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Autore: Sorella_Erba    01/06/2008    2 recensioni
In realtà, dormire immerso nella profonda oscurità è una nuova abitudine, adottata in seguito alla notizia della morte del fratello.
In realtà, rimanda l’impegno di radersi; improvvisamente, dopo anni trascorsi in preda al narcisismo, lo specchio sembra esser divenuto il suo peggior nemico.
In realtà, Sirius ha paura: non vuole incrociare quegli occhi che l’hanno ritenuto colpevole di aver poco amato.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Dead Mirror ~

 

“Dead mirror
Bad reflection
A sad sight
The face of exploitation”

 


La luce del giorno penetra dalle lunghe tende, sgretolando le ombre che avvolgono la camera in un buio soffocante.
Chissà per quale curiosa ragione Sirius Black ami dormire nella totale oscurità.
Non prova né asfissia, né tanto meno paura. Un discepolo di Godric Grifondoro mai, mai deve mostrarsi turbato dal terrore.
Soltanto, il buio sembra dargli conforto.
È uno degli abbracci che lo aiutano ad andare avanti; uno dei rari, sinceri abbracci che abbia mai ricevuto in vita sua.
Un abbraccio fraterno, quello delle tenebre. E quell’improvvisa invasione di luce pare disturbare i suoi fuligginosi sogni d’amore.
Le coperte che lo avvolgono si raggrinzano di più sotto l’influsso dei suoi movimenti spazientiti. Quasi come a prendersi gioco di lui, alcuni raggi colpiscono l’esatta posizione del suo viso sul cuscino destro del letto a due piazze.
Sirius mugugna, sempre più irritato, fino a quando non decide di mettersi a sedere sul materasso ancora tiepido del suo calore. Si stropiccia un occhio con le nocche della mano destra, mentre uno sbadiglio vistoso gli si apre sulle labbra.
I capelli arruffati, le guance e il mento ruvidi di barba non fatta, occhiaie impossibili da non notare: Sirius Black non pare essere in una forma alquanto smagliante.
Ma si sa, in periodi come quello curarsi del proprio aspetto è decisamente l’ultima cosa a cui pensare.
La guerra permette poco.
Grattandosi la nuca con fare annoiato, Sirius si sposta per portarsi al margine del letto e poggiare i piedi scalzi sul pavimento. Il freddo delle piastrelle lo colpisce all’istante: sente i muscoli delle gambe contrarsi e i peli rizzarsi. Ma continua a tenerli ben piantati a terra, quasi con masochismo, mentre piega il capo da un lato e dall’altro per sgranchirsi il collo – la bocca e gli occhi socchiusi in un’espressione rilassata e ancora assonnata. Inspirando con vigore, inizia a guardare la sua stanza da letto.
La sua stanza da letto? Si commisera con un ghigno appena accennato.
Non ha più una camera da letto – una casa – da quando i Mangiamorte hanno scoperto il suo vecchio nascondiglio. Quella in cui dorme nelle notti in cui non è di turno, è una delle camere da letto della casa di Benji Fenwick.
Quella, è la temporanea camera che racchiude i suoi incubi, prima che qualcun’altra ne prenda il posto.
Le incertezze sono sempre stata alla base della vita di Sirius; ha vissuto di esitazioni per sedici anni, in una casa dalla dubbia morale. È stato lui stesso un dubbio, una perplessità.
E poi, un cambiamento.
È risaputo: ogni incertezza muta la realtà, in seguito ad una presa di posizione.
Nemmeno i cambiamenti sono stati un problema per lui. Dopo i sedici anni, dopo essere diventato un uomo, la sua vita è stata costellata da varie metamorfosi, alcune importanti, altre quasi irrilevanti.
E adesso – in seguito ad un ennesimo cambiamento – eccolo qui, statico sull’orlo di un letto non suo.
Un raggio di sole colpisce il pavimento grigio, facendone brillare il colore con fioca intensità.
Col solo osservare quel misero lembo di mattonelle, Sirius deglutisce a difficoltà, le mani incrociate e i gomiti piegati sulle ginocchia.
Quel grigiore… quel colore appare così… morto.
Perché non riesce a brillare? Non può più?
Perché neanche la luce del giorno lo ridesta? Perché non ritorna ad essere vivo?
Ricorda l’innocenza della fanciullezza, quando sperava e credeva che l’accecante chiarore diurno cancellasse anche il più debole lembo di oscurità, ogni traccia di timore.
Sente il suo cuore pulsare, veloce.
Batte solo per nostalgia e rimorso.
Batte per rimpiangere l’ingenuità, la mente giovane e spensierata, gli occhi sinceri, i momenti di fresco candore che già si sono dissipati.
Gli istanti in cui aveva ricevuto un vero abbraccio – diverso da quello delle tenebre – e non l’aveva apprezzato come di dovere.
Sirius aguzza lo sguardo e delle sottili rughe si modellano attorno al contorno acuminato degli occhi. Nelle sue iridi si riflette il flebile bagliore del sole, i cui raggi battono sulla cornice ossidata di uno sporco specchio, posto sulla parete opposta al letto.
Sirius lo guarda e, mentre incontra i suoi stessi occhi, il suo cuore perde un battito.
Le iridi argentee, con brutalità, sembrano ispirargli parole inconfessabili, inaudibili. E distoglie immediatamente lo sguardo, amareggiato.
Afflitto dalla sua condizione, dal suo misero stato, dalla sua trasandatezza.
Da sé stesso – e non solo.

 

§


Se in passato gli avessero predetto quale sarebbe stato il suo più grande timore, senza esitazione avrebbe pensato alla morte. La propria morte.
Adesso quel pensiero gli suona addirittura ridicolo.
Sta attraversando tremante di freddo e di paura le acque melmose e oscure di un mare ignoto. Percepisce un soffocante puzzo di sporco investirgli le narici, misto all’odore di salsedine, e il peso dell’elfo domestico che sorregge gravargli sulla schiena.
Poi, nulla più.
Non prova niente ormai da tanto, tanto tempo.
Solo il più puro terrore.
L’elfo grugnisce, piano, temendo di dar molestia al proprio padrone. Punta un dito tozzo e sudicio in direzione di una caverna buia.
Al che, Regulus arresta un momento la disperata traversata per puntare gli occhi dove indicato. Il suo respiro s’infrange sulla superficie nera del mare, increspandola di onde e bollicine, e i suoi occhi si allargano.
Ritorna all’improvviso a percuotere l’acqua con maggior forza: le braccia si allargano come se volessero aprire una breccia nella superficie tetra, le gambe combattono la pesantezza della gravità. Il suo respiro è anelante.
È stanco, Regulus.
«Padrone?».
Il grugnito dell’elfo è incerto. Sembra aver colto la nota d’affanno che le sue labbra soffiano ancora, e ancora, ancora.
«Non è niente… niente».
Le sue mani si aggrappano alla roccia dura e umida, instabili, sbucciandosi i palmi e i polpastrelli. Si accascia un momento al suolo a pancia in giù, con le braccia a proteggere il viso magro dagli angoli taglienti degli scogli; sente il suo elfo muoversi e scendergli dalla schiena.
«Padron Regulus, padron Regulus!».
Regulus riconosce le mani dell’elfo: sussultano con violenza, tenendolo stretto per i polsi. Istintivamente, si raddrizza e si ritrae da quella lurida presa, osservando il piccolo essere ad occhi sgranati.
Uno sguardo colmo della più profonda ripugnanza.
Ma incontrando gli occhi iniettati di sangue e ora umidi di Kreacher, l’espressione del suo volto si mitiga, fino ad addolcirsi.
È l’unica creatura vivente a voler ancora rimanergli accanto e… chissà, magari ad amarlo.
Allunga un braccio verso di lui, vacillando ed invitandolo.
«Guidami, Kreacher», gracchia gentile.

§


Lo stretto bagno di Benji, al piano di sopra, accoglie solo l’essenziale: un lavandino, un gabinetto e una vasca da bagno dall’aspetto malandato. L’unica finestra che illumina l’ambiente ha dei vetri intorbidati che impediscono alla luce del sole di infiltrarsi al suo interno.
Un bene.
Rischiarandolo, quei raggi aurei non farebbero che accentuare la sua aria spenta, sciatta e noncurante.
Ciò che più gli fa male, è la consapevolezza che – anche se lo pervadesse del tutto – quel chiarore raggiante non lo farebbe più risplendere. Non come un tempo.
Sirius apre il rubinetto del lavabo con un colpo secco della mano. L’inconfondibile fiotto dell’acqua corrente gli riempie le orecchie; aggrappato ai bordi del lavandino, osserva affascinato lo scorrere veloce ed impetuoso del liquido incolore, prima che finisca inghiottito dalla piccola cavità buia.
Gli occhi impenetrabili, le narici dilatate, le labbra un sottile tratto rosa pallido sul volto diafano e contratto in un’espressione seria.
Le mani gli tremano, serrate spasmodicamente attorno ai margini freddi e marmorei.
Se drizzasse di solo pochi centimetri il collo, incrocerebbe la sagoma sciupata di un uomo consumato e stanco della vita, seppur nel fiore degli anni.
Ma non vuole, Sirius.
Alzare il viso, incontrare la persona che più l’ha mutilato in vita sua e affrontarla è come concedersi spontaneamente al martirio.
Lì, attaccata alla parete, sopra il vecchio lavabo di casa Fenwick, si erge una specchiera. Ed è semplicemente ridicolo il non voler guardare un riflesso su quella superficie incrostata di sporco.
Se James lo vedesse in questo momento, si farebbe delle grasse risate.
«Non ci credo! Per le mutande di madama McGranitt, non posso crederci! Sirius Black, l’uomo più narcisista di questo pazzo, pazzo mondo, non vuole davvero guardarsi allo specchio? Scherziamo? Sei davvero Sirius Black?».
La sua risata – acuta, scrosciante, limpida, sincera e così genuinamente fraterna – gli scorre nelle orecchie anche se James non è al suo fianco. Se lo immagina, allegro e pimpante anche se segregato in casa, con un marmocchio a cui star dietro e una moglie alle calcagna.
E la domanda…
Sei davvero Sirius Black?
Un crudele interrogativo che evidenzia mesi e mesi di cambiamento.
Lo è veramente, Sirius Black?
È Sirius Black l’uomo che si deprime chiuso in un bagno malridotto?
Sorride a quei pensieri.
La triste verità è che sì, quell’uomo chino su di un lavandino è proprio l’egocentrico Sirius Black, atterrato dalle perdite di una guerra voluta da un signore senza scrupoli e nome.
Lottare per sopravvivere sta diventando il suo motto.
Ogni mattina, alzandosi dal letto, le facce di tutti i caduti si ergono dinanzi ai suoi occhi ancora pesti di sonno. Visi amici e traditori, amati ed odiati. Volti di uomini e donne, morti nel nome di nessuno, per ideali che forse nemmeno avevano compreso.
La guerra, ai tempi di Hogwarts, sembrava un puro atto di coraggio e sacrificio. Una prodezza degna di un eroe.
Avrebbe dovuto essere tutto così diverso…
Discutere, enfatizzare e ridere anche, impegnandosi in promesse che – ora – sembrano enormemente gravose e difficili da mantenere: Hogwarts ha avuto solo il sentore di una guerra. Loro hanno avuto solo il sentore di ciò che adesso appare letale e senza fine.
Il respiro ritorna a quietarsi, pensando ai vecchi amici.
James, Remus, Peter e tutti gli altri si trovano al sicuro, per il momento, chiusi come lui in rifugi a prova di Mangiamorte. Non gli sarebbe accaduto nulla; non c’è motivo per allarmarsi.
Eppure… non vuole ancora scorgere i suoi stessi lineamenti nello specchio che, malvagio, glieli scaglia contro.

§


Kreacher si erge in tutta la sua esigua statura sulla prora della barca.
Il legno scricchiola, le acque nere s’increspano.
Regulus tiene gli occhi chiusi e ogni rumore, anche il più debole, sembra duplicare d’intensità, stordendogli la mente.
«Padrone, padrone».
Il timbro rauco della voce dell’elfo sovrasta gli altri suoni; il suo sussurro colpisce le pareti della caverna buia.
Se lo immagina con le mani aggrappate ai bordi dell’imbarcazione e il grugno rivolto verso di lui.
«Padron Regulus, siamo arrivati».
Da sotto le palpebre, Regulus nota come il buio si sia di poco alleviato. Sente che la barca approda nella riva rocciosa, scricchiolando maggiormente, ed apre gli occhi.

§


È come se una mano sbucata dal nulla ti stringe la gola. Soffochi e tossisci, alla ricerca disperata di ossigeno.
È come quando il cuore si spezza e ne perdi un frammento, irrimediabilmente e per sempre. Puoi correre a cercalo ovunque: nei ricordi, soprattutto.
È come…
Come? Come cos’altro ancora, si domanda Sirius?
Ogni notte, nel buio della camera da letto, ha pensato alla scomparsa di suo fratello.
Regulus. Scomparso. Morto. Sa già per mano di chi.
Ricorda quella mattina in cui fu James a dargli la notizia.
«Ehi, Felpato», gli disse entrando nell’atrio impolverato di casa Fenwick. Da una porta che si affacciava all’ingresso, sbucò la testa di Sirius.
«Ramoso! Per Merlino, mi hai fatto prendere un colpo! Che c’è, cos’è successo?».
Gli è ancora impossibile dimenticare l’espressione di James. Enigmatica, inafferrabile come le emozioni che aveva dentro. Ci furono attimi di silenzio, nei quali Sirius si limitò a squadrarlo corrucciato.
«James». È tipico di Sirius chiamare l’amico per nome solo in casi particolari. «Non sono molto paz…».
«Ci è giunta notizia della scomparsa di tuo fratello, Sirius».
Sirius stringe gli occhi. Come allora, come quand’era stretto nell’abbraccio di James, non è capace di arginare il dolore.

§


«Va’ via, Kreacher! Va’ via!».
Grosse lacrime rigano il volto rugoso dell’elfo; ha il naso più rosso del solito.
«Padrone, no!».
La caverna si riempie dei singhiozzi di Kreacher.
Regulus grida a gran voce, ansimando e reggendosi sul bordo del sostegno marmoreo, al centro dell’isolotto. D’improvviso, le sue urla si troncano e volge gli occhi alla riva.
La superficie s’increspa, dei tonfi attutiti provengono dal fondo del mare nero.
«Kreacher, ti prego…».
Le acque si aprono ed è la fine.
«Ti ordino di fuggire senza di me. Trova una maniera per distruggerlo».
I passi degli Inferi sono scanditi dal battito del suo cuore. Regulus sente dei fruscii alle sue spalle. Vesti strappate e zuppe di acqua sporca, carne morta e bianca che, senza rendersene conto, lo abbranca per le spalle.
L’elfo, con al collo il medaglione, tiene due dita alte all’altezza del viso. Una lacrima scivola sul suo mento fino a cadere per terra.
«Dillo a Sirius».
Le sue ultime parole, i suoi ultimi pensieri, sono infranti dallo schiocco secco della Smaterializzazione.

§

 

“Dead eyes
Stitched together
Broken dreams
Of a life that's better”


Si sorprende delle sue lacrime. Si sorprende dei suoi occhi.
Nell’oscurità del bagno di Benji, le iridi assumono una strana tonalità.
Sembrano gli occhi di Regulus, i suoi.
«A cosa pensavi prima di morire? Com’è stato dire addio?».
Il naso, l’ovale del viso, la bocca sottile che si schiude al ritmo delle parole.
È uno specchio morto a parlargli.
«Un giorno toccherà anche a me, Regulus. E quel giorno, penserò al tuo viso».
Gira il pomello e apre la porta.
Mentre il tonfo dei suoi passi solleva la polvere, Sirius sospira.

 

 

I suoi occhi sono spenti, oramai.

 

 

 

! Il titolo e i vari frammenti di testo all'interno della fanfiction sono stati presi dall’omonimo pezzo dei Nasum, Dead mirror.

   
 
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