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Autore: Tomi Dark angel    14/01/2014    3 recensioni
Ambientata durante l'episodio "L'ultimo Signore Del Tempo", dove qualcuno di molto caro al nostro Dottore si ripresenta ai suoi occhi... ma qualcosa adesso è cambiato.
Dal testo: -Quando usai il TARDIS per raggiungere questa epoca mi accorsi che esso conservava ricordi di un contatto, di qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Era nata una strana creatura che la natura stessa non ha mai saputo concepire e io riuscii a trasportarla qui grazie al Vortice del Tempo. Invertii il flusso temporale, aprii una breccia in un’altra era, in un’altra dimensione. Rischiai un buco nero ma alla fine, lei era lì, ed era bellissima…-
-Maestro, che cosa hai fatto?-
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Profumo. Dolcezza di un calore avvolgente, appagante. Per la prima volta dopo giorni, Rose è riuscita a dormire, e soltanto quando leva le palpebre ne coglie il motivo: il Dottore è lì, stretto a lei, le gambe intrecciate alle sue, il mento poggiato sulla sommità del suo capo in un gesto naturale, rilassato. Sono corpi che s’incastrano, anime che s’accarezzano di pallida dolcezza, e Rose si sente completa solo lì, in quell’abbraccio. È qualcosa di pulito, di sincero.
-Guarda che lo so che sei sveglia.- mormora il Dottore, con voce ancora impastata dal sonno. Rose sorride contro la sua clavicola, si stringe forte al pigiama che neanche ricorda quando lui ha indossato.
-Dovremmo alzarci.- risponde lei.
-Hai da fare?-
-Non molto.-
-Il mondo sta per cadere sotto minacce aliene o cataclismi non inclusi nel rispettivo lasso temporale?-
-Spero di no… ma quanto parli? Ti sei svegliato un momento fa!-
-Sono iperattivo, lo sai.-
Già, lo sa. Perché Rose lo conosce, ha più familiarità col battere intenso di due cuori in un petto che con uno solo. Per questo appoggia una mano proprio lì, dove il pulsare degli organi vitali si fa più importante, più forte, e adesso, reagendo al suo tocco, accelera ancora di più.
Il Dottore finalmente la guarda, si specchia in quegli occhi d’oro fuso. Per qualche istante vi è pace, silenzio, serenità… poi, l’inferno.
-Cos’hai lì?- si allarma lui, guardandola in viso con occhi sempre più sbarrati. Scatta a sedere, quasi facendola cadere dal letto, ma il Dottore non ci fa caso.
Rose si alza, tocca un punto poco sopra le labbra dove sente qualcosa di caldo colare silenzioso sulla pelle. Quando allontana la mano, le dita sono rosse di una traditrice goccia di sangue, piccola ma terribile nella sua immagine spettrale. Rose ne avverte il peso, capisce cosa sta per accadere ancor prima che succeda.
Disperata come un ratto in fuga dal mondo, scende dal letto e balza in piedi. Zoppica, riesce appena ad avanzare di qualche passo prima che le gambe cedano definitivamente in uno schiocco sepolcrale di ossa. Rose Tyler crolla al suolo, si rannicchia come bestia ferita mentre il Dottore grida il suo nome, la costringe a distendersi per poterla guardare in faccia e appoggiare il suo capo sulle ginocchia. C’è sangue dappertutto, e il Dottore non sa nemmeno quando sia uscito: piove dagli occhi, dalle orecchie, da naso e bocca. Le iridi di Rose, per quanto iniettate di sangue, adesso sono più dorate che mai. Ha paura, il Dottore glielo legge negli occhi. E lui? Lui si sente spezzato, sempre più a pezzi man mano che capisce cosa significhi quella situazione, cosa stia succedendo realmente. E all’improvviso, la chiamata del Maestro, gli sguardi che scambiava con Rose mentre erano a tavola… tutto assume un senso.
-Perché me l’hai nascosto?- riesce a mormorare lui con voce rotta, ma lei non lo ascolta. Sbarra gli occhi lucidi di pianto, singhiozza e stringe forte la mano del suo compagno, la mano del Dottore. Sono dita gentili, mani che hanno saputo ripulirla, confortarla, guidarla verso un gradino più alto, oltre le nuvole e il Creato. Quelle mani l’hanno fatta sognare e, così come esse hanno saputo schiuderle le porte del paradiso, così sarà giusto che le richiudano. Adesso è finita per davvero. Tempo non ne hanno più… e questo la uccide due volte: perché alla fine, lui resterà solo, perché piangerà l’ennesima perdita nel silenzio del dolore. Nessun domani per loro, nessuna scritta su pagina dorata che narra di una nascita, di una famiglia felice, di sorrisi. L’ultima pagina del tomo scritto insieme sul libro della vita, sarà nera e silenziosa. Non parlerà, non narrerà.
-Resisti. Resisti, ce la farai.- dice il Dottore, ma cerca di convincere se stesso, cerca in lei quel coraggio che viene a mancare proprio adesso. Le accarezza la fronte, si sporca la mano di sangue malato. Vorrebbe morire con lei, vorrebbe finirla lì. Farà male davvero, stavolta.
Rose trova la disperata forza di sorridere, perché il suo ultimo atto sarà per lui, per infondergli quel po’ di serenità che le rimane. Ha sofferto tanto, il Dottore, e non meriterebbe neanche più di sentire lacrime pesanti di dolore sulla pelle.
-Andrà tutto bene.- esala lei, ma già sente le forze abbandonarla, il sangue defluire dal corpo. Qualcosa le spezza le ossa dell’interno mentre il potere del Lupo Cattivo si dilata, schiaccia organi e nervi. Lei è nient’altro che mero risultato di una scelta compiuta tempo fa. Lo farebbe di nuovo, perché il risultato lei lo ricorda bene: Jack vive, il Dottore respira ancora, salva mondi, ere, galassie. È un angelo inconsapevole, antica creatura senz’ali. Eppure, nella sua antichità, ha saputo mantenere quella porzione di puerilità che lo rende vivo, giovane laddove vecchiaia avrebbe dovuto avanzare. Ed è bello. Il suo Dottore.
Vorrebbe piangere, Rose, perché sa che nessun futuro li attende. Nessun bambino riderà, stando tra le braccia del Dottore, nessun Signore del Tempo vedrà nascere una nuova dinastia, una nuova speranza. Rose chiedeva una famiglia, accoglieva la speranza di potersi vedere madre. Non sarà mai così. Non più.
-Vieni, andrà tutto bene.-
E Rose gli passa le braccia intorno al collo, stringe al petto il capo del Dottore. Ascolta i suoi singhiozzi, chiude gli occhi e s’infonde coraggio laddove paura e tristezza rischiano di sopraffarla.
-Avrei tanto voluto… vederlo.-
Dong, dong, dong. E mezzanotte infine giunge.
Dong, dong, dong. Il silenzio dei rintocchi, l’immobilità del tempo che pare fermarsi.
Dong, dong, dong. Suona, la campana della fine, annuncia un traguardo mai raggiunto di una vita lasciata a metà. Chiude il giro la grande lancetta, china il capo la madre vita che vede sottrarsi due dei suoi figli. Un bambino, una giovane madre.
La morte ride, adesso. E la vita piange.
Qualcuno urla da qualche parte, ed è un grido così straziato che scuote le pareti del TARDIS, lo fa rabbuiare, spezza il silenzio del tempo stesso con tanta forza da rivoltarlo come un guanto.
Fuori dalla cabina telefonica blu, appoggiato alla sua parete, vi è il Maestro. Si copre gli occhi con una mano, vergognoso s’appesantisce del peso della sua ultima colpa. Rose Tyler, colei che ha saputo accettarlo, sorridergli, tendergli una mano. Dell’immensità che poteva generare coi suoi enormi poteri, ha scelto di cancellare il diapason di tamburi nella sua testa. E lui l’ha uccisa.
-RIPRENDITELI!!!- grida una voce dall’interno, voce d’uomo arsa dalle fiamme. –RIPRENDITI I TUOI POTERI!!! LEI NON C’ENTRA NIENTE, L’HA FATTO PER ME!!!-
E il Dottore continua a supplicare, và avanti per ore intere, finché la voce non s’affievolisce, tramutandosi in suono indistinto, infernale. Il Maestro non si risparmia niente, ascolta e fa tesoro del dolore che quello strazio non cela.
Quando Jack e gli altri arrivano con le braccia stracolme di buste per un nuovo pranzo familiare, il Maestro chiude e gli occhi e gira il capo dall’altra parte. Non parla, ma lascia intendere che qualcosa non và. A conferma dei sospetti di Jack, giunge il grido del Dottore, il suo singhiozzare isterico.
Le borse cadono a terra, una folla di gente si catapulta per i corridoi del TARDIS, li attraversa seguendo il suono lacerante, fonte di un dolore che ha spento le luci nella cabina telefonica, piombandola nell’oscurità quasi totale. Jack e gli altri non sanno come riescono a non sbattere contro i muri, ma sono sicuri del percorso che seguono finché non spalancano la porta dinnanzi a loro e lì, posano gli occhi sull’inferno.
Sangue. Sangue ovunque. Sulle mani del Dottore, sul letto sfatto, sul pavimento, sul corpo di giovane donna che giace accasciato tra le braccia dell’alieno. Tish grida, Martha se la stringe al petto in cerca di un coraggio che non ricorda più di avere. Ma è Jack ad accasciarsi accanto al corpo di Rose, è Jack a specchiarsi negli occhi di vetro che durante il trapasso, la ragazza non ha avuto il tempo di nascondere sotto le palpebre. Sono occhi traboccanti di paura e tristezza, anche nell’inespressività della morte.
Jack non sa cosa gli impedisce di piangere, di gridare. Non ha più lacrime per questo, la voce sembra soffocata in gola e non accenna a sfiorare lingua e palato. Per questo Jack si limita a passare un braccio intorno alle spalle del Dottore, trovandole curve e stanche come quelle di un vecchio. Jack china il capo, chiude gli occhi. E da quel momento, solo rumore di pianto interrompe il silenzio mortifero che cade come cappa caritatevole sulla piccola, grande cabina blu.
 
Tempo. A volte dicono che basta questo per sentirsi meglio. Aspettare. Ma sono passare ore intere, interminabili, e il Dottore non accenna a separarsi da quel corpo tanto caro e ormai gelido. Piange in silenzio adesso, ma non smette di baciarle le guance, le palpebre che Jack ha calato a coprirle gli occhi. L’ha avvolta nel suo lungo cappotto, come se sentisse freddo, ma Rose Tyler il freddo ha dimenticato cosa sia. Non ricorda più, non respira più. Non c’è più niente in quel corpo.
Ma il Dottore non si arrende e continua a supplicare, implora il TARDIS di riprendersi quel potere assassino che l’ha uccisa, implora che qualcuno risparmi quella vita innocente. Grida al cielo, al creato, all’universo stesso, ma nessuno ascolta, nessuno sente davvero.
È ormai l’alba quando Jack, rimasto in quella stanza e addormentatosi durante la notte, decide che è tempo di rimuovere il corpo di Rose Tyler: si alza in piedi, poggia una mano sulle spalle curve da vecchio del Dottore.
-Dobbiamo spostarla. Và seppellita, Dottore.- dice soltanto, ma solo in quel momento si accorge che lui non alza gli occhi, non si muove più: c’è silenzio, troppo.
-Cosa…-
All’improvviso, il Dottore leva il capo, guarda Jack con occhi rossi di pianto e intrisi della rabbia animale di chi non accetta, di chi non si arrende alla crudezza di un destino malato.
-Non ci sto.- ringhia, prima di stringere a sé il corpo di Rose. Si alza in piedi e con andatura indebolita dal dolore, barcollante e mani sporche di sangue ormai rappreso, il Dottore esce dalla stanza. Raggiunge la sala console, e lì vi trova i Jones e il Maestro, seduto in un angolo lontano, riparato. Non parla da ore.
Quando tutti lo vedono, qualcosa pare muoversi, cambiare nei loro occhi. In un solo istante, chiunque può avvertire l’insormontabile presenza del più grande Signore del Tempo mai esistito. Lo guardano, e riconoscono in lui creatura pietosa e terribile, gentile e giudiziosa, occhi antichi su viso di gioventù. Ogni passo pare scuotere la terra, le acque del mondo, gli animi di chi lo abita. Perché quel Signore del Tempo non si è mai opposto, non ha mai cercato di cambiare fatti ormai avvenuti. Adesso è diverso, adesso lui punta i piedi e pretende quel briciolo di felicità al quale non vuole rinunciare più.
È il peso delle ere che accompagna ogni passo del Dottore.
È lo scorrere di lancette che china il capo e si ferma al suo passaggio.
In un solo istante, il tempo si cristallizza, gli orologi si bloccano. In tutto il mondo, la gente si innervosisce dinanzi allo spettacolo terrificante delle acque che interrompono il loro lento scorrere, gocce cristalline ferme a mezz’aria come frammenti di vetro in frantumi. Gli animali interrompono la loro lotta per la vita, alcuni si svegliano dal letargo e perfino una cometa si blocca in cielo, luminosa cicatrice su pallida distesa di blu cobalto.
Fermo il tempo, il mondo attende, trattiene il respiro. È pura leggenda quella che calca la misera Terra con superbia di grandezza e fermezza da gigante.
Il corpo ormai gelido di Rose Tyler si posa sul pavimento del TARDIS, il Dottore infila le dita in un piccolo varco nel pavimento che conosce a memoria, meglio del corpo che muta di continuo.
-Non vorrai mica…- si riscuote il Maestro, ma uno sguardo del Dottore lo fa ammutolire.
-State indietro.- sbotta il Dottore, e nessuno sente il bisogno di disubbidirgli. Indietreggiano tutti, come un sol uomo mentre il Signore del Tempo tira, digrignando i denti per lo sforzo.
È il vortice del Tempo che sfugge come possente fascio dorato dal pavimento del TARDIS, ricopre di riflessi cangianti i muri, la console, i volti atterriti di chi avverte anche solo alla lontana l’enorme potere che ha fatto a pezzi Rose Tyler. Il peso di ere intere stende le dita sull’ambiente, lo appesantisce di un’anzianità vissuta che i presenti neanche lontanamente hanno mai concepito.
-Riprenditeli. Non mi ripeterò ancora, mi conosci. Riprenditi il tuo Tempo, i tuoi poteri e lasciala andare. So che lei è ancora qui, da qualche parte: in tanti secoli di viaggi insieme non ti ho mai chiesto niente, nessuno sforzo in particolare, nessun desiderio… ma adesso sono qui per implorarti. Ti prego, riprenditeli.-
Il Dottore implora, trattiene a fatica il pezzo di metallo che preme per richiudere la breccia sul fascio di vortice che adesso si riflette come ombra mortifera negli occhi del Signore del Tempo. Lui guarda, si specchia in esso e antepone la possibilità del suo sacrificio al ritorno di colei che ha saputo riportare il sole nella sua vita.
Negli occhi di Rose, quei bellissimi occhi, ha visto nascere albe, poi morte in tramonti variopinti fino alla notte, dove mitica aurora boreale è esplosa nei cuori del Dottore per ricordargli che il suo posto finalmente, l’aveva trovato.
-Ti prego.-
Una lacrima piove dal suo volto, cade dal mento ispido di leggerissima barba. Il vortice del Tempo la assorbe, lascia che un pallido sussulto lo percuota. Qualcosa cambia, si muove, muta l’oro brillante del potere che alimenta il TARDIS in densa sostanza sfumata in caramello, bronzo, infine rosso porpora, troppo simile al sangue versato da Rose, la sua Rose. Il fascio colpisce il Dottore in pieno volto, lo sbilancia all’indietro. Quando sbatte la testa al suolo e sviene, non si accorge di aver stretto la mano di Rose così forte da farsi male.
 
Apri gli occhi, uomo dai due cuori. Ricordi il tuo nome, la tua storia? Fai con calma. Il tempo è poco, ma tu questo neanche lo sai. Ti limiti ad inspirare, a guardarti intorno tremante d’umana debolezza. Ma tu non sei umano, e di umano hai solo l’aspetto. Devi soltanto guardarti, guardare l’ambiente circostante e capire chi sei, dove ti trovi, perché sei qui. Puoi farlo, l’hai già fatto.
-Non può essere…-
Una voce, un mormorio basso di donna distrutta. È questo il timbro che ti scuote fin dentro le ossa, che ricopre di brividi la tua pelle all’apparenza umana. Ti guardi intorno, capisci di trovarti in una stanza pentagonale. Non vi è uscita, poiché cinque identici specchi, stretti e alti, ti circondano come predatori intorno alla preda ignara. È proprio in uno di questi specchi che guardi, vedi riflessa non la tua immagine, ma quella di una giovane in ginocchio, ansimante, col sangue che cola in rivoli sottili dalle labbra e dal naso. Rose Tyler, Lupo Cattivo.
La conosci, Dottore?
Ti avvicini, tocchi la superficie liscia dello specchio desideroso di entrarci, di stringere quel corpo tremante di cristallo per ricordare a entrambi che il mondo non è finito.
I tuoi occhi cadono sulla mano di Rose, poggiata convulsamente sul ventre. Lo artiglia con disperazione, quasi ferendosi per la forza che infonde in quel gesto terrorizzato. E un pensiero si forma nella tua mente, Dottore, s’insidia tra pieghe di paura e sorpresa.
-Di chi è? Rispondi!- grida un’altra voce, e allora nel secondo specchio compare una Rose bellissima e terribile, furiosa nella rabbia che pervade la sua pelle dorata di potere a stento trattenuto. Giace a cavalcioni del Maestro, preme un ginocchio sul suo inguine, nascondendo il terrore accecante che le fa appena tremare le mani. Il Maestro non se ne accorge, ride, parla, si prende gioco di lei. Ma è alla fine, quando pronuncia l’ultima frase, che qualcosa nel Dottore cambia: -Sei tu a portare il nostro futuro in grembo!-
Crack. È qui che tu, Dottore, ti senti morire davvero, barcolli, cadi in ginocchio. Congiungi i pezzi vacillanti dei ricordi che vedono una Rose intenta ad accarezzarsi il ventre, a parlare a bassa voce come a voler cullare qualcosa, qualcuno. Il dolore che quella giovane ragazza ha combattuto è molto più di quanto tu abbia mai immaginato. Hai perso lei, hai perso… un bambino. E pensi che saperlo da lei, per te sarebbe stato il più bel regalo del mondo. Provare il fiotto caldo di felicità al pensiero che adotterai un figlio del Tempo, perché così sarebbe andata, e non avresti accettato discussioni. Potevi avere una famiglia, una vita, piccole mani di infante che avrebbero poggiato corte dita calde sulle tue, lunghe e affusolate. Potevi essere padre.
Il terzo specchio s’illumina, mostra una Rose in vestaglia, che si aggira per il TARDIS. Raggiunge la console, vi si appoggia e sospira con tanta serenità che ti senti stringere i cuori. Ricordi quella notte, è esattamente quella che ha visto la prima e ultima cena familiare proprio lì, nella cabina telefonica blu, in compagnia di persone allegre, che sapevano di sorrisi.
-Dovresti dormire.- dice il Maestro, uscendo dall’ombra. La guarda con diffidenza, si tiene a debita distanza. Lei sorride appena e inclina il capo, rilassata. Resta in silenzio per qualche minuto, non sembra intenzionata a rispondere, ma il Maestro non le stacca gli occhi di dosso.
-Sto pensando di tenerlo.- dice lei alla fine, accarezzandosi il ventre con affetto di madre. Ha uno sguardo così dolce, così caritatevole, che le tue lacrime, Dottore, aumentano, si fanno accecanti e dolorose.
-Non posso salvare il bambino, te l’ho detto. Sei un esperimento fallito.- sbotta alla fine il Maestro, ma lei non se la prende. Scrolla le spalle, fissa la porta schiusa del TARDIS, lasciata così da Rose stessa per far entrare un po’ d’aria fresca. Intravede il cielo anche da lì, e da lì prega, sussurra in silenzio le sue speranze, esprime desideri alle stelle che fugaci ammiccano dall’alto della loro splendida superbia.
-Io mi fido di lui.-
E lo scenario cambia di nuovo, il quarto specchio s’illumina. È Rose che crolla al suolo, è Rose che ripete ancora una volta, davanti ai tuoi occhi distrutti, la fine di tutto. La guardi contorcersi, fissi te stesso stringerla tra le braccia e singhiozzare più di quanto tu abbia mai fatto in passato.
Silenzio. È il silenzio che adesso cade, interrompe il macabro spettacolo di una fine innocente, annerendo tutti gli specchi, calando un drappo di scura seta su tutte le superfici riflettenti, salvo l’ultima.
Guardi lo specchio, Dottore, ma il tuo riflesso non compare. È una superficie silenziosa, traboccante di luce non sua, che sa solo riprodurre in egual modo. Non sai cosa ti spinge ad avanzare con calma serafica per poi saltarci dentro, senza scontrarti contro ciò che in normalità sarebbe dovuto essere solido come metallo. Ci passi attraverso senza lesioni o danni, atterri con grazia quasi felina sull’erba di una prateria sconfinata, senza limiti, dove un cielo aranciato preannuncia l’appassirsi di una splendida alba d’oro e cremisi.
Lei è lì, seduta sul bordo di un fiumiciattolo che come nastro celestino si srotola sinuoso verso l’orizzonte, serpe benigna e mormorante. Ti avvicini e noti che un morbido abito di seta bianca, senza spalline, splendido e lucente come veste da sposa, le fascia il corpo. Ha i capelli legati in una complessa acconciatura che esaltano il collo longilineo, la gentile scollatura all’altezza del seno e il volto radioso, dipinto dell’oro del tramonto che si specchia nei suoi occhi di cristallo.
È quanto di più bello tu abbia mai visto. Quella visione ti ammalia al punto che quasi non ti accorgi del piccolo fagotto stretto tra le braccia di Rose, che agita come giovane ragazzina i piedi nudi nell’acqua.
È un bambino quello stretto quasi convulsamente dalla ragazza, ma non ne distingui il volto.
-Non potrò mai vederlo.- dice lei all’improvviso, senza distogliere gli occhi dal tramonto. Ha la voce incolore, e non si volta mentre ti siedi al suo fianco e continui a fissare il bambino oscurato. Cerchi di toccarlo, ma quando la tua mano si fa vicina, Rose sussulta e si ritrae. Capisci di dover mantenere una certa distanza.
-Questo è tutto quello che volevo.- continua lei. –Una famiglia, una vita, una piccola dose di serenità. Prima però era l’inferno, avevo paura, sapevo di dover perdere mio figlio. Niente di tutto questo mi fu concesso quando ancora respiravo. Ero sola, mi sentivo tale… poi, sei sbucato tu. E che Dio ti maledica, Dottore, perché hai saputo ricordarmi che vivere è bello.-
Rose non cambia espressione, ma il suo viso si bagna di un’unica lacrima, identica a quella che tu stesso hai concesso al vortice del Tempo.
-Io volevo solo… andare avanti, vivere. Ci ho creduto veramente, lo giuro. Ho pregato tanto, sai? Guardavo il cielo, lo stesso che abbiamo attraversato insieme tante e tante volte come compagni, amici. Aspettavo un miracolo, un piccolo barlume di umana pietà da un Dio nel quale non ho mai creduto, ma che si è rivelata l’unica speranza in un frangente dove mi imponevo il silenzio e soltanto le preghiere potevano aiutarmi. Ho sperato, ho fallito. Ora non posso più vedere mio figlio… e neanche te.-
-Ma io sono qui.-
Cerchi di prenderle la mano, ma lei si ritrae scottata. Nasconde il viso contro il fagotto di morbido velluto che stringe al petto, capricciosa come una bambina.
-Non posso più vedervi. Sono sola.- mormora, e comincia a ripeterlo ancora e ancora, finché i singhiozzi non soffocano le sue parole, stringendole in una crudele morsa da rettile.
Tu guardi, resti in silenzio. Poi, di scatto, ti avvicini a lei e la stringi con forza, combattendo la sua resistenza, la sua paura, le sue lacrime.
-Mi hai abbandonata! Mi avete abbandonata tutti!- urla, e allora è rabbia, piccoli pugni insignificanti contro il tuo petto finché le energie non si esauriscono e il sole comincia a tramontare sul serio, soffocando di macabra oscurità ogni barlume di luce.
Rose si rilassa, alla fine lascia che il tuo corpo funga da sostegno. Ti bei del suo profumo, del suo calore, del suo respiro troppo a lungo mancato. Tutto sembra tornato al suo posto e tu, egoisticamente, vorresti restare lì.
-Devi andartene.- dice lei invece, spezzando l’incanto della pace. Ti guarda in viso, con occhi incavati di lacrime e trucco sbavato. Poggia una mano sulla tua guancia, la accarezza. –Quando il tramonto sarà calato, qui sarà buio: non troverai più la strada per tornare indietro.-
-Forse non voglio tornare.- dici istintivamente, e in cuor tuo, con stupore e paura, capisci che è vero. Per una volta vuoi essere egoista, vuoi pensare a te stesso. Per una volta, una sola.
-Ma devi. Tu corri, Dottore, a te piace correre. Se mai tu smettessi, se ti fermassi una volta sola… quanti non vedrebbero la luce come non ho fatto io? Tu sei la luce, tu sei l’alba per tante e tante creature. Non dimenticarlo. Conosci il valore della vita, lo rispetti, e la tua forza, quella vera che ti rende diverso e più forte di tutti gli altri… è la vulnerabilità. Come chiunque, sai di poter morire, di essere fragile, eppure non combatti. È nella stretta di mano che infondi la tua forza, anziché nello schiaffo. È questo fa di te un grande.-
Ti accorgi di star piangendo solo quando lei con un bacio su ogni guancia ti sottrae alle lacrime.
-Và. E continua a correre.-
Vi alzate entrambi, fissi lo specchio luminoso che adesso riflette la vostra immagine, uno accanto all’altra, mano nella mano, mentre lei col braccio libero sostiene il fagotto e se lo stringe al petto come un tesoro prezioso. Non potrà mai vederlo, lì sarà sola. C’è pace, c’è silenzio… ma lì è solo lei e nessun altro. Un mondo bellissimo e solitario ove un’unica anima in abito nuziale vagherà in eterno tra le lande della sua desolazione. È questa la morte?
Semplicemente, non lo accetti. Correrai ancora, non smetterai di farlo. Ma avrai qualcuno accanto, e quel qualcuno, tu l’hai scelto tempo fa.
-No.- ringhi infine, e prima che lei possa fermarti, la stringi a te e ti sbilanci verso lo specchio, trascinandotela dietro.
 
-Si sta svegliando!-
-Cosa? Ma avevi detto che ci avrebbe messo più tempo!-
-Scusami tanto se le informazioni che vanto in medicina riguardano le persone con un cuore solo!-
-Ma brutto…-
Un colpo di tosse interrompe la discussione, fa sussultare Martha e l’uomo sconosciuto che discutono lì, davanti al lettino dove il Dottore si muove lentamente, comincia a risvegliare gli arti intorpiditi. Entrambi lo guardano, osservano i suoi occhi schiudersi, realizzare lentamente l’ambiente circostante. Poco a poco, il Dottore ricorda, ricostruisce i pezzi degli ultimi momenti di coscienza, ed è allora che comincia ad agitarsi, scatta a sedere e cerca di scendere di slancio dal letto. Le gambe cedono, crolla di schianto, ma Jack irrompe nella stanza proprio in quel momento e lo sostiene, trascina con pazienza quel corpo abbandonato sul materasso e attende che il suo respiro si calmi.
-Dottore!- chiama Martha, ma il Dottore non ascolta.
-Rose…- biascica, tra un ansito e l’altro. –Dov’è Rose?-
Jack e Martha si guardano, inspirano a fondo prima di rispondere: -Dottore…- dice lei con cautela. –Sei incosciente da quasi tre giorni e Rose ormai… L’abbiamo seppellita ieri.-
 
Continua…………………………………………………………………
 
Angolo dell’autrice:
Ho ammazzato Rose. Ho fatto fuori Rose.
Dottore: come hai potuto?!
Colpa tua! Mi hai fregato la playstation, sono due giorni che la smonti e la rimonti col cacciavite sonico! Perché accidenti adesso emette una luce psichedelica ogni volta che la accendo?!
Dottore: è doppia funzione, no? se la appendi al soffitto funge anche da palla da discoteca! Ottima per far impazzire i Vashta Nerada, non sanno mai dove devono andare perché la luce si accende e si spegne di continuo!
Ma porc… va bene, basta così. Pussa via, sciò! Ehm, dicevo? Ah sì. Dunque, questo è davvero il penultimo capitolo, promesso. Il prossimo sarà la fine e diciamo… che non me l’aspettavo neanche io questo finale, lo ammetto. Prima scrivo le cose e poi mi chiedo che cacchio ho scritto. Contenta me… comunque, dedico e ringrazio di cuore coloro che hanno recensito, rendendo possibile il continuo di questa piccola storiella!
Grazie di cuore ai meravigliosi:
Tony Stark e Bbpeki! Spero di leggere ancora il vostro parere e specialmente, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto! ALLONS-Y!!!

Tomi Dark Angel
  
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