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Autore: Ailis_    14/01/2014    1 recensioni
Julya Peskov non era certo prevista nella vita di Stefan.
Eppure quando lei ritorna, la sua presenza è come un uragano nella vita di Stefan.
Julya nasconde un segreto, qualcosa che ha dominato la sua vita per secoli e che ora è talmente vicino da non poterselo lasciare sfuggire.
Il rapporto con Stefan si è incrinato tanto tempo prima, ma lei ha bisogno di lui per la sua ricerca. E quando lui deciderà di aiutarla, Julya scoprirà di provare qualcosa di più della semplice amicizia.
Ma è davvero così? Riuscirà Julya ha trovare ciò che ha cercato per tutta la vita? E perché ne ha così bisogno?
Quando pensano di avercela fatta, ogni certezza crolla e il suo mondo verrà sconvolto. All'orizzonte, comparirà una vecchia conoscenza, qualcuno in grado di riportare a galla qualcosa che Julya pensava di aver dimenticato, un amore che ha segnato la sua vita e il suo cuore, indimenticabile ed eterno. Cosa succederà? Saprà dare retta al proprio cuore ed essere felice?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kol Mikaelson, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andai a cercare l'amore e mi persi'
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The tears I cry behind this hazel eyes- Ekleipsis13

The tears I cry behind this hazel eyes

 

 

 

Here I am, once again 
I'm torn into pieces 
Can't deny it, can't pretend 
Just thought you were the one 
Broken up, deep inside 
But you won't get to see the tears I cry 
Behind these hazel eyes 
Behind this hazel eyes- Kelly Clarckson

 

 

 

Camminarono mano nella mano diretti alla casa dei Salvatore.
Julya non era sicura di trovare le proprie cose ancora nella sua stanza: pensava piuttosto che Stefan le avrebbe lasciato tutto sul prato con il monito di non tornare.
Avrebbe fatto bene a farlo e a Julya non sarebbe importato. Aveva fatto la cosa giusta, ecco tutto.
Passeggiavano in silenzio da un pezzo, ma non le dispiaceva: la strada era deserta e buia e si vedeva uno splendido cielo stellato invernale.
Provò un moto di nostalgia: per quanto bello, niente avrebbe eguagliato lo stesso spettacolo tra le montagne russe.
O meglio, le montagne com'erano un tempo: disabitate, fredde e selvagge, proprio come piacevano a lei.
Lo spettacolo era mozzafiato, con il cielo nero steso come un mantello trapunto di diamanti sulle montagne e sulle vallate.
L'aria fredda, l'altezza, il profumo degli alberi e della notte: tutto trasmetteva una meravigliosa sensazione di libertà.
Era l'emozione più simile a ciò che dovevano provare gli uccelli a ogni volo, l'opprimente sconforto di fronte all'infinito e il sussulto del cuore nel trovarsi di fronte a qualcosa di tanto grande e tanto bello.

Alzò appena il capo, scostando una ciocca di capelli che minacciava di finirle sugli occhi.
Si alzò una folata di vento freddo e Kol la tirò a sé, cingendole le spalle con un braccio, come se volesse proteggerla dal gelo.
Quella notte sarebbe partito, ma poteva almeno godersi quelle ultime ore con lei: quando Julya avrebbe scoperto che se n'era andato, probabilmente non lo avrebbe perdonato.
E forse voleva che non lo facesse perché così sarebbe stata al sicuro.
“A cosa stai pensando?” le domandò.
“Alla mia Russia” ammise con una sguardo affettuoso, come se stesse parlando di un'amica che non vedeva da tanto tempo.
“Ti manca molto?”
“A volte. Più che altro mi manca avere una vera casa”
“Non ne hai trovata una in tutti questi anni?” le domandò con un sorriso sghembo che le avrebbe fatto battere il cuore se avesse potuto.
“Ho viaggiato molto, sai?  E' stato bello scoprire il mondo” ammise con un sorriso al ricordo di tutte le avventure che aveva vissuto, le grandi personalità che aveva incontrato e i momenti storici di cui era stata testimone: i grandi moti rivoluzionari, la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa, la seconda guerra mondiale e molto altro.
“Hai avuto una bella vita senza di me, Julya?” le chiese senza mezzi termini, rivolgendole però un sorriso affascinante che avrebbe dovuto rappresentare quanto fosse spensierato, ma Julya non si lasciò ingannare.
“Ho attraversato due secoli di storia, ho visto il mondo cambiare sotto i miei occhi e non sempre in meglio. E' stata una bella vita, a suo modo, ma non c'è stato momento in cui non ti avrei voluto con me, Kol, anche quando cercavo disperatamente di non pensarti” lo rassicurò, fermandosi e carezzandogli il volto con un accenno di sorriso.
Gli posò il capo sulla spalla per un momento, alzandosi in punta di piedi per arrivare a sfiorargli il collo con la punta del naso.
“Un giorno ti racconterò tutto” gli promise.
Per un attimo il sorriso di Kol vacillò, ma lei non lo vide e quando alzò lo sguardo era di nuovo al suo posto, intatto.
Kol annuì: non poteva certo dirle che quel giorno non sarebbe mai arrivato e che, probabilmente, l'indomani mattina si sarebbe rimangiata qualunque cosa avrebbe detto quella sera.
Decise di non pensarci: erano le loro ultime ore insieme e voleva assaporarle a fondo.
“Sì, anche io ti racconterò di come sia stare in una bara per più di cento anni” ridacchiò.
Julya si separò da lui e gli carezzò distrattamente una guancia prima di riprendere a camminare, mano nella mano.
Le piaceva: sembrava quasi di essere una coppia di ragazzi normali che passeggiavano insieme.
“Mi è mancato tutto questo” ammise  Julya con un sorriso
“Che cosa?”
Avrebbe voluto dire che le erano mancate le passeggiate, le risate, le chiacchierate, i baci, le carezze, gli sguardi, le mani intrecciate, il suo profumo e avrebbe potuto continuare ancora.
Alla fine, preferì sintetizzare.
“Tu”
“Davvero mi ami ancora?”
La domanda di Kol arrivò inaspettata. Julya si voltò con calma; non doveva ponderare una risposta perché ce n'era solo una vera.
“Ne hai mai dubitato?”
“Non è la risposta alla mia domanda”
Si fermò un momento: dirlo avrebbe reso la cosa irreversibile e non avrebbe più potuto rimangiarsela.
“Posso aver avuto dei dubbi” ammise, aprendogli il proprio cuore “ma alla fine so di averti sempre amato” affermò.
Lo fece sorridere il suo tono di voce, così sicuro, e i suoi occhi, così sinceri e privi di ombre. Julya era per lui un libro aperto e tante volte le aveva detto che aveva il cuore sulle labbra e che sarebbe bastato un bacio per portarglielo via.
Per fortuna, quel bacio era stato suo.
Erano arrivati davanti a casa Salvatore, ma Kol le impedì di andare. La baciò ancora e ancora, indugiando sulle sue labbra e lasciandola libera solo per riprenderla e baciarla ancora.
Non riusciva a separarsi da lei, non ora che sapeva che sarebbe stato un addio. La baciò un'altra volta e decise che quella sarebbe stata l'ultima.
La lasciò andare con un vuoto nel petto, costretto però a sorridere mentre le diceva addio.
“Julya?” la chiamò prima che entrasse con una stretta al cuore.
“Sei l'unica che abbia mai amato” le confessò sfoderando il migliore dei suoi sorrisi da seduttore e lei si illuminò. Sapeva che Kol poteva essere ironico, strafottente, seducente, affascinante o arrogante a seconda dell'umore del giorno, ma non era mai romantico a quei livelli.
Per un attimo si chiese se non dovesse preoccuparsi, ma poi si disse che era solo suggestione.
Kol era lì e sarebbe andato tutto bene.
“Buona notte, Kol”
Si chiuse la porta alle spalle e lui se ne andò. Se si fosse fermato ancora un secondo di fronte a quella porta avrebbe perso ogni coraggio.

 

*

 

Entrò in casa con un sorriso così spensierato che un'espressione che, in un altro momento e sul viso di qualcun altro, avrebbe definito “sdolcinata” e non si sarebbe risparmiata l'ironia.
Ma era felice e avrebbe avuto tutto il tempo del mondo, il giorno dopo e quello dopo ancora, per ridere della propria espressione: ora voleva solo godersi quella sensazione che non provava da molto tempo.
Si sfilò le scarpe con il tacco per non fare rumore sul parquet, ma quando passò davanti alla sala si accorse che Stefan era seduto sul divano e sorseggiava un bicchiere di whiskey.
“Bentornata” la salutò sollevando il bicchiere e alzandosi per avvicinarsi.
La sua espressione non avrebbe potuto essere più chiara: stava per arrivare una litigata con i fiocchi e i controfiocchi.
Sospirò sconsolata e una smorfia le deformò il viso per un attimo. Dopotutto, capiva perché fosse arrabbiato.
Lo era stata anche lei, fino a poche ore prima, ma poi aveva compreso.
Julya aveva capito che non poteva prendersela con Stefan – né con nessun altro- per aver cercato di uccidere Klaus, anche se questo avrebbe voluto dire spazzare via tutta la famiglia degli Originali.
Se non fosse stato coinvolto anche Kol, a Julya non sarebbe importato e probabilmente si sarebbe anche schierata dalla sua parte e lo avrebbe aiutato, ma con i se e i ma non si poteva fare e cambiare nulla.

Kol era finito in mezzo a tutta quella storia e quello sì che faceva tutta la differenza del mondo.
Solo che Stefan sembrava non capire e la guardava come se lei avesse commesso l'azione più riprovevole del mondo.
Ma lui aveva agito esattamente come lei per salvare Elena!
“Vuoi davvero litigare ora, Stefan? E' tardi ed è stata una giornata davvero lunga, per entrambi. Andiamo a dormire” sospirò tentando di blandirlo sfoderando la migliore delle sue espressioni provate.
“Non voglio litigare”
Julya si trattene dal fargli notare che allora avrebbe dovuto lavorare sulla sua espressione perché sembrava proprio dire tutto il contrario.
“Voglio capire perché sembri patologicamente incapace di mantenere le promesse. O almeno, le promesse che fai a me”

“Questo non è corretto” gli fece notare con pacatezza, troppo stanca anche per alterarsi “io ho rispettato la mia promessa e ho fatto ciò che era giusto”
“Dimmi che ti sei solo adattata al piano di Elijah e che tu non centri niente con il rapimento di Elena” la pregò trattenendo a stento la rabbia.
In realtà, voleva solo qualcuno con cui sfogarsi e Julya sembrava la vittima perfetta. Stefan capiva benissimo perché avesse agito in quel modo: lui aveva fatto la stessa cosa e sapeva che lo aveva fatto perché, per quanto sembrasse impossibile, lei amava Kol almeno tanto quanto lui amava Elena.

“No, io ed Elijah abbiamo ideato il piano. Non ti chiederò scusa per aver fatto ciò che andava fatto”
“Elena poteva morire!”
“Come è successo alla madre di Bonnie, intendi? Andiamo” lo esortò con una punta di cattiveria “non essere ipocrita”
Avrebbe voluto dirle che non era vero, che era completamente diverso, ma Julya aveva ragione, maledettamente ragione e lui non aveva nessun diritto di arrabbiarsi con lei per aver giocato bene le sue carte.
“Devo dirtelo: non pensavo fossi così brava a mentire, ingannare e usare le persone”
“Non mi piace farlo, ma qui sembra che funzioni così e sai una cosa? Devi imparare le regole del gioco e poi giocare meglio di tutti gli altri se vuoi sopravvivere” gli ricordò.
Era stata la sua politica in tempo di guerra, quando in Germania persino affermare che la campagna in Russia non stava andando bene era considerato alto tradimento e lei aveva dovuto imparare a sopravvivere.
Non che i nazisti potessero farle qualcosa, ma non poteva rischiare che il suo segreto venisse scoperto e fare la spia per gli inglesi non rendeva le cose facili.
“A quanto pare sei diventata una delle giocatrici più brave”
Julya alzò le spalle e non si diede la pena di ribattere.
“Mi dispiace, Stefan. Sai che non volevo deluderti, ma dovresti anche capire che non potevo fare altrimenti”
“Una scelta c'è sempre”
“E io l'ho fatta, solo che stavolta ho scelto ciò che andava bene a me: tu più di tutti dovresti capire che non potevo scegliere diversamente”

Stefan lo capiva, ma non era ancora pronto ad ammetterlo ad alta voce. Forse aveva solo bisogno di dormirci un po' sopra.
Il giorno dopo avrebbero avuto la mente abbastanza sgombra da poter discutere con calma e ragionevolmente di qualunque cosa.
“Andiamo a dormire” sospirò, imboccando la via delle scale per raggiungere la propria stanza.
Si stupì nel sentirsi trattenere dalla mano di Julya appoggiata sul suo braccio.
“Un'ultima cosa, Stefan. So che cerchi di proteggere Elena, ma ora gli Originali sono ancora uniti. Te lo chiedo per favore: aspetta a fare qualunque cosa tu voglia fare contro Klaus. Ti prego, aspetta” lo pregò.
Non era sua intenzione scivolare in un tono così supplichevole ma la voce si era incrinata senza che potesse fare impedirlo.
Julya immaginò di non avere un aspetto molto temibile in quel momento, con gli occhi probabilmente un po' lucidi per la stanchezza e la voce tremula.
No, non doveva sembrava per nulla la vampira forte e disposta a tutto pur di proteggere chi amava che voleva apparire.
Eppure Stefan capì lo stesso che, dietro l'apparenza, lei era disposta a fare tutto il necessario per Kol.
In fondo, non la biasimava: stavano facendo entrambi la stessa cosa, solo su due fronti diversi.
“Ne parleremo domani” sospirò e stavolta non si lasciò fermare mentre saliva le scale.
Quella non era una vittoria, Julya lo sapeva, ma se non altro non era neanche una sconfitta. Si poteva dire che c'era da lavorare, ma era sicura che il giorno dopo sarebbero riusciti a incontrarsi a metà strada.
Intanto, il suo letto la aspettava.

 

*

 

Fu l'odore di qualcosa di dolce e caldo a svegliarla.
Non realizzò subito di cosa si trattasse e rimase un po' a rigirarsi nel letto, crogiolandosi nel calore delle coperte e annusando l'aria profumata.
Sarebbe rimasta così anche tutta la mattina, ma aveva mille ragioni per alzarsi.
Voleva vedere Kol: ora che l'aveva ritrovato avrebbe passato con lui tutto il tempo che aveva a disposizione.
Si infilò la vestaglia, poi scese le scale a piedi nudi e con un bel sorriso.
Il delizioso aroma proveniva dal salotto e quando si fermò all'ingresso trovò il tavolino di fronte al divano pieno dei suoi dolci preferiti e di delizioso tè.
C'era tutto quello che una donna avrebbe potuto desiderare, dalle brioche fumanti e profumate ai macarons dei colori più strampalati, passando per cupcakes dall'aspetto delizioso.
Solo un vampiro avrebbe potuto mangiare quella quantità di cibo senza ingrassare e Julya era davvero felice di far parte della categoria.
“Buongiorno” salutò con un sorriso, lasciandosi scivolare sul divano accanto a Damon e servendosi il tè.
Afferrò un macarons viola e lo morse: un delizioso sapore di viola le invase la bocca.
“Questo è un vero banchetto. Cosa stiamo festeggiando?” domandò sorseggiando il tè.
“Niente di particolare” borbotta Damon alzando le spalle e scoccando un'occhiata significativa a Stefan.
Julya la colse con la coda dell'occhio e si chiese cosa diavolo stessero tramando.
Stefan non sembrava di ottimo umore.
Più che altro pareva esitare, come se non sapesse bene cosa fare e si rigirava tra le dita una busta.
“Cos'è quella?” gli domandò sporgendosi per osservare meglio la carta color crema.
Stefan sembrò combattuto da un dilemma interiore, Julya glielo leggeva negli occhi. Alla fine, forse capì che comunque Julya si sarebbe impadronita di quella lettera che sembrava la fonte di ogni angoscia e gliela porse, non senza qualche esitazione.
Quando vide la grafia e la riconobbe, ebbe un tuffo al cuore.
Senza neanche aprirla seppe che il contenuto non le sarebbe piaciuto, ma cercò di farsi forza: forse si sbagliava, forse andava ancora tutto bene.
Le cose non potevano cambiare nell'arco di poche ore, si disse. Neanche il fato poteva essere tanto beffardo nei suoi confronti.
Racimolò tutto il coraggio che riuscì a trovare e aprì la busta. Le sembrò di aver compiuto uno sforzo immane perciò si prese un momento, anche se neanche lei sapeva bene perché.
Alla fine abbassò lo sguardo sulla pagina vergata di fresco e fittamente coperta dalla scrittura allungata di Kol.
Lesse tutto d'un fiato e quando ebbe finito non trovò la forza di muoversi.
Dentro di sé, la sera prima aveva capito che c'era qualcosa di strano, ma non aveva voluto ammetterlo con se stessa.
Lei non riusciva a capire perché. Sembrava così felice di averla di nuovo accanto, le era parso così innamorato.

Forse aveva visto ciò che voleva vedere: dopotutto, la gente lo faceva spesso.
Non importava che si fosse sbagliata.
L'unica cosa che contava davvero era la sensazione di abbandono che le squarciò il petto. La conosceva bene, solo che stavolta non aveva nessuno scopo più grande a cui aggrapparsi, nessun sogno da inseguire in cui annegare le pene.

Ecco, si disse con rabbia, accartocciando la lettera tra le dita, questa è esattamente la ragione per cui non avrei dovuto lasciarmi andare.
Si accorse di avere gli occhi lucidi un momento prima di sentire le lacrime bagnarle le guance. Se le asciugò in fretta e con un gesto furioso.
“Mi dispiace, Julya”
Stefan sembrava davvero dispiaciuto, ma Julya aveva bisogno di qualcuno su cui sfogare la rabbia perciò non esitò ad aggredirlo.
“No, non è vero. Sei contento che mi abbia lasciata perché speri che questo mi faccia arrabbiare abbastanza da smettere di preoccuparmi”
“Mi reputi così meschino?”
“Già” intervenne Damon “Santo Stefan non sarebbe mai così crudele da essere felice per le tue sofferenze”
Sembrava che la stesse prendendo in giro, ma Julya percepiva una certa sincerità sotto le apparenze.
Inspirò a fondo, ma quando espirò le uscì solo un sospiro tremulo.
La verità era che le sembrava che avessero preso il suo mondo e lo avessero ribaltato un paio di volto, neanche fosse stato una bella palla di neve. Ora aveva l'impressione che le girasse la testa.
Non voleva piangere ancora, ma sentiva il groppo in gola e sapeva che le lacrime sarebbero arrivate.
Lo sapeva lei e lo aveva capito anche Stefan.
Le si sedette accanto e le passò un braccio intorno alle spalle mentre Damon si alzava e li lasciava soli.
Non era il tipo da consolare una ragazza e Julya aveva bisogno di un amico, qualcuno che le stesse accanto e non le permettesse di sprofondare in un altro baratro ora che ne era uscita.
“Piangi” la incitò.
Sapeva quanto potesse essere liberatorio: lui non ci era riuscito quando aveva pensato che Katherine fosse morta e il dolore lo aveva accompagnato per decenni.
“Non voglio piangere ancora. Mi sembra di non fare altro” singhiozzò.
“Non posso lasciarlo andare” ammise tra le lacrime “non voglio”

“Andrà tutto bene” le giurò.
Le carezzò i capelli con dolcezza, mentre Julya guardava con gli occhi lucidi il cibo abbandonato.
Per qualche ragione, quel pensiero la spezzò.
Kol se n'era andato e si sentiva di nuovo sola, ma il pensiero dei dolci dimenticati sul tavolo e del tè oramai freddo furono il punto di rottura.
Per qualche ragione, quel pensiero fu quasi peggio di tutto il resto. Allora il coraggio la abbandonò e scoppiò a piangere.

 

 

 

 

 

“Hai intenzione di essere arrabbiata con me ancora per molto?”
Julya non degnò Stefan neanche di un'occhiata e continuò imperterrita la lettura del suo libro. Il fuoco nel caminetto del salotto scoppiettava allegramente e sul tavolino c'erano una bottiglia di vino rosso italiano e un calice.
Dato che sembrava più che decisa a ignorarlo, Stefan decise che l'avrebbe costretta a prendere atto della propria presenza.

Le spostò le gambe dal divano e si lasciò cadere accanto a lei con un sorriso. Non funzionò.
Julya si limitò a ripiegarsi su se stessa e ad accoccolarsi contro l'altro lato del divano, girando pagina come se niente fosse successo.
“Cosa leggi?” le domandò allora.
Niente.
Fu costretto a scoprirlo da solo leggendo il titolo: “Le anime morte”, in lingua originale.

“E' un bel libro?” le domandò
Sapeva che niente poteva darle più fastidio che essere continuamente interrotta mentre leggeva così si versò un bicchiere di liquore e si preparò a farle altre domande.
“Sai, Alaric di là si è portato da leggere Moby Dick,  ma non credo che leggerà molto ora che Klaus gli ha spezzato il collo” rifletté.

Il suo piano funzionò.
Julya alzò gli occhi dal libro e lo fulminò con lo sguardo “Non hai altro da fare? Estorcere ad Alaric dov'è il paletto, ad esempio”
“Fino a quando non si sveglierà ho ben poco da fare”
“Ed è una buona ragione per seccare me?”
“E' un'ottima ragione per tentare di placare la tua rabbia”
“Analizziamo i fatti, Stefan” lo invitò chiudendo il libro. Il suo tono lasciava presagire che sarebbe sicuramente stata una conversazione all'insegna del sarcasmo, ma almeno gli rivolgeva la parola.
“Mi sono presa qualche giorno di vacanza, sperando di tornare e non trovare l'apocalisse. Invece torno e cosa scopro? Che tu e l'allegra combriccola di ammazzavampiri non solo avete provato a uccidere gli Originali, ma che ne avete addirittura impalato uno”
“Ma Kol sta bene, quindi non c'è motivo di essere arrabbiata” provò a blandirla, ma Julya non si lasciò raggirare.
“Per puro tempismo! Poteva morire, lo sai? A essere onesti, potevamo morire tutti” gli fece notare e un brivido di paura le attraversò la schiena.

Quando aveva saputo cosa era successo mentre era a rilassarsi in un centro benessere tra le montagne di Aspen, in Colorado, tutta la calma che aveva faticosamente raggiunto durante il soggiorno rilassante era andata a farsi benedire e aveva iniziato a inveire contro Stefan, Damon, Elena, persino Caroline e Matt.
Quando poi le avevano raccontato di ciò che era successo a Sage e alla discendenza di Finn... be', poco era mancato che le venisse un attacco isterico.
Dopo di che, gli aveva parlato solo per mostrargli la sua rabbia.
“Per questo dovresti aiutarmi. Se recuperiamo il paletto, saremo tutti salvi”
Julya avrebbe voluto fargli notare che darle un paletto tra le mani in quel momento poteva non essere una scelta molto brillante, ma preferì tacere.
Il silenzio tra loro si protrasse per un po', fino a quando Stefan prese il proprio cellulare e compose un numero.
Rispose Damon.
Stefan gli raccontò la situazione sorseggiando di quando in quando il suo brandy e guardando un punto fisso sul moro di fronte.
Anche se aveva riaperto il libro, Julya era attenta e non si perdeva un secondo della conversazione di Damon e Stefan.
Dopotutto, da quella situazione dipendeva anche la sua vita.
“E' arrivato Klaus” lo informò Stefan “non è molto paziente” constatò con un cenno del capo.
“Kol deve avergli detto che siamo a Denver”
Julya scattò a sedere, sbattendo le palpebre con un'espressione confusa. Il suo cervello, per quanto brillante, ci mise un momento a realizzare ciò che aveva appena sentito.
Kol, Denver...
Quando riuscì a dare un senso a quelle parole, trasalì.
Sapeva dov'era Kol ed era decisa a raggiungere Damon. Il loro intento era trovare questa Mary Porter e se Kol voleva ostacolarsi allora era certa che il modo migliore per trovarlo fosse seguire Elena e Damon.
Non le importava che lui le avesse detto di non cercarlo e che sarebbe stata meglio senza di lui: erano cazzate.

Se voleva lasciarla, doveva dirglielo guardandola negli occhi. E forse neanche allora Julya avrebbe accettato di perderlo ancora.
Nell'ottica di Julya, non c'era un'altra possibilità diversa da loro due insieme: era giusto che fosse così, non poteva essere altrimenti.

Si alzò di scatto e raggiunse la proprio camera a velocità vampiresca. Non si era accorta di avere Stefan alle spalle fino a quando non era entrato nella sua stanza un secondo dopo.
“Dove vai?”
“Raggiungo Damon a Denver”
“Julya...”
“No. Non provare a fermarmi, non cercare di convincermi: io vado a Denver” ringhiò infilando vestiti e scarpe in una borsa di pelle il più velocemente possibile.
Badava appena a ciò che stava prendendo, pescando quasi a caso dai cassetti e dagli armadi.
Le venne in mente che non avrebbe potuto andare in macchia: ci sarebbe voluto poco meno di un giorno intero e lei non aveva così tanto tempo.
“E se non volesse vederti?” le domandò.
Julya non si diede la pena di fermarsi e iniziò a cercare il proprio cellulare: doveva chiamare l'aeroporto più vicino.
“Dovrà farlo” ringhiò “se n'è andato e mi ha lasciato una lettera. Capisci? Lui mi ha lasciato una lettera. A me! Se vuole dirmi addio, lo farà guardandomi negli occhi”
Sapeva cosa stava pensando Stefan.
Probabilmente credeva che fosse la classica ragazza innamorata incapace di rassegnarsi e a lei non importava che la pensasse così.
Lui non aveva visto come Kol la guardava la sera prima che se ne andasse, non aveva sentito i suoi baci sulle proprie labbra e non avrebbe potuto capire.
“Non c'è niente che possa fare per farti cambiare idea”
Non era una domanda e Julya non si diede la pena di rispondere.
“Allora” gli domandò mentre prendeva il cellulare “hai intenzione di stare lì o pensi di darmi una mano a trovare il numero dell'aeroporto?”
 

 

“Che cosa vuol dire <siamo in viaggio per il Kansas, raggiungici>?” strillò Julya facendo voltare tutti coloro che si muovevano intorno a lei.
C'era gente che cercava il proprio gate di imbarco, altra che ne usciva eppure tutti si girarono ad osservare quella giovane ragazza intenta a urlare al telefono così Julya abbassò la voce.
“Vuol dire che siamo in viaggio per il Kansas e che se vuoi puoi raggiungerci” chiarì Damon dall'altro capo del telefono.
Era abbastanza sicura che se lo avesse avuto a portata di mano lo avrebbe strangolato, ma dovette accontentarsi di ringhiare attraverso il telefono.
“E come dovrei fare?”
“Noleggia un auto, vola, teletrasportati, fai l'autostop... stupiscimi”

Prendi un bel respiro, Juls, e non ringhiare: la gente ti guarda.
“Damon, passami Elena”
“Non vuoi più parlare con me, splendore?”
“E' per il tuo bene” lo rassicurò con un sorriso che non prometteva nulla di buono “o mi passi Elena o so che dirai qualcosa che mi farà imbestialire e quando ci incontreremo Kol sarà l'ultimo dei tuoi problemi”
“Come siamo suscettibili” la prese in giro, ma il momento di silenzio che seguì le fece capire che aveva seguito il suo suggerimento e infatti la voce che sentì subito dopo era quella di Elena.
“Ciao, Julya”
“Ehi. Senti, da quanto siete in viaggio?”
“Poco più di un'ora”
“Bene. Io noleggerò un auto e vi raggiungerò. Dimmi dove devo andare”
Ci mise un po' a spiegarle la strada, ma nel frattempo Julya era giù riuscita a prendere un auto -una lucida Mercedes nera- e a imboccare l'autostrada per il Kansas.
Quando posò il telefono sul sedile accanto a lei, aveva già recuperato un terzo del tragitto compiuto da Damon ed Elena.
Era stata fortuna: loro avevano preso la strada normale, quella più lunga.
L'autostrada e la velocità sostenuta le avrebbero fatto recuperare terreno in breve tempo.
Forse non sarebbe riuscita ad arrivare prima di loro, ma avrebbe ritardato di poco.

Mentre guidava, l'attenzione alla strada non le impedì di pensare ad altro. Avrebbe dovuto prestare maggiore cura, lo sapeva, ma la velocità e il movimento le conciliavano la riflessioni e si ritrovava a pensare a cose che non c'entravano niente con quello che stava facendo senza sapere perché.
Era più forte di lei.
Forse Stefan aveva ragione: non avrebbe dovuto andare. Ma se voleva trovare il modo di chiudere anche quella storia, doveva essere Kol a dirle addio e doveva farlo guardandola negli occhi.

Ma era una bugia e non ci credeva nemmeno lei.
Non sarebbe mai riuscita a chiudere per sempre con lui, neanche se l'avesse trattata nel peggiore dei modi e l'avesse tradita.
In realtà, dubitava che Kol potesse fare l'una o l'altra cosa.
Sapeva che le persone lo vedevano come un vampiro irresponsabile, a volte infantile, egoista, sconsiderato, capriccioso, forse anche un po' gigolò, dedito per lo più al sarcasmo e incapace di comportarsi con cognizione di causa.
Kol era pieno di difetti, Julya li vedeva senza bisogno che qualcuno glieli elencasse.
Ma sapeva anche che c'era anche molto altro in lui.
Aveva passato vent'anni con lui, trascorrendo ogni secondo della proprio giornata al suo fianco e aveva imparato a conoscerlo.
Ad esempio, Julya sapeva che dava sfoggio del proprio sarcasmo solo quando temeva che qualcosa potesse ferirlo; era protettivo, a volte ai limiti del possessivo, e non aveva mai visto nessuno capace di amare – una volta superate tutte le sue paure, ovviamente- con tanta passione.
Forse l'aver visto il lato migliore di lui non l'avrebbe aiutata a dimenticare.
Se avesse potuto considerarlo una creatura spregevole magari sarebbe riuscita a dimenticarsi di lui, ma il fatto era che lei lo conosceva come nessun altro e lo amava.
Incondizionatamente e al di là di ogni possibile spiegazione.
Sospirò e accese la radio. La radio trasmetteva una vecchia canzone che conosceva e canticchiò piano.
Non c'era alcuna logica, ma quella canzone le fece venire in mente i suoi giorni da umana.
Erano un po' confusi, ma c'erano cose che non avrebbe mai dimenticato e le tornarono alla mente in quel momento, sulle note di quella canzone un po' triste che sembrava rivangare la storia tormentata della sua famiglia.

 

 

 

“Please don't leave me here.
Life, for now, I've come to fear
You've dropped me of and left me here,
whit nothing here to fin my way”

 

 

 

Non c'erano dubbi che quella fosse la casa giusta: vedeva la macchina di Damon poco più avanti e scorgeva quello che probabilmente doveva essere Jeremy intento a battere il piede per terra, impaziente.
Spense l'auto e si fermò un momento.
Quella poteva essere l'ultima volta in cui si sarebbe sentita così, innamorata.

Poteva entrare in quella casa e vedere il proprio mondo sconvolto un'altra volta. Sentiva che stavolta poteva affrontarlo: dopo aver affrontato tanti sconvolgimenti credeva di poter sopportare tutto.
Il punto era che sopportare era ben diverso da accettare.

Non sarebbe finita in mille pezzi, ma sapeva che non avrebbe mai potuto rassegnarsi.
D'un tratto capì che quella sarebbe stata la sua croce per l'eternità.
Non la morte, il vampirismo o il disprezzo per se stessa, ma l'amore.
La sua umanità e l'incapacità di spegnerla erano lo scotto da pagare per la sua vita. Fato, Fortuna, Destino le erano sempre sembrati cose troppo effimere e intangibili per affidarvisi seriamente.

“Ciò che l'uomo pensa di se stesso – ecco ciò che regola o piuttosto indica il suo destino” aveva sempre detto, citando Henry David Thoreau.
Ora però si chiedeva se non fosse stato proprio il Fato, quella Tyche che i greci tanto temevano e rispettavano, a far sì che lei restasse così umana.
La sua punizione e il suo più grande pregio, probabilmente.
Le tremavano le labbra sotto il peso del pensiero di ciò che sarebbe successo. Eppure scese dall'auto a testa alta, ostinatamente orgogliosa e determinata ad arrivare fino in fondo.
Quel rapporto troncato a metà era peggio di qualunque abbandono.
Superò Jeremy senza farsi vedere e sgattaiolò fino all'ingresso.
La tipica casa americana, dipinta di un bianco e un azzurro così infantili che le ricordarono il vestito di Alice nel paese delle meraviglie.
Aprì la porta con circospezione, pur sapendo che se ci fosse stato un vampiro lì dentro l'avrebbe sentita comunque.
Entrò in punta di piedi, maledicendosi per non aver scelto un paio di scarpe più basse e che facessero meno rumore sul pavimento.
All'improvviso il ticchettio dei tacchi sembrava più uno sparo in una notte silenziosa.
La casa era strapiena, ingombra di ogni tipo di cianfrusaglia. Il suo occhio di antiquaria esperta valutò che dovevano esserci anche alcuni tesori lì dentro, come la scacchiera in legno e alabastro che aveva tutta l'aria di risalire al primo '700 o uno scrittoio addossato alla parete in stile Luigi XIV.
Probabilmente insieme a quelli vi era molto d'altro: libri, mobili, suppellettili e chissà quali altri preziosi  manufatti.
Conoscendo Mary, immaginava che non sapesse il valore del piccolo tesoro che si trovava in casa.
Era il 1895 e Julya e Kol erano a Londra quando le aveva presentato Mary. Quell'incontro fuggevole le era bastato per capire che non le piaceva per niente e non l'aveva più rivista.
Il pavimento scricchiolava a ogni passo, i tacchi si incastravano tra le fughe delle assi di legno del parquet, ma non importava: avrebbe potuto mettersi a saltare su quel pavimento malandato e rumoroso e comunque non l'avrebbe sentita nessuno.
Ogni rumore sarebbe stato coperto da quello che proveniva dalla stanza accanto alle scale, esattamente di fronte a lei.
Con il cuore in gola, si avvicinò in punta di piedi e gettò uno sguardo alla stanza
Damon era steso a terra e Kol lo guardava con il sorriso di un bambino al luna park, ma non quello sincero e felice, ma quello che Julya aveva imparato ad associare ai guai, grossi e dolorosi guai.
E la mazza che roteava con serena disinvoltura non migliorava l'impressione generale.
Non si accorsero della sua presenza subito.
La mazza d'alluminio calò ancora un paio di volte su Damon sotto lo sguardo sbigottito di Elena e Julya.
“Elena, scappa” le intimò Damon, ma Kol la spinse lontano e allora Julya decise che era il momento di intervenire prima che qualcuno si facesse davvero male.
“Kol!”
Lo afferrò per un braccio per trattenerlo, come se ce ne fosse bisogno: la sua voce aveva avuto il potere di fermarlo con la mazza a mezz'aria.

Spostò la mano sul suo petto e lo spinse indietro, lontano da Damon. Guardando il suo volto, Julya non avrebbe saputo dire se sembrasse infastidito di vederla o fosse solo sorpreso.
Di certo non si aspettava di vederla lì.
“Che diavolo ci fai tu qui?”
Si frappose fra lui e Damon e afferrò il manico della mazza per toglierglielo di mano, ma Kol non mollò la presa.
“Puoi lasciarla, per favore? Possiamo parlare anche come persone civili” lo rimbrottò e a Kol parve di essere tornato indietro nel tempo, quando lo sgridava per le sua maniere.
Gli piaceva che cercasse di impartirgli qualche lezione, di quando in quando, soprattutto perché quelle lavate di capo finivano sempre in un letto, dove facevano l'amore fino a quando non erano sazi l'uno dell'altro.
Una fitta acuta di desiderio gli fece quasi dimenticare il motivo per cui se n'era andato da Mystic Falls lasciandole una lettera.
In effetti, con il senno di poi si chiese come avesse fatto a pensare che Julya si sarebbe rassegnata.
Non avrebbe dovuto essere così felice di vederla e provò a reprimere quel sentimento.

Alla fine scoppiò in lui come un fuoco d'artificio e raggiunse ogni parte del suo corpo, anche se si costrinse a nasconderlo dietro un'espressione arrabbiata.
“Di cosa dovremmo parlare, sweetie?” la derise “Voglio solo pareggiare i conti”
La superò prima che potesse fermarlo e tornò a colpire Damon. Il braccio, la schiena e ancora la schiena... le sembrò di essere tornata a quando era umana e i nobili russi non esitavano a usare la violenza con i loro servi.
Potevano non ricordare i volti dei suoi concittadini o come si chiamassero le sue amiche, ma non avrebbe mai dimenticato le frustate, gli schiaffi e le violenze gratuite dei nobili e della polizia.
La brutalità e l'ignoranza erano la parte peggiore di quella Russia ed erano stati una ferita aperta per tanto tempo, abbastanza da impedirle di fermarsi a lungo a San Pietroburgo nei secoli successivi alla sua trasformazione.
Provò la stessa sensazione di rabbia e impotenza, lo stesso prurito alle mani e sembrò che niente fosse cambiato.
Ma non era così: lei era un vampiro e di certo non era inerme.
“Kol, fermati!” lo supplicò facendosi avanti e poggiandogli una mano sul braccio. Non sembrò darle ascolto e si preparò a infierire ancora.
“Per favore, basta” riprovò e stavolta sembrò sentirla.
Kol incontrò gli occhi scuri e intensi di Julya. Si placò e si lasciò sfilare docilmente la mazza dalle dita.
Aveva un potere enorme su di lui e Kol non se n'era mai reso conto.
Si sentiva suo nel senso più profondo del termine, come se lui fosse stato una bambola e lei la sua proprietaria.

Non c'era nulla che non avrebbe fatto per compiacerla, anche smettere di picchiare Damon Salvatore.
Lasciò che lui ed Elena se ne andassero mentre loro rimasero lì.
Forse avrebbe dovuto andarsene: ogni minuto che indugiava accanto a lei la decisione di abbandonarla si fiaccava sempre di più, sfibrandosi lentamente.
Rimasero in silenzio per un po'. Kol la guardava apertamente mentre Julya camminava per la stanza, toccando e valutando ciò che vi trovava con attenzione.
“Quindi non hai smesso di interessarti di storia” notò mentre scrutava con uno sguardo meravigliato ed estasiato un cofanetto di legno intarsiato dall'aria piuttosto antica.
“Non avrei mai potuto” ammise.
“E' sempre stata la tua più grande passione” constatò Kol.
Julya stava solo aspettando il momento giusto per parlare e quando sentì che Elena e Damon se ne andavano si voltò con uno sguardo deciso che fece capire a Kol che era arrivato il momento di chiarire.
“Perché te ne sei andato?”
Fece spallucce. Non le avrebbe detto la verità: non sarebbe servito. Anzi, avrebbe solo vanificato il suo tentativo di tenerla al sicuro.
“Mystic Falls non fa per me”
“Te ne sei andato senza una parola, un saluto”
“Ti ho lasciato una lettera”
Non aveva avuto nessuna reazione fino a quel momento: lo aveva guardato con freddezza, le labbra strette in una posa severa e il volto impenetrabile.
Quello faceva ancora più paura.
La calma mortale con cui Julya stava parlando lo spaventava cento volte di più delle sue epiche lavate di capo.
Forse perché sembrava distante, come se non le importasse: questo lo feriva più di ogni altra cosa.
Lo terrorizzava l'idea che, un giorno, lo avrebbe semplicemente trattato con indifferenza. Perciò sentirla urlare e accalorarsi era rassicurante: fino a quando fosse stato in grado di scatenare tutta la sua passionalità -fosse in un letto o mentre la baciava o gli urlava contro- avrebbe avuto la certezza di occupare un posto speciale nel suo cuore.
Era tutto quello che chiedeva per l'eternità, dato che non poteva più avere lei.
Fu un sollievo vedere i suoi occhi lampeggiare d'ira e rabbia.
“Una lettera!” si indignò “Dopo tanti anni, tu mi lasci una misera lettera” sputò la parola come se fosse un insulto.

Aveva tutto il diritto di essere arrabbiata: la sua non era stata per niente una nobile mossa. Non poteva permettersi però di mostrarle i propri veri sentimenti perciò si stampò in faccia il miglior sorriso affascinante e sperò che funzionasse.
“Mi dispiace” ammise “Vent'anni sono tanti per stare con una persona e ora mi sono reso conto che l'impegno non è per me”
L'espressione di Julya subì varie trasformazioni. Dapprima sul suo viso vi fu sorpresa, poi indignazione, rabbia e infine qualcosa che Kol non riuscì a decifrare.
“So che non sarà facile rinunciare a me” la derise sempre con il solito sorriso seducente e sarcastico “sono bello e affascinante, ma credo che l'eternità non sia per noi” ammise senza ombra di dispiacere.
“Una volta eri più abile a mentire” lo freddò “Non so se arrabbiarmi per ciò che stai dicendo o sentirmi insultata perché per uscirtene con frasi del genere devi credermi davvero stupida”

Si avvicinò abbastanza da sfoderare la sua arma vincente, quegli occhi così intensi e grandi ai quali nessuno avrebbe potuto resistere.
Probabilmente non lo faceva intenzionalmente, solo che i suoi occhi avevano su Kol un effetto strano, un po' come la sua presenza e la sua vicinanza.
“Sai una cosa? Io so perché te ne sei andato, il vero motivo” iniziò con calma, guardandolo negli occhi con uno sguardo limpido e sicuro “Hai paura di mettermi in pericolo, di farmi male. Ma me ne farai di più andandotene via”

“Un giorno ti passerà e smetterai di pensare a me” sussurrò.
Tutta la sua baldanza era scomparsa nel momento in cui si era sollevata sulle punte e aveva appoggiato la sua fronte su quella di lui, le loro labbra a un soffio le une dalle altre.
“Ho passato cento anni senza di te e posso assicurarti che non smetterò mai di amarti” gli fece notare guardandolo negli occhi.
Avrebbe voluto che Julya lo cacciasse via invece che supplicarlo di restare: sarebbe stato molto più semplice.
Invece lei intrecciò una mano con la sua e gliela strinse.
Non desiderava altro che abbracciarla, baciarla e non lasciarla più andare, ma si impose di non abbandonare il suo piano.

Per lei, si disse, lo faceva solo per lei.
Gli ci volle tutta la forza di volontà di cui disponeva per allontanarsi e superarla.
“Hai promesso che non mi avresti mai lasciata” gemette.
La sua voce era un sussurro spezzato e Kol resistette alla tentazione di voltarsi. Sapeva cosa avrebbe visto: occhi lucidi, appannati di lacrime e labbra tremanti, l'unica espressione capace di mandarlo nel panico.
Aveva visto piangere tante ragazze prima che le uccidesse, ma non avrebbe sopportato di vedere le lacrime sul suo volto.
Se si fosse voltato, non se ne sarebbe mai più andato.
“Mi stai ferendo”  continuò in un mormorio.
Kol si ostinava a non guardala negli occhi e Julya non riusciva a capire perché. Aveva compreso che non sarebbe rimasto con lei, ma non riusciva accettarlo.
Non era pronta al dolore che la invase quando realizzò che lo avrebbe perso per sempre. Non pensava avrebbe fatto tanto male.
“Starai meglio senza di me” la consolò.
“Non è vero!” esplose Julya slanciandosi verso di lui e stringendogli le braccia intorno alla vita. Affondò il viso nella sua schiena e non trattenne più le lacrime.
Non le importava di sembrare un'eroina da romanzo di terza categoria o la protagonista di qualche soap opera: non poteva perdere Kol.
Era tutto ciò che le restava e l'idea di essere separata da lui la faceva sentire come un marinaio di fronte alla tempesta perfetta.
Annichilita, le sembrava di boccheggiare alla ricerca del sollievo dal dolore.
La verità era che non le importava di non essere il tipo che piange per amore; non le importava di nulla.
Voleva disperatamente essere felice con Kol.
“Non abbandonarmi” lo pregò, ma dato che lui continuava a restare immobile tra le sue braccia decise di giocarsi il tutto per tutto.
“Tutti se ne vanno dalla mia vita, per un motivo o per l'altro. Tutti mi lasciano sola; non andartene anche tu”
Era un colpo basso, lo sapevano entrambi, ma sembrò funzionare perché Kol dovette stringere i denti e chiamare a raccolta tutta la propria determinazione per liberarsi dalla presa di Julya e allontanarsi.
Il suo cuore era a pezzi: chiunque avesse visto in lui solo un vampiro egoista e privo di sentimento, psicopatico, avrebbe cambiato idea nel vedere l'espressione sul suo viso.
Sembrava un uomo divorato da un fuoco interiore.
Julya lo seguì fino al portico. Avrebbe dovuto lasciarla così, andarsene senza aggiungere una parola, ma non riuscì a trattenersi.
“Se puoi, tienimi in un angolo del tuo cuore”
Si sarebbe accontentato di un piccolo spazio, un misero angolo nella sua memoria e nei suoi ricordi.
“Non farlo!” gli urlò dietro mentre si inoltrava nel bosco.
“Kol! Torna indietro, dannazione! Dico sul serio: vattene ora e mi perderai per sempre!” lo minacciò.
Julya non credeva che se ne sarebbe andato davvero. Si sarebbe voltato e avrebbe fatto dietro-front per tornare da lei.
Era nell'ordine naturale della cose e loro erano destinati l'uno all'altra.

Quando lo vide inoltrarsi nella boscaglia anche quella certezza vacillò per poi sfumare del tutto quando lo vide scomparire tra gli alberi.
Forse era finita davvero.

 

“It's a tear in the dark
all alone in the car.
In pieces, in pieces”

When a heart breaks- Dave Barnes

 

 

 

 

 

 

Bumbunì’s note

 

-Buonsera! Ecco, ho deciso di allungare i capitoli, un po’ per poter concludere prima dato che davvero un sacco di storie ancora aperte, un po’ perché volevo dargli più “sostanza”.

 

- Poi, volevo ringraziare chi segue/legge/ha inserito tra i preferito la storia. Casomai un giorno vi andasse di farmi sapere cosa ne pensate, accetterò con piacere la vostra opinione.

 

   
 
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