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Autore: Ofelia di Danimarca    15/01/2014    3 recensioni
Aveva ancora addosso il puzzo insopportabile del ragno.
I rimasugli appiccicosi di ragnatela gli pendevano dai capelli e dalle spalle, e le mani erano ricoperte di lunghi graffi. Ma che importanza aveva? Era vivo.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Tauriel
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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“ So pardon me while I burn
and rise above the flame
Pardon me, pardon me…
I’ll never be the same! ”

 
Pardon me, Incubus
 
 

 
 
Il volto di Tauriel lo condusse in un luogo familiare, dai confini sfocati ma conosciuti. C’era fuoco, molto fumo e un tavolo da lavoro con svariati utensili di ferro appoggiati sopra.
 
Kili distinse tra gli altri un martello – uno splendido oggetto lucido e scuro quanto la sua pietra runica, e talmente imponente che solo un braccio straordinariamente possente sarebbe stato in grado di maneggiarlo. Era il martello di Thorin, e quella - senza dubbio – era la fonderia personale di suo zio nella loro casa, su alle Montagne Azzurre.
 
Come aveva fatto ad arrivare là? Non lo sapeva. Tutto era confuso, privo di senso. Vide che Tauriel era lì, nella stanza con lui, e lo fissava. Non gli staccava gli occhi di dosso, e Kili iniziò a sentirsi a disagio.

- Che ci fai tu qui?

Le aveva parlato in tono deciso, ma non cattivo.
Come poteva lei conoscere quel luogo? Di certo non l’aveva mai visto, né mai aveva potuto sentirne parlare. Solo pochi nani del popolo di Durin potevano vantarsi d’aver varcato le porte di quella fonderia.

- Perché siamo qui? Come conosci questo posto?

Per tutta risposta lei allungò la mano verso il tavolo da lavoro di Thorin e raccolse con mano ferma il martello.

- Questo è tuo?

Kili si accorse che non indossava la tunica verde che le aveva visto portare sin dal giorno in cui l’aveva incontrata la prima volta.
Aveva invece una strana veste rossa, lunga e sinuosa, che mai Kili aveva notato su di lei né su altra creatura vivente. Il colore era brillante e ricordava le fiamme della forgia.
 
- Non è mio… è di Thorin. Mio zio.
 
Gli parve di scorgere delusione sul suo volto, mentre con un passo si avvicinava a lei. Voleva toccarla. Vedere se era reale.
 
- Chi è Thorin?
 
- Lui è… l’erede di Durin. Il Re sotto la Montagna.
 
Fece un altro passo verso di lei, le mani tese davanti a sé. Notò che reggeva ancora il martello, con una mano sola nonostante il suo incredibile peso.
 
- E tu… chi sei tu?
 
Kili abbassò lo sguardo sulle proprie mani, come se loro potessero rispondere meglio di lui a quella domanda.
 
- Io sono solo Kili. Nient’altro.
 
D’improvviso, Tauriel lasciò cadere il martello e l’impatto col pavimento della fonderia fu tremendo. Una fiamma gigantesca divampò e riempì l’intera stanza, inghiottendo l’elfo e facendolo sparire dalla visuale di Kili.
Tutto era calore e fumo. Chiuse gli occhi.

- Tauriel!!!
 
Non riconobbe la propria voce ma doveva essere stato per forza lui a gridare.
Si voltò, preso dal panico, e quando riaprì lentamente gli occhi, la fonderia non c’era più, e così il fuoco.
 
Ora si trovava all’aperto.

Notò dei ciuffi d’erba sotto i suoi piedi, lunghi e selvaggi come quelli che crescevano nelle brughiere attorno alle Montagne Azzurre. Tutto attorno a lui era buio, silenzio. Non si udiva nemmeno il verso sopito di qualche animale lontano.

Ancora una volta, lei era là. La chiamò per nome, a bassa voce.

- Tauriel.
 
Era seduta nell’erba, lo sguardo placidamente rivolto verso il cielo notturno. Osservava le stelle, da sola.

Era così bello guardarla, pensò Kili. Non esisteva nulla nella Terra di mezzo di paragonabile a quella visione. Le labbra sottili erano leggermente schiuse in un atteggiamento di contemplazione. Le gambe, nascoste dalla veste – tornata verde – erano morbidamente appoggiate al terreno in una posa che non aveva nulla di scomposto. I capelli erano lisci e perfettamente adagiati sulle spalle. Solo gli occhi andavano controcorrente: emanava da loro una luce appassionata, inebriante, per nulla “composta”. Parevano gli occhi di una creatura in grado di incantare o incenerire con lo sguardo.
 
- Tauriel.

Si voltò a quel nuovo richiamo, e in quel preciso momento Kili, figlio di Dis, della stirpe di Durin, capì che mai avrebbe trovato in una donna del suo popolo quello che lei serbava dentro di sé. Non sapeva cosa fosse, non sapeva definirlo e non riusciva a capire esattamente come lo facesse sentire - ma capì che era unico. Lo sentiva nelle vene, nel loro modo diverso di pulsare che avevano quando lei lo guardava.
 
- Nulla è più caro agli Elfi Silvani della luce delle stelle – fece lei, dopo qualche attimo. – Nulla esiste di più prezioso. Le stelle del cielo e la loro luce sono i veri gioielli di questo mondo. Riesci a capirlo?
 
Kili annuì, come in trance.
 
Lei alzò la testa verso il cielo per un attimo e poi tornò a fissarlo.
 
- Dimmi, quali sono i gioielli del mondo per il tuo popolo?
 
Kili deglutì a fatica, cercando di pensare a quale fosse la cosa giusta da dire. Ma pensare era impossibile.
 
- Per i nani, gli unici gioielli che valga la pena di cercare sono quelli sepolti sotto i nostri piedi, nella terra.
 
Tauriel non annuì, ma nemmeno tentò di negare. Replicò solo:

- I nani sono fatti per la terra. Trascorrono tutta la loro vita scavando sempre più a fondo nell’oscurità delle caverne, lontano dal cielo. Tu lo sai questo.
 
Lo sapeva lui? Sì, lo sapeva. Erano nani, era la loro natura. Non si poteva contrastare la natura delle cose.
Eppure… un nano rimaneva un nano anche lontano dalla terra, all’aperto, sotto la nera volta celeste illuminata dalle lontane stelle. Non era forse così?
 
Tauriel però non aveva finito.
 
- E dimmi – disse, sorridendo - qual è per te il gioiello più prezioso?
 
Kili sorrise di rimando a quella che considerò subito una domanda facile, la più facile e immediata che gli si potesse porre tra tutte.
 
Infatti. E appunto…
 

 
Aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono. Si mise le mani tra i capelli, in un gesto di calma disperazione. Qual era la sua risposta in quel momento?
 
Fino al mese precedente, avrebbe replicato senza la benché minima esitazione che il gioiello per lui più prezioso era la sua famiglia. Sua madre, Fili, Thorin. Una settimana prima la risposta sarebbe stata Erebor, l’impresa e l’intera compagnia di Thorin Scudodiquercia.
 
Ma ora?
 
Forse tutte le cose precedenti assieme, forse altro… forse era tornare a casa vivo, o forse distruggere gli orchi e portare la pace nella Terra di mezzo, o forse rivedere anche solo per una volta il volto di Tauriel.
 
Poteva davvero essere quest’ultima cosa, il suo gioiello più prezioso?
Era dunque diventato pazzo a tal punto?
 
- Non lo so - disse, in un soffio.
 
Al pronunciare quelle parole, una tremenda folata di vento gelato lo costrinse a chiudere gli occhi per ripararsi, e quando li riaprì una forte scossa lo fece cadere a terra e precipitare nel buio.
Tauriel e la notte stellata erano scomparse.
 
Una nuova scossa, come di un terremoto fortissimo, gli squassò le membra e si ritrovò di colpo attorniato da nani che gli urlavano cose incomprensibili, tentando di svegliarlo.

 

 ----------
 
 
 
Kili abbassò con fatica il capo su quello che era il suo desolato aspetto, la camicia larga e i calzoni scuri che aveva dovuto risvoltare per non doverne calpestare il fondo ad ogni passo. Non che lo stato del suo fisico gli permettesse di fare grandi camminate, comunque.
 
Le energie lo stavano lentamente abbandonando, e la cosa che più lo preoccupava era che non riusciva ad afferrarne la ragione. La ferita era stata pulita e accuratamente disinfettata non appena erano giunti alla casa del chiattaiolo – che, sorpresa, non li aveva traditi né venduti. Tutt’altro.

Quel Bard si era dimostrato un uomo d’onore. Non solo aveva mantenuto la promessa di condurli all’interno di Pontelagolungo, ma li aveva persino fatti entrare nella sua dimora, offrendogli cibo – poco, ma di buona qualità – e vestiti puliti.
Portargli rancore era impossibile, anche se quegli interminabili minuti passati chiuso nel barile, soffocato dal pesce morto, gli erano costati caro.

Non appena le porte della città erano state attraversate e la chiatta di Bard era giunta in un posto sicuro, al riparo da sguardi indiscreti, i barili saturi di pesce erano stati rovesciati riportando alla luce un hobbit e dodici nani inviperiti, sfiniti, ma vivi.

Il tredicesimo nano invece non si era mosso dai piedi del suo barile. Era rimasto sdraiato sulla chiatta, in mezzo al pesce, gli occhi chiusi e la conoscenza persa. Solo dopo svariate sberle in pieno viso e una secchiata d’acqua di lago era rinvenuto, urlando senza essere in grado di riconoscere le facce affollate intorno a lui.
 
Kili gettò uno sguardo sulla stanza dove si trovava, cercando di distogliere la mente dagli attimi poco piacevoli che avevano seguito la sua ripresa di conoscenza.

Vide che Thorin e Balin stavano conversando alla finestra sul lato sud, indicando nel contempo qualcosa all’esterno, non troppo distante dalla casa.

Una parte di lui desiderò ardentemente sapere cosa si stessero dicendo, ma era ben conscio del fatto che in quel momento non sarebbe stato in grado di concentrare la sua attenzione su nulla.
Riusciva a malapena a stare seduto in posizione eretta, la fronte gli bruciava e la testa pesava sul suo collo come se avesse contenuto tutte le pietre dei Colli Ferrosi.
Si sentiva la gola tremendamente secca, ma bere non gli era di alcun sollievo – Fili aveva tentato di offrirgli del latte, prima, poi del vino (a patto che quel liquido rosso pallido si potesse chiamare con questo nome) e infine della semplice acqua. Kili aveva accettato solo quest’ultima, ma berla non gli aveva garantito l’effetto sperato. La gola era rimasta secca, e un sapore amaro aveva iniziato a riempirgli la bocca.
 
Che mi sta succedendo?
 
Una luce rosata si diffondeva dalle finestre anguste. Il tramonto stava giungendo dolce su Pontelagolungo, ma Kili non riusciva a vederlo. O meglio, lo vedeva – ma le informazioni su ciò che vedeva non gli si registravano nel cervello. Tutta la sua attenzione era assorbita dal suo fisico. Niente altro riusciva a penetrare la cortina fetida che quell’orco aveva calato sulla sua mente nel momento in cui aveva scagliato la dannata freccia.
 
Ma ecco, d’un tratto, del movimento nella stanza.

Thorin e Balin smisero di parlare tra loro alla finestra; dall’angolo opposto Bofur, Bombur e Orin interruppero chissà quale attività e si appressarono al lungo tavolo di legno che occupava il centro della piccola sala. Stessa cosa fecero gli altri nani, e Kili vide che anche Bilbo si era affrettato a partecipare a quella che sembrava a tutti gli effetti una riunione improvvisata.
 
A un capo del tavolo stava Bard, il padrone di casa. Aveva tra le mani un involto lungo e voluminoso, e quando lo appoggiò sul legno e ne scoprì il contenuto, Kili avvertì che doveva assolutamente alzarsi in piedi.

Stringendo i denti e aiutandosi col bastone costruito da Dwalin, cercò di abbandonare la panca dove era seduto.
 
- Per la mia barba, e queste cosa diamine sarebbero?
 
- Questa è una gaffa, fatta da un vecchio arpione. E questo lo chiamiamo mazzapicchio, forgiato dal martello di un fabbro. Pesanti da maneggiare, forse, ma… per difendere la vostra vita, vi saranno più utili di niente.
 
- Stai per caso cercando di prenderci in giro, uomo?
 
Le voci erano alterate ma Kili non lo percepì. Ogni sforzo era concentrato nel riuscire a reggersi sulle proprie gambe, e quando finalmente raggiunse l’agognato scopo si sentì rivoli di sudore freddo dappertutto.
 
- Queste non hanno nemmeno la lontana parvenza di armi. Noi avevamo chiesto asce, spade, mazze forgiate in ferro. Mantieni la tua promessa, uomo!
 
Kili si sforzò di ignorare le fitte terribili della sua gamba ferita e, trattenendo il fiato, raggiunse il tavolo. Si sentì gli occhi di Fili addosso ma, per quanto possibile, fece finta di nulla.

Il groviglio di utensili di dubbia fattura che vide sul tavolo lo colpì come un pugno in pieno volto. Dunque erano quelle le famose armi che il chiattaiolo aveva promesso di procurargli una volta arrivati in città? Erano quelli davanti a lui gli unici strumenti che avrebbero avuto a disposizione per difendersi dagli orchi, dagli uomini, da Smaug?

Osservò l’oggetto più vicino a lui – una specie di martello arrugginito e ammaccato. Non sarebbe servito nemmeno a tramortire il più piccolo degli orchi.
Con immensa fatica, si schiarì la gola e alzò la testa verso Bard, guardandolo dritto negli occhi.
 
- Sono dunque queste le uniche armi di cui disponi? Non hai nient’altro, nemmeno una spada?
 
Lo straniero aveva gli occhi cupi e la fronte aggrottata. Pareva irritato, più che dispiaciuto.
 
- No. Le uniche armi in ferro della città le potete trovare all’armeria. Ma è sempre chiusa a chiave, notte e giorno.
 
- E chi ha la chiave?
 
Pur con la mente annebbiata dal dolore, Kili si rese conto della stupidità della domanda. Ma nella sua solita foga – almeno quella era rimasta intatta – non era riuscito a zittirsi.
 
- Il Governatore. Solo lui controlla l’armeria. Nessuno entra o esce da là senza che lui lo sappia.
 
Kili avrebbe voluto replicare, avrebbe voluto dire che allora sarebbero andati da questo Governatore e gli avrebbero preso le chiavi e si sarebbero procurati vere armi, di ferro, per combattere – ma la forza gli venne meno ed esitò, aprendo e chiudendo più volte le labbra.
 
Balin se ne accorse.
 
- Non importa… ascolta, Thorin – disse il nano dalla barba bianca – accettiamo quello che ci viene offerto e andiamo via. Mi sono arrangiato con meno, e anche tu.
 
- Voi non andrete da nessuna parte!
 
La perentorietà con cui erano state pronunciate quelle parole zittì il brusio che si era creato nella stanza. Tutti gli occhi dei nani si fissarono su Bard… tutti, tranne quelli di Kili.
 
La ferita aveva ripreso a pulsare selvaggiamente.
 

 
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- Non abbiamo altra scelta, lo sapete.
 
Dwalin si alzò dalla sedia con uno scatto e Kili capì che la discussione era finita.
Anche i nani più scettici e titubanti avrebbero dovuto accettare quella che ormai sembrava l’unica soluzione possibile.

Kili, dalla sua panca, spostò lo sguardo da Bombur a Bofur a Gloin. Vide che quest’ultimo scuoteva la testa con enfasi, tentando di incrociare lo sguardo di Thorin. Suo zio però era su un’altra dimensione, ben lontana da quella strana casa-palafitta dove avevano trovato momentaneo rifugio – ma che ora assomigliava più che altro a una prigione.

- Senti, Thorin, anche ammesso che riusciremo a entrare là dentro senza farci notare…

- Non insistere, Gloin – Kili notò che Thorin parlava senza guardare l’altro, gli occhi fissi su un pezzo di carta che sembrava famigliare – è l’unica via e non ce ne sottrarremo, anche se è rischiosa. Non siamo arrivati fino a qui per arrenderci proprio ora.
 
Kili sorrise a quelle decise parole e si compiacque di essere il nipote di quel nano così calmo e pieno di determinazione, nonostante il momento critico. Gli parve di sentire per un attimo che il suo cuore e quello di Thorin fossero fatti della stessa sostanza, della medesima tempra solida e impavida. Non poteva essere così? Dopotutto il sangue che scorreva nelle loro vene era lo stesso – il sangue di Durin il Senza Morte, il più grande e il più coraggioso di tutte le stirpi di nani mai apparse sulla Terra di Mezzo.
 
- E’ deciso. Appena l’oscurità calerà su questa città, faremo ciò che dobbiamo.
 
Thorin si zittì non appena la figlia più grande di Bard il chiattaiolo entrò nella stanza, a passi incerti, reggendo una ciotola di terracotta colma di un liquido che pareva bollente. Kili lo vide mettere via in fretta il foglio che stava in precedenza esaminando – non poteva essere altro se non la mappa di Thror.
 
La ragazza aveva deciso di fare il giro lungo - evidentemente per evitare di dover passare davanti alla sedia dove era seduto proprio Thorin, pensò Kili. Si fermò all’altezza della sua postazione.
 
- Eccovi l’infuso che vi aveva promesso mio padre. Vi darà sollievo.
 
L’imbarazzo era palpabile nella voce della figlia del chiattaiolo, e in una situazione normale anche Kili ne avrebbe provato in abbondanza.
A casa, alle Montagne Azzurre, ogni volta che qualcuno di sesso femminile si occupava di lui, gli faceva un favore o si dimostrava gentile, lui si sentiva a disagio, confuso, come se non riuscisse mai a capire che diavolo avrebbe dovuto fare lui per ricambiare adeguatamente il tutto.
Escluse ovviamente quelle di sua madre, le attenzioni femminili erano per Kili un vero e proprio rebus.  

Ma quel giorno era troppo stremato per badare all’imbarazzo.
 
- Dovete berlo tutto. Non ha un buonissimo sapore, ma ci ho aggiunto del miele per renderlo meno amaro.
 
Avrebbe tranquillamente potuto sapere di radici o bacche, alla sua lingua sarebbe sembrato comunque il più paradisiaco dei sapori a confronto con l’amaro che la ferita maledetta gli aveva messo in bocca.

E infatti era buono. Il calore del liquido gli si diffuse subito nel corpo, e fu la prima piacevole sensazione da molte ore a quella parte.
 
- Ti ringrazio – disse solo, continuando a sorseggiare avidamente, assaporando il tenue aroma di erbe e cercando di cogliere quello del miele, di cui la ragazza aveva parlato.
 
Vide che Fili gli stava sorridendo, dall’altro lato della stanza. Uno dei suoi soliti sorrisi pieni ma enigmatici, difficilmente identificabili. Voleva forse alludere alla ragazza? O semplicemente era felice che lui potesse finalmente avere un po’ di sollievo grazie a quell’infuso?
Difficile dirlo.
 
Mentre finiva di bere, guardò con maggiore attenzione la giovane prima che si allontanasse verso la cucina. Era poco più che una ragazzina, e di sicuro non si poteva dire che fosse brutta. Il viso soprattutto era gentile e disteso, e gli occhi erano di un bell’azzurro. Tuttavia… qualcosa non andava. Nelle proporzioni, qualcosa non funzionava.
Non era abbastanza slanciata. Le mani non erano abbastanze bianche e le dita non abbastanza lunghe. E il colore dei capelli non era…
 
Si bloccò, ciotola in mano e sguardo fisso su un punto imprecisato di fronte a lui. Da quando esattamente le mani candide, le dita affusolate e la corporatura snella erano diventati per lui canoni di bellezza femminile?
 
Era inutile fingere di non saperlo.
 
Tauriel era sempre là, sullo sfondo della sua mente travagliata. La ferita lo aveva prostrato, gli aveva tolto la capacità di pensare, ma Tauriel non se n’era andata via per questo. Era rimasta. Addirittura, aveva deciso di occupare i suoi sogni.

Ciò che aveva visto mentre era nel barile, svenuto, era qualcosa che certo non avrebbe più potuto rimuovere. Il vortice di emozioni portato da quelle allucinazioni era stato tremendo – lo stupore, il panico, la gioia lo avevano aggredito tutti insieme. Era stato sopraffatto, e non aveva potuto fare altro se non abbandonarsi alle sensazioni.
 
Kili si ritrovò a maledire il fatto che fosse stato solo un sogno. Quanto gli sarebbe piaciuto poter allungare la mano e scoprire che la Tauriel della sua visione, che giaceva sull’erba al chiarore delle stelle, era reale. Poterle parlare e sentire la sua voce per davvero, e riempirsi i polmoni del profumo dei suoi capelli come aveva fatto nelle prigioni di Bosco Atro, pur senza volerlo.
 
Ma ora lo voleva. Era un desiderio reale. Vivo. Non poteva più continuare a fare finta che non si trattasse di nulla.
 
- Bene – la voce imperiosa di Thorin lo riscosse – è scesa la sera, l’oscurità finalmente ci sorride. Dobbiamo agire ora, prima che l’uomo ritorni e ci impedisca di fuggire. Ma prima – esitò per un attimo, e Kili lo fissò impaziente – dobbiamo decidere quali di noi entreranno nell’armeria e porteranno le armi fuori, agli altri.

Si alzò in piedi, stringendo entrambi i pugni.

- Le finestre dell’edificio dell’armeria sono anguste, come tutte quelle delle case di questa cittadina. Inoltre è probabile che delle guardie sostino a protezione dell’entrata principale. Chi si introdurrà per rubare le armi dovrà dunque essere quanto più agile possibile e dal passo leggero.

Kili non riusciva a distogliere gli occhi da suo zio. Sentì le membra irrigidirsi e un fortissimo impulso di alzarsi in piedi e intervenire.

- Io naturalmente non mi tirerò indietro. E sarebbe bene che anche lo hobbit venisse. Chi meglio di lui può garantire leggerezza di movimenti e agilità?

Dal suo angolo, Bilbo non fiatò ma fece un cenno di assenso abbastanza deciso.

-Anche io verrò – intervenì Dwalin – sono forte, posso trasportare molte armi.

Subito anche Bofur si offrì volontario. E naturalmente, Fili fece lo stesso.
 
Dopo qualche attimo, Kili raccolse tutte le forze che aveva in corpo e riuscì ad alzarsi senza l’aiuto del bastone.

- Verrò anche io nell’armeria – disse, cercando in ogni modo di scacciare dal volto pallido il dolore che stava provando – sono leggero, ti sarò di aiuto, zio.
 
Si sentì gli occhi di Thorin addosso, così come quelli degli altri.
Deglutì e sorrise.
 
- Sei sicuro, Kili?
 
- Certamente.
 
Thorin abbassò lo sguardo e Kili vide che gli fissava la gamba destra.
 
- Sei affaticato, e ferito…
 
- Sto molto meglio, zio – mentì, e la consapevolezza della sua menzogna lo colpì inesorabilmente.

Che sto dicendo?
 
Si aspettava ulteriori proteste, ma non c’era più tempo. L’oscurità era calata, Bard sarebbe ritornato nella casa di lì a poco. Bisognava agire, e in fretta.
 
- E sia. E’ deciso. Preparatevi dunque, e badate che i figli del chiattaiolo non ci vedano uscire.
 
Tutti racimolarono le loro cose, cercando di fare il minor rumore possibile.
 
Kili resistette alla tentazione di rimettersi a sedere e cercò con lo sguardo la sua giacca. Sapeva che Fili lo stava fissando in un tacito rimprovero, ne era ben conscio, ma non avrebbe potuto tollerare alcuna predica in quel momento.
 
Era stata una sciocchezza, certo. Ma che avrebbe dovuto fare? Stare in silenzio aspettando che nani con il doppio o il triplo dei suoi anni si offrissero volontari per quell’importante compito? Che onore ci sarebbe stato nel nascondersi dietro la ferita solo per risparmiarsi una fatica?
 
No. Poteva farcela. Avrebbe stretto i denti come già aveva fatto nel corso del viaggio per Pontelagolungo. Come aveva fatto quando aveva tirato la leva. Aveva già superato prove del genere, e non sarebbe stata certo una ferita da freccia a renderlo inutile per la sua Compagnia.
 
Non appena ebbe indossato la giacca, tuffò le dita in tasca alla ricerca della pietra runica e si sentì subito rinfrancato. Come se un calore gli si sprigionasse dal cuore.
Sarebbe stata fiera di lui. Una volta tornato, sua madre sarebbe stata fiera e lo avrebbe celebrato come un eroe.
 
Già, un eroe. Aveva il dovere di fare grandi cose. Di essere coraggioso. Se respirava ancora, era per un preciso scopo.
Sorrise e per un istante dimenticò dolore, debolezza, stanchezza, tutto.
 
Tauriel mi ha salvato la vita due volte e io non lascerò che tutto questo vada sprecato.
 
 

 

 NOTE: Chiedo venia per il ritardo nell’aggiornare questa storia. Sono stati giorni molto impegnati, ma Kili e Tauriel hanno continuato a occupare i miei pensieri nonostante tutto. Non vedo l’ora di arrivare a quel punto della storia in cui i nostri eroi si rincontreranno… vederli separati è una sofferenza, anche per me che scrivo.
Buona lettura a tutti!
   
 
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