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Autore: Genevieve De Cendres    15/01/2014    4 recensioni
[STORIA REVISIONATA E CORRETTA]
Seconda metà del 1800.
Evan, un giovane e promettente avvocato, decide di entrare nella bottega dell'orologiaio più antico e famoso della città spinto da una particolare curiosità, lì incontrerà Ael Torsten, ragazzo con il quale intreccerà un legame che va al di là della semplice amicizia, ma sarà conveniente per un uomo del suo rango, sempre sotto l'occhio scrutatore e critico della nobiltà dell'epoca? E Ael, spirito libero e irrequieto, riuscirà a non fuggire dall'uomo scegliendo il cuore al posto della ragione?
Dal testo:
"mentre le labbra dell’avvocato poggiavano sulle sue, gentili ma decise, in un bacio che volle assaporare fino all’ultimo istante, per poi scostarsi forse pentito per il suo gesto, mentre lo sguardo tornava duro, onde che si infrangono violente, che logorano e allontanano."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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3.
CAPITOLO TERZO
 
 
 
Il corridoio era avvolto quasi completamente dalle tenebre e dal salone la musica arrivava lieve e indistinta.
Evan mentre trascinava il ragazzo per il braccio, non parlava e con espressione mortalmente seria ignorava ogni protesta del più piccolo che non sembrava voler demordere, ma Ael dopo numerosi e vani tentativi di fuga e richieste d'aiuto, si impose il silenzio decidendo comunque di complicare il compito all'avvocato e puntando i piedi a terra. Stava per chiedergli dove avesse intenzione di portarlo quando Evan lo strattonò violentemente, spingendolo spalle al muro, subito dopo aver svoltato l'angolo del lungo corridoio a L.
 
-Cosa vuoi?-
 
Gli ringhiò contro l’orologiaio sostenendo il suo sguardo e cercando di allontanarlo, mandando al diavolo ogni formalismo.
 
-Parlarti.-
 
Rispose secco l’uomo, cercando di tenergli ferme le braccia per evitare di essere colpito.
 
-Potevi farlo anche dove eravamo prima.-
 
Sbottò il giovane facendo scoppiare Evan a ridere, l’avvocato si avvicinò ancora di più al ragazzo spingendolo con la schiena al muro.
 
-Non mi è sembrato.-
 
Mormorò a denti stretti cercando lo sguardo del ragazzo che cercava ancora di sfuggirgli.
Calò il silenzio, si udiva solo il suono lontano e ovattato della musica e il lieve rumore della fiammella che bruciava nella lampada, posta a metà corridoio e che illuminava la zona circostante con una luce fioca ma sufficiente per permettere ai due di guardarsi in faccia e riconoscersi.
 
-Non è normale.-
 
Proruppe Ael. Evan lo guardò perplesso
 
-Cosa non è normale?-
 
Chiese l’uomo alzando il sopracciglio e facendo sbuffare il ragazzo, nervoso ed infastidito dalla domanda che evidentemente riteneva sciocca
 
-Hai il coraggio di chiederlo? Il tuo comportamento, Norwood. Non è normale!  Hai forse una fissazione per me? Lo sai che certe … certe inclinazioni potrebbero causarti parecchi disagi?  Pensa se qualcuno lo venisse a sapere!-
 
L’avvocato lo guardò sbigottito sperando di non aver capito dove il ragazzo volesse andare a parare.
 
-Quali inclinazioni?-
 
Chiese infine sconvolto. Ael lo fulminò, indeciso se prenderlo a sberle o astenersi e cominciando a chiedersi se l’altro fosse stupido come pochi, o semplicemente si divertisse a farlo spazientire.
 
-Le tue!-
 
Sbottò quasi urlando, per poi  ricordarsi che non era il caso di farsi sentire in quel luogo e in quelle circostanze.
 
-Ah … le mie inclinazioni.-
 
Borbottò Evan
 
- Perché? Non sono anche le tue?-
 
Concluse infine sorridendogli allegro, con la faccia di chi si sta prendendo gioco di te.
 
-Cos…-
 
Ael stava per perdere le staffe, urlandogli contro ma Evan gli premette una mano sulla bocca, impedendogli di replicare, e continuò
 
-Non sono nato ieri, ho chiesto di te da quando ti ho parlato la prima volta, non passi certo inosservato con i tuoi modi, e per quanto tu possa ostinarti a rinchiuderti in una bottega la gente si pone delle domande comunque. In fin dei conti il nome della tua famiglia è conosciuto, avete sempre partecipato alla vita mondana della città … tutti meno il figlio più piccolo, Ael Petrichor Torsten, schivo e solitario, mai in compagnia di una donna, a venticinque anni poi, la gente si pone qualche domanda …  e me la sono posta anche io. –
 
Ael impallidì, gli occhi sgranati e l’espressione sgomenta mentre l’altro toglieva la mano dalle sue labbra
 
-Hai intenzione di ricattarmi?-
 
Chiese il ragazzo bisbigliando, letteralmente terrorizzato ed angosciato.
 
-Cosa? Certo che no!-
 
Evan sorpreso e con l’aria leggermente offesa sospirò,  poi avvicinò la mano ai capelli del più piccolo ma questo si spostò, appiattendosi ulteriormente contro il muro
 
-Sono solo voci …-
 
Mormorò, spostando lo sguardo sul pavimento, che di colpo sembrava essere diventato molto interessante. Evan sorrise con affettuosa rassegnazione e gli si avvicinò, lentamente, come si fa quando si vuole avvicinare un gatto randagio, delicatamente gli accarezzò la testa, le dita percorsero la lunghezza dei suoi capelli morbidi per poi sfiorare le guance incredibilmente lisce per un ragazzo di venticinque anni ed andare a fermarsi sul mento piccolo e appuntito.
 
-Si … sono solo voci. Come quelle che affermano il mio interesse per il gentil sesso.–
 
Ael alzò la testa di colpo per guardarlo, sorpreso da una frase così inaspettata, ma non vide che i capelli del moro coprirgli le palpebre, vicinissimo, mentre le labbra dell’avvocato poggiavano sulle sue, gentili ma decise, in un bacio che volle assaporare fino all’ultimo istante, per poi scostarsi forse pentito per il suo gesto, mentre lo sguardo tornava duro, onde che si infrangono violente, che logorano e allontanano.
 
-Non ho intenzione di assecondarti.-
 
Quella affermazione non ammetteva repliche. Era un chiaro rifiuto da parte del ragazzo, che Evan non volle accettare
 
-E io non ho intenzione di lasciar perdere.-
 
Replicò serio
 
-Non sai nemmeno chi sono! Cosa mi piace, cosa detesto, che carattere ho! Potrei essere un pazzo e attentare alla tua vita!-
 
Questa volta Ael alzò la voce, senza preoccuparsi di poter essere sentito
 
-Cosa ti piace?-
 
La domanda prese il ragazzo contropiede
 
-Scusa?-
 
Chiede Ael convinto che l’altro si stesse prendendo davvero gioco di lui
 
-Cosa ti piace?-
 
Insistette il moro, Ael esitò, poi rispose
 
-Il miele … e la crema. Anche le fragole, quando sono ancora piccole.-
 
Evan sorrise
 
-E cosa detesti?-
 
-Le persone insistenti.-
 
Disse seccamente Ael, piantando i suoi occhi celesti in quelli d’ossidiana di Evan, che scoppiò a ridere
 
-Touché! Ascoltami Ael … nemmeno io mi spiego i motivi del mio atteggiamento. Come te ho sempre diffidato delle persone che di punto in bianco cominciavano a mostrare un interesse nei miei confronti. Ho sempre pensato che non fossero onesti e in buonafede, ma quando ti ho visto ho come avvertito qualcosa di familiare nel tuo sguardo. Si, hai cercato di prendermi a bastonate con una scopa, ma ho sentito qualcosa. E penso lo abbia avvertito anche tu, altrimenti non mi avresti mai fatto passare la notte in casa tua.-
 
Si interruppe, sospirò e indietreggiò di un paio di passi perdendo lo sguardo in un punto indefinito
 
-Comprendo perfettamente il tuo punto di vista e lo condivido. Ma…-
 
Adesso Evan era tornato a guardare gli occhi di Ael, immobile davanti a lui, ancora spalle al muro e con un’espressione indecifrabile in volto
 
-Dammi almeno la possibilità di fare la tua conoscenza, almeno di diventare tuo amico.-
 
il biondo staccò la schiena dalla parete e si sistemò la giacca, riavviandosi indietro i capelli mormorò qualcosa
 
-Non ho capito…-
 
Il tono di voce di Evan era basso, come per assecondare quello impercettibile di Ael
 
-Va bene. Ho detto che va bene.-
 
Bofonchiò il più giovane, l’avvocato lo abbracciò. Era raggiante, Ael temette quasi che stesse per baciarlo una seconda volta ed era pronto a respingerlo, ma l’uomo si limitò ad una pacca sulla spalla, prima di allontanarsi
 
-Solo amici!-
 
Precisò il ragazzo, ma Evan non ebbe il tempo di rispondere che una voce li congelò all’istante, facendo crollare le loro certezze come se fossero un castello di carte
 
-E voi due che state facendo qui, da soli?-
 
Valentine era accanto a loro, doveva esser sbucato dal corridoio che avevano percorso poco prima , i capelli scarmigliati, il cravattino allentato, abbracciata a lui una ragazza visibilmente imbarazzata, la flebile luce della lampada delineava appena  un viso ovale, incorniciato da folti e piccoli ricci, lineamenti di bambola.
 
-Discutevamo.-
 
Rispose prontamente Evan, voce fredda e testa alta, senza dubbi un ottimo attore, lanciò solo una rapida occhiata ad Ael. Se non fosse stato per la penombra che impediva di vedere con chiarezza, Valentine avrebbe letto il terrore sui suoi lineamenti, ma quest’ultimo rise e tirò una sonora pacca sulle spalle dell’amico
 
-Non litigate troppo voi due! Non vorrei assistere ad una scazzottata il giorno del mio compleanno, tanto meno a dividere i miei migliori amici prima che se le diano di santa ragione!-
 
Ael notò che la sua voce era traballante, alta, forse un po’ troppo allegra, immaginò che avesse alzato il gomito, per Evan invece, fu una conferma ogni qualvolta Valentine aprì bocca per parlare. Poi l’amico borbottò qualcosa, appoggiò la testa sulla spalla dell’avvocato e dopo avergli sussurrato qualcosa se ne andò, trascinandosi la ragazza, forse più ubriaca di lui.
 
-Non si smentisce mai.-
 
Rise Evan prima di girarsi in direzione del ragazzo, al quale prima aveva sfiorato la mano e l’aveva sentita tremare spaventosamente. Quando si voltò per rassicurarlo però, Ael era sparito.
 
 
Si dovette fermare per non svenire. Il petto gli doleva, così come le gambe. Era scappato senza indossare qualcosa di più pesante, scivolando lungo il corridoio per uscire da quella villa festante, ricolma di gioia e buoni propositi, di ricchezze e sogni. Di persone che si congratulavano le une con le altre, mentendo spudoratamente e seminando falsità. Perché è così l’alta borghesia, le continue lotte, dispute e strepiti per giungere alla nobiltà ed ottenere il pretesto per avere la puzza sotto il naso. Una giustificazione. E quando Valentine aveva sussurrato all’orecchio di Evan qualcosa che aveva fatto ridere quest’ultimo, si sentì quasi preso in causa, canzonato, ed era scappato. Ma non era scappato esclusivamente per quel motivo. Valentine spesso si divertiva a prenderlo in giro, era il suo modo di scherzare. Ma l’idea che potesse esser stato scoperto, e preso in giro per quello che era appena avvenuto, lo aveva spinto ad allontanarsi il più velocemente possibile da lì. Perché tutto sommato Ael, poteva davvero fidarsi? Poteva davvero essere libero di mostrare a qualcuno la sua natura? Aveva paura. Paura di essere solo un capriccio del momento per poi divenire uno zimbello, infangando il nome della sua famiglia, nome che luccicava come oro da tanto tempo, forse troppo, o peggio ancora essere scoperto e processato. Perché l’opinione comune era quella. Certe inclinazioni sono disgustose e malevole, quando alla fine, del male non ne fai a nessuno. Quando alla fine l’amore fa male comunque, che sia una donna ad amare un uomo, o che sia un uomo ad amarne uno. Forse doveva continuare sulla via che aveva intrapreso, chiudendosi nel suo laboratorio ed avere di tanto in tanto la visita di Valentine o quella di Evan. A portare avanti il nome di famiglia tutto sommato, c’era il fratello maggiore, nessuno si sarebbe preoccupato di lui.
Giunse a casa senza neanche rendersene conto, era da tempo che non tornava. Le luci del piano inferiore erano accese, riusciva a vedere delle ombre in salotto, doveva essere la madre in compagnia di Noel, il figliol prodigo. Non sapeva nemmeno lui il motivo di quell’allontanamento, fin da piccolo non era mai stato particolarmente affettuoso, ma aveva sempre voluto bene alla sua famiglia.
Solo che tutto si era complicato al sopraggiungere della malattia del padre,e qualcosa in lui si era incrinato. Così aveva deciso di andare al laboratorio la mattina presto per tornare ogni sera più tardi, fino ad arrivare a stabilirsi al piano superiore, dove spesso da piccolo aveva giocato col fratello, mentre il padre e il nonno lavoravano. Noel non aveva mai approvato la sua decisione, ma col tempo smise di insistere, nemmeno la madre lo aveva convinto a ritornare a casa, e per quel che riguardava il padre, aveva capito le sue ragioni e non aveva mai insistito.
Ael guardò a lungo la casa in cui era nato e cresciuto,poi prese un enorme respiro e tornò al suo solitario nido.
 

 
  
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