The tears I cry behind this hazel eyes
Here I am,
once again
I'm torn into pieces
Can't deny it, can't pretend
Just thought you were the one
Broken up, deep inside
But you won't get to see the tears I cry
Behind these hazel eyes
Behind this hazel eyes- Kelly Clarckson
Camminarono
mano nella mano diretti alla casa dei Salvatore.
Julya non
era sicura di trovare le proprie cose ancora nella sua stanza: pensava
piuttosto che Stefan le avrebbe lasciato tutto sul prato con il monito di non
tornare.
Avrebbe
fatto bene a farlo e a Julya non sarebbe importato. Aveva fatto la cosa giusta,
ecco tutto.
Passeggiavano
in silenzio da un pezzo, ma non le dispiaceva: la strada era deserta e buia e si
vedeva uno splendido cielo stellato invernale.
Provò un
moto di nostalgia: per quanto bello, niente avrebbe eguagliato lo stesso
spettacolo tra le montagne russe.
O meglio, le
montagne com'erano un tempo: disabitate, fredde e selvagge, proprio come piacevano
a lei.
Lo
spettacolo era mozzafiato, con il cielo nero steso come un mantello trapunto di
diamanti sulle montagne e sulle vallate.
L'aria
fredda, l'altezza, il profumo degli alberi e della notte: tutto trasmetteva una
meravigliosa sensazione di libertà.
Era
l'emozione più simile a ciò che dovevano provare gli uccelli a ogni volo,
l'opprimente sconforto di fronte all'infinito e il sussulto del cuore nel
trovarsi di fronte a qualcosa di tanto grande e tanto bello.
Alzò appena
il capo, scostando una ciocca di capelli che minacciava di finirle sugli occhi.
Si alzò una
folata di vento freddo e Kol la tirò a sé, cingendole le spalle con un braccio,
come se volesse proteggerla dal gelo.
Quella notte
sarebbe partito, ma poteva almeno godersi quelle ultime ore con lei: quando
Julya avrebbe scoperto che se n'era andato, probabilmente non lo avrebbe
perdonato.
E forse
voleva che non lo facesse perché così sarebbe stata al sicuro.
“A cosa stai
pensando?” le domandò.
“Alla mia
Russia” ammise con una sguardo affettuoso, come se stesse parlando di un'amica
che non vedeva da tanto tempo.
“Ti manca
molto?”
“A volte.
Più che altro mi manca avere una vera casa”
“Non ne hai
trovata una in tutti questi anni?” le domandò con un sorriso sghembo che le
avrebbe fatto battere il cuore se avesse potuto.
“Ho
viaggiato molto, sai? E' stato bello
scoprire il mondo” ammise con un sorriso al ricordo di tutte le avventure che
aveva vissuto, le grandi personalità che aveva incontrato e i momenti storici
di cui era stata testimone: i grandi moti rivoluzionari, la prima guerra
mondiale e la rivoluzione russa, la seconda guerra
mondiale e molto altro.
“Hai avuto
una bella vita senza di me, Julya?” le chiese senza mezzi termini, rivolgendole
però un sorriso affascinante che avrebbe dovuto rappresentare quanto fosse
spensierato, ma Julya non si lasciò ingannare.
“Ho
attraversato due secoli di storia, ho visto il mondo cambiare sotto i miei
occhi e non sempre in meglio. E' stata una bella vita, a suo modo, ma non c'è
stato momento in cui non ti avrei voluto con me, Kol, anche quando cercavo
disperatamente di non pensarti” lo rassicurò, fermandosi e carezzandogli il
volto con un accenno di sorriso.
Gli posò il
capo sulla spalla per un momento, alzandosi in punta di piedi per arrivare a
sfiorargli il collo con la punta del naso.
“Un giorno
ti racconterò tutto” gli promise.
Per un
attimo il sorriso di Kol vacillò, ma lei non lo vide e quando alzò lo sguardo
era di nuovo al suo posto, intatto.
Kol annuì:
non poteva certo dirle che quel giorno non sarebbe mai arrivato e che,
probabilmente, l'indomani mattina si sarebbe rimangiata qualunque cosa avrebbe
detto quella sera.
Decise di
non pensarci: erano le loro ultime ore insieme e voleva assaporarle a fondo.
“Sì, anche
io ti racconterò di come sia stare in una bara per più di cento anni”
ridacchiò.
Julya si
separò da lui e gli carezzò distrattamente una guancia prima di riprendere a
camminare, mano nella mano.
Le piaceva:
sembrava quasi di essere una coppia di ragazzi normali che passeggiavano
insieme.
“Mi è
mancato tutto questo” ammise Julya con
un sorriso
“Che cosa?”
Avrebbe
voluto dire che le erano mancate le passeggiate, le risate, le chiacchierate, i
baci, le carezze, gli sguardi, le mani intrecciate, il suo profumo e avrebbe potuto
continuare ancora.
Alla fine,
preferì sintetizzare.
“Tu”
“Davvero mi
ami ancora?”
La domanda
di Kol arrivò inaspettata. Julya si voltò con calma; non doveva ponderare una
risposta perché ce n'era solo una vera.
“Ne hai mai
dubitato?”
“Non è la
risposta alla mia domanda”
Si fermò un
momento: dirlo avrebbe reso la cosa irreversibile e non avrebbe più potuto
rimangiarsela.
“Posso aver
avuto dei dubbi” ammise, aprendogli il proprio cuore “ma alla fine so di averti
sempre amato” affermò.
Lo fece
sorridere il suo tono di voce, così sicuro, e i suoi occhi, così sinceri e
privi di ombre. Julya era per lui un libro aperto e tante volte le aveva detto
che aveva il cuore sulle labbra e che sarebbe bastato un bacio per portarglielo
via.
Per fortuna,
quel bacio era stato suo.
Erano
arrivati davanti a casa Salvatore, ma Kol le impedì di andare. La baciò ancora
e ancora, indugiando sulle sue labbra e lasciandola libera solo per riprenderla
e baciarla ancora.
Non riusciva
a separarsi da lei, non ora che sapeva che sarebbe stato un addio. La baciò
un'altra volta e decise che quella sarebbe stata l'ultima.
La lasciò
andare con un vuoto nel petto, costretto però a sorridere mentre le diceva
addio.
“Julya?” la
chiamò prima che entrasse con una stretta al cuore.
“Sei l'unica
che abbia mai amato” le confessò sfoderando il migliore dei suoi sorrisi da
seduttore e lei si illuminò. Sapeva che Kol poteva essere ironico,
strafottente, seducente, affascinante o arrogante a seconda dell'umore del
giorno, ma non era mai romantico a quei livelli.
Per un
attimo si chiese se non dovesse preoccuparsi, ma poi si disse che era solo
suggestione.
Kol era lì e
sarebbe andato tutto bene.
“Buona
notte, Kol”
Si chiuse la
porta alle spalle e lui se ne andò. Se si fosse fermato ancora un secondo di fronte
a quella porta avrebbe perso ogni coraggio.
*
Entrò in
casa con un sorriso così spensierato che un'espressione che, in un altro
momento e sul viso di qualcun altro, avrebbe definito “sdolcinata” e non si
sarebbe risparmiata l'ironia.
Ma era
felice e avrebbe avuto tutto il tempo del mondo, il giorno dopo e quello dopo
ancora, per ridere della propria espressione: ora voleva solo godersi quella
sensazione che non provava da molto tempo.
Si sfilò le
scarpe con il tacco per non fare rumore sul parquet, ma quando passò davanti
alla sala si accorse che Stefan era seduto sul divano e sorseggiava un
bicchiere di whiskey.
“Bentornata”
la salutò sollevando il bicchiere e alzandosi per avvicinarsi.
La sua
espressione non avrebbe potuto essere più chiara: stava per arrivare una
litigata con i fiocchi e i controfiocchi.
Sospirò
sconsolata e una smorfia le deformò il viso per un attimo. Dopotutto, capiva
perché fosse arrabbiato.
Lo era stata
anche lei, fino a poche ore prima, ma poi aveva compreso.
Julya aveva
capito che non poteva prendersela con Stefan – né con nessun altro- per aver
cercato di uccidere Klaus, anche se questo avrebbe voluto dire spazzare via tutta la famiglia degli Originali.
Se non fosse
stato coinvolto anche Kol, a Julya non sarebbe importato e probabilmente si
sarebbe anche schierata dalla sua parte e lo avrebbe aiutato, ma con i se e
i ma non si poteva fare e cambiare nulla.
Kol era
finito in mezzo a tutta quella storia e quello sì che faceva tutta la
differenza del mondo.
Solo che
Stefan sembrava non capire e la guardava come se lei avesse commesso l'azione
più riprovevole del mondo.
Ma lui aveva
agito esattamente come lei per salvare Elena!
“Vuoi
davvero litigare ora, Stefan? E' tardi ed è stata una giornata davvero lunga,
per entrambi. Andiamo a dormire” sospirò tentando di blandirlo sfoderando la
migliore delle sue espressioni provate.
“Non voglio
litigare”
Julya si
trattene dal fargli notare che allora avrebbe dovuto lavorare sulla sua
espressione perché sembrava proprio dire tutto il contrario.
“Voglio
capire perché sembri patologicamente incapace di mantenere le promesse. O
almeno, le promesse che fai a me”
“Questo non
è corretto” gli fece notare con pacatezza, troppo stanca anche per alterarsi
“io ho rispettato la mia promessa e ho fatto ciò che era giusto”
“Dimmi che
ti sei solo adattata al piano di Elijah e che tu non centri niente con il
rapimento di Elena” la pregò trattenendo a stento la rabbia.
In realtà,
voleva solo qualcuno con cui sfogarsi e Julya sembrava la vittima perfetta. Stefan
capiva benissimo perché avesse agito in quel modo: lui aveva fatto la stessa
cosa e sapeva che lo aveva fatto perché, per quanto sembrasse
impossibile, lei amava Kol almeno tanto quanto lui amava Elena.
“No, io ed
Elijah abbiamo ideato il piano. Non ti chiederò scusa per aver fatto ciò che
andava fatto”
“Elena
poteva morire!”
“Come è
successo alla madre di Bonnie, intendi? Andiamo” lo esortò con una punta di
cattiveria “non essere ipocrita”
Avrebbe
voluto dirle che non era vero, che era completamente diverso, ma Julya aveva
ragione, maledettamente ragione e lui non aveva nessun diritto di arrabbiarsi
con lei per aver giocato bene le sue carte.
“Devo
dirtelo: non pensavo fossi così brava a mentire, ingannare e usare le persone”
“Non mi
piace farlo, ma qui sembra che funzioni così e sai una cosa? Devi imparare le
regole del gioco e poi giocare meglio di tutti gli altri se vuoi sopravvivere”
gli ricordò.
Era stata la
sua politica in tempo di guerra, quando in Germania persino affermare che la
campagna in Russia non stava andando bene era considerato alto tradimento e lei
aveva dovuto imparare a sopravvivere.
Non che i
nazisti potessero farle qualcosa, ma non poteva rischiare che il suo segreto
venisse scoperto e fare la spia per gli inglesi non rendeva le cose facili.
“A quanto
pare sei diventata una delle giocatrici più brave”
Julya alzò
le spalle e non si diede la pena di ribattere.
“Mi
dispiace, Stefan. Sai che non volevo deluderti, ma dovresti anche capire che
non potevo fare altrimenti”
“Una scelta
c'è sempre”
“E io l'ho
fatta, solo che stavolta ho scelto ciò che andava bene a me: tu più di
tutti dovresti capire che non potevo scegliere diversamente”
Stefan lo
capiva, ma non era ancora pronto ad ammetterlo ad alta voce. Forse aveva solo
bisogno di dormirci un po' sopra.
Il giorno
dopo avrebbero avuto la mente abbastanza sgombra da poter discutere con calma e
ragionevolmente di qualunque cosa.
“Andiamo a
dormire” sospirò, imboccando la via delle scale per raggiungere la propria
stanza.
Si stupì nel
sentirsi trattenere dalla mano di Julya appoggiata sul suo braccio.
“Un'ultima
cosa, Stefan. So che cerchi di proteggere Elena, ma ora gli Originali sono
ancora uniti. Te lo chiedo per favore: aspetta a fare qualunque cosa tu voglia
fare contro Klaus. Ti prego, aspetta” lo pregò.
Non era sua
intenzione scivolare in un tono così supplichevole ma la voce si era incrinata
senza che potesse fare impedirlo.
Julya
immaginò di non avere un aspetto molto temibile in quel momento, con gli occhi
probabilmente un po' lucidi per la stanchezza e la voce tremula.
No, non
doveva sembrava per nulla la vampira forte e disposta a tutto pur di proteggere
chi amava che voleva apparire.
Eppure
Stefan capì lo stesso che, dietro l'apparenza, lei era disposta a fare tutto il
necessario per Kol.
In fondo,
non la biasimava: stavano facendo entrambi la stessa cosa, solo su due fronti
diversi.
“Ne
parleremo domani” sospirò e stavolta non si lasciò fermare mentre saliva le
scale.
Quella non
era una vittoria, Julya lo sapeva, ma se non altro non era neanche una
sconfitta. Si poteva dire che c'era da lavorare, ma era sicura che il giorno
dopo sarebbero riusciti a incontrarsi a metà strada.
Intanto, il
suo letto la aspettava.
*
Fu l'odore
di qualcosa di dolce e caldo a svegliarla.
Non realizzò
subito di cosa si trattasse e rimase un po' a rigirarsi nel letto,
crogiolandosi nel calore delle coperte e annusando l'aria profumata.
Sarebbe
rimasta così anche tutta la mattina, ma aveva mille ragioni per alzarsi.
Voleva
vedere Kol: ora che l'aveva ritrovato avrebbe passato con lui tutto il tempo
che aveva a disposizione.
Si infilò la
vestaglia, poi scese le scale a piedi nudi e con
un bel sorriso.
Il delizioso
aroma proveniva dal salotto e quando si fermò all'ingresso trovò il tavolino di
fronte al divano pieno dei suoi dolci preferiti e di delizioso tè.
C'era tutto
quello che una donna avrebbe potuto desiderare, dalle brioche fumanti e
profumate ai macarons dei colori più strampalati, passando per cupcakes
dall'aspetto delizioso.
Solo un
vampiro avrebbe potuto mangiare quella quantità di cibo senza ingrassare e
Julya era davvero felice di far parte della categoria.
“Buongiorno”
salutò con un sorriso, lasciandosi scivolare sul divano accanto a Damon e
servendosi il tè.
Afferrò un
macarons viola e lo morse: un delizioso sapore di viola le invase la bocca.
“Questo è un
vero banchetto. Cosa stiamo festeggiando?” domandò sorseggiando il tè.
“Niente di
particolare” borbotta Damon alzando le spalle e scoccando un'occhiata
significativa a Stefan.
Julya la
colse con la coda dell'occhio e si chiese cosa diavolo stessero tramando.
Stefan non
sembrava di ottimo umore.
Più che
altro pareva esitare, come se non sapesse bene cosa fare e si rigirava tra le
dita una busta.
“Cos'è
quella?” gli domandò sporgendosi per osservare meglio la carta color crema.
Stefan
sembrò combattuto da un dilemma interiore, Julya glielo leggeva negli occhi.
Alla fine, forse capì che comunque Julya si sarebbe impadronita di quella
lettera che sembrava la fonte di ogni angoscia e gliela porse, non senza
qualche esitazione.
Quando vide
la grafia e la riconobbe, ebbe un tuffo al cuore.
Senza
neanche aprirla seppe che il contenuto non le sarebbe piaciuto, ma cercò di
farsi forza: forse si sbagliava, forse andava ancora tutto bene.
Le cose non
potevano cambiare nell'arco di poche ore, si disse. Neanche il fato poteva
essere tanto beffardo nei suoi confronti.
Racimolò
tutto il coraggio che riuscì a trovare e aprì la busta. Le sembrò di aver
compiuto uno sforzo immane perciò si prese un momento, anche se neanche lei
sapeva bene perché.
Alla fine
abbassò lo sguardo sulla pagina vergata di fresco e fittamente coperta dalla
scrittura allungata di Kol.
Lesse tutto
d'un fiato e quando ebbe finito non trovò la forza di muoversi.
Dentro di
sé, la sera prima aveva capito che c'era qualcosa di strano, ma non aveva
voluto ammetterlo con se stessa.
Lei non
riusciva a capire perché. Sembrava così felice di averla di nuovo accanto, le
era parso così innamorato.
Forse aveva
visto ciò che voleva vedere: dopotutto, la gente lo faceva spesso.
Non
importava che si fosse sbagliata.
L'unica cosa
che contava davvero era la sensazione di abbandono che le squarciò il petto. La
conosceva bene, solo che stavolta non aveva nessuno scopo più grande a cui
aggrapparsi, nessun sogno da inseguire in cui annegare le pene.
Ecco, si disse con
rabbia, accartocciando la lettera tra le dita, questa è esattamente la
ragione per cui non avrei dovuto lasciarmi andare.
Si accorse
di avere gli occhi lucidi un momento prima di sentire le lacrime bagnarle le
guance. Se le asciugò in fretta e con un gesto furioso.
“Mi
dispiace, Julya”
Stefan
sembrava davvero dispiaciuto, ma Julya aveva bisogno di qualcuno su cui sfogare
la rabbia perciò non esitò ad aggredirlo.
“No, non è
vero. Sei contento che mi abbia lasciata perché speri che questo mi faccia
arrabbiare abbastanza da smettere di preoccuparmi”
“Mi reputi
così meschino?”
“Già”
intervenne Damon “Santo Stefan non sarebbe mai così crudele da essere felice
per le tue sofferenze”
Sembrava che
la stesse prendendo in giro, ma Julya percepiva una certa sincerità sotto le
apparenze.
Inspirò a
fondo, ma quando espirò le uscì solo un sospiro tremulo.
La verità
era che le sembrava che avessero preso il suo mondo e lo avessero ribaltato un
paio di volto, neanche fosse stato una bella palla di neve. Ora aveva
l'impressione che le girasse la testa.
Non voleva
piangere ancora, ma sentiva il groppo in gola e sapeva che le lacrime sarebbero
arrivate.
Lo sapeva
lei e lo aveva capito anche Stefan.
Le si
sedette accanto e le passò un braccio intorno alle spalle mentre Damon si
alzava e li lasciava soli.
Non era il
tipo da consolare una ragazza e Julya aveva bisogno di un amico, qualcuno che
le stesse accanto e non le permettesse di sprofondare in un altro baratro ora
che ne era uscita.
“Piangi” la
incitò.
Sapeva
quanto potesse essere liberatorio: lui non ci era riuscito quando aveva pensato
che Katherine fosse morta e il dolore lo aveva accompagnato per decenni.
“Non voglio
piangere ancora. Mi sembra di non fare altro” singhiozzò.
“Non posso
lasciarlo andare” ammise tra le lacrime “non voglio”
“Andrà tutto
bene” le giurò.
Le carezzò i
capelli con dolcezza, mentre Julya guardava con gli occhi lucidi il cibo
abbandonato.
Per qualche
ragione, quel pensiero la spezzò.
Kol se n'era
andato e si sentiva di nuovo sola, ma il pensiero dei dolci dimenticati sul
tavolo e del tè oramai freddo furono il punto di rottura.
Per qualche
ragione, quel pensiero fu quasi peggio di tutto il resto. Allora il coraggio la
abbandonò e scoppiò a piangere.
“Hai
intenzione di essere arrabbiata con me ancora per molto?”
Julya non
degnò Stefan neanche di un'occhiata e continuò imperterrita la lettura del suo
libro. Il fuoco nel caminetto del salotto scoppiettava allegramente e sul
tavolino c'erano una bottiglia di vino rosso italiano e un calice.
Dato che
sembrava più che decisa a ignorarlo, Stefan decise che l'avrebbe costretta a
prendere atto della propria presenza.
Le spostò le
gambe dal divano e si lasciò cadere accanto a lei con un sorriso. Non funzionò.
Julya si
limitò a ripiegarsi su se stessa e ad accoccolarsi contro l'altro lato del
divano, girando pagina come se niente fosse successo.
“Cosa
leggi?” le domandò allora.
Niente.
Fu costretto
a scoprirlo da solo leggendo il titolo: “Le anime morte”, in lingua
originale.
“E' un bel
libro?” le domandò
Sapeva che
niente poteva darle più fastidio che essere continuamente interrotta mentre
leggeva così si versò un bicchiere di liquore e si preparò a farle altre
domande.
“Sai, Alaric
di là si è portato da leggere Moby Dick, ma non credo che leggerà molto ora che Klaus
gli ha spezzato il collo” rifletté.
Il suo piano
funzionò.
Julya alzò
gli occhi dal libro e lo fulminò con lo sguardo “Non hai altro da fare?
Estorcere ad Alaric dov'è il paletto, ad esempio”
“Fino a
quando non si sveglierà ho ben poco da fare”
“Ed è una
buona ragione per seccare me?”
“E'
un'ottima ragione per tentare di placare la tua rabbia”
“Analizziamo
i fatti, Stefan” lo invitò chiudendo il libro. Il suo tono lasciava presagire
che sarebbe sicuramente stata una conversazione all'insegna del sarcasmo, ma
almeno gli rivolgeva la parola.
“Mi sono
presa qualche giorno di vacanza, sperando di tornare e non trovare
l'apocalisse. Invece torno e cosa scopro? Che tu e l'allegra combriccola di
ammazzavampiri non solo avete provato a uccidere gli Originali, ma che ne avete
addirittura impalato uno”
“Ma Kol sta
bene, quindi non c'è motivo di essere arrabbiata” provò a blandirla, ma Julya
non si lasciò raggirare.
“Per puro
tempismo! Poteva morire, lo sai? A essere onesti, potevamo morire tutti” gli
fece notare e un brivido di paura le attraversò la schiena.
Quando aveva
saputo cosa era successo mentre era a rilassarsi in un centro benessere tra le
montagne di Aspen, in Colorado, tutta la calma che aveva faticosamente
raggiunto durante il soggiorno rilassante era andata a farsi benedire e aveva
iniziato a inveire contro Stefan, Damon, Elena, persino Caroline e Matt.
Quando poi
le avevano raccontato di ciò che era successo a Sage e alla discendenza di
Finn... be', poco era mancato che le venisse un attacco isterico.
Dopo di che,
gli aveva parlato solo per mostrargli la sua rabbia.
“Per questo
dovresti aiutarmi. Se recuperiamo il paletto, saremo tutti salvi”
Julya
avrebbe voluto fargli notare che darle un paletto tra le mani in quel momento
poteva non essere una scelta molto brillante, ma preferì tacere.
Il silenzio
tra loro si protrasse per un po', fino a quando Stefan prese il proprio cellulare
e compose un numero.
Rispose
Damon.
Stefan gli
raccontò la situazione sorseggiando di quando in quando il suo brandy e
guardando un punto fisso sul moro di fronte.
Anche se
aveva riaperto il libro, Julya era attenta e non si perdeva un secondo della
conversazione di Damon e Stefan.
Dopotutto,
da quella situazione dipendeva anche la sua vita.
“E' arrivato
Klaus” lo informò Stefan “non è molto paziente” constatò con un cenno del capo.
“Kol deve
avergli detto che siamo a Denver”
Julya scattò
a sedere, sbattendo le palpebre con un'espressione confusa. Il suo cervello,
per quanto brillante, ci mise un momento a realizzare ciò che aveva appena
sentito.
Kol,
Denver...
Quando
riuscì a dare un senso a quelle parole, trasalì.
Sapeva
dov'era Kol ed era decisa a raggiungere Damon. Il loro intento era trovare
questa Mary Porter e se Kol voleva ostacolarsi allora era certa che il modo
migliore per trovarlo fosse seguire Elena e Damon.
Non le
importava che lui le avesse detto di non cercarlo e che sarebbe stata meglio
senza di lui: erano cazzate.
Se voleva
lasciarla, doveva dirglielo guardandola negli occhi. E forse neanche allora
Julya avrebbe accettato di perderlo ancora.
Nell'ottica
di Julya, non c'era un'altra possibilità diversa da loro due insieme: era
giusto che fosse così, non poteva essere altrimenti.
Si alzò di
scatto e raggiunse la proprio camera a velocità vampiresca. Non si era accorta
di avere Stefan alle spalle fino a quando non era entrato nella sua stanza un
secondo dopo.
“Dove vai?”
“Raggiungo
Damon a Denver”
“Julya...”
“No. Non
provare a fermarmi, non cercare di convincermi: io vado a Denver” ringhiò
infilando vestiti e scarpe in una borsa di pelle il più velocemente possibile.
Badava
appena a ciò che stava prendendo, pescando quasi a caso dai cassetti e dagli
armadi.
Le venne in
mente che non avrebbe potuto andare in macchia: ci sarebbe voluto poco meno di
un giorno intero e lei non aveva così tanto tempo.
“E se non
volesse vederti?” le domandò.
Julya non si
diede la pena di fermarsi e iniziò a cercare il proprio cellulare: doveva
chiamare l'aeroporto più vicino.
“Dovrà
farlo” ringhiò “se n'è andato e mi ha lasciato una lettera. Capisci? Lui mi ha
lasciato una lettera. A me! Se vuole dirmi addio, lo farà guardandomi negli
occhi”
Sapeva cosa
stava pensando Stefan.
Probabilmente
credeva che fosse la classica ragazza innamorata incapace di rassegnarsi e a
lei non importava che la pensasse così.
Lui non
aveva visto come Kol la guardava la sera prima che se ne andasse, non aveva
sentito i suoi baci sulle proprie labbra e non avrebbe potuto capire.
“Non c'è
niente che possa fare per farti cambiare idea”
Non era una
domanda e Julya non si diede la pena di rispondere.
“Allora” gli
domandò mentre prendeva il cellulare “hai intenzione di stare lì o pensi di darmi
una mano a trovare il numero dell'aeroporto?”
“Che cosa
vuol dire <siamo in viaggio per il Kansas, raggiungici>?” strillò
Julya facendo voltare tutti coloro che si muovevano intorno a lei.
C'era gente
che cercava il proprio gate di imbarco, altra che ne usciva eppure tutti si
girarono ad osservare quella giovane ragazza intenta a urlare al telefono così
Julya abbassò la voce.
“Vuol dire
che siamo in viaggio per il Kansas e che se vuoi puoi raggiungerci” chiarì
Damon dall'altro capo del telefono.
Era
abbastanza sicura che se lo avesse avuto a portata di mano lo avrebbe
strangolato, ma dovette accontentarsi di ringhiare attraverso il telefono.
“E come
dovrei fare?”
“Noleggia un
auto, vola, teletrasportati, fai l'autostop... stupiscimi”
Prendi un
bel respiro, Juls, e non ringhiare: la gente ti guarda.
“Damon,
passami Elena”
“Non vuoi
più parlare con me, splendore?”
“E' per il
tuo bene” lo rassicurò con un sorriso che non prometteva nulla di buono “o mi
passi Elena o so che dirai qualcosa che mi farà imbestialire e quando ci
incontreremo Kol sarà l'ultimo dei tuoi problemi”
“Come siamo
suscettibili” la prese in giro, ma il momento di silenzio che seguì le fece
capire che aveva seguito il suo suggerimento e infatti la voce che sentì subito
dopo era quella di Elena.
“Ciao,
Julya”
“Ehi. Senti,
da quanto siete in viaggio?”
“Poco più di
un'ora”
“Bene. Io
noleggerò un auto e vi raggiungerò. Dimmi dove devo andare”
Ci mise un
po' a spiegarle la strada, ma nel frattempo Julya era giù riuscita a prendere
un auto -una lucida Mercedes nera- e a imboccare l'autostrada per il Kansas.
Quando posò
il telefono sul sedile accanto a lei, aveva già recuperato un terzo del
tragitto compiuto da Damon ed Elena.
Era stata
fortuna: loro avevano preso la strada normale, quella più lunga.
L'autostrada
e la velocità sostenuta le avrebbero fatto recuperare terreno in breve tempo.
Forse non
sarebbe riuscita ad arrivare prima di loro, ma avrebbe ritardato di poco.
Mentre
guidava, l'attenzione alla strada non le impedì di pensare ad altro. Avrebbe
dovuto prestare maggiore cura, lo sapeva, ma la velocità e il movimento le
conciliavano la riflessioni e si ritrovava a pensare a cose che non c'entravano
niente con quello che stava facendo senza sapere perché.
Era
più forte di lei.
Forse
Stefan aveva ragione: non avrebbe dovuto andare. Ma se voleva trovare il modo
di chiudere anche quella storia, doveva essere Kol a dirle addio e doveva farlo
guardandola negli occhi.
Ma
era una bugia e non ci credeva nemmeno lei.
Non
sarebbe mai riuscita a chiudere per sempre con lui, neanche se l'avesse
trattata nel peggiore dei modi e l'avesse tradita.
In
realtà, dubitava che Kol potesse fare l'una o l'altra cosa.
Sapeva
che le persone lo vedevano come un vampiro irresponsabile, a volte infantile,
egoista, sconsiderato, capriccioso, forse anche un po' gigolò, dedito per lo
più al sarcasmo e incapace di comportarsi con cognizione di causa.
Kol
era pieno di difetti, Julya li vedeva senza bisogno che qualcuno glieli
elencasse.
Ma
sapeva anche che c'era anche molto altro in lui.
Aveva
passato vent'anni con lui, trascorrendo ogni secondo della proprio giornata al
suo fianco e aveva imparato a conoscerlo.
Ad
esempio, Julya sapeva che dava sfoggio del proprio sarcasmo solo quando temeva
che qualcosa potesse ferirlo; era protettivo, a volte ai limiti del possessivo,
e non aveva mai visto nessuno capace di amare – una volta superate tutte le sue
paure, ovviamente- con tanta passione.
Forse
l'aver visto il lato migliore di lui non l'avrebbe aiutata a dimenticare.
Se
avesse potuto considerarlo una creatura spregevole magari sarebbe riuscita a
dimenticarsi di lui, ma il fatto era che lei lo conosceva come nessun altro e
lo amava.
Incondizionatamente
e al di là di ogni possibile spiegazione.
Sospirò
e accese la radio. La radio trasmetteva una vecchia canzone che conosceva e
canticchiò piano.
Non
c'era alcuna logica, ma quella canzone le fece venire in mente i suoi giorni da
umana.
Erano
un po' confusi, ma c'erano cose che non avrebbe mai dimenticato e le tornarono
alla mente in quel momento, sulle note di quella canzone un po' triste che
sembrava rivangare la storia tormentata della sua famiglia.
“Please
don't leave me here.
Life,
for now, I've come to fear
You've
dropped me of and left me here,
whit
nothing here to fin my way”
Non
c'erano dubbi che quella fosse la casa giusta: vedeva la macchina di Damon poco
più avanti e scorgeva quello che probabilmente doveva essere Jeremy intento a
battere il piede per terra, impaziente.
Spense
l'auto e si fermò un momento.
Quella
poteva essere l'ultima volta in cui si sarebbe sentita così, innamorata.
Poteva
entrare in quella casa e vedere il proprio mondo sconvolto un'altra volta.
Sentiva che stavolta poteva affrontarlo: dopo aver affrontato tanti
sconvolgimenti credeva di poter sopportare tutto.
Il
punto era che sopportare era ben diverso da accettare.
Non
sarebbe finita in mille pezzi, ma sapeva che non avrebbe mai potuto
rassegnarsi.
D'un
tratto capì che quella sarebbe stata la sua croce per l'eternità.
Non
la morte, il vampirismo o il disprezzo per se stessa, ma l'amore.
La
sua umanità e l'incapacità di spegnerla erano lo scotto da pagare per la sua
vita. Fato, Fortuna, Destino le erano sempre sembrati cose troppo effimere e
intangibili per affidarvisi seriamente.
“Ciò che l'uomo pensa di se stesso – ecco ciò che regola o
piuttosto indica il suo destino” aveva sempre detto, citando Henry
David Thoreau.
Ora però si chiedeva se non fosse stato proprio il Fato, quella
Tyche che i greci tanto temevano e rispettavano, a far sì che lei restasse così
umana.
La sua punizione e il suo più grande pregio, probabilmente.
Le tremavano le labbra sotto il peso del pensiero di ciò che
sarebbe successo. Eppure scese dall'auto a testa alta, ostinatamente orgogliosa
e determinata ad arrivare fino in fondo.
Quel rapporto troncato a metà era peggio di qualunque abbandono.
Superò Jeremy senza farsi vedere e sgattaiolò fino all'ingresso.
La tipica casa americana, dipinta di un bianco e un azzurro così
infantili che le ricordarono il vestito di Alice nel paese delle meraviglie.
Aprì la porta con circospezione, pur sapendo che se ci fosse stato
un vampiro lì dentro l'avrebbe sentita comunque.
Entrò in punta di piedi, maledicendosi per non aver scelto un paio
di scarpe più basse e che facessero meno rumore sul pavimento.
All'improvviso il ticchettio dei tacchi sembrava più uno sparo in
una notte silenziosa.
La casa era strapiena, ingombra di ogni tipo di cianfrusaglia. Il
suo occhio di antiquaria esperta valutò che dovevano esserci anche alcuni
tesori lì dentro, come la scacchiera in legno e alabastro che aveva tutta
l'aria di risalire al primo '700 o uno scrittoio addossato alla parete in stile
Luigi XIV.
Probabilmente insieme a quelli vi era molto d'altro: libri,
mobili, suppellettili e chissà quali altri preziosi manufatti.
Conoscendo Mary, immaginava che non sapesse il valore del piccolo
tesoro che si trovava in casa.
Era il 1895 e Julya e Kol erano a Londra quando le aveva
presentato Mary. Quell'incontro fuggevole le era bastato per capire che non le
piaceva per niente e non l'aveva più rivista.
Il pavimento scricchiolava a ogni passo, i tacchi si incastravano
tra le fughe delle assi di legno del parquet, ma non importava: avrebbe potuto
mettersi a saltare su quel pavimento malandato e rumoroso e comunque non
l'avrebbe sentita nessuno.
Ogni rumore sarebbe stato coperto da quello che proveniva dalla
stanza accanto alle scale, esattamente di fronte a lei.
Con il cuore in gola, si avvicinò in punta di piedi e gettò uno
sguardo alla stanza
Damon era steso a terra e Kol lo guardava con il sorriso di un
bambino al luna park, ma non quello sincero e felice, ma quello che Julya aveva
imparato ad associare ai guai, grossi e dolorosi guai.
E la mazza che roteava con serena disinvoltura non migliorava
l'impressione generale.
Non si accorsero della sua presenza subito.
La mazza d'alluminio calò ancora un paio di volte su Damon sotto
lo sguardo sbigottito di Elena e Julya.
“Elena, scappa” le intimò Damon, ma Kol la spinse lontano e allora
Julya decise che era il momento di intervenire prima che qualcuno si facesse
davvero male.
“Kol!”
Lo afferrò per un braccio per trattenerlo, come se ce ne fosse
bisogno: la sua voce aveva avuto il potere di fermarlo con la mazza a
mezz'aria.
Spostò la mano sul suo petto e lo spinse indietro, lontano da
Damon. Guardando il suo volto, Julya non avrebbe saputo dire se sembrasse
infastidito di vederla o fosse solo sorpreso.
Di certo non si aspettava di vederla lì.
“Che diavolo ci fai tu qui?”
Si frappose fra lui e Damon e afferrò il manico della mazza per
toglierglielo di mano, ma Kol non mollò la presa.
“Puoi lasciarla, per favore? Possiamo parlare anche come persone
civili” lo rimbrottò e a Kol parve di essere tornato indietro nel tempo, quando
lo sgridava per le sua maniere.
Gli piaceva che cercasse di impartirgli qualche lezione, di quando
in quando, soprattutto perché quelle lavate di capo finivano sempre in un
letto, dove facevano l'amore fino a quando non erano sazi l'uno dell'altro.
Una fitta acuta di desiderio gli fece quasi dimenticare il motivo
per cui se n'era andato da Mystic Falls lasciandole una lettera.
In effetti, con il senno di poi si chiese come avesse fatto a
pensare che Julya si sarebbe rassegnata.
Non avrebbe dovuto essere così felice di vederla e provò a
reprimere quel sentimento.
Alla fine scoppiò in lui come un fuoco d'artificio e raggiunse
ogni parte del suo corpo, anche se si costrinse a nasconderlo dietro
un'espressione arrabbiata.
“Di cosa dovremmo parlare, sweetie?” la derise “Voglio solo
pareggiare i conti”
La superò prima che potesse fermarlo e tornò a colpire Damon. Il
braccio, la schiena e ancora la schiena... le sembrò di essere tornata a quando
era umana e i nobili russi non esitavano a usare la violenza con i loro servi.
Potevano non ricordare i volti dei suoi concittadini o come si
chiamassero le sue amiche, ma non avrebbe mai dimenticato le frustate, gli
schiaffi e le violenze gratuite dei nobili e della polizia.
La brutalità e l'ignoranza erano la parte peggiore di quella
Russia ed erano stati una ferita aperta per tanto tempo, abbastanza da
impedirle di fermarsi a lungo a San Pietroburgo nei secoli successivi alla sua
trasformazione.
Provò la stessa sensazione di rabbia e impotenza, lo stesso
prurito alle mani e sembrò che niente fosse cambiato.
Ma non era così: lei era un vampiro e di certo non era inerme.
“Kol, fermati!” lo supplicò facendosi avanti e poggiandogli una
mano sul braccio. Non sembrò darle ascolto e si preparò a infierire ancora.
“Per favore, basta” riprovò e stavolta sembrò sentirla.
Kol incontrò gli occhi scuri e intensi di Julya. Si placò e si
lasciò sfilare docilmente la mazza dalle dita.
Aveva un potere enorme su di lui e Kol non se n'era mai reso
conto.
Si sentiva suo nel senso più profondo del termine, come se
lui fosse stato una bambola e lei la sua proprietaria.
Non c'era nulla che non avrebbe fatto per compiacerla, anche
smettere di picchiare Damon Salvatore.
Lasciò che lui ed Elena se ne andassero mentre loro rimasero lì.
Forse avrebbe dovuto andarsene: ogni minuto che indugiava accanto
a lei la decisione di abbandonarla si fiaccava sempre di più, sfibrandosi
lentamente.
Rimasero in silenzio per un po'. Kol la guardava apertamente
mentre Julya camminava per la stanza, toccando e valutando ciò che vi trovava
con attenzione.
“Quindi non hai smesso di interessarti di storia” notò mentre
scrutava con uno sguardo meravigliato ed estasiato un cofanetto di legno
intarsiato dall'aria piuttosto antica.
“Non avrei mai potuto” ammise.
“E' sempre stata la tua più grande passione” constatò Kol.
Julya stava solo aspettando il momento giusto per parlare e quando
sentì che Elena e Damon se ne andavano si voltò con uno sguardo deciso che fece
capire a Kol che era arrivato il momento di chiarire.
“Perché te ne sei andato?”
Fece spallucce. Non le avrebbe detto la verità: non sarebbe
servito. Anzi, avrebbe solo vanificato il suo tentativo di tenerla al sicuro.
“Mystic Falls non fa per me”
“Te ne sei andato senza una parola, un saluto”
“Ti ho lasciato una lettera”
Non aveva avuto nessuna reazione fino a quel momento: lo aveva
guardato con freddezza, le labbra strette in una posa severa e il volto
impenetrabile.
Quello faceva ancora più paura.
La calma mortale con cui Julya stava parlando lo spaventava cento
volte di più delle sue epiche lavate di capo.
Forse perché sembrava distante, come se non le importasse: questo
lo feriva più di ogni altra cosa.
Lo terrorizzava l'idea che, un giorno, lo avrebbe semplicemente
trattato con indifferenza. Perciò sentirla urlare e accalorarsi era
rassicurante: fino a quando fosse stato in grado di scatenare tutta la sua
passionalità -fosse in un letto o mentre la baciava o gli urlava contro-
avrebbe avuto la certezza di occupare un posto speciale nel suo cuore.
Era tutto quello che chiedeva per l'eternità, dato che non poteva
più avere lei.
Fu un sollievo vedere i suoi occhi lampeggiare d'ira e rabbia.
“Una lettera!” si indignò “Dopo tanti anni, tu mi lasci una misera
lettera” sputò la parola come se fosse un insulto.
Aveva tutto il diritto di essere arrabbiata: la sua non era stata
per niente una nobile mossa. Non poteva permettersi però di mostrarle i propri
veri sentimenti perciò si stampò in faccia il miglior sorriso affascinante e
sperò che funzionasse.
“Mi dispiace” ammise “Vent'anni sono tanti per stare con una persona
e ora mi sono reso conto che l'impegno non è per me”
L'espressione di Julya subì varie trasformazioni. Dapprima sul suo
viso vi fu sorpresa, poi indignazione, rabbia e infine qualcosa che Kol non
riuscì a decifrare.
“So che non sarà facile rinunciare a me” la derise sempre con il
solito sorriso seducente e sarcastico “sono bello e affascinante, ma credo che
l'eternità non sia per noi” ammise senza ombra di dispiacere.
“Una volta eri più abile a mentire” lo freddò “Non so se
arrabbiarmi per ciò che stai dicendo o sentirmi insultata perché per uscirtene
con frasi del genere devi credermi davvero stupida”
Si avvicinò abbastanza da sfoderare la sua arma vincente, quegli
occhi così intensi e grandi ai quali nessuno avrebbe potuto resistere.
Probabilmente non lo faceva intenzionalmente, solo che i suoi
occhi avevano su Kol un effetto strano, un po' come la sua presenza e la sua
vicinanza.
“Sai una cosa? Io so perché te ne sei andato, il vero motivo”
iniziò con calma, guardandolo negli occhi con uno sguardo limpido e sicuro “Hai
paura di mettermi in pericolo, di farmi male. Ma me ne farai di più andandotene
via”
“Un giorno ti passerà e smetterai di pensare a me” sussurrò.
Tutta la sua baldanza era scomparsa nel momento in cui si era
sollevata sulle punte e aveva appoggiato la sua fronte su quella di lui, le
loro labbra a un soffio le une dalle altre.
“Ho passato cento anni senza di te e posso assicurarti che non
smetterò mai di amarti” gli fece notare guardandolo negli occhi.
Avrebbe voluto che Julya lo cacciasse via invece che supplicarlo
di restare: sarebbe stato molto più semplice.
Invece lei intrecciò una mano con la sua e gliela strinse.
Non desiderava altro che abbracciarla, baciarla e non lasciarla
più andare, ma si impose di non abbandonare il suo piano.
Per lei, si disse, lo faceva solo per lei.
Gli ci volle tutta la forza di volontà di cui disponeva per
allontanarsi e superarla.
“Hai promesso che non mi avresti mai lasciata” gemette.
La sua voce era un sussurro spezzato e Kol resistette alla
tentazione di voltarsi. Sapeva cosa avrebbe visto: occhi lucidi, appannati di
lacrime e labbra tremanti, l'unica espressione capace di mandarlo nel panico.
Aveva visto piangere tante ragazze prima che le uccidesse, ma non
avrebbe sopportato di vedere le lacrime sul suo volto.
Se si fosse voltato, non se ne sarebbe mai più andato.
“Mi stai ferendo” continuò
in un mormorio.
Kol si ostinava a non guardala negli occhi e Julya non riusciva a
capire perché. Aveva compreso che non sarebbe rimasto con lei, ma non riusciva
accettarlo.
Non era pronta al dolore che la invase quando realizzò che lo
avrebbe perso per sempre. Non pensava avrebbe fatto tanto male.
“Starai meglio senza di me” la consolò.
“Non è vero!” esplose Julya slanciandosi verso di lui e
stringendogli le braccia intorno alla vita. Affondò il viso nella sua schiena e
non trattenne più le lacrime.
Non le importava di sembrare un'eroina da romanzo di terza
categoria o la protagonista di qualche soap opera: non poteva perdere Kol.
Era tutto ciò che le restava e l'idea di essere separata da lui la
faceva sentire come un marinaio di fronte alla tempesta perfetta.
Annichilita, le sembrava di boccheggiare alla ricerca del sollievo
dal dolore.
La verità era che non le importava di non essere il tipo che
piange per amore; non le importava di nulla.
Voleva disperatamente essere felice con Kol.
“Non abbandonarmi” lo pregò, ma dato che lui continuava a restare
immobile tra le sue braccia decise di giocarsi il tutto per tutto.
“Tutti se ne vanno dalla mia vita, per un motivo o per l'altro.
Tutti mi lasciano sola; non andartene anche tu”
Era un colpo basso, lo sapevano entrambi, ma sembrò funzionare
perché Kol dovette stringere i denti e chiamare a raccolta tutta la propria
determinazione per liberarsi dalla presa di Julya e allontanarsi.
Il suo cuore era a pezzi: chiunque avesse visto in lui solo un
vampiro egoista e privo di sentimento, psicopatico, avrebbe cambiato idea nel
vedere l'espressione sul suo viso.
Sembrava un uomo divorato da un fuoco interiore.
Julya lo seguì fino al portico. Avrebbe dovuto lasciarla così,
andarsene senza aggiungere una parola, ma non riuscì a trattenersi.
“Se puoi, tienimi in un angolo del tuo cuore”
Si sarebbe accontentato di un piccolo spazio, un misero angolo
nella sua memoria e nei suoi ricordi.
“Non farlo!” gli urlò dietro mentre si inoltrava nel bosco.
“Kol! Torna indietro, dannazione! Dico sul serio: vattene ora e mi
perderai per sempre!” lo minacciò.
Julya non credeva che se ne sarebbe andato davvero. Si sarebbe
voltato e avrebbe fatto dietro-front per tornare da lei.
Era nell'ordine naturale della cose e loro erano destinati l'uno
all'altra.
Quando lo vide inoltrarsi nella boscaglia anche quella certezza
vacillò per poi sfumare del tutto quando lo vide scomparire tra gli alberi.
Forse era finita davvero.
“It's a tear in the dark
all alone in the car.
In pieces, in pieces”
When a heart breaks- Dave Barnes
Bumbunì’s note
-Buonsera! Ecco, ho deciso di allungare i capitoli, un po’ per
poter concludere prima dato che davvero un sacco di storie ancora aperte, un po’
perché volevo dargli più “sostanza”.
- Poi, volevo ringraziare chi segue/legge/ha inserito tra i
preferito la storia. Casomai un giorno vi andasse di farmi sapere cosa ne
pensate, accetterò con piacere la vostra opinione.