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Autore: rachel_hetfield    14/01/2014    6 recensioni
Presi una boccata d’aria troppo grande, mi girò la testa e mi appoggiai al metallo freddo della capsula. «Come puoi amarmi se mi odi?»
«Non so come dirtelo che non ti odio.»
Lasciai il metallo e mi avvicinai di più a lui. Con la mano destra mi allungai verso il pulsante del timer. Un suono robotico lo fece partire.
«Non fare cazzate» singhiozzò «ti prego. Resta qui. Non ce la farei senza di te.»
Avevo impostato il timer per sessanta minuti, un’ora esatta. Avevo un’ora di tempo per decidere se fare le valigie, o attirare Kevin e rimandarlo indietro, a Oslo.
Evitai le sue labbra che si erano chinate su di me. «Devo... devo restare da sola. Torniamo nella locanda. Devo pensare.»
«Non farlo...» mormorò con la voce strozzata dal pianto.
Scossi la testa mordendomi un labbro. Fortunatamente ero voltata di spalle, perché avevo iniziato a piangere anche io.
«Rachel, ti amo.»
Singhiozzai e mi sentì. Il mio cuore balzò. Mi aveva circondata con le braccia, di nuovo. Solo che stavolta piangevamo entrambi. Il destino ce l’aveva con noi.
«Ti amo anche io, Dan.» [capitolo 16]
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Tentennando aprii la porta della locanda: era calda e accogliente come l’ultima volta che l’avevo vista. C’era qualcuno, seduto ai tavoli, che consumava un pasto modesto e ipercalorico. Rimasi a guardare quelle persone per un po’ e poi entrai, beccandomi un richiamo rumoroso da parte di Woody che mi venne incontro.
Lo osservai mentre si avvicinava e mi stringeva la mano e ricambiai il gesto.
«Dov’eri finita?» mi chiese facendo segno di seguirlo dietro al bancone, dove registrava il conto di alcuni clienti.
«Avevo avuto da fare...» accennai. Dietro di lui scorsi un ragazzo alo e magrissimo, con dei baffi alquanto buffi. Era uno di quelli con cui eravamo stati la sera precedente, forse Will o una cosa del genere non ne ricordavo il nome.
«Beh, pensavo fosse successo qualcosa... Dan era tornato a casa di Will da solo e si è ubriacato, di nuovo.»
Sgranai gli occhi. «Di nuovo?»
Annuì. «Siediti pure, mentre aspetti che torni.»
Mi accomodai su quella sedia di cui ancora non sapevo il nome alta e senza schienale, poggiando i gomiti sul bancone. Mi guardavo intorno ogni tanto e poi tornavo a fissare la scatolina quadrata che uno degli amici di Dan portava in mano, e dovevo ancora capire come si chiamasse. Quello con i baffi strani si era avvicinato accennando un sorriso, per poi prendere tra le mani un bicchiere pieno di un liquido giallo scuro, tendende all’arancio. Mi tese la bottiglia, come per chiedermi se ne volessi assaggiare. Scossi il capo e tornai a guardare l’aggeggio che l’altro aveva in mano. Ogni tanto mi lanciava occhiate, e poi tornava a fissare lo schermo luminoso. C’era una mela con un morso sul retro della scatoletta, chissà cosa indicava. L’uomo pensò sicuramente che stavo guardando lui e non l’oggetto, e si avvicinò sedendosi accanto a me. Non capii con quale coraggio mise una mano sulla mia coscia e mi scostai leggermente, facendogliela togliere.
«Come va, Rachel?» domandò facendomi sobbalzare. Ridacchiò.
«Bene» freddai. Non avevo altro da aggiungere.
«Ti va di uscire questa sera?» insistette, si faceva pesante.
Scossi le spalle. «Ho altro da fare.»
«Del tipo?»
Involontariamente sbuffai. «Ho di meglio da fare.»
Lo vidi con la coda dell’occhio fare un’espressione triste, ma in quel momento ero terribilmente in ansia per Dan, non sapevo dove fosse e niente meno lui sapeva che io fossi lì.
Quando Woody passò richiamai la sua attenzione, e si voltò subito.
«La stanza di Dan è ancora libera?»
Mi osservò confuso. «Sì, perché?»
«Mi ci potresti accompagnare? Lo aspetto lì. E potrei sistemare le mie cose.»
Mi fece cenno di seguirlo. «Certo, vieni.»
Si fece spazio in un corridoio poco lungo che si apriva a varie stanze dalla quale uscivano dell persone fino ad aprire una stanza, con una targhetta che indicava un numero: 47. La stanza di Dan era il numero 47. Era una cosa paranoica, ma 47 era la somma della mia età più quella di Dan. Stavo impazzendo, avevo bisogno di vederlo subito. Woody mi lasciò una cosa di metallo che sembrava poter aprire la porta, una chiave di metallo forse. Aveva una forma stranissima, era liscia da un lato e seghettata dall’altro, come un coltello. Uscì dalla stanza e chiuse la porta, e mi sedetti sul letto sul quale era iniziato tutto. Mi venne in mente la sera in cui ero arrivata in quell’Inghilterra antica e poco sviluppata, in cui ogni cosa non si doveva dare per scontato, in cui anche la temperatura troppo bassa ti portava a fare cose di cui ti saresti pentita. Del tipo, abbracciare una persona sconosciuta, innamorandotene, essere costretta a separarsi e soffrire. Ma ora ero lì, di nuovo, ad aspettare che tornasse. Accarezzai quel materasso sul quale mi ero stesa e avevo cercato di dormire e resistere al freddo fingendo che quella voce così calda e insistente non esistesse. Ma non avevo resistito. Mi piaceva sentirlo parlare, dopotutto. Mi era piaciuto vederlo tenermi stretta contro di lui, anche quando mi aveva detto che ero stupenda, mi era piaciuto tutto di quella notte e mezza giornata. Quando mi persi per la prima volta nei suoi occhi. Quando le mie labbra incrociarono le sue per la prima volta. Tutto era successo in quella stanza, e non sarebbe di certo finito. Era la nostra stanza, dove finalmente avevo conosciuto l’amore di cui, per quanto orribile sia innamorarsi per la maggior parte delle persone, non potevo più farne a meno.
Immaginavo me, ritornata a casa con un’esperienza fredda e quasi inutile che non avrebbe smosso la mia vita, e che non sarebbe di certo servita a strapparmi da quella bolla di solitudine che mi ero creata e dalla quale nessuno tentava di farmi uscire.
La profondità dei miei gesti nei confronti di Dan, tutte le mie insicurezze e la paura di perderlo si erano concentrate tutte nella mia testa, facendomi innamorare di una persona che nemmeno conoscevo, di cui sapevo solo il nome e l’età. Una persona che con niente, quasi uno schiocco di dita, mi aveva stravolta, così, in poche ore. Faceva paura, era quasi ridicolo il modo in cui credevo di amarlo, ma era pur vero che avevo a disposizione troppo poco tempo per starci a pensare, e immaginare di dover aspettare a lungo prima di instaurare un sentimento vero e vivo nei suoi confronti mi aveva solo fatto accellerare i tempi.
Mi stesi su quel letto che senza qualcun altro non avrebbe avuto alcun significato, quel letto che racchiudeva le notti in bianco e le sbronze di Daniel Campbell Smith sulle quali non ero quasi per niente d’accordo. Mi mancava Dan. E più respiravo l’odore di quella stanza più mi accorgevo che era lontano.
Due colpi veloci e duri sulla porta mi fecero rizzare subito a sedere sul letto. Rimasi a guardare la porta in silenzio che si apriva lentamente e una voce invadeva quello che era lo spazio solo mio, di Dan e dei ricordi. I ricordi di noi due.
«Posso entrare?» chiese.
Annuii consapevole che non mi avrebbe vista. «S-sì... entra.»
Quando la faccia un po’ barbuta dell’amico di Dan e Woody si fece spazio in quella che era una stanza intoccabile, mi salì un groppo in gola. Non avevo proprio voglia di vederlo.
«Carina» commentò guardandosi intorno. Sbirciai dietro di lui per controllare se ci fosse qualcuno.
«Che c’è?»
Ridacchiò. Inziavo ad odiare quella risatina. «Siamo un po’ acidelle oggi, eh?»
«Non sono dell’umore giusto per iniziare una conversazione tranquilla.»
Si sedette accanto a me e lo guardai come se volessi ammazzarlo per aver profanato quello che era un letto sacro, che non doveva essere toccato da nessuno, era proprietà mia e di Dan. Sperai gli cadesse qualcosa in testa per aver compiuto tale gesto.
«Ascolta, Dan non tornerà questa sera. E nemmeno al prossima e neanche la prossima ancora. Dan è un tipo... sai di quelli che vanno alle feste, si ubriacano e poi, come in ogni festa, c’è sempre quella volta in cui ci si porta, ehm, a letto una ragazza.»
Lo fissai con tutto l’odio possibile. «Dan non... non è...»
«Hai intenzione di ribattere tu che lo conosci da un giorno a me che lo conosco da una vita? Dan è un donnaiolo, ogni sera lo vediamo con una ragazza diversa. Non per niente non ci ha tenuto nemmeno a presentarti a noi, alla vigilia di Natale.»
Strinsi i pugni. Non sapevo più cosa dire. Aveva ragione, io non lo conoscevo, non sapevo chi era Dan, non sapevo se era vero che ogni sera si portava una ragazza diversa a casa e soprattutto mi era rimasta impressa quella sera a casa di questo tizio di cui non sapevo nemmeno il nome.
«Anche Kyle lo sa. Anche Woody. Tutti conosciamo Dan qui, noi sappiamo chi è e che cosa fa alle ragazzine come te» si fece drammatico, quasi che gli facessi pietà. Dovevo avere uno stato davvero orribile, ma niente era come devastato come il mio essere interiore, così pieno di dubbi e di speranze non confermate, tutte le paure che si avveravano e la mia testa che andava in tilt insieme ad ogni cellula del mio organismo. Mi sentivo completamente idiota. Inutile. Presa in giro.
Lui, che quindi era Will dato che aveva nominato quello coi baffi strani col nome di Kyle, aveva fatto un sacco di smorfie da quando lo avevo visto per la prima volta, ma del fatto che Dan di portasse sempre ragazze con sé mi aveva davvero scioccata. Mi aveva aperto una ferita e una nuova preoccupazione. Magari io ero lì, che dormivo, e lui rintanava con una ragazzina diciassettenne che nemmeno conoscevo.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Nonostante un primo momento di confusione, cercai di capire il senso di quella frase, ma non gli chiesi niente e rimasi zitta a fissare il vuoto. Non volevo piangere. Eppure lo feci. Mi dimostrai debole, ancora una volta, e adesso davanti a una persona ancora più sconosciuta e inquietante, che sembrava volere le mie grazie ma di mio avrebbe ricevuto una scarpa dritta in fronte.
«Ho capito, sei rimasta scioccata.»
Trovai le parole per ribattere. «Tu non eri con Dan quella sera... non sai cosa diceva.»
«Non ero con lui quella sera, ma ci sono stato tutta la vita. E le puttanate che diceva a te le diceva a chiunque altra. Non sei né la prima né l’unica, tesoro, lo ha fatto con tutte, e molte di voi hanno sofferto parecchio.»
Mi morsi un labbro. Lo avrei ammazzato di botte questo idiota di fianco a me. «E come si consolavano?»
Tossicchiò e sgranai gli occhi. Lo guardai con più terrore che confusione e sollevò le spalle.
«Beh, poi venivano da me.»
Il suo sguardo si era assottigliato troppo. Ora avevo paura. Mi faceva paura quella persona con così pochi scrupoli che ora provava a voler uccidere interiormente anche me, mi facevano paura lui, Kyle e Woody. Dan prima di tutti. Dan più che paura mi aveva suscitato un’enorme confusione, e una disperazione tale da zittirmi completamente. Altrimenti avrei avuto la forza e il coraggio di sputargli in faccia. Ecco com’erano loro. Un ammasso di malati alcolizzati. Lui e Dan spiccavano in alto. Kyle e Woody ancora non li conoscevo bene, ma nascondevano anche loro una mente così patetica e opprimente.
Ero totalmente a disagio. Lo avrei preso a schiaffi se ne avessi avuto la forza. Avrei preso a schiaffi Dan se lo avessi visto. Tutti, avrei preso a schiaffi tutti.
Un rumore di bottiglie e una risata forte si stagliò nel corridoio. Una vocina femminile echeggiò prima della porta, e quando si spalancò credetti di svenire. In compagnia di una bionda qualche centimetro più alta di lui e qualche chilometro più magra di me, entrò l’ultima persona che in quel momento avrei voluto vedere. Si arrestò sulla soglia e io mi alzai. La gallina starnazzante smise di ridacchiare e singhiozzare. Guardai Will, ancora seduto sul letto, e piantai gli occhi nei suoi che avevano ancora quel blu inconfondibile, stonato dalle venature rosse provocate dall’alcool, dal fumo, da tutto.
I miei erano rossi dal pianto. E dalla paura. Ci guardammo per un po’ e poi scossi il capo, lasciando la stanza in lacrime.
«Buon divertimento» sussurrai prima di uscire da quel posto maledetto e piangendo come non mai.
Non avevo preso la valigia, lasciai tutto lì in quella locanda dove non sarei mai dovuta entrare e corsi lontano, dove la macchina del tempo mi lasciava ogni volta, e mi sedetti lì accanto alla capsula, a patire la fame, la sete il freddo. Non mangiavo da oltre due giorni. Ero debole e stanca, mi sentivo piombare il mondo addosso. Sperai di morire di fame, o di freddo. Mi rannicchiai su me stessa cercando di non lasciare che il calore che il corpo emanava sparisse del tutto e chiusi gli occhi.
 
Riaprii gli occhi lentamente, temendo di farmi male con la luce lieve del sole mattutino. Avevo dormito qualche ora, la sera precedente il mio screen che segnava l’orario indicava le due e mezza di notte. Lo riguardai ed erano le sette del mattino del giorno 26 dicembre.
Non mi ero accorta di quanto gelo ci fosse, le mani erano diventate bianche e i capelli si erano letteralmente gelati. In più avevo una fame assurda. I crampi allo stomaco ogni tanto si facevano sentire per ricordarmi che dovevo mangiare qualcosa prima di svenire. Fui tentata di andare alla locanda e chiedere a Woody se avesse qualcosa in menù, ma mi si erano congelate le gambe. Sospirai e guardai il neurofono, non funzionava. Provai ad alzarmi mettendo la mano sul metallo freddissimo della capsula e quando fui in piedi ebbi un capogiro fortissimo. Ero disidratata, affamata e infreddolita, quasi ibernata. Provai a camminare verso la locanda ma più volte inciampai e mi rialzavo procurandomi delle fitte dolorosissime alle gambe. Ma nonostante tutto, non me ne fregava niente. Dopo Dan, sapevo che niente mi avrebbe fatto più male di quanto me ne aveva inferto lui.
Mamma aveva ragione, diventava una cosa brutta quando l’altro non ricambiava, e la mia vita sarebbe stata un inferno. Lo stava diventando.
Finalmente raggiunsi la porta di legno che lasciava accedere al locale, e quando entrai mi venne un forte starnuto che quasi mi spezzò le vene del naso. Woody si voltò di scatto.
«Ehi stai... stai bene?»
C’era caldo in quella locanda, e fu un enorme sollievo. «Non credo.»
«Mettiti davanti al camino, ti riscaldi. Ma che diamine hai fatto? Hai dormito fuori?»
«Letteralmente» biascicai provocando una sua leggera risata.
«Non farlo più, è pericoloso. Non sai mai la gente che gira da queste parti.»
Annuii in segno di approvazione, triste. «Gente tipo Dan...»
Lui smise di sorridere in una frazione di secondo. Si schiarì la gola. «Hai visto ieri sera, forse.»
«Non forse, Chris, l’ho vista.»
Si sedette accanto a me vicino al camino. Quelle fiamme così libere mi avrebbero spaventata, e invece erano solo la mia salvezza, il mio unico conforto. Ormai l’unica cosa che avrebbe potuto riscaldarmi. Nemmeno a Dan l’avrei permesso. Neanche da sobrio si sarebbe meritata una sola delle mie parole.
«Era ubriaco, lui non s-» cercò di giustificarlo.
«Non difenderlo» alzai la voce «non merita la mia comprensione.»
«Non sai perché ha fatto così» insistette, ma ogni parola che andava a sua difesa era vana.
«Will mi ha detto che tipo di personaggio è, e di certo non ha detto cazzate.»
Sospirò. «Will dice cazzate. Lo fa con tutte le ragazze che Dan gli soffia da sotto al naso. Ma non perché se le porta in camera ogni sera, lo fa solo quando è ubriaco.»
«Quindi accade spesso» gemetti.
«Ti sbagli» mise una mano sulla mia spalla, ma non feci nulla per spostarla «lui non lo farebbe per fare un dispetto a te. Non immaginava nemmeno che tu tornassi. In qualche modo doveva andare avanti.»
«Si è arreso troppo presto, Chris.»
«Woody» mi corresse «e poi non si è arreso.»
Tirai sul col naso. Mi ero quasi completamente riscaldata, i capelli si erano scongelati bagnandosi di acqua, ma il fuoco li asciugava.
«Hai fame?» chiese per cambiare discorso. Annuii. Si alzò da vicino a me e andò dietro una porta accanto al bancone, uscendone pochi minuti dopo con un piatto con sopra un panino farcito di hamburger, insalata e pomodorini.
«Ti va bene o sei vegetariana?»
Risi. «Mi va bene qualunque cosa.»
Sorrise e si allontanò lasciando il piatto accanto a me. Presi in mano il panino e lo divorai in poco tempo. Il mio stomaco aveva smesso di brontolare e la mia vista non era più stanca e offuscata, si era ripresa, l’unica cosa che mancava era il sonno, un sonno privo di tremolii e di freddo. Perciò chiusi gli occhi e poggiai la testa contro i mattoni rossi.
Sentii una porta cigolare e sobbalzai, ma sicuramente era Woody che faceva avanti e indietro per pulire il locale e aprirlo al pubblico. Richiusi gli occhi e sospirai profondamente.
Dei passi frettolosi si erano fermati di colpo, e mi chiesi, senza guardare, chi fosse. Poi aveva ricominciato a camminare, avvicinandosi di più e il mio battito cardiaco sembrò rifiutarsi di continuare a pulsare. Un’ombra si fermò proprio davanti a me, un respiro caldo, che sapeva di alcool, lo sguardo addosso. Non mi ci volle molto a capire che se avessi aperto gli occhi lo avrei visto e sarei morta di spavento e di emozione allo stesso tempo.
Il dorso di una mano attraversò la mia guancia. Un rumore sconnesso e strozzato come un singhiozzo mi arrivò alle orecchie. Decisi che dovevo aprire gli occhi. Non volevo che se ne andasse. Woody aveva ragione, lui non era quello che Will descriveva. Will diceva cazzate.
Sperando che non scappasse via aprii gli occhi, e lui, con il viso tra le mani, si nascondeva tutto quello che mi aveva fatta innamorare di lui: gli occhi, la bocca, il sorriso, le labbra. Notai una montatura nera con chiazze arancione chiaro davanti alle sue mani poggiate sugli occhi. Mi mossi un po’ e mi allungai verso di lui.
Con la mano gli afferrai il polso e spostai le sue dagli occhi. Erano ancora rossi. Ma stavolta c’erano le lacrime a prendere il posto dell’alcool e del fumo. Ci guardammo per un po’, togliendogli gli occhiali da vista. E poi ruppe le distanze. Mi saltò addosso, mi strinse su di lui facendomi respirare a malapena. Non una parola, non un respiro, solo i gesti che compivamo dimostravano quanto eravamo distrutti. Io ero distrutta per colpa del freddo e lui per colpa della sua sbronza. Ci eravamo fatti del male a modo nostro, e potevamo curarci solo a vicenda.
«Non dovevo... non-» gemette ma gli tappai la bocca con una mano.
«Io me ne sono andata, è stata colpa mia.»
Spostò la mano senza lasciarla. «Non so cosa ti abbia detto o fatto Will ma in parte è vero. So cosa hai pensato quando mi hai visto entrare con quella... cosa. So che hai dormito fuori rischiando di morire ibernata. Sono consapevole di tutto e sapere che sono la causa principale di tutto questo mi tortura l’anima.»
Gli baciai il mento e lui tornò sulle labbra, intrecciando le mie dita con le sue. Sentire di nuovo la sua lingua sulla mia fu una sensazione strana quando confortante. Non era freddo. Era caldo. Mi stava riscaldando il cuore, dato che nemmeno il fuoco poteva farlo.
«Non me ne vado più, Dan» sussurrai staccandomi dal suo viso.
«Mai più?»
Scossi la testa. «Rimarrò sempre qui. Con te.»
Riprese a baciarmi, piano, ma ci stavo prendendo la mano e anche più dimestichezza. Controllavo ogni singolo movimento delle labbra e avevo capito come fare. Mi permisi di strappargli un morso al labbro inferiore e accellerò i movimenti. Mi afferrò dai polsi, mi sollevò e mi lasciò respirare un poco. Il mio cuore rischiava di finire dall’altra parte della stanza.
«Andiamocene da qui dentro, potrebbero arrivare clienti di Woody» mormorò tirandomi verso il corridoio  che portava alla sua stanza. Sarei svenuta per la troppa emozione.
Di nuovo quel letto, quello su cui avevo gettato le mie maledizioni e paure ora si trasformava in quello che aveva completamente serrato i rapporti tra me e Dan. Via i vestiti.
Al diavolo Kris e i suoi tentativi di non farmi ritornare nel passato.
Dei movimenti delle mani sempre più intimi.
Al diavolo Will e le cose che diceva tentando di andarmene con lui.
«Dan io non so come fare» sospirai in un misto tra eccitazione e preoccupazione.
«Tu stai ferma, faccio io» rispose con lo stesso tono.
Al diavolo tutto il resto che non fosse lui.
Qualche spinta, qualche gemito troppo rumoroso, un orgasmo appena distinto nell’aria, e poi il silenzio. Solo un paio di braccia che mi circondavano la vita e le dita che mi accarezzavano l’addome, delle labbra che si posavano sulla guancia e il caldo. Il conforto.
«Mi ami ancora?» dissi sottovoce.
Mi fece girare per trovarmi faccia a faccia con lui. «Non ho mai smesso di farlo.»
Serrammo quella promessa con un bacio e poi ci addormentammo, stretti l’uno contro l’altro. Riuscii per la prima volta dopo tre giorni a dormire senza sentire freddo.
 
 
 
Spazio dell’autrice
Beh, ragazze, sono tornata più ispirata di prima! Che ne dite? Will è stato cattivo, lo so, ma non è così davvero. Come ha detto Woody, ci stava solo provando con Rachel.
Coooomunque! Mi sento un po’ meglio, mi sono ripresa dal fatto che non posso andare al concerto anche se ci terrei davvero tanto, ogni giorno mi sveglio col pensiero di vedere i miei idoli dal vivo e ogni notte mi addormento immaginandomi sotto al palco a cantare con lui.
Che dire, recensite e ditemi cosa ne pensate.. sono sempre a vostra disposizione J se volete cercarmi su facebook vi darei volentieri il link del mio profilo, solo che ora non ho la connessione adatta.. scrivetemi via messaggio privato di efp se vi va e.. tornerò col prossimo capitolo! Vi abbandono per un po’ perché per ora sono PRIVA d’ispirazione, ma non mi arrendo e soprattutto non voglio deludervi.. Baci, Angelica.
  
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