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Autore: Carlos Olivera    14/01/2014    2 recensioni
Sono passati due anni dalla distruzione del Drago Antico.
Saito e Louise, ora sposati, vivono felicemente nel loro feudo di De Ornielle, facendo continuamente avanti e indietro da Tokyo per stare con i genitori di Saito. Per Saito, inoltre, è in arrivo una notizia inattesa e bellissima. D'improvviso, una serie di inquietanti e terribili imprevisti giungono a distruggere una pace così difficilmente conquistata. Da un momento all'altro, per qualche misterioso motivo, Saito perde nuovamente i suoi poteri di Gandalfr, e Louise la possibilità di evocare i portali dimensionali. Contemporeamente, la morte improvvisa della regina Henrietta genera lotte sanguinose per la successione al trono tra i nobili; da un momento all'altro, Tristein conosce la sua epoca Sengoku, sprofondando nella guerra civile. Mentre Saito e Louise devono scegliere che ruolo avere in questi eventi, la misteriosa comparsa di un giovane senza memoria, ma che per qualche strano motivo sembra aver "rubato" a Saito le rune di Gandalfr, sarà destinata a cambiare per sempre le loro vite.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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39

 

 

Subito dopo aver varcato la soglia della Fossa, la Valliere si ritrovò invischiata nella più violenta e spaventosa tempesta che si fosse potuta immaginare.

Onde alte decine di metri sferzavano la nave da ogni lato, tirava un vento di burrasca che avrebbe squarciato anche le vele più solide, cadeva pioggia mista a grandine, e i fulmini illuminavano senza sosta il cielo reso nero dalle nuvole.

Persino una nave solida come la Valliere si trovò in difficoltà, ma seppur con qualche intoppo sembrava comunque in grado di reggere la spinta della tempesta, seguitando imperterrita verso la sua destinazione.

Il rollio era tale che persino i marinai più navigati non riuscivano a non avere paura, né a trattenere i conati di vomito, e sulla plancia in cima al torrione questo rollio era se possibile ancora più forte.

«Addetto al radar, la nostra posizione?» domandò Kaoru tenendosi ben saldo sulla propria poltrona

«Tre miglia dal centro della tempesta, signore!»

«Ci sono problemi di tenuta?»

«Per ora nessuno, signore!» disse Quintus con la cornetta dell’interfono in mare «La nave regge!»

«Più ci avviciniamo al centro più le condizioni peggiorano.» disse preoccupato Colbert «Non ho mai visto una tempesta simile».

Dal canto suo, Kiluka iniziava a temere di aver fatto il passo più lungo della gamba.

Quel posto sembrava l’inferno, e l’avere Seena vicino riusciva solo in parte a mitigare la paura. Sballottata da una parte all’altra, si sentiva come una bambola di pezza in mano ad una bambina scatenata, e per quanto pregasse la situazione non voleva saperne di migliorare.

«Non temete, signorina.» continuava a rassicurarla la sua fedele guardia del corpo «Questa nave è solida. Vedrete che ce la faremo.»

«Ne sono sicura.» rispose lei fingendo di crederci veramente.

Tutti erano costretti a prove estreme di equilibrismo, e anche a costo di rallentare i lavori Kaoru aveva ordinato di non uscire sui ponti per non rischiare che qualcuno precipitasse fuoribordo.

Nonostante tutto la situazione sembrava abbastanza sotto controllo, e dopo parecchie ore in balia degli elementi la tempesta sembrò persino iniziare a calmarsi, forse perché la nave si stava avvicinando all’occhio del ciclone, dove le leggenda raccontavano si celasse il dio che ne era l’artefice.

La pioggia prese a scendere con un po’ meno forza, i tuoni smisero di rimbombare, e le onde parvero acquietarsi, dando finalmente un po’ di respiro alla Valliere e al suo equipaggio dopo ore di assoluta passione.

«Ora sembra che vada un po’ meglio.» disse Kilyan sentendo placarsi il beccheggio, oltre ai movimenti del suo stomaco.

Quintus, recuperato il binocolo, scrutò l’orizzonte per cercare di capire se avessero ormai raggiunto il centro della tempesta, guardando in ogni direzione alla ricerca di una stella, un bagliore, o una qualsiasi cosa potesse certificare un migliorare delle condizioni meteorologiche.

Ma ciò che vide fu ben altro.

Dapprima sembrò solo una increspatura, quasi una sporcatura sulle lenti, tanto che non seppe cosa pensare.

«Ma cosa…»

«Che succede?» chiese Kaoru

«Non ne ho idea.» replicò il suo secondo passandogli il binocolo

Sulle prime anche Kaoru non riuscì a capire se si trattasse di un illusione ottica o di una cosa reale, ma poi la vide crescere di dimensioni, e allora capì che ciò che stava guardando non era una comune onda.

«Reggetevi, si mette male.» mormorò

«Signore?» domandò Quintus.

Le mani di Kaoru tremavano mentre passava nuovamente il binocolo al suo secondo perché potesse vedere anche lui quello che li aspettava.

«Oh, mio dio!» esclamò Quintus impallidendo

«Tutta la barra a dritta, subito!» ordinò Kaoru.

Il timoniere girò il più velocemente possibile, e contemporaneamente i motori vennero invertiti per accelerare la virata. La Valliere ruotò in modo improvviso e abbastanza repentino, ma restava pur sempre una corazzata da cinquantamila tonnellate, così quando quel muro d’acqua di venti metri le piombò addosso non era riuscita a compiere nemmeno metà del tragitto, e lo tsunami la investì da destra lungo tutta la fiancata.

«Reggetevi!» strillò Quintus un attimo prima dell’impatto.

Se il colpo fosse stato preso completamente di lato la nave si sarebbe sicuramente ribaltata, ma quel poco di angolazione fu sufficiente a risparmiarle una tale sorte; ciò nonostante, l’equipaggio sperimentò una vera e propria esperienza da terremoto, scaraventato da una parte all’altra come sulla schiena di un toro da rodeo.

Sulla plancia, tutti riuscirono bene o male ad afferrare qualcosa; Kiluka si era stretta ad una maniglia, una presa abbastanza sicura, se non fosse stato per una vite allentata e mai rimessa a posto.

Nel momento di massima inclinazione, quando i piedi non volevano davvero saperne di stare attaccati al pavimento, la maniglia cedette, e Kiluka, urlando dal terrore, si ritrovò prima scaraventata contro una porta, poi, quando questa cedette, direttamente sul ballatoio esterno, scavalcandone senza volerlo il parapetto.

«Aiuto!»

«Kiluka!» urlò Seena.

Kaoru, che era il più vicino, non ci pensò due volte e corse ad afferrarla, anche se per riuscire a prenderla prima che precipitasse dovette buttarsi di sotto a sua volta, afferrando al volo la bambina con una mano e tenendosi contemporaneamente al parapetto con l’altra.

«Tranquilla, ti ho presa!».

Per interminabili secondi stettero così, penzolanti nel vuoto; Kaoru guardava Kiluka per spronarla a non arrendersi, e nei suoi occhi vedeva la paura. Purtroppo, il metallo era fradicio per la molta pioggia, e dopo soli pochi attimi il giovane fu sul punto di perdere la presa.

«Comandante!» urlò Quintus riuscendo finalmente a raggiungerli.

Sia lui che Seena che Kilyan si avventarono sul braccio di Kaoru cercando di afferrarlo, ma anche le loro mani si inzupparono quasi subito facendosi scivolose come la cera.

Kaoru si tenne aggrappato con la forza della disperazione, ma ogni secondo perdeva dei millimetri, e alla fine, nonostante tutti gli sforzi dei suoi compagni, la presa cedette, e sia lui che Kiluka precipitarono nel vuoto.

«Comandante!».

Con la forza della disperazione Kaoru riuscì a stringere a sé Kiluka, e rinchiusala all’interno della propria stretta rivolse la schiena verso l’alto; in questo modo, quando riuscirono fortunosamente a precipitare su di una terrazzetta alla base del torrione, fu in grado di farle da materasso evitando che si facesse male, ma in cambio ottenne di sentire l’urto con il doppio della forza, seppure attutito dal centimetro e oltre di acqua e dal parquet fradicio oltre ogni immaginazione.

Ci voleva ben altro per uno come lui, ma ciò nonostante, quando arrivarono in loro soccorso, Quintus e tutti gli altri trovarono entrambi privi di sensi.

Il professor Colbert fece un rapido controllo, constatando subito che fortunatamente Kaoru stava bene; quanto a Kiluka, era solo un po’ frastornata, anche se per tutto il tempo sembrava essersi mantenuta cosciente.

«Niente di serio.» disse il professore parlando di Kaoru «Solo un bel trauma dovuto alla caduta.»

«Portatelo in infermeria!» ordinò Quintus a due marinai, che subito recuperarono il giovane trasportandolo verso la poppa.

Kiluka, fradicia e ancora visibilmente scossa, fu avvolta amorevolmente in una coperta da Seena e portata a sua volta nella loro cabina per potersi riprendere; a conti fatti se l’era cavata solo con una ferita alla mano, il che era quasi un miracolo pensando a quello che aveva passato.

«Non temere. Ora sei al sicuro».

La bambina non rispose, forse ancora traumatizzata per l’esperienza subita, e seguitava a fissare il vuoto in modo quasi catatonico. Non vedendola reagire Seena iniziò a preoccuparsi, ma Colbert aveva rassicurato che la piccole stava bene, e quindi non c’era motivo per preoccuparsi.

«Ora riposa. Vado a vedere se hanno bisogno di me, ma tornerò appena possibile.» e detto questo se ne andò, non senza qualche indecisione, lasciando sola la sua protetta.

 

Il primo posto che Seena visitò fu l’infermeria, dove nel frattempo a Kaoru erano già state somministrate le cure del caso.

La ferita alla testa che aveva riportato cadendo era stata medicata e bendata, e il guaritore aveva in ogni caso escluso lesioni interne, ma per qualche strano motivo Kaoru non riusciva a riprendersi, seguitando a rimanere privo di conoscenza.

«Come sta?»

«Non saprei dirti.» rispose Colbert «Non ha lesioni né danni cerebrali, e neppure è in coma, ma nonostante ciò continua a non riprendersi.»

«Anche le funzioni vitali sono stabili.» disse l’infermiera tastandogli il polso «Mai visto niente di simile.»

«Una cosa è certa, non è svenuto.» disse Derf «Altrimenti lo sarei anch’io. È come se la sua mente si fosse spenta.»

«Era mai accaduto niente del genere?» domandò Kilyan

«Sto tipo mi ha abituato ad ogni sorta di sorpresa, ma questa è la prima volta che accade una cosa così».

Regnava una comprensibile preoccupazione, poi d’improvviso la nave ebbe un ennesimo, inaspettato scossone, accompagnato da uno strano rumore gracchiante, insopportabile come le unghie sulla lavagna.

Non sembrava opera di un’onda.

«E adesso che altro c’è?» sbuffò Seena.

Tutti tornarono in plancia, trovando gli altri ufficiali intenti a cercare di capire cosa fosse successo.

«Abbiamo colpito qualcosa.» spiegò il timoniere

«Fermare le macchine e calare l’ancora.» ordinò Quintus applicando il protocollo del caso

«Potrebbe essere uno scoglio.» ipotizzò Kilyan

«Siamo in mezzo al mare.» disse Colbert «Dove li trovi degli scogli qui?»

«Queste acque non sono mai state esplorate.» rispose Quintus «Potremmo essere in una zona di bassa.»

«Impossibile.» disse ancora il timoniere «L’ultimo sondaggio dava oltre duecento metri di profondità.

Forse sono resti di qualche relitto».

Sembrava fosse stato solo un evento sporadico, ma poco dopo vi fu un nuovo scossone, e questa volta il rumore fu così forte che tutti sulla Valliere poterono sentirlo.

«Ma che diavolo…».

Nessuno poteva vederla, con il temporale ed il mare grosso, ma già da diversi minuti un’ombra nera si era materializzata sotto la nave, scivolando silenziosa a destra e a sinistra urtandola di quando in quando, e producendo così tanto il rumore quanto le scosse.

E quando questa sinistra figura decise infine di materializzarsi, sulla plancia i più si fecero bianchi per lo spavento.

L’acqua esplose di colpo, proprio davanti al muso della Valliere, e dagli abissi fece la sua comparsa un essere mostruoso, che nessuno aveva mai visto, e che incuteva terrore solo a guardarlo.

Il corpo era di un colore blu-grigiastro, come quello di uno squalo; la testa sembrava il corpo di una enorme piovra, con quattro occhi scintillanti di giallo e intere file di tentacoli a circondare una bocca da pescecane armata di tre file concentriche di denti triangolari; di tentacoli era fatto anche il braccio destro, avvolti e attorcigliati tra di loro e con le estremità che, dividendosi, andavano a formare una specie di mano; il braccio sinistro, invece, era un unico, grosso tentacolo carnoso, terminante in una serie di spuntoni come una mazza ferrata; dietro la schiena,  poi, aveva due ali membranose da pipistrello, anche se non era possibile che fossero in grado di sollevarlo: probabilmente le usava per nuotare.

Dalla cintola in su, che era il punto da cui emergeva, doveva essere alto più di duecento metri, e visto che, da come si atteggiava, i piedi doveva tenerli ben piantati nel fondale, significava che tra una cosa e l’altra la sua altezza complessiva superava abbondantemente i cinquecento metri.

Tutti rimasero impietriti, letteralmente paralizzati per il terrore.

Quella cosa era più grande di qualunque essere vivente si fosse mai visto.

«È lui.» disse un vecchio marinaio affacciato da un boccaporto «È il Dio delle Tempeste! Ci trascinerà negli abissi!».

In qualche modo gli ufficiali di guardia riuscirono ad evitare che scoppiasse il panico, ma anche loro erano terrorizzati; ma in ogni caso era niente rispetto a quello che stavano provando gli occupanti della plancia, che avevano quella creatura dritta davanti agli occhi.

Il mostro ringhiò e soffiò, come un animale messo alle strette intento a minacciare un potenziale aggressore, ma le sue intenzioni tutto sembravano fuorché pacifiche.

La situazione era a dir poco drammatica; la Valliere poteva essere la nave più avveniristica di Halkengina, ma di fronte a quell’essere era come una formica contro un elefante.

Provare a rispondere ad un eventuale attacco sembrava pura utopia; i proiettili dei cannoni, per quanto potenti, sicuramente non erano in grado di fare granché, mentre a quel mostro sarebbe bastato un colpo delle sue braccia tentacolari per fare a pezzi la nave come una barchetta di carta.

Le torrette di prua erano già puntate in direzione della creatura, così come tutte le altre armi abbastanza flessibili da poter essere ruotate in quella direzione, ma nessuno osava dare l’ordine di aprire fuoco, forse nella consapevolezza che sarebbe stato del tutto inutile.

Tutti i marinai della Valliere erano stati dovutamente addestrati negli ultimi mesi, ma contro una simile bestia i gesti istintivi dettati dalla paura erano più che comprensibili.

Uno degli addetti ai cannoni antiaerei, fattosi una statua di sale per il terrore, senza quasi volerlo spinse il dito sul grilletto, e di colpo un boato riempì l’aria assieme alla vampata di fuoco dello sparo. A quel punto, come in un letale effetto domino, spararono anche tutti gli altri, senza che né Quintus né nessun altro fossero in grado di fare qualcosa.

I proiettili colpirono a raffica il mostro, che si protesse la testa mettendovi davanti il braccio destro; alcuni tentacoli gli volarono via, ma nel complesso rimase quasi illeso, e come era prevedibile quella bordata ebbe l’unico effetto di farlo infuriare.

Il suo ruggito fu talmente forte da far scricchiolare l’acciaio e disintegrare alcune vetrate, ed alzato l’altro braccio lo abbatté con tutta la forza possibile appena di poco a destra rispetto alla nave, un urto tremendo che sollevò un gigantesco tsunami. Un’azione dimostrativa forse, o forse un caso fortuito, ma che dava l’idea di quello che attendeva ora la Valliere ed il suo equipaggio, perché al prossimo colpo, che prese a caricare subito dopo il primo, non sarebbe sicuramente andato a vuoto.

«Per noi è finita.» mormorò Colbert guardando in alto.

Poi, improvvisamente, il mostro si fermò; così, senza una ragione precisa, lasciando scivolare blandamente il lungo tentacolo sulla superficie del mare sollevando una nuova, anche se meno potente, onda anomala.

Tutti restarono basiti, domandandosi il perché di una tale azione, poi Kilyan notò una figura che, incurante del rollio, del vento e della pioggia, avanzava a piccoli passi sul ponte con i piedi come incollati al fasciame, tanto riusciva a tenersi in equilibrio.

Servirono solo pochi attimi per poterla riconoscere.

«Kiluka!» urlò teorizzata Seena, che istintivamente fece per correrle incontro, trattenuta a forza da Kilyan

«Aspetta! È pericoloso!»

«Lasciami, devo salvarla! Kiluka!»

«Ma che sta facendo?» chiese Colbert spaventato a sua volta, ma conservando un briciolo di raziocinio.

La bambina, con gli occhi apparentemente ancora spenti, e proprio per questo ancora più inquietanti, seguitò a camminare lungo il ponte verso prua, fermandosi quasi alla sommità del ponte; non sembrava neanche un essere umano, tale era l’apparente freddezza con cui seguitava a tenere il suo sguardo vitreo in direzione del mostro, che a sua volta la guardò, abbassandosi fino a che non furono quasi viso a viso, separati l’uno dall’altra solo da pochi metri.

Era come se i due si stessero parlando, un dialogo silenzioso che nessun altro poteva sentire.

I secondi scorsero interminabili, in un quadro talmente irreale che persino Seena, passato il momento di isteria, non riuscì a fare altro che restare immobile a guardare quella che considerava ormai come la sua sorellina immobile di fronte a quella creatura.

Il mostro, lo spirito, o qualunque cosa fosse, sbuffò, come incapace di distogliere lo sguardo da Kiluka, e neanche ruggendole in faccia con tale forza da assordare l’intera nave riuscì a farla indietreggiare; poi, apparentemente calmatosi, tra lo stupore generale prese a scivolare verso il basso, e rivolta un’ultima occhiata alla bambina scomparve silenzioso tra i flutti.

Lo stupore si materializzò negli occhi di chiunque avesse assistito alla scena, ma nel momento in cui Kiluka, come un pupazzo lasciato cadere dal burattinaio, cadde esanime sul pavimento bagnato come morta, tornò a dominare la ragione.

«Kiluka!» esclamò Seena correndo fuori, stavolta seguita da tutti i suoi compagni.

Al loro arrivo sul ponte Kiluka era ancora svenuta, ma dopo poco che Seena l’ebbe presa tra le braccia la bambina riaprì timidamente gli occhi, di nuovo accesi e pieni di vita, anche se confusi.

Incredibile a dirsi, confusione a parte sembrava stare assolutamente bene; persino il segno sulla mano che Seena le aveva visto poco prima pareva essere sparito.

«Kiluka…»

«Seena… cosa è successo?» domandò vedendo la sua espressione attonita.

Era la domanda alla quale tutti avrebbero voluto rispondere.

Era un fatto risaputo che alle volte i famigli perdevano il controllo dei loro stessi poteri, ma ciò a cui Colbert e gli altri avevano assistito aveva quasi del prodigioso, e lo divenne ancora di più quando, tutto attorno a loro, la tempesta, già acquietatasi parecchio dalla scomparsa del mostro, si dissolse completamente, calmando il mare, tacciando il vento e dissipando le nubi, oltre le quali si materializzò, tra lo stupore dell’intero equipaggio, il piacevolissimo spettacolo della volta stellata.

Neanche a farlo apposta, qualche istante dopo anche Kaoru, ancora nell’infermeria, riprese i sensi.

«Compare.» gli disse Derf «Bentornato tra noi.»

«Comandante, state bene?» gli chiese l’infermiera

«Così così.» rispose lui passandosi una mano dietro la nuca «Accidenti, che mal di testa. Che mi sono perso?».

 

Per due giorni e due notti, la Campana della Vita seguitò a suonare, salutata come una benedizione tanto dagli elfi quanto da Saito, Siesta e i loro compagni di sventura, che ad ogni rintocco sentivano la loro vita allungarsi un altro po’.

La loro sopravvivenza dipendeva da quella campana, e soprattutto dalla speranza che qualcuno venisse in loro aiuto prima che smettesse di suonare, ma per ogni giorno che passava il filo della speranza si faceva sempre più sottile.

Bidashal aveva raccontato che, stando alle cronache, c’erano stati periodi in cui la campana era andata avanti a suonare per quasi due mesi, contro la media abituate di una o due settimane al massimo, ma si trattava di eventi rari.

Le giornate trascorrevano lente, con quel dolcissimo rintocco ad allietarle. Per far spendere le ore i ragazzi parlavano tra di loro, con Saito che cercava, per quanto possibile, di tenere alto il morale, decantando continuamente le mille risorse di Kaoru e degli altri e della loro capacità innata di sbucare fuori ogni volta al momento giusto, ma più i giorni passavano più lui stesso si lasciava prendere dal pessimismo.

Il caldo non era terribile come l’ultima volta che Saito e Tiffa erano stati prigionieri, ma sopportarlo era comunque molto difficile, e rendeva il tutto ancor più angosciante. Tuttavia, mentre Saito e gli altri suoi compagni di cella venivano tenuti in vita a malapena con razioni di cibo ed acqua risibili, di contro Louise e Tiffa erano trattate come regine, e ora che il motivo del loro rapimento era venuto alla luce la cosa non doveva sorprendere più di tanto.

Louise aveva cercato di fare la dura rifiutandosi di mangiare, ma alla fine il timore che accadesse qualcosa al bambino l’aveva spinta a più miti consigli, proprio come i suoi carcerieri si aspettavano.

Una mattina, i ragazzi erano seduti sul pavimento come al solito, cercando di sfruttarne la temperatura fresca per combattere le ore più calde della giornata.

Il suono della campana era l’unica cosa che rompeva il silenzio spettrale di entrambe le celle, fino a che, a seguito dell’ennesimo rintocco, tutto tacque, e l’aria si fece priva di suoni.

Tutti si impietrirono. Speravano di sentire nuovamente quella flebile melodia, ma i secondi si aggiunsero ai secondi, e nulla si sentì.

«La campana…» balbettò Ari con gli occhi sbarrati

«… si è fermata.» sentenziò Luctiana.

Ed Eshamel fu più solerte nel mantenere la sua parola.

Neanche due minuti dopo che la campana aveva smesso di suonare, Maddarf si palesò nella cella con un manipolo di guardie.

«È ora.» disse schioccando le dita.

La resistenza dei cinque fu coriacea ma assolutamente inutile, e in pochi attimi vennero tutti sopraffatti e legati. Dall’altro capo del muro, Tiffa e Louise potevano sentire ogni cosa, ma tutto quello che gli era dato fare era ascoltare impotenti.

«Saito! Saito!» continuava ad urlare Louise in preda alle lacrime.

Fuori dalla cella li attendeva Eruvere, che vedendoli uscire in fila indiana con le mani dietro la schiena sentì quasi un moto di dispiacere. Fatta salva la cameriera, tutti gli altri si erano dimostrati avversari valorosi e degni di stima, e anche se non osava dubitare della volontà del suo Maestro un po’ gli dispiaceva doverli uccidere.

«Peccato. Poteva andare diversamente».

Sentendoli passare accanto alla sua porta Louise vi si avventò cercando vanamente di aprirla.

«Louise!» gridò Saito tentando di raggiungerla.

In sé sapeva che ormai era tutto finito, ma voleva toccarla ancora; un’ultima volta. Un piacere che gli fu negato con uno strattone di corta e due bastonate.

«Se siete uomini d’onore, affrontate questo momento con dignità.» lo rimproverò Maddarf.

Louise, pur nella disperazione, non aveva perso la speranza, e si giocò l’unica carta che aveva.

«Aspettate!» ordinò con tono perentorio.

Nel momento in cui Eruvere guardò all’interno la vide immobile, al centro della cella, i denti serrati, lo sguardo sprezzante e, soprattutto, un coltello puntato sul ventre.

«Lasciate andare subito Saito e gli altri, o giuro sul fondatore Brimir che mi ucciderò qui e subito!»

«Louise, non farlo!» le urlò Saito restando inascoltato.

«Se io mi uccido, insieme a me perderete anche il mio bambino! E sono sicura che non è questo che volete!».

Tiffa la guardò attonita, così come Eruvere, e per interminabili secondi non si sentì volare una mosca; poi, però, l’elfo piegò le labbra in un ironico sorriso, guadagnandosi un’occhiata perplessa.

«Stai bluffando.»

«Invece sono serissima!» replicò lei cercando di sembrare davvero tale «Lasciateli andare o mi uccido.»

«Non lo farai.»

«Invece lo farò!»

«Se in palio ci fosse solo la tua vita, potrei anche pensare che tu stia dicendo sul serio. Ma qui non ci sei solo tu. C’è anche il tuo bambino.

Puoi toglierti la vita con le tue stesse mani, ma non avrai mai il coraggio di fare la stessa cosa con il frutto del tuo amore per il tuo cavaliere».

Louise sgranò gli occhi, ed il coltello le scivolò di mano tintinnando sul pavimento.

«Ironico, non trovi? Quel bambino è la causa di tutto, e sai perfettamente quanto sia importante per noi. Sai che i nostri piani dipendono da lui. Probabilmente sai anche quale destino aspetta sia te che lui. Eppure, nonostante tutto, non puoi farci niente».

Detto questo, senza aggiungere altro, Eruvere e gli altri elfi se ne andarono con i prigionieri, e tutto ciò che Louise fu in grado di fare, passato lo sgomento, fu cadere in ginocchio piangendo tutte le lacrime che aveva.

 

Alla base della torre tutto era pronto per l’esecuzione.

Negli ultimi giorni era stato allestito un apposito palco dove erano state preparate cinque forche pronte all’uso.

Eshamel si era fatto costruire un seggio dalla parte opposta del piazzale, rialzato rispetto al suolo, e fin dall’istante in cui la campana aveva smesso di suonare vi si era immediatamente seduto.

Oltretutto, aveva già dato ordine all’intera città di presentarsi al luogo dell’esecuzione subito dopo la fine delle celebrazioni, così in pochi attimi la piazza si era riempita all’inverosimile di gente, uomini, donne e bambini venuti ad assistere alla morte di quelli che fino a poco prima erano stati le loro guide supreme.

Saito e gli altri furono portati all’esterno, ed in un silenzio generale, rotto solo da un confuso brusio, furono fatti salire sulle passerelle magiche invisibili, e quindi legati ognuno alla propria corda, che venne stretta saldamente attorno al collo.

Ringraziando al cielo, la guardia che aveva legato Saito non era stata particolarmente accorta nel fare il nodo, così il ragazzo era riuscito, non senza stringere i denti per il dolore, a sciogliere il nodo, e ora aspettava solo l’occasione giusta per scattare. Se proprio era destinato a morire, almeno sarebbe morto combattendo fino alla fine.

Quello che era peggio, era che Eshamel aveva volutamente scelto quel luogo perché, oltre ad essere sufficientemente grande, stava anche proprio sotto lo spioncino della cella di Tifa e Louise, così che potessero assistere in diretta alla morte dei loro amici.

Non c’era pericolo che lo shock fosse tale da costare la vita al bambino; grazie all’incantesimo che Eruvere vi aveva gettato sopra nell’atto di accertarne l’esistenza, neanche recidendo il cordone ombelicale il feto sarebbe potuto morire, poiché ormai la sua esistenza e sostentamento dipendevano unicamente dal potere magico della madre senza venire intaccati in alcun modo dal suo stato d’animo o dalle condizioni fisiche.

«Saito! Siesta!».

Tutti cercavano di ostentare fierezza e risolutezza, ma escluso Bidashal tutti gli altri in realtà avevano una tremenda paura; Siesta in particolare non riusciva a non piangere, pensando a tutti i suoi amici e ai genitori che non avrebbe rivisto mai più.

«Non piangere.» la ammonì Luctiana «Non dare soddisfazioni a quel bastardo.»

«Non… non ci riesco».

Eshamel pregustava di assaporare la loro paura, ma visto che nessuno di loro, fatta salva la cameriera di cui non gli importava niente, sembrava intenzionato ad implorare pietà, si accontentò di godere della vista dei loro cadaveri a penzolare dalle forche.

Come alzò una mano, nella piazza il silenzio si fece totale, ed il tamburo di morte prese a scandire la marcia del condannato. Contemporaneamente, lo stregone incaricato di far scomparire i piedistalli magici si portò davanti ai cinque prigionieri, mentre un sacerdote passò accanto ad ognuno di loro per impartire l’ultima benedizione.

Di colpo, dopo i tre rintocchi di chiusura, la marcia cessò, e tutto per un istante divenne silenzio.

Eshamel sorrise malefico.

«Giù!»

«Saito!».

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Passate delle buone vacanze?

Le mie lo sono state, per fortuna, e anche se in questo periodo avrò molto daffare sono riuscito a pubblicare questo nuovo capitolo.

Lo so, è un po’ lungo, ma volevo che la storia si interrompesse proprio qui, giusto per farvi penare un pochettino.

E ora?

Cosa succederà?

Inutile dire che lo scoprirete subito. Infatti il prossimo è uno dei capitoli che da più tempo aspettavo di scrivere, quindi vi preannuncio che malgrado tutto non dovrete aspettare molto per vederlo.

Spero di poter aggiornare ancora entro una settimana.

Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono.

Questa storia mi sta dando una soddisfazione dietro l’altra, e scriverla è bellissimo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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