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Autore: Niagara_R    14/01/2014    1 recensioni
Non è facile voltarsi dall’altra parte quando ormai anche l’altra parte ha tracce di me, delle mie verità, dei miei segreti stampati su ogni superficie e nessuno se ne accorge.
Non so cosa mi faccia sentire peggio. Che abbia il costante timore che io non riesca a occultare nulla, o che non una singola persona ci faccia caso.
O sono io bravo a fingere, o sono loro a non essere attenti.

Tratto dalla quarta immagine.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Jake

Questo silenzio mi fa impazzire. E vorrei dirlo ad alta voce, ma mi prenderebbero per pazzo perché c’è sempre un casino che ferisce i timpani.
Il silenzio dietro le parole, che si leva come aria calda però decide di stagnare in basso, dove non si nota, dove cala in secondo piano, dove nessuno se ne accorge e si espande sempre di più.
Vorrei essere capace di fare qualcosa di concreto per aiutare i miei amici, ma quando ci penso è come se avessi le mani legate, come se sbattessi continuamente la fronte contro una parete invisibile che mi tiene lontano dai loro quattro piccoli globi su misura. Dovrei fracassarli, dovrei prenderli a pugni finché non si infrangono. Ma poi?
Poi saprei cosa fare? No. Improvviserei. E non credo sarebbe una buona idea.
Mi sento impotente. Mi sento isolato di fronte a una sofferenza che avverto palpabile come acqua, che guizza via come serpi, che emana scintille fredde come azoto liquido, e vorrei fare, vorrei agire, vorrei urlare, ma a che scopo?
Io non riesco ad aiutarli.
Non riesco ad aiutare CC che per ogni frase che costruisce terminandola in automatico col nome di Lauren si blocca, si zittisce e abbassa lo sguardo ricordandosi che lei non c’è più ad aspettarlo.
Non riesco ad aiutare Jinxx che fa di tutto per indossare la corazza dell’impassibile ma non gli sta, è così stretta, logora e fragile che quando lo copre in un punto lo scopre in un altro, rivelandolo in tutta la sua disperazione.
Non riesco ad aiutare Ashley che finge, finge costantemente per mantenere alta l’immagine di sé che il tempo e le circostanze hanno costruito, che gli si è cucita addosso e vi si aggrappa perché sa il divario tra lei e il suo vero io si sta allargando inesorabile.
Non riesco ad aiutare Andy che quando vede la propria immagine riflessa in uno specchio sembra si stia per spaccare in mille pezzi.
Cosa devo fare? Come posso fare?
Ci sono volte in cui mi sento in colpa per essere come sono.
Positivo. Pragmatico. Pratico.
Mi sento in colpa perché l’empatia che provo nei loro confronti è vaga, contaminata dalla mia personalità e non mi permette di immedesimarmi quanto vorrei, non mi concede di comprendere appieno e trovare la giusta soluzione ai loro problemi.
Mi fa sentire freddo, anche se so di non esserlo.
Ho preso tutto da papà.
«Spirito libero.» dice sorridendo la mamma.
«Capriccioso.» dice la nonna.
«Cinico.» dice la zia - con cui direi che nessuno è in buoni rapporti.
Equilibrato, dico io. In ciò che fa, in ciò che faccio io, c’è sempre una sorta di equilibrio che tiene due piatti della bilancia perennemente paralleli, aggiustando quando serve di qua, quando serve di là.
Quando viene a mancare qualcosa su un piatto, si tampona con qualcosa preso dall’altro.
Se sovviene il panico opprimente che fare pesare un piatto, nell’altro ci sarà qualcosa che andrà a evaporarlo quel tanto che basta per pareggiare.
Se si sprigiona un sentimento forte, fortissimo su un piatto, nell’altro ci sarà qualcosa che lo smorzerà fino a rendere i pesi identici.
Un miracolo e una maledizione. Un sollievo e una vergogna.
Sono fatto così: penso che per quanto le cose vadano male, accadrà sempre qualcosa che le farà andare bene. E viceversa. Penso che per quanto le cose vadano bene, accadrà sempre qualcosa che le farà andare male. Fino a raggiungere il punto d’incontro in cui si creerà una staticità rassicurante, moderata e duratura, solida, ed è intorno a quella base che mi muovo la maggior parte dei giorni.
Ed è anche il motivo per cui non riesco a condividere i dolori, i segreti, le paure degli altri. Non fanno parte di me. Mi sono estranee, lontanissime dalla mia prospettiva, sono così vacillanti, provvisorie, imprevedibili, umorali, sono così travolgenti che i ragazzi non riescono in alcun modo a gestirle, e i loro equilibri saltano, sgroppano, crollano. Li massacrano.
E io da fuori riesco a vedere tutto quanto, ma non mi serve a nulla.
Posso anche dire loro di tenere duro e che questi momenti passeranno, di rilassarsi perché tanto piangersi addosso non risolverà niente, di lasciarsi andare e aspettare che dopo il dolore arrivi il sollievo... ma non servirebbe.
Hanno ferite talmente profonde che le parole non saranno mai in grado di lenire, so che il buonsenso si infrangerebbe contro muri che troverebbero il modo di capovolgerlo, so che il raziocinio è un dettaglio che diventa perfettamente trascurabile quando i sentimenti sono così forti da avere la stessa potenza di un ciclone tropicale che scardina e sventra tutto ciò che trova sul suo cammino.
Non so perché io non ne sia mai stato vittima diretta.
I miei sentimenti sono interiorizzati, installati nella base spirituale che è la mia anima a cui faccio affidamento, e che so che non può essermi portata via in nessuna maniera, da nessuno.
Ci sono state persone che mi hanno accusato di indolenza, di indifferenza, persino di alterigia, ma la verità è che vedo con gli occhi del presente, non del futuro. Imparo dal passato, assimilo dai miei errori, non mi fascio la testa prima di essermela rotta, non mi faccio illusioni solo per il gusto di farmele, non ripongo il mio avvenire in speranze che non dipendono da me.
Per me il futuro si costruisce attimo dopo attimo, vivendoli uno per uno, facendo le scelte giuste al momento giusto, in modo da procedere con qualche rimorso ma senza nessun rimpianto.
Allo stesso tempo, non crollo in ginocchio quando qualcosa si disfa.
Sono anche un fatalista, sotto sotto.
I sogni si interrompono, gli obiettivi non si raggiungono, le cose si guastano, le persone se ne vanno, e non c’è niente di facile. Constatazioni ininterrotte che crescendo mi hanno aiutato a costruire le pareti lisce del mio animo, quelle su cui tutto scivola e nulla resta impigliato, quelle che mi aiutano a non rimanere legato a quel che è stato ma mi spronano a darmi da fare per quel che vorrei che sarà.
Sia chiaro, questo non significa che io non soffra quando accade qualcosa di brutto.
Se Ella mi lasciasse ci starei malissimo.
Se succedesse qualcosa a un membro della mia famiglia ci starei malissimo.
Se ciò che ho messo in piedi con tanta fatica nel corso degli anni crollasse ci starei malissimo.
Se i Black Veil Brides si dovessero sciogliere ci starei malissimo.
Malissimo, sì. Ma non ne sarei annientato.
Non mi accascerei al suolo privo di forze e non mi sentirei come se la mia stessa identità fosse stata sbriciolata, non mi rifiuterei d’ora in poi di aprire gli occhi perché non ne varrebbe la pena, non preferirei essere morto piuttosto che affrontare il dolore lancinante che arriva dopo, quello caustico e corrosivo che erode da dentro e per quanto si cerchi di buttarlo fuori a forza di urla, lacrime e tagli non se ne va, e continua a ingoiarti vivo mentre ne sei consapevole.
Io no.
Loro sì.
Loro sì, e per quanti sforzi faccia per distrarli non mi riesce. E mi fa stare malissimo.
A essere onesti credo che il mio bisogno di apporre su di loro la mia filosofia sia una follia alimentata dal mio stesso istinto, che tende all’equilibrio e sente la necessità di aggiustare qualunque cosa e chiunque ci sia accanto a me. Non ci posso fare niente.
Non ci posso davvero fare niente, in effetti.
Certo, per CC e Jinxx sarà più facile. Le loro sono storie d’amore, sono cuori spezzati, sono insiemi di emozioni riconducibili a una sfera sentimentale che non si esaurisce ma che si riassorbe, nel tempo si sedimenta e decanta formando una polvere scintillante e tagliente, poco a poco si compatta e non trafigge più come prima, trasformandosi in ricordi malinconici da evocare durante i crepuscoli della mezza età.
Guariranno. Ci vorranno mesi, forse anni, e quell’ago che trafigge il battito non andrà mai via completamente, ma guariranno.
Sono Ashley e Andy che mi preoccupano.
I loro non sono solo problemi che strisciano sempre più in fondo, sempre più all’interno, ritagliandosi una nicchia nell’anima e da lì emanano fitte che scuotono più gli sguardi che le mani. Sono anche problemi che salgono in superficie. Sono problemi che condizionano le contingenze, le relazioni, le persone che hanno intorno, sono problemi grandi, pesanti, opprimenti, che rimettono in discussione anche il minimo pensiero e creano ombre troppo lunghe per il corpo che li contiene.
Sono segreti che custodiscono con una forza incomparabile, e non ho idea di come ci riescano. Io non ci riuscirei. Io non riuscirei a essere così stoico, così bravo nel dissimulare, nell’artefare, nell’imitare una tranquillità che non possiedo. Io non riuscirei a reprimere me stesso con tanta cattiveria.
Non so perché lo facciano.
Non so perché si odino tanto.
Forse pensano che sia sbagliato, forse sono convinti che ciò che li turba è irrisorio, inutile, irrisolvibile.
Cazzo. Come vorrei essere in grado di dire loro che non è vero.
Alcuni giorni ho la tentazione di prenderli a sberle, di tirare uno per i capelli e di prendere l’altro per il collo e sbatterli in due stanze separate per affrontarli a quattrocchi, per spiegargli che quei segreti prima o poi imploderanno e li spezzetteranno come tanti affilati frammenti di ghiaccio che si dissolveranno senza lasciare traccia di sé.
Non riesco davvero a capacitarmi del perché abbiano così paura ad affermarlo a voce alta. Hanno il terrore che qualcuno li possa ascoltare e quindi possa renderlo vero?
Più vero di quanto già non sia?
Hanno paura delle conseguenze? Quali conseguenze possono esserci di peggiore della propria autodistruzione?
Hanno paura di cosa dirà la gente, di cosa diranno i fan, i conoscenti, le famiglie, noi? Il giudizio del popolo è più importante della propria felicità?
Mi sento un incapace. Dovrei darmi da fare, parlare, diventare una sottospecie di psicanalista da strapazzo e tentare di risollevare il morale generale e far aprire tutti, ma è talmente difficile che ogni volta che ci provo vengo investito da un ventata fredda, che sa di ozono, ottundente e sedante, che strozza persino i pensieri.
Jinxx e CC non se ne sono accorti, almeno credo. Chris e Amy sì, ma sospetto che provino ancora più mortificazione di me perché si rendono conto di non capire affatto il proprio figlio. China e Jess non ne ho idea. Juliet se anche l’avesse fatto non me lo verrebbe a dire.
Litigo in perpetuo contro muri di cristallo che vorrebbero essere infrangibili, ma so che hanno un punto debole, so che c’è un’area minuscola che delimita lo spazio di rottura, e basterebbe un misero soffio per ridurle in frantumi e vedere tutto quello che c’è nascosto dietro.
Ma.
Ma io non l’ho ancora trovato, quel punto debole.
Ma se anche lo trovassi, non so se avrei sul serio il coraggio di colpirlo.
Ma non vorrei mai vedere i miei compagni senza difese, sciolti in un’insensata inadeguatezza che potrebbe chiuderli nella gabbia più pericolosa della diffidenza.
Vorrei che avessero fiducia in me. In noi. Nei Black Veil Brides.
Vorrei che tra noi non ci fossero incomprensioni, vorrei che fossimo un campo base l’uno per l’altro, uno stato neutrale in cui sentirsi liberi, una sorta di estensione compatibile con ognuno.
Purtroppo so che non è possibile.
So perché.
E m’incazzo con la vita quando penso che è un’immensa assurdità, che sarebbe bastato un dettaglio diverso per far andare ogni cosa nel migliore dei modi. M’incazzo perché è una storia irreale che non ha un verso preciso, così schifosamente scorretta e imperscrutabile come solo i sentimenti intensi sanno essere.
M’incazzo perché ho paura di far loro del male, m’incazzo perché ho paura che si faranno male da soli.
E so che non può durare. No.
Non durerà in eterno. Li conosco.
Li conosco troppo bene per non sapere che Andy non riuscirà a reggere questo stato di cose, perché lui è schietto, è acqua pura, Andy è trasparente come l’oceano verdazzurro degli atolli corallini, e il fatto che provi a nascondersi dietro uno specchio non farà altro che logorarlo, non farà altro che fargli raggiungere più in fretta la saturazione, e per quanto cercherà di tenerla a bada arriverà il momento in cui non saprà più riconoscere la propria immagine.
Ash... Ash non lo so.
Ash è intollerabilmente bravo a isolare ciò che vuole tenere sepolto. Lo accartoccia, lo maltratta, lo schiaccia dietro recite e omissioni e fa finta di dimenticarsene, lo ignora come un invitato indesiderato a una festa, e si volta dall’altra parte quando sente che ne proviene una debole pulsazione.
Mente.
Ma non so se lo fa anche a se stesso o soltanto al mondo intero.
Vorrei che fosse Ash ad aiutare Andy. Sa sempre cosa sta succedendo, sa sempre cosa sta facendo, non perde il controllo e le briglie che riesce ad apporre alle crisi sono talmente solide che probabilmente fanno male anche a lui.
Non succederà. Non succederà finché non si arriverà davvero al punto di rottura, e se da un lato vorrei che giungesse presto per poter risolvere ogni cosa, dall’altro spero che sia lontano ancora un eone o due. Perché niente sarebbe più come prima. Per nessuno di noi.
Io continuo a rimuginare, a elucubrare su questi argomenti nonostante mi renda conto che questa volta non posso fare nulla. Mi limito a fare il massimo che permettono le mie possibilità.
Mi alzo, sospirando. Prendo uno dei foglietti intestati accanto al telefono e un pennarello a punta fina, e scrivo un messaggio a CC. Un messaggio un po’ banale, che non ha niente da dire di diverso da quello che gli è già stato detto da chiunque altro, ma so che apprezzerà, so che potrei anche disegnargli un cappello da Babbo Natale e il significato ne trasparirebbe lo stesso.
If you are reading this, you have survived your entire life up until this point, you have survived traumas, heartbreak, devastation, the different phases of life, and here you are, you go, motherfucker, you are awesome.
Lo ripiego in due e mi preparo per uscire dalla camera, infilo in tasca i beni necessari per un pomeriggio dettato dal caso e mi chiudo l’uscio alle spalle.
Sfilando lungo il corridoio mi fermo un momento di fronte alla porta della stanza di CC, mi chino e lascio scivolare il biglietto al di sotto. Ashley è uscito ore fa con Will per andare in un negozio di musica del centro, Andy è impegnato in una delle solite mono-interviste in cui ormai si inventa balle pur di non dire sempre le medesime cose.
Continuo a camminare, aspettando di veder apparire Jinxx dal suo appartamento. Ho deciso di supplicarlo di accompagnarmi all’acquario, e anche se di solito fa la faccia di uno a cui i pesci non stanno particolarmente simpatici, in realtà ama andare in posti del genere. Inoltre voglio che si senta indispensabile.
Faccio così.
Non posso leggere nella mente dei miei amici, non posso affondare le mani nei loro problemi ed estirparli come farei con una gramigna, quindi opero dall’esterno. Cerco di coinvolgerli, di estrapolarli dalla loro condizione e fargli capire che c’è altro, che il loro universo non è soltanto viscoso e nero, che basterebbe guardarsi dall’esterno per un giorno per capire che potrebbe essere meglio.
Non ho la presunzione di credere che funzionerà. Ma ci provo. Continuerò a farlo. È il mio dovere.
È il mio modo di aiutarli.
A volte tutto ciò di cui hanno bisogno è di un amico che gli tenga la mano.











Buongiorno popolo! :D
Come state? Tutto bene?
Io spero che vi sia piaciuto questo capitoletto che, come avrete capito, è il giro di boa che segna la svolta dei racconti sulla band.
Chi sarà il prossimo? E cosa avrà da dire? Siete curiosi?
Io spero proprio di sì! X3
A presto col nuovo capitolo e... stay tuned, perché arriverà anche Look Around tra qualche giorno! ;)
Un bacio!
   
 
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