39
Subito dopo aver varcato la
soglia della Fossa, la Valliere si ritrovò invischiata nella più violenta e
spaventosa tempesta che si fosse potuta immaginare.
Onde
alte decine di metri sferzavano la nave da ogni lato, tirava un vento di
burrasca che avrebbe squarciato anche le vele più solide, cadeva pioggia mista
a grandine, e i fulmini illuminavano senza sosta il cielo reso nero dalle
nuvole.
Persino
una nave solida come la Valliere si trovò in difficoltà, ma seppur con qualche
intoppo sembrava comunque in grado di reggere la spinta della tempesta,
seguitando imperterrita verso la sua destinazione.
Il
rollio era tale che persino i marinai più navigati non riuscivano a non avere
paura, né a trattenere i conati di vomito, e sulla plancia in cima al torrione
questo rollio era se possibile ancora più forte.
«Addetto
al radar, la nostra posizione?» domandò Kaoru tenendosi ben saldo sulla propria
poltrona
«Tre
miglia dal centro della tempesta, signore!»
«Ci sono
problemi di tenuta?»
«Per ora
nessuno, signore!» disse Quintus con la cornetta dell’interfono in mare «La
nave regge!»
«Più ci
avviciniamo al centro più le condizioni peggiorano.» disse preoccupato Colbert
«Non ho mai visto una tempesta simile».
Dal
canto suo, Kiluka iniziava a temere di aver fatto il passo più lungo della
gamba.
Quel
posto sembrava l’inferno, e l’avere Seena vicino riusciva solo in parte a
mitigare la paura. Sballottata da una parte all’altra, si sentiva come una
bambola di pezza in mano ad una bambina scatenata, e per quanto pregasse la
situazione non voleva saperne di migliorare.
«Non
temete, signorina.» continuava a rassicurarla la sua fedele guardia del corpo
«Questa nave è solida. Vedrete che ce la faremo.»
«Ne sono
sicura.» rispose lei fingendo di crederci veramente.
Tutti
erano costretti a prove estreme di equilibrismo, e anche a costo di rallentare
i lavori Kaoru aveva ordinato di non uscire sui ponti per non rischiare che
qualcuno precipitasse fuoribordo.
Nonostante
tutto la situazione sembrava abbastanza sotto controllo, e dopo parecchie ore
in balia degli elementi la tempesta sembrò persino iniziare a calmarsi, forse
perché la nave si stava avvicinando all’occhio del ciclone, dove le leggenda
raccontavano si celasse il dio che ne era l’artefice.
La
pioggia prese a scendere con un po’ meno forza, i tuoni smisero di rimbombare,
e le onde parvero acquietarsi, dando finalmente un po’ di respiro alla Valliere
e al suo equipaggio dopo ore di assoluta passione.
«Ora
sembra che vada un po’ meglio.» disse Kilyan sentendo placarsi il beccheggio,
oltre ai movimenti del suo stomaco.
Quintus,
recuperato il binocolo, scrutò l’orizzonte per cercare di capire se avessero
ormai raggiunto il centro della tempesta, guardando in ogni direzione alla
ricerca di una stella, un bagliore, o una qualsiasi cosa potesse certificare un
migliorare delle condizioni meteorologiche.
Ma ciò
che vide fu ben altro.
Dapprima
sembrò solo una increspatura, quasi una sporcatura
sulle lenti, tanto che non seppe cosa pensare.
«Ma cosa…»
«Che
succede?» chiese Kaoru
«Non ne
ho idea.» replicò il suo secondo passandogli il binocolo
Sulle
prime anche Kaoru non riuscì a capire se si trattasse di un illusione ottica o
di una cosa reale, ma poi la vide crescere di dimensioni, e allora capì che ciò
che stava guardando non era una comune onda.
«Reggetevi,
si mette male.» mormorò
«Signore?»
domandò Quintus.
Le mani
di Kaoru tremavano mentre passava nuovamente il binocolo al suo secondo perché
potesse vedere anche lui quello che li aspettava.
«Oh, mio
dio!» esclamò Quintus impallidendo
«Tutta
la barra a dritta, subito!» ordinò Kaoru.
Il
timoniere girò il più velocemente possibile, e contemporaneamente i motori
vennero invertiti per accelerare la virata. La Valliere ruotò in modo
improvviso e abbastanza repentino, ma restava pur sempre una corazzata da
cinquantamila tonnellate, così quando quel muro d’acqua di venti metri le
piombò addosso non era riuscita a compiere nemmeno metà del tragitto, e lo
tsunami la investì da destra lungo tutta la fiancata.
«Reggetevi!»
strillò Quintus un attimo prima dell’impatto.
Se il
colpo fosse stato preso completamente di lato la nave si sarebbe sicuramente
ribaltata, ma quel poco di angolazione fu sufficiente a risparmiarle una tale
sorte; ciò nonostante, l’equipaggio sperimentò una vera e propria esperienza da
terremoto, scaraventato da una parte all’altra come sulla schiena di un toro da
rodeo.
Sulla
plancia, tutti riuscirono bene o male ad afferrare qualcosa; Kiluka si era
stretta ad una maniglia, una presa abbastanza sicura, se non fosse stato per
una vite allentata e mai rimessa a posto.
Nel
momento di massima inclinazione, quando i piedi non volevano davvero saperne di
stare attaccati al pavimento, la maniglia cedette, e Kiluka, urlando dal
terrore, si ritrovò prima scaraventata contro una porta, poi, quando questa
cedette, direttamente sul ballatoio esterno, scavalcandone senza volerlo il
parapetto.
«Aiuto!»
«Kiluka!»
urlò Seena.
Kaoru,
che era il più vicino, non ci pensò due volte e corse ad afferrarla, anche se
per riuscire a prenderla prima che precipitasse dovette buttarsi di sotto a sua
volta, afferrando al volo la bambina con una mano e tenendosi
contemporaneamente al parapetto con l’altra.
«Tranquilla,
ti ho presa!».
Per
interminabili secondi stettero così, penzolanti nel vuoto; Kaoru guardava
Kiluka per spronarla a non arrendersi, e nei suoi occhi vedeva la paura.
Purtroppo, il metallo era fradicio per la molta pioggia, e dopo soli pochi
attimi il giovane fu sul punto di perdere la presa.
«Comandante!»
urlò Quintus riuscendo finalmente a raggiungerli.
Sia lui
che Seena che Kilyan si avventarono sul braccio di Kaoru cercando di
afferrarlo, ma anche le loro mani si inzupparono quasi subito facendosi
scivolose come la cera.
Kaoru si
tenne aggrappato con la forza della disperazione, ma ogni secondo perdeva dei
millimetri, e alla fine, nonostante tutti gli sforzi dei suoi compagni, la
presa cedette, e sia lui che Kiluka precipitarono nel vuoto.
«Comandante!».
Con la
forza della disperazione Kaoru riuscì a stringere a sé Kiluka, e rinchiusala
all’interno della propria stretta rivolse la schiena verso l’alto; in questo
modo, quando riuscirono fortunosamente a precipitare su di una terrazzetta alla base del torrione, fu in grado di farle da
materasso evitando che si facesse male, ma in cambio ottenne di sentire l’urto
con il doppio della forza, seppure attutito dal centimetro e oltre di acqua e
dal parquet fradicio oltre ogni immaginazione.
Ci
voleva ben altro per uno come lui, ma ciò nonostante, quando arrivarono in loro
soccorso, Quintus e tutti gli altri trovarono entrambi privi di sensi.
Il
professor Colbert fece un rapido controllo, constatando subito che
fortunatamente Kaoru stava bene; quanto a Kiluka, era solo un po’ frastornata,
anche se per tutto il tempo sembrava essersi mantenuta cosciente.
«Niente
di serio.» disse il professore parlando di Kaoru «Solo un bel trauma dovuto
alla caduta.»
«Portatelo
in infermeria!» ordinò Quintus a due marinai, che subito recuperarono il giovane
trasportandolo verso la poppa.
Kiluka,
fradicia e ancora visibilmente scossa, fu avvolta amorevolmente in una coperta
da Seena e portata a sua volta nella loro cabina per potersi riprendere; a
conti fatti se l’era cavata solo con una ferita alla mano, il che era quasi un
miracolo pensando a quello che aveva passato.
«Non
temere. Ora sei al sicuro».
La
bambina non rispose, forse ancora traumatizzata per l’esperienza subita, e
seguitava a fissare il vuoto in modo quasi catatonico. Non vedendola reagire Seena
iniziò a preoccuparsi, ma Colbert aveva rassicurato che la piccole stava bene,
e quindi non c’era motivo per preoccuparsi.
«Ora
riposa. Vado a vedere se hanno bisogno di me, ma tornerò appena possibile.» e
detto questo se ne andò, non senza qualche indecisione, lasciando sola la sua
protetta.
Il primo posto che Seena
visitò fu l’infermeria, dove nel frattempo a Kaoru erano già state
somministrate le cure del caso.
La
ferita alla testa che aveva riportato cadendo era stata medicata e bendata, e
il guaritore aveva in ogni caso escluso lesioni interne, ma per qualche strano
motivo Kaoru non riusciva a riprendersi, seguitando a rimanere privo di
conoscenza.
«Come
sta?»
«Non
saprei dirti.» rispose Colbert «Non ha lesioni né danni cerebrali, e neppure è
in coma, ma nonostante ciò continua a non riprendersi.»
«Anche
le funzioni vitali sono stabili.» disse l’infermiera tastandogli il polso «Mai
visto niente di simile.»
«Una
cosa è certa, non è svenuto.» disse Derf «Altrimenti lo sarei anch’io. È come
se la sua mente si fosse spenta.»
«Era mai
accaduto niente del genere?» domandò Kilyan
«Sto
tipo mi ha abituato ad ogni sorta di sorpresa, ma questa è la prima volta che
accade una cosa così».
Regnava
una comprensibile preoccupazione, poi d’improvviso la nave ebbe un ennesimo,
inaspettato scossone, accompagnato da uno strano rumore gracchiante,
insopportabile come le unghie sulla lavagna.
Non
sembrava opera di un’onda.
«E
adesso che altro c’è?» sbuffò Seena.
Tutti
tornarono in plancia, trovando gli altri ufficiali intenti a cercare di capire
cosa fosse successo.
«Abbiamo
colpito qualcosa.» spiegò il timoniere
«Fermare
le macchine e calare l’ancora.» ordinò Quintus applicando il protocollo del
caso
«Potrebbe
essere uno scoglio.» ipotizzò Kilyan
«Siamo
in mezzo al mare.» disse Colbert «Dove li trovi degli scogli qui?»
«Queste
acque non sono mai state esplorate.» rispose Quintus «Potremmo essere in una
zona di bassa.»
«Impossibile.»
disse ancora il timoniere «L’ultimo sondaggio dava oltre duecento metri di
profondità.
Forse
sono resti di qualche relitto».
Sembrava
fosse stato solo un evento sporadico, ma poco dopo vi fu un nuovo scossone, e
questa volta il rumore fu così forte che tutti sulla Valliere poterono
sentirlo.
«Ma che diavolo…».
Nessuno
poteva vederla, con il temporale ed il mare grosso, ma già da diversi minuti
un’ombra nera si era materializzata sotto la nave, scivolando silenziosa a
destra e a sinistra urtandola di quando in quando, e producendo così tanto il
rumore quanto le scosse.
E quando
questa sinistra figura decise infine di materializzarsi, sulla plancia i più si
fecero bianchi per lo spavento.
L’acqua
esplose di colpo, proprio davanti al muso della Valliere, e dagli abissi fece
la sua comparsa un essere mostruoso, che nessuno aveva mai visto, e che incuteva
terrore solo a guardarlo.
Il corpo
era di un colore blu-grigiastro, come quello di uno
squalo; la testa sembrava il corpo di una enorme piovra, con quattro occhi
scintillanti di giallo e intere file di tentacoli a circondare una bocca da
pescecane armata di tre file concentriche di denti triangolari; di tentacoli
era fatto anche il braccio destro, avvolti e attorcigliati tra di loro e con le
estremità che, dividendosi, andavano a formare una specie di mano; il braccio
sinistro, invece, era un unico, grosso tentacolo carnoso, terminante in una
serie di spuntoni come una mazza ferrata; dietro la schiena, poi, aveva due ali membranose da pipistrello,
anche se non era possibile che fossero in grado di sollevarlo: probabilmente le
usava per nuotare.
Dalla cintola
in su, che era il punto da cui emergeva, doveva essere alto più di duecento
metri, e visto che, da come si atteggiava, i piedi doveva tenerli ben piantati
nel fondale, significava che tra una cosa e l’altra la sua altezza complessiva
superava abbondantemente i cinquecento metri.
Tutti
rimasero impietriti, letteralmente paralizzati per il terrore.
Quella
cosa era più grande di qualunque essere vivente si fosse mai visto.
«È lui.»
disse un vecchio marinaio affacciato da un boccaporto «È il Dio delle Tempeste!
Ci trascinerà negli abissi!».
In
qualche modo gli ufficiali di guardia riuscirono ad evitare che scoppiasse il
panico, ma anche loro erano terrorizzati; ma in ogni caso era niente rispetto a
quello che stavano provando gli occupanti della plancia, che avevano quella
creatura dritta davanti agli occhi.
Il
mostro ringhiò e soffiò, come un animale messo alle strette intento a
minacciare un potenziale aggressore, ma le sue intenzioni tutto sembravano
fuorché pacifiche.
La
situazione era a dir poco drammatica; la Valliere poteva essere la nave più
avveniristica di Halkengina, ma di fronte a quell’essere era come una formica
contro un elefante.
Provare
a rispondere ad un eventuale attacco sembrava pura utopia; i proiettili dei
cannoni, per quanto potenti, sicuramente non erano in grado di fare granché,
mentre a quel mostro sarebbe bastato un colpo delle sue braccia tentacolari per
fare a pezzi la nave come una barchetta di carta.
Le
torrette di prua erano già puntate in direzione della creatura, così come tutte
le altre armi abbastanza flessibili da poter essere ruotate in quella
direzione, ma nessuno osava dare l’ordine di aprire fuoco, forse nella
consapevolezza che sarebbe stato del tutto inutile.
Tutti i
marinai della Valliere erano stati dovutamente addestrati negli ultimi mesi, ma
contro una simile bestia i gesti istintivi dettati dalla paura erano più che
comprensibili.
Uno
degli addetti ai cannoni antiaerei, fattosi una statua di sale per il terrore, senza
quasi volerlo spinse il dito sul grilletto, e di colpo un boato riempì l’aria
assieme alla vampata di fuoco dello sparo. A quel punto, come in un letale
effetto domino, spararono anche tutti gli altri, senza che né Quintus né nessun
altro fossero in grado di fare qualcosa.
I
proiettili colpirono a raffica il mostro, che si protesse la testa mettendovi
davanti il braccio destro; alcuni tentacoli gli volarono via, ma nel complesso
rimase quasi illeso, e come era prevedibile quella bordata ebbe l’unico effetto
di farlo infuriare.
Il suo
ruggito fu talmente forte da far scricchiolare l’acciaio e disintegrare alcune
vetrate, ed alzato l’altro braccio lo abbatté con tutta la forza possibile
appena di poco a destra rispetto alla nave, un urto tremendo che sollevò un
gigantesco tsunami. Un’azione dimostrativa forse, o forse un caso fortuito, ma
che dava l’idea di quello che attendeva ora la Valliere ed il suo equipaggio,
perché al prossimo colpo, che prese a caricare subito dopo il primo, non
sarebbe sicuramente andato a vuoto.
«Per noi
è finita.» mormorò Colbert guardando in alto.
Poi,
improvvisamente, il mostro si fermò; così, senza una ragione precisa, lasciando
scivolare blandamente il lungo tentacolo sulla superficie del mare sollevando
una nuova, anche se meno potente, onda anomala.
Tutti
restarono basiti, domandandosi il perché di una tale azione, poi Kilyan notò
una figura che, incurante del rollio, del vento e della pioggia, avanzava a
piccoli passi sul ponte con i piedi come incollati al fasciame, tanto riusciva
a tenersi in equilibrio.
Servirono
solo pochi attimi per poterla riconoscere.
«Kiluka!»
urlò teorizzata Seena, che istintivamente fece per correrle incontro,
trattenuta a forza da Kilyan
«Aspetta!
È pericoloso!»
«Lasciami,
devo salvarla! Kiluka!»
«Ma che
sta facendo?» chiese Colbert spaventato a sua volta, ma conservando un briciolo
di raziocinio.
La
bambina, con gli occhi apparentemente ancora spenti, e proprio per questo
ancora più inquietanti, seguitò a camminare lungo il ponte verso prua,
fermandosi quasi alla sommità del ponte; non sembrava neanche un essere umano,
tale era l’apparente freddezza con cui seguitava a tenere il suo sguardo vitreo
in direzione del mostro, che a sua volta la guardò, abbassandosi fino a che non
furono quasi viso a viso, separati l’uno dall’altra solo da pochi metri.
Era come
se i due si stessero parlando, un dialogo silenzioso che nessun altro poteva
sentire.
I
secondi scorsero interminabili, in un quadro talmente irreale che persino
Seena, passato il momento di isteria, non riuscì a fare altro che restare
immobile a guardare quella che considerava ormai come la sua sorellina immobile
di fronte a quella creatura.
Il
mostro, lo spirito, o qualunque cosa fosse, sbuffò, come incapace di
distogliere lo sguardo da Kiluka, e neanche ruggendole in faccia con tale forza
da assordare l’intera nave riuscì a farla indietreggiare; poi, apparentemente
calmatosi, tra lo stupore generale prese a scivolare verso il basso, e rivolta
un’ultima occhiata alla bambina scomparve silenzioso tra i flutti.
Lo
stupore si materializzò negli occhi di chiunque avesse assistito alla scena, ma
nel momento in cui Kiluka, come un pupazzo lasciato cadere dal burattinaio,
cadde esanime sul pavimento bagnato come morta, tornò a dominare la ragione.
«Kiluka!»
esclamò Seena correndo fuori, stavolta seguita da tutti i suoi compagni.
Al loro
arrivo sul ponte Kiluka era ancora svenuta, ma dopo poco che Seena l’ebbe presa
tra le braccia la bambina riaprì timidamente gli occhi, di nuovo accesi e pieni
di vita, anche se confusi.
Incredibile
a dirsi, confusione a parte sembrava stare assolutamente bene; persino il segno
sulla mano che Seena le aveva visto poco prima pareva essere sparito.
«Kiluka…»
«Seena… cosa è successo?» domandò vedendo la sua espressione
attonita.
Era la
domanda alla quale tutti avrebbero voluto rispondere.
Era un
fatto risaputo che alle volte i famigli perdevano il controllo dei loro stessi
poteri, ma ciò a cui Colbert e gli altri avevano assistito aveva quasi del
prodigioso, e lo divenne ancora di più quando, tutto attorno a loro, la
tempesta, già acquietatasi parecchio dalla scomparsa del mostro, si dissolse
completamente, calmando il mare, tacciando il vento e dissipando le nubi, oltre
le quali si materializzò, tra lo stupore dell’intero equipaggio, il
piacevolissimo spettacolo della volta stellata.
Neanche
a farlo apposta, qualche istante dopo anche Kaoru, ancora nell’infermeria,
riprese i sensi.
«Compare.»
gli disse Derf «Bentornato tra noi.»
«Comandante,
state bene?» gli chiese l’infermiera
«Così
così.» rispose lui passandosi una mano dietro la nuca «Accidenti, che mal di
testa. Che mi sono perso?».
Per due giorni e due notti,
la Campana della Vita seguitò a suonare, salutata come una benedizione tanto
dagli elfi quanto da Saito, Siesta e i loro compagni di sventura, che ad ogni
rintocco sentivano la loro vita allungarsi un altro po’.
La loro
sopravvivenza dipendeva da quella campana, e soprattutto dalla speranza che
qualcuno venisse in loro aiuto prima che smettesse di suonare, ma per ogni
giorno che passava il filo della speranza si faceva sempre più sottile.
Bidashal
aveva raccontato che, stando alle cronache, c’erano stati periodi in cui la
campana era andata avanti a suonare per quasi due mesi, contro la media
abituate di una o due settimane al massimo, ma si trattava di eventi rari.
Le
giornate trascorrevano lente, con quel dolcissimo rintocco ad allietarle. Per far
spendere le ore i ragazzi parlavano tra di loro, con Saito che cercava, per
quanto possibile, di tenere alto il morale, decantando continuamente le mille
risorse di Kaoru e degli altri e della loro capacità innata di sbucare fuori
ogni volta al momento giusto, ma più i giorni passavano più lui stesso si lasciava
prendere dal pessimismo.
Il caldo
non era terribile come l’ultima volta che Saito e Tiffa erano stati
prigionieri, ma sopportarlo era comunque molto difficile, e rendeva il tutto
ancor più angosciante. Tuttavia, mentre Saito e gli altri suoi compagni di
cella venivano tenuti in vita a malapena con razioni di cibo ed acqua risibili,
di contro Louise e Tiffa erano trattate come regine, e ora che il motivo del
loro rapimento era venuto alla luce la cosa non doveva sorprendere più di
tanto.
Louise aveva
cercato di fare la dura rifiutandosi di mangiare, ma alla fine il timore che
accadesse qualcosa al bambino l’aveva spinta a più miti consigli, proprio come
i suoi carcerieri si aspettavano.
Una mattina,
i ragazzi erano seduti sul pavimento come al solito, cercando di sfruttarne la
temperatura fresca per combattere le ore più calde della giornata.
Il suono
della campana era l’unica cosa che rompeva il silenzio spettrale di entrambe le
celle, fino a che, a seguito dell’ennesimo rintocco, tutto tacque, e l’aria si
fece priva di suoni.
Tutti si
impietrirono. Speravano di sentire nuovamente quella flebile melodia, ma i
secondi si aggiunsero ai secondi, e nulla si sentì.
«La campana…» balbettò Ari con gli occhi sbarrati
«… si è
fermata.» sentenziò Luctiana.
Ed
Eshamel fu più solerte nel mantenere la sua parola.
Neanche due
minuti dopo che la campana aveva smesso di suonare, Maddarf si palesò nella cella
con un manipolo di guardie.
«È ora.»
disse schioccando le dita.
La
resistenza dei cinque fu coriacea ma assolutamente inutile, e in pochi attimi
vennero tutti sopraffatti e legati. Dall’altro capo del muro, Tiffa e Louise
potevano sentire ogni cosa, ma tutto quello che gli era dato fare era ascoltare
impotenti.
«Saito! Saito!»
continuava ad urlare Louise in preda alle lacrime.
Fuori
dalla cella li attendeva Eruvere, che vedendoli uscire in fila indiana con le
mani dietro la schiena sentì quasi un moto di dispiacere. Fatta salva la
cameriera, tutti gli altri si erano dimostrati avversari valorosi e degni di
stima, e anche se non osava dubitare della volontà del suo Maestro un po’ gli
dispiaceva doverli uccidere.
«Peccato.
Poteva andare diversamente».
Sentendoli
passare accanto alla sua porta Louise vi si avventò cercando vanamente di
aprirla.
«Louise!»
gridò Saito tentando di raggiungerla.
In sé sapeva
che ormai era tutto finito, ma voleva toccarla ancora; un’ultima volta. Un piacere
che gli fu negato con uno strattone di corta e due bastonate.
«Se
siete uomini d’onore, affrontate questo momento con dignità.» lo rimproverò
Maddarf.
Louise,
pur nella disperazione, non aveva perso la speranza, e si giocò l’unica carta
che aveva.
«Aspettate!»
ordinò con tono perentorio.
Nel momento
in cui Eruvere guardò all’interno la vide immobile, al centro della cella, i
denti serrati, lo sguardo sprezzante e, soprattutto, un coltello puntato sul
ventre.
«Lasciate
andare subito Saito e gli altri, o giuro sul fondatore Brimir
che mi ucciderò qui e subito!»
«Louise,
non farlo!» le urlò Saito restando inascoltato.
«Se io
mi uccido, insieme a me perderete anche il mio bambino! E sono sicura che non è
questo che volete!».
Tiffa la
guardò attonita, così come Eruvere, e per interminabili secondi non si sentì
volare una mosca; poi, però, l’elfo piegò le labbra in un ironico sorriso,
guadagnandosi un’occhiata perplessa.
«Stai
bluffando.»
«Invece
sono serissima!» replicò lei cercando di sembrare davvero tale «Lasciateli
andare o mi uccido.»
«Non lo
farai.»
«Invece
lo farò!»
«Se in
palio ci fosse solo la tua vita, potrei anche pensare che tu stia dicendo sul
serio. Ma qui non ci sei solo tu. C’è anche il tuo bambino.
Puoi
toglierti la vita con le tue stesse mani, ma non avrai mai il coraggio di fare
la stessa cosa con il frutto del tuo amore per il tuo cavaliere».
Louise sgranò
gli occhi, ed il coltello le scivolò di mano tintinnando sul pavimento.
«Ironico,
non trovi? Quel bambino è la causa di tutto, e sai perfettamente quanto sia
importante per noi. Sai che i nostri piani dipendono da lui. Probabilmente sai
anche quale destino aspetta sia te che lui. Eppure, nonostante tutto, non puoi
farci niente».
Detto questo,
senza aggiungere altro, Eruvere e gli altri elfi se ne andarono con i
prigionieri, e tutto ciò che Louise fu in grado di fare, passato lo sgomento,
fu cadere in ginocchio piangendo tutte le lacrime che aveva.
Alla base della torre tutto
era pronto per l’esecuzione.
Negli ultimi
giorni era stato allestito un apposito palco dove erano state preparate cinque
forche pronte all’uso.
Eshamel
si era fatto costruire un seggio dalla parte opposta del piazzale, rialzato rispetto
al suolo, e fin dall’istante in cui la campana aveva smesso di suonare vi si
era immediatamente seduto.
Oltretutto,
aveva già dato ordine all’intera città di presentarsi al luogo dell’esecuzione
subito dopo la fine delle celebrazioni, così in pochi attimi la piazza si era
riempita all’inverosimile di gente, uomini, donne e bambini venuti ad assistere
alla morte di quelli che fino a poco prima erano stati le loro guide supreme.
Saito e
gli altri furono portati all’esterno, ed in un silenzio generale, rotto solo da
un confuso brusio, furono fatti salire sulle passerelle magiche invisibili, e
quindi legati ognuno alla propria corda, che venne stretta saldamente attorno
al collo.
Ringraziando
al cielo, la guardia che aveva legato Saito non era stata particolarmente
accorta nel fare il nodo, così il ragazzo era riuscito, non senza stringere i
denti per il dolore, a sciogliere il nodo, e ora aspettava solo l’occasione
giusta per scattare. Se proprio era destinato a morire, almeno sarebbe morto
combattendo fino alla fine.
Quello che
era peggio, era che Eshamel aveva volutamente scelto quel luogo perché, oltre
ad essere sufficientemente grande, stava anche proprio sotto lo spioncino della
cella di Tifa e Louise, così che potessero assistere in diretta alla morte dei
loro amici.
Non c’era
pericolo che lo shock fosse tale da costare la vita al bambino; grazie all’incantesimo
che Eruvere vi aveva gettato sopra nell’atto di accertarne l’esistenza, neanche
recidendo il cordone ombelicale il feto sarebbe potuto morire, poiché ormai la
sua esistenza e sostentamento dipendevano unicamente dal potere magico della
madre senza venire intaccati in alcun modo dal suo stato d’animo o dalle
condizioni fisiche.
«Saito!
Siesta!».
Tutti
cercavano di ostentare fierezza e risolutezza, ma escluso Bidashal tutti gli
altri in realtà avevano una tremenda paura; Siesta in particolare non riusciva
a non piangere, pensando a tutti i suoi amici e ai genitori che non avrebbe
rivisto mai più.
«Non
piangere.» la ammonì Luctiana «Non dare soddisfazioni a quel bastardo.»
«Non… non ci riesco».
Eshamel
pregustava di assaporare la loro paura, ma visto che nessuno di loro, fatta
salva la cameriera di cui non gli importava niente, sembrava intenzionato ad
implorare pietà, si accontentò di godere della vista dei loro cadaveri a
penzolare dalle forche.
Come
alzò una mano, nella piazza il silenzio si fece totale, ed il tamburo di morte
prese a scandire la marcia del condannato. Contemporaneamente, lo stregone
incaricato di far scomparire i piedistalli magici si portò davanti ai cinque prigionieri,
mentre un sacerdote passò accanto ad ognuno di loro per impartire l’ultima
benedizione.
Di colpo,
dopo i tre rintocchi di chiusura, la marcia cessò, e tutto per un istante
divenne silenzio.
Eshamel
sorrise malefico.
«Giù!»
«Saito!».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Passate delle buone vacanze?
Le mie lo sono state, per fortuna, e anche
se in questo periodo avrò molto daffare sono riuscito a pubblicare questo nuovo
capitolo.
Lo so, è un po’ lungo, ma volevo che la
storia si interrompesse proprio qui, giusto per farvi penare un pochettino.
E ora?
Cosa succederà?
Inutile dire che lo scoprirete subito.
Infatti il prossimo è uno dei capitoli che da più tempo aspettavo di scrivere,
quindi vi preannuncio che malgrado tutto non dovrete aspettare molto per
vederlo.
Spero di poter aggiornare ancora entro una
settimana.
Grazie a tutti quelli che leggono e
recensiscono.
Questa storia mi sta dando una
soddisfazione dietro l’altra, e scriverla è bellissimo.
A presto!^_^
Carlos Olivera