulla
collina, portandoci a casa. Ci diamo appuntamento ad un’ora più tardi e ci
salutiamo. Il tempo di appoggiare i libri, mangiare un boccone e rilassarsi un
secondo.