Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    15/01/2014    5 recensioni
Sono passati ormai otto anni dalla prematura morte di re Joffrey; ora sul Trono di Spade siede Tommen Baratheon, bello quanto ignaro, manovrato con fine astuzia dall'intraprendente moglie, Margaery Tyrell. Al Nord regna Bran Stark: il suo improvviso ritorno è avvolto in una caligine di mistero, così come il sinistro e devastante potere grazie al quale ha conquistato il comando; al suo fianco c'è la moglie Meera, ma a corte tutti sanno che il re passa le notti nel letto del suo consigliere più fidato. Quando, per vendicare i torti subiti dalla sua famiglia in passato, il principe barbaro Rickon Stark si sporca le mani di sangue Lannister e rapisce la principessa Myrcella, non si può più tornare indietro: è guerra. Che parte interpreteranno Sansa Stark, Yara Greyjoy e Gendry Waters in tutto questo? Tra amori conflittuali, alleanze strategiche e scandali a palazzo, i nuovi concorrenti possono schierare le pedine: e che il gioco del trono abbia inizio.
(Bran/Jojen; Rickon/Myrcella; Gendry/Arya)
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bran Stark, Myrcella Baratheon, Rickon Stark, Shireen Baratheon, Tommen Baratheon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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VIII. Verde fu il reato.



-Dov'è?-
Il giovane attendente che era giunto a portargli la colazione, carne arrostita e una fetta di formaggio, non aveva idea di che cosa rispondere; indugiò, fissando timorosamente il riflesso dei propri occhi in un boccale ricolmo d'acqua.
-Chi, mio signore?- domandò infine, titubante, temporeggiando. Bran lo fulminò con un'occhiata impaziente, che fece trasalire il povero ragazzo di spavento.
-Jojen, e chi altri... Dov'è?-
Quando s'era svegliato, quella mattina, s'aspettava come al solito di sollevare le palpebre ed incontrare gli occhi verdi e cogitabondi del suo consigliere, chino su di lui e pronto a presentargli il piano della giornata; così non era stato. Bran aveva esaminato l'intera stanza assolata con lo sguardo offuscato di sonno, però non l'aveva visto da nessuna parte. Era inconsueto; non c'era nessun altro posto in cui Jojen dovesse -o volesse- andare, che non fosse perennemente al fianco del suo re. Bran aveva atteso pazientemente che tornasse, casomai avesse voluto l'idea di farsi quattro passi; ma non era mai arrivato.
L'attendente si chiese perchè mai quel compito ingrato toccasse proprio a lui. Quella mattina avevano fatto a botte, fra la servitù, per passarsi a vicenda l'incarico.
-Maestà,- cominciò a voce bassa, -Jojen Reed è partito... questa notte.-
Il re del Nord sbattè le palpebre, stordito, come se qualcuno avesse picchiato violentemente, molto vicino al suo volto, i palmi delle mani l'uno contro l'altro.
-... che cosa?- fu tutto ciò che disse. -Che...-
-Per Delta delle Acque.- sussurrò ancora l'altro, desiderando vivamente di scomparire sotto gli occhi sempre più sconcertati del ragazzo.
Bran cominciava a comprendere ch'era tutto vero, e che sul serio Jojen era partito, lontano, non lì, era andato... andato...
-Ma che senso ha? Cosa vuol dire... che è andato a Delta delle Acque? Come? Perchè?-  Le parole gli sfuggirono dalle labbra, incalzate da un'irritazione sbalordita, come se il suo intelletto non potesse accettare tante stramberie. -Chiamami lord Stannis e lord Edmure, subito.-
L'attendente si umettò le labbra con la lingua, terrorizzato. -Maestà, lord Tully è partito insieme a Reed...-
-Oh, fammi indovinare, ci sto andando anch'io in un attacco di sonnambulismo patologico?!- sbottò Bran, con sarcasmo pungente, furibondo. Poi si strofinò il volto, confuso, e sospirò. La stanchezza gli fece bruciare l'interno delle palpebre e il collo indolenzito. -Scusami. È che tutto ciò mi sembra assurdo... Ti prego, chiamami Stannis.-
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e corse via. Appena pochi minuti più tardi, quando l'ultimo rimasto della nobile casa Baratheon varcò la soglia della sua tenda, fu accolto da un:
-Cosa è successo stanotte, si può sapere?-
Stannis contrasse la mascella, rivolgendo un'occhiata di biasimo fredda e sprezzante alla scomposta irritazione del ragazzo, seduto sul letto di fronte a lui.
-Ne so quanto te. Mi è stato riferito da Seaworth che il veggente ha avuto una visione di Delta delle Acque assediata dai Lannister e si è precipitato a svegliare Tully, così sono partiti insieme ad un numero non esiguo dei suoi uomini.-
Bran non udì quel preoccupante non esiguo. Tutto ciò che gli importava di sentire era che quella rivoltante situazione non era soltanto ragionevole e logica, ma anche rimediabile. L'incolumità di Jojen non poteva essergli sfuggita dalle mani in modo così stupido, ignaro, passivo, senza che potesse avere almeno la possibilità di opporsi, che diamine! Gli spettava almeno l'occasione di sistemare tutto.
-E perchè io non sono stato... non dico interpellato, ma nemmeno informato di tutto ciò?- domandò con stizza; la preoccupazione si faceva strada dentro di lui come un coltello nelle carni. 
-Perchè Reed credeva che non ci fosse tempo da perdere... e che non avresti dato il tuo consenso.- rispose Stannis, con impietosa franchezza.
-Aspetta un attimo, mi stai dicendo che sono stato bellamente scavalcato?!- Bran era esterrefatto dalla rabbia; il suo interlocutore non rispose, ma gli rivolse uno sguardo lungo, fisso e un po' annoiato. Le parole di Bran si inseguirono in tracollo vertiginoso, sopraffacendosi l'un l'altra.
-Se c'è una cosa che Jojen mi ha insegnato sulle visioni, che riguardino presente, passato o futuro, è che nulla di ciò che appare al sognatore può essere cambiato. Che intenzioni ha?! Gli è andato di volta il cervello?! Che senso ha partire per salvare un palazzo destinato alla rovina e al saccheggio?!- Bran cominciò a slacciarsi la camicia bianca e spiegazzata dal sonno, e si accorse che gli tremavano le dita. -Chi? Chi ha permesso a quel pazzo di agire contro la mia volontà?-
-Si tratta di una spedizione a tua insaputa, non contro la tua volontà.- lo corresse Stannis, incrociando le braccia, mal tollerando quell'agitazione di cui conosceva l'estrema ragione, deprecandola profondamente. Il re del Nord gli scoccò un'occhiata furiosa.
-Io avevo chiesto, anzi, avevo preteso che a Jojen Reed non fosse mai permesso di allontanarsi dalla mia vista! Lui deve rimanere costantemente sotto la mia, la nostra protezione, capisci? Prova ad immaginare cosa succederebbe se cadesse nelle mani dei Lannister!- Il suono delle sue stesse parole lo inorridì. Non era possibile che Jojen ci fosse davvero già così vicino, non era possibile, era troppo schifosamente spaventoso per stare avvenendo...
Stannis si fece scettico. -Credi davvero che sarebbe capace di tradirti?-
-Non mi riferivo a ciò che succederebbe a noi,- ribattè Bran indignato, -ma a ciò che succederebbe a lui! Gli estorceranno le nostre mosse con i ferri roventi! Gli strapperanno gli occhi dalle orbite!-
L'uomo non parve particolarmente impressionato. -Bando alle paranoie inutili, Stark. I Lannister sono appena partiti, mentre Edmure e la sua truppa sono in viaggio dalle prime ore della notte. Avranno tutto il tempo per mettersi in salvo prima che i Lannister li raggiungano a Delta delle Acque.-
-E se così non fosse?!- Bran lasciò scivolare le braccia sul materasso, debilitato, come se non riuscisse a sostenere tanto tormento nel corpo già troppo spesso provato.
-In teoria, potresti ancora andare incontro ai Lannister ed attaccare il loro esercito in marcia, prima che possano raggiungere Delta delle Acque.- aggiunse Stannis, torvo in volto. Il re del Nord sgranò gli occhi, incredulo.
-Davvero non è troppo tardi? Davvero potrei?-
-Sì, certo, se volessi mandare a morte tutti i tuoi uomini e costringerli ad una marcia logorante che li decimerebbe.- Stannis inarcò un sopracciglio. -Nemmeno Joffrey Lannister sarebbe stato capace di una cosa simile, quindi mi auguro che non ti sia passato neanche per la testa.-
Solo in quel momento Bran si accorse di quanta perfidia ci fosse nella giustizia. Non poteva far rischiare la vita ad un esercito di più di ventimila persone... ma, nel momento stesso in cui rifiutava di andare a salvarlo, gli veniva spontaneo chiedersi: davvero la vita di Jojen aveva un prezzo, e davvero egli si stava rifiutando di pagarlo?! Loro erano i suoi uomini, lui doveva essere un buon re, si fidavano di lui, avevano delle famiglie che li aspettavano a casa. E tutto questo era così vero, e buono, e sensato, e giusto. Ma... Jojen? Come poteva permettere che facessero del male a Jojen?
Quanta perfidia c'è nella lista dei doveri d'un re,
pensò Bran con tristezza. Quanta perfidia c'è nella mia scelta.
-No.- bisbigliò, distogliendo lo sguardo. -Neanche passato per la testa.-
Quello sarebbe stato il momento meno appropriato del mondo per mettersi a piangere, ed allo stesso tempo quello in cui Bran provò più l'urgenza di farlo. Stannis parve quasi un po' impietosirsi della sua misera bugia.
-Se posso intromettermi in una faccenda che non mi riguarda, cosa che non mi è affatto solita, non mi preoccuperei troppo per Reed. Per quel che ho potuto capire, progettando gli schemi bellici insieme a lui per una ventina di giorni, è un ragazzo sveglio. Di certo non si sarebbe gettato allo sbaraglio in un'impresa suicida, se non ci fosse qualcosa da prevenire o da ottenere.-
-Jojen ha disobbedito alle mie disposizioni, e verrà punito quanto prima per questo.- replicò Bran, con voce dura e temprata dal rimpianto. -Ma ordino che mi vanga fatta recapitare all'istante una lettera in cui mi spiega i motivi della sua partenza e le strategie che ha intenzione di mettere in atto. Vieni, Estate.- chiamò poi, tendendo una mano oltre il materasso per chiamare il suo metalupo.
Quando uscì dalla tenda sulla sua groppa, contraendo infastidito le palpebre alla pressione dell'uggiosa luce di quella giornata, i capelli scompigliati a scendergli sulle spalle, la prima persona che gli venne incontro fu Rickon.
-Il tuo concubino ti ha piantato perchè aveva voglia di sperimentare con un uomo più maturo, ho sentito dire.- lo sbeffeggiò con un ghigno allegro che fece prudere le mani di Bran dal desiderio di atterrarlo, con un bel manrovescio.
-C'è poco da ridere. Perchè accidenti hanno concesso a Jojen di andarsene dal mio accampamento, con i miei soldati, intromettendosi nella mia guerra? Tutto ciò è semplicemente pazzesco. Sono o non sono il maledetto re?! Se dico una cosa voglio che sia quella, non che si attenda bramosamente la prima occasione per fare tutto il contrario!-
Era quasi esasperante, per Bran, quella situazione. Gli sembrava che il destino si fosse divertito ad illuderlo con certezze di vittoria e salvezza fino a quel momento, proprio per rendere poi più amara la sua disfatta, che si fosse coalizzato con tutti i moti intrinseci dell'universo per realizzare l'irrealizzabile. Perchè i Lannister avevano deciso di attaccare Delta delle Acque, e soprattutto, perchè Jojen l'aveva messo gratuitamente e scientemente nei guai, gravandolo anche di quella preoccupazione? È in casi come questi che avverto l'impellente esigenza di avere un consigliere al mio fianco, pensò, quindi peccato che mi abbia appena scaricato per andare a salvare i castelli altrui. Un'irragionevole gelosia lo punse al cuore. Se Jojen lo riteneva un buon re, perchè faceva di testa sua e gli giocava questi tiri mancini?!
Rickon scrollò le spalle, portandosi alle labbra un lungo osso sottile di cui Bran preferì non indagare l'origine, e lo mordicchiò distrattamente.
-Nessuno ha avuto il coraggio nè l'autorità di fermare zio Edmure. Come dargli torto? Era ovvio che desiderasse la buona riuscita del piano, gli era appena stato predetto che gli sarebbe andata in malora la casa... e per la buona riuscita del piano aveva bisogno del mangiaranocchie. Perciò fai due più due, fratellino. Cosa avrebbero dovuto fare, le nostre guardie?-
-Svegliarmi.- sbuffò Bran. -Ecco cosa avrebbero dovuto fare. Altrimenti va a finire che sono l'unico a non sapere le cose, come oggi. Se non può cambiare il futuro, cosa è andato a fare Jojen a Delta delle Acque?! Non capisco, io vorrei soltanto che lui fosse qui adesso. Mi viene male soltanto a pensare a quanto lontano è. Fintanto che non è più sotto la mia custodia può accadergli di tutto, e non va bene, non va per niente bene...-
Non si era reso conto di stare parlando ancora con Rickon; s'interruppe e gli lanciò una breve occhiata imbarazzata. Ma, al contrario di quanto si aspettasse, il fratello non lo derise.
-Non fasciarti la testa prima di averla rotta. Vedrai che andrà tutto bene. Quell'idiota di Reed avrà un piano per cavarsela anche questa volta, di sicuro ce lo ritroveremo di nuovo fra le scatole...- commentò Rickon, e questo si poteva quasi interpretare come una sorta di... rassicurazione fraterna?
-La tua Lannister ti sta sciogliendo come un pupazzo di neve in primavera, Rickon.- riuscì a sorridere Bran, in parte rasserenato da quelle parole che suonavano così adorabilmente fiduciose ed assennate, ed egli si accorgeva di stare man mano recuperando la lucidità, dopo lo sconvolgimento iniziale. Non era il caso di darsi al pessimismo cosmico, effettivamente. Sì, anche Stannis gli aveva detto una cosa del genere, che Jojen sapeva quel che stava facendo, eppure...
Ne sei sicuro? Ti fiderai sempre di me, Maestà? Qualsiasi cosa accada?
Quelle parole riecheggiarono nella sua mente, e suonarono ancora più inquietanti della sera prima. Un atroce sospetto prese forma. Che Jojen... sapesse già dal giorno precedente tutto ciò che sarebbe accaduto? Di Delta delle Acque, il risveglio di Edmure, la partenza? Però ciò implicava che avesse volutamente tenuto nascosto e taciuto fino a notte fonda l'intera faccenda, anzichè avvertire fin dall'ora di cena dell'assalto, il che non aveva senso. O forse sì?
Rickon grugnì. -Prova a ripeterlo, e ti assicuro che al suo ritorno il tuo crannogman dovrà trovarsi un altro culo da spaccare.-
Bran alzò gli occhi al cielo. -Ah, Rickon, Rickon, cosa me ne devo fare di te...-
Un messaggero interruppe il loro dialogo. Per un secondo, l'idea che portasse notizie di Jojen ed Edmure gli fece sussultare il cuore nel petto, ma poi fu deluso dalle parole che seguirono.
-È stato avvistato un fuoco d'accampamento nei pressi di Seagard, dov'erano le truppe dei Lannister, Maestà. Vuoi che mandi qualcuno a controllare che non sia una spia?-
Il ragazzo ci riflettè un secondo. -Rickon, vuoi andarci tu?-
Lui alzò le spalle. -Per me va bene. Se è un alfiere dei Lannister, non aspettatevi che ve lo riporti indietro tutto intero.-
Fatto sta che, mentre Bran rimase all'accampamento a inveire contro le guardie, Rickon si assicurò che Myrcella nella sua tenda dormisse serena, prese un cavallo e s'avviò nella direzione indicatagli dal messaggero. Al suo fianco, come sempre, v'era Cagnaccio, che con tutto il trambusto dell'incendio non andava a caccia da un pezzo. Durante il tragitto, che durò diverso tempo, il giovane Stark rivolse i suoi pensieri alla discussione che aveva avuto poche ore prima con Myrcella. Allora Rickon ancora sonnecchiava, in stato di dormiveglia, una mano infilata sotto il guanciale su cui posava la testa e l'altro braccio a cingere il corpo esile della fanciulla, rannicchiata sul suo petto. Dopo aver assecondato per vari minuti quel silenzio intorpidito e pastoso, la voce di Myrcella aveva raggiunto, fievole ma melodiosa, le orecchie del ragazzo.
-Sai, pensavo... quando attaccheremo Approdo del Re... perchè prima o poi la attaccheremo, no? Quello è l'obiettivo finale.-
-Giusto.- concordò Rickon, sorridendo compiaciuto nell'udire quel noi dolce come il miele.
-So che non posso chiederti di risparmiare... mio fratello,- continuò, omettendo persino il nome di Tommen, imbarazzata, -o Margaery, o i miei zii. Però... però il bambino... per allora sarà già nato, quindi non bisogna ucciderlo per forza...-
-Tutti i Lannister devono essere sterminati.- replicò Rickon, quasi apatico. -Tutti. Tutti significa tutti.-
-Mio fratello è innegabilmente un pericolo, Margaery è un'arrivista cospiratrice e i miei zii si sono macchiati delle peggiori infamie,- sussurrò Myrcella, addolorata più di quanto ella stessa credesse da quelle parole, perchè non la convincevano fino in fondo, -ma quel piccolino che colpa ha?! Quella di nascere?-
-Tutti significa tutti, indistintamente dalla responsabilità o meno, tutti coloro che portano il nome Lannister.- ribadì lui, pigramente. -Sì, credo che la sua colpa sia proprio nascere. Oh, avanti, Myrcella, non fare la drammatica. Non soffrirà nemmeno. Non si renderà neanche conto di morire, o di essere esistito. Sarà come se non ci fosse mai stato.- tentò goffamente di consolarla e, notando che l'unico risultato che aveva ottenuto era stato quello di farla fremere di sdegno, cercò un'altra strada. -Tu non vuoi che la storia si ripeta, vero? Che qualche ragazzino inferocito venga ad ucciderci perchè abbiamo sterminato la sua famiglia? È quello che succederà, se lasciamo il bambino in vita. Non è adesso che è una minaccia, ma quando avrà quindici, vent'anni, non sarà più un piccolo frugoletto indifeso, ma più probabilmente uno sterminatore armato di mazza. Il sottoscritto è la prova vivente di quel che ti sto spiegando. Effettivamente, Greyjoy avrebbe dovuto uccidermi un po' meglio.- ironizzò, lasciando scivolare le dita nella lunga chioma aurea della ragazza.
Myrcella parlò d'impulso, senza ragionarci troppo. -Allora lascia che lo cresca io! Quando i suoi genitori saranno morti, lo potrei prendere ed accudire ed educare per farlo diventare una brava persona. Un filo-Stark, per così dire. Sono sua zia, dopotutto.-
Quello che il giovane Stark non sapeva era che delle voci avevano perseguitato la fanciulla nel sonno. Traditrice, traditrice, dicevano, e c'era Cersei con un'espressione stomacata che bisbigliava tu non sei più mia figlia. Traditrice, traditrice, e Myrcella avrebbe voluto mettersi le mani sulle orecchie per non sentire più nulla. Nessuno di loro capiva? Nessuno di loro riusciva ad amarla senza ricatto, senza condizioni? Hai fatto la tua scelta, sussurravano le voci, hai preferito morire con lui che vivere con noi. Ma Myrcella non credeva di essere una traditrice. Era rimasta fedele a ciò che provava nel cuore, senza cedere ad un odio facile nè lasciarsi corrompere dalle invocazioni di Tommen, senza rinnegare nè sopprimere quel sentimento, senza fingere. Myrcella Lannister era rimasta fedele a se stessa, e ne andava fiera. Se soltanto non ci fossero state quelle voci, quelle maledette voci...
-Non è funzionato con Theon, e non so quanto potrebbe funzionare con un Lannister. È sangue cattivo.- sputò con disgusto.
-Anche io sono sangue cattivo.- obiettò Myrcella, un po' irritata, -eppure sono qui adesso. Avanti, Rickon, per una volta nella tua vita non puoi avere un po' di pietà?-
Quella parola fece scattare Rickon come una fiammella sul combustibile. -C'è forse stata pietà per Bran, quando è stato gettato da una finestra?! C'è forse stata pietà per me?! Se loro mi avrebbero voluto vedere volentieri morto, perchè io dovrei comportarmi diversamente?!-
Myrcella cercò i suoi occhi nel buio, fermandoli nei suoi, tristi ma saldi. -Perchè tu sei una persona migliore di loro.-
La sua voce era forte, questa volta, e senza esitazione. Dopo diversi istanti di silenzio, con la stessa compunta serietà,
-Myrcella, io dei bambini non solo li ho già uccisi, io li ho mangiati. Sai che cosa significa? Tu non puoi davvero ancora ostinarti a credere che io sia la persona magnanima che vorresti. Essere migliori degli altri conduce al patibolo, di questi tempi.- aveva commentato freddamente Rickon, incontrando le labbra della ragazza per sedare quella conversazione così sgradevole ed assopire il rancore. Rickon, povero caro, non può fare a meno di pensare che la colpa sia sua e si sente un mostro, rimuginava intanto lei, ma non sa che deriva tutto dal male che gli hanno fatto, e che in realtà lui è buono, lui è nobile, e io ho visto, ho percepito quanto lo è. Non mi resta che cancellargli dall'anima questa idea, poco per volta, altrimenti continuerà a renderlo infelice ed insoddisfatto di sè per il resto dei suoi giorni. Poco più tardi, Rickon l'aveva lasciata a riposare ancora un po' nella tenda borbottandole all'orecchio il battito del tuo cuore mi ha fatto venire fame.
Riflettendoci su in seguito, egli scosse la testa. La proposta di Myrcella era fuori discussione. Rickon non avrebbe mai accettato di crescere nella sua casa un piccolo, infido Lannister con i capelli biondi e gli occhi verdi. Non se lo meritava, quella famiglia che gli aveva strappato tutto ciò che aveva. Non si meritava la pietà, nemmeno nei confronti di quel bambino. Era Myrcella che aveva un cuore troppo tenero. D'altra parte, però, deprecò quella maledetta abilità della fanciulla di metterlo sempre in difficoltà, di persuaderlo con poche parole, d'ammansirlo con una sola carezza.
Quando giunse al punto di vedere poco distante ergersi fra le chiome degli alberi un sottile filo di fumo, Rickon diede un colpetto alla groppa di Cagnaccio.
-Tu va' pure a caccia. Io ho qualche faccenda da sbrigare con l'alleato ritardatario dei Lannister. Non preoccuparti, me la caverò.-
Non c'era bisogno di pronunciare ad alta voce tutto ciò, perchè il suo lupo come sempre aveva inteso. Abbandonò il fianco del ragazzo e svanì in una chiazza di vegetazione, dalla parte opposta; Rickon invece si avviò verso il fumo, per cercarne l'origine.
Quel che trovò, proseguendo a camminare e lasciando il cavallo legato poco lontano per non annunciare troppo rumorosamente il suo arrivo, contando sull'effetto sorpresa, fu una radura: al centro v'era allestito un fuoco da campo, ormai quasi morto, ed il fumo proveniva dalle sue braci roventi. Però, valutò Rickon con occhio esperto, risaliva a più o meno un'ora e mezza prima. I responsabili non potevano essere andati molto lontano. Inoltre, intorno v'erano un paio di coperte e una bisaccia -colma di provviste, si poteva indovinare ad intuito. Ma proprio mentre Rickon si avvicinava per perquisirla, qualcuno si avventò contro di lui con incredibile rapidità.
Il ragazzo era abituato agli attacchi a tradimento, dopo una vita trascorsa a Skagos, e sbattè il nemico che gli era balzato sulla schiena a faccia a terra; ma quello non era uno sprovveduto, e gli tirò un calcio sulla mascella che lo costrinse a lasciare la presa sulle sue spalle. L'aggressore era minuto di corporatura ed incredibilmente agile, veloce nei movimenti come pochi. Dopo diversi minuti di corpo a corpo, durante i quali si rotolarono sul terreno invertendo continuamente le posizioni e si morsero, presero a calci e a pugni, l'avversario riuscì a tirare un calcio nello stomaco a Rickon ed arretrare; ma, anzichè fuggire come sarebbe stato saggio fare, sguainò una spada dal fodero. Solo allora il ragazzo si rese conto che quella era una femmina. Aveva i capelli scuri e corti, tagliati malamente in ciuffi irregolari, forse con quella stessa spada, un viso dai lineamenti affilati ma non spiacevoli e occhi volitivi, grigio-azzurri.
-Ti do la possibilità di arrenderti.- sibilò con voce sferzante. Rickon sogghignò con disprezzo, un po' indispettito all'idea di essersi lasciato tenere testa da una ragazza in un corpo a corpo.
-Succhiami il cazzo.- replicò, mentre lei, visibilmente offesa, scoccò un fendente che -sebbene Rickon fosse quasi certo di averne potuta prevedere la traiettoria, gli ferì il braccio. Così cercò di farle cadere la spada di mano sferrandole un colpo al polso dal basso, ma lei volse il braccio dall'altra parte e gli puntò la lama alla nuca. Egli le afferrò le caviglie, con l'intento di farla cadere a terra, ma la ragazza gli sferrò una gomitata che gli colmò la bocca di sangue, lo prese per i capelli e lo scaraventò a terra senza troppe cerimonie.
-La possibilità di arrendersi è ancora valida, se adesso t'interessa.- lo sbeffeggiò lei, e Rickon immaginò che stesse sorridendo. Ma come diamine fa? si domandò sconcertato. Come diamine fa ad atterrare un ragazzo con il doppio della sua forza?! Era sinceramente umiliato dalla piega che gli eventi stavano assumendo.
-E la mia offerta pure.- rispose annaspando, ingoiando il sangue e rotolando di lato, per poi rialzarsi e morderle ferocemente il braccio con cui reggeva la spada. Lei però non mollò la presa e gli sferrò un colpo alla spalla -superficiale, sì, che però ad aggiungersi a quello al braccio era ulteriore sangue versato. Rickon capì che la ragazza non lo voleva uccidere, bensì ferire ed indebolire fino al punto di impedirgli di combattere ancora, però lasciandolo in grado di rivelare perchè fosse venuto lì; altrimenti avrebbe avuto tutte le occasioni di sferrargli un colpo fatale.
Fu a quel punto che Rickon vide Cagnaccio comparire fra gli alberi, e provò un'ondata di sollievo. Finalmente, pensò, mi chiedevo dove fossi finito.
E qui fu uno shock, perchè il lupo non gli si avvicinò nè tentò di aggredire la sconosciuta, ma fiutò il suo odore nell'aria e si sdraiò a terra, come se non ci fosse proprio nulla da fare. Ma cosa cazzo gli prendeva, pure a lui? Rickon si chiese se non stesse sognando qualcosa di strampalato. Azzannala, insomma! rivolse il pensiero al suo lupo, ma Cagnaccio sbadigliò e si leccò il muso sporco di sangue con tutta la serenità del mondo. La ragazza approfittò della sua disattenzione per puntargli la lama al collo, ma Rickon trovò il momento giusto per afferrarle la mano e -presumibilmente dal rumore- romperle una o due dita, facendole cadere sonoramente la spada a terra, e prenderla per il collo. Gli occhi di lei lampeggiarono furibondi. Gli tirò una ginocchiata allo stomaco e un pugno in faccia che, se Rickon non si fosse spostato giusto un po', gli avrebbe spaccato il naso e lo fece cadere per terra, per poi scagliarvisi sopra e bloccargli le mani al suolo, ansimando. Poi accadde qualcosa di altrettanto inaspettato: un altro metalupo fece irruzione nella radura. Ma com'è possibile? si chiese Rickon incredulo. Aveva la pelliccia bianca sul ventre e sul muso, mentre sulle orecchie e sul dorso il colore era ramato e grigio. Appena incontrò gli occhi del lupo, Rickon realizzò: un ricordo lontano lo pugnalò al cuore, fugace ma preciso, affilato, infraintendibile. Questo significava che...
Rickon guardò la sua assalitrice negli occhi, con completo sconcerto, e dalle sue labbra scivolò, effimero e sottile come la sabbia: -Arya.-
All'udire quel nome, la ragazza aggrottò le sopracciglia guardinga e un po' allarmata. -Come...-
Il ragazzo sentì le labbra tumefatte flettersi e la bocca ferita si spalancò in un sorriso sbigottito. Allora lei si voltò a guardare il grande lupo nero che la osservava indolente, e poi di nuovo il ragazzo bloccato sotto di lei. Notò con stupore crescente gli occhi azzurri, i capelli rossi, come se una sua azzardata fantasticheria trovasse troppi riscontri nella realtà.
-... Rickon?- concluse, allibita.
Per alcuni istanti non poterono fare altro che fissarsi meravigliati, quasi temendo che tutta la scena scomparisse come un miraggio da un momento all'altro.
-No, non è possibile. Non puoi essere tu.- concluse egli a bassa voce, corrugando la fronte ed esaminandola, ancora non del tutto consapevole di quel che stava accadendo. -Arya è morta. Io... pensavo che tu fossi morta!- Una strana rabbia lo invase, e d'un tratto di chiese davvero se tutto il dolore che gli artigli dei ricordi gli avevano estirpato dalle fessure dell'anima, se tutte le lacrime che erano sanguinate dai suoi occhi fossero stato la stolida leggerezza d'un malinteso.
Arya scrollò le spalle. -Lo pensavi semplicemente perchè era quello che io volevo che si pensasse. Sarei potuta tornare. Non l'ho fatto.-
Si alzò in piedi e rinfoderò la spada, tendendo una mano per aiutare il ragazzo a rialzarsi; egli la ignorò con piccata dignità. Non riusciva a credere che quella strana ragazza scostante fosse Arya, proprio Arya, la loro Arya. Non le somigliava. La nuova maturità su quel viso assomigliava molto alla sua, ma gli risultava estranea; la crudeltà dei suoi lineamenti la rendeva lontana, quasi insensibile. 
-E perchè mai? Grande Inverno è anche casa tua. Avresti potuto avvertirci da subito.- l'accusò quasi. Avresti potuto far tornare le nostre vite come prima, pensò, ma avrebbe mentito. L'Arya che avrebbe fatto tornare le loro vite come prima era stata decapitata ad Approdo del re molti anni prima, probabilmente.
-Dovevo aspettare il momento giusto.- replicò Arya, sedendosi presso il focolare spento. -Quando ho scoperto che voi eravate sopravvissuti, che eravate tornati a Grande Inverno, la tentazione di anticipare questo momento c'è stata... ma fortunatamente non è andata così.-
Rickon verificò lo stato delle sue ferite, tastandosi prudentemente il braccio e la spalla. -Perchè, dove sei stata per tutto questo tempo?-
Lo sguardo di Arya raspava fra le ceneri. -Fino a due giorni fa, ero a Braavos. Sono partita subito dopo le Nozze Rosse. Quando hanno ucciso la mamma e Robb, io c'ero.-
Rickon distolse lo sguardo e decise di non approfondire l'argomento, perchè riusciva già ad immaginare che fosse una storia lunga, e le storie lunghe non gli erano mai piaciute. Io c'ero. Bastava. Quanto dolore può annidarsi in due sole parole?
-Come hai fatto a scoprire del nostro ritorno? Chi te l'ha detto?- indagò invece, accigliato.
Sul viso allungato di Arya balenò quasi l'accenno di un sorriso furbesco. -Diciamo che... ho i miei contatti. Degli alleati, per la verità.-
Alleati? si chiese stupito. Cosa significa alleati? Che intenzioni hai? Ma c'era un'altra domanda che gli premeva ancora di più.
-Hai per caso notizie di Sansa?- Quell'illuminazione giunse come un fulmine a ciel sereno nella sua mente; se era viva Arya, perchè non avrebbe dovuto esserlo anche la sua sorella maggiore? Il solo fatto di averne incontrata una significava che i miracoli esistevano, che in quel casino di mondo tutto era possibile. Un secondo più tardi si diede dell'idiota. Arya e Sansa erano state divise, le loro sorti erano state completamente differenti, in luoghi diversi, anni diversi.
Arya liquidò la domanda in maniera quasi sbrigativa, come se fosse una questione di minima importanza. -Sansa è viva come me e te, ma ci sono talmente tante cose da raccontare, che cercare di fare un riassunto sarebbe stupido.-
Rickon sbattè le palpebre e schiuse le labbra, ma le parole che aveva intenzione di formulare si dissolsero. Sansa era soltanto un nome nei suoi ricordi, aveva l'effimera consistenza dei personaggi delle storie della vecchia Nan, era uno spettro fluttuante dal manto di capelli rossi, dal bel sorriso d'altezzosa, ingenua civetteria. Nella sua vita Sansa non era un'assenza, come poteva essere sua madre o suo padre, però era una privazione, una curiosità insoddisfatta, un diritto negato. Rickon Stark, per natura e legge, avrebbe potuto avere una bella sorella dagli occhi azzurri come i suoi, ma glie l'avevano portata via. Come tutti i membri perduti della sua famiglia, ciò di cui sentiva la nostalgia era una sagoma senza volto.
Sansa era soltanto un nome, ma un nome terribilmente importante. Era Stark, quel nome, il nome più agognato del mondo. Tutto ciò che Rickon voleva attorno a sè era gente che gli assomigliasse, gente dal sangue come ghiaccio disciolto e pelle d'algida neve, occhi di pietra scurita senza pace. Non si era mai sentito così emozionato, in difficoltà eppure estasiato, inebriato da tutte le rivelazioni. Quante volte aveva sognato quel momento, da bambino, rannicchiandosi fra le pellicce di Osha e cercando il tepore del fuoco, e quante volte al risveglio aveva pianto amaramente la propria dabbenaggine?
-Devo portarti da Bran.- fu tutto ciò che riuscì a farfugliare. -Il nostro accampamento è presso le Torri, ma qualcosa mi dice che lo sai già. Sarà contentissimo di sapere che sei viva!- Arya scosse il capo con veemenza, sempre affetta da quell'irrequietezza quasi innata nella sua piccola scattante persona.
-Adesso no, non possiamo permetterci un'eventuale fuga di notizie. Nessuno deve ancora venire a scoprire del nostro arrivo. Ma Bran lo rivedrò presto, prima di quanto credi, non preoccuparti. Tutto bene con quel braccio?-
Rickon fece una smorfia, sfiorandolo ancora. -Non proprio grazie a te, ma sì, abbastanza. Avresti potuto riconoscermi un attimo più in fretta, ad ogni modo.-
-Sei cambiato un pochino, rispetto all'ultima volta che ti ho visto, se permetti.- commentò Arya, squadrandolo da capo a piedi con un sopracciglio inarcato. In realtà ciò che vedeva le piaceva più di quanto sarebbe stata disposta ad ammettere.
-In tua assenza sono diventato un cattivo ragazzo.- la informò lui sogghignando.
-Mai quanto me.- fu la risposta, tetra soprattutto perchè arida d'umorismo. -Sarebbe stato umiliante farmi sconfiggere dal mio fratellino.-
-Ah, è a Braavos che hai imparato a combattere così?- borbottò l'altro, spolverandosi i pantaloni con gesti affrettati. -Comunque non mi hai sconfitto, sappilo!-
-Certo, come ti pare.- replicò lei, con un ghigno un po' diabolico.
Seguì un fruscio ed all'improvviso un ragazzo alto, imponente, dal fisico atletico e molto sviluppato, emerse fra gli alberi; aveva gli occhi chiari come stille di sorgente, i capelli corvini e vestiva soltanto con un paio di calzoni rattoppati, una casacca sgualcita ed un mantello che gli arrivava ai fianchi. Nell'avvertire una presenza estranea aveva sguainato la spada. Lanciò un'occhiata preoccupata ad Arya ed una ostile a Rickon.
-E questo chi sarebbe? Ho sentito dei rumori. E' tutto a posto?- domandò con diffidenza, rivolgendosi a lei. Arya gli scoccò un'occhiata beffarda, incrociando le braccia e calciando un sassolino nella sua direzione.
-Che tempismo, Gendry. Proprio quando abbiamo finito di scannarci... Ti presento mio fratello.- esclamò, con voce assolutamente casuale, come se nulla fosse. Il ragazzo di nome Gendry tacque: esaminò il suo volto alla ricerca d'una traccia di sarcasmo, ma non trovandola scosse arreso il capo. Il suo sguardo cadde sul sangue che macchiava il mantello di Rickon.
-E vi siete presi a botte, giusto?-
-Se non ci fossimo presi a botte, non sarebbe mio fratello.- precisò Arya. Gendry sospirò paziente, rinfoderò la spada ed acconsentì a sedere vicino a lei, continuando a rivolgerle uno sguardo di rimprovero.
-Ti avevo detto di non accenderlo, il maledetto fuoco.- affermò, con l'espressione di chi sa bene di stare ripetendo la stessa cosa per la millesima volta. Ottenne soltanto una smorfia e un paio di scettici ed arroganti occhi grigio-azzurri conficcati bellicosamente nei suoi.
-Nessuno può fare del male a noi, Gendry. E comunque non sono io l'imbecille che si è sbragato la coscia cercando la cena.- rimbeccò lei, guardandolo in cagnesco. -Hai ragione, avrei dovuto lasciare che la ferita si infettasse e tu andassi all'altro mondo senza aver visto la corona nemmeno da lontano...-
Rickon cominciava a non capirci più niente e decise di chiarire la situazione.
-Chi sarebbe questo, il tuo ragazzo? E cosa c'entrano le corone?-
Arya si fece paonazza. -Non è il mio ragazzo, è Gendry. Lui ha intenzione di sedere sul Trono di Spade, e fino a pochi giorni fa pensavo che fossero i Lannister i suoi nemici più temibili, non le volpi del sottobosco. Ho dovuto ricredermi.- lo prese in giro, tirando non casualmente una gomitata alla gamba del ragazzo di fianco a lei.
-Racconta la storia bene, se la vuoi raccontare.- bofonchiò Gendry, al suo fianco. Poi si rivolse a Rickon, serio. -Io sono il figlio bastardo di re Robert. Avrei potuto continuare a vivere come prima, ma poi ho scoperto che la mia pretesa al trono sarebbe più valida di quella dei ragazzetti biondi e smidollati che muoiono come mosche. Avrei potuto continuare a vivere come prima, ma poi... ho incontrato tua sorella.- si corresse con un sorriso. Arya sbuffò in silenzio, calciando ancora la ghiaia per terra. L'inquietudine era caratteristica intrinseca del suo volto contratto.
Rickon era poco convinto e squadrava Gendry quasi con derisione. -Quindi credete di presentarvi in due dai Lannister e chiedere gentilmente il trono?-
-Abbiamo intenzione di sollevare il popolo contro i Lannister.- intervenne Arya, infervorata. -Abbiamo la ragione dalla nostra parte. Gendry è il legittimo erede e sarà un buon re... sì, è un idiota, ma sarà un buon re lo stesso. Questo te lo posso assicurare. Con un solo colpo di mano ci vendicheremo con i Lannister per nostro padre, nostra madre, Robb, per Bran e tutte le altre ingiustizie che hanno commesso...-
-Per mio padre.- aggiunse Gendry, stringendosi nelle larghe spalle. -Sì, lo conoscevo solamente di nome, e per quel poco che sapevo di lui non ne avevo esattamente stima. Però era pur sempre mio padre, e i Lannister sono sospettati d'aver giocato un ruolo nella sua morte.-
-I Lannister sono sospettati d'aver giocato un ruolo in più o meno tutte le tragedie e le controversie più truculente degli ultimi cento anni.- replicò Rickon sarcastico. -Ma non so quante probabilità di successo avrà il vostro piano. Che, tra parentesi, qual è?-
-Meglio che tu lo venga a sapere a conti fatti.- rispose Arya. -Non siamo soli in questo progetto. Abbiamo pianificato tutto quanto insieme a un'altra persona, ma non è necessario che ti dica chi è. Anche gli alberi hanno orecchie, di questi tempi.-
Conclusi le doverose spiegazioni, i tre mangiarono tutti insieme ciò che Gendry aveva cacciato, e Rickon diede subito prova delle sue abitudini alimentari sbranando una coscia di capriolo senza cuocerla, grondante di sangue fresco.
-Soltanto un individuo simile potrebbe essere tuo fratello...- commentò Gendry senza troppa ironia, contraendo il viso pieno di disgusto nel vedere i denti inusualmente grossi del ragazzo affondare nella consistenza spugnosa fino a spolpare e graffiare le ossa. Arya sorrise quasi orgogliosa, come se fosse suo il merito di quella selvatichezza; intanto raccontò di come avesse rincontrato Nymeria, non appena era sbarcata nel continente occidentale, di come si fosse mantenuta a Braavos grazie a piccoli lavori di giornata, di come Gendry fosse andato a cercarla per attuare la sua, la loro vendetta. Fu il turno di Rickon, che raccontò brevemente di Skagos, della guerra, di Bran, tralasciando un unico aspetto della storia: Myrcella. Soltanto quando Arya, dopo essersi steccata alla bell'e meglio due dita della mano, gli tamponò le ferite del braccio per fermare il flusso sanguigno, Rickon si alzò per tornare all'accampamento.
-Bran si chiederà che fine ho fatto.- si giustificò, un po' contrariato all'idea di dover salutare la sorella non appena s'erano ricongiunti. Avevano ancora moltissime cose da dirsi, dopotutto.
-Ci rivedremo presto.- fu il brusco saluto di Arya, -molto prima di quanto credi. E verrò a fare i miei omaggi al re.-
-Lunga vita al re.- ripetè Rickon, con una smorfia malinconica. Infine schioccò le dita per attirare l'attenzione di Cagnaccio e tornò a cercare il cavallo, chiedendosi come avrebbe fatto a tacere le novità di quella giornata.
Arya è viva, Sansa è viva, Jojen Reed se n'è andato. Cosa sta succedendo al mondo, in questi ultimi giorni? E cosa succederà a noi? L'idea dei complotti di Arya, per mettere al trono un qualche bastardo di re Robert, lo impensieriva. Sperava che in questo modo non sarebbero venuti a contesa anche con Stannis, oltre che con i Lannister. Quell'uomo iniziava a stargli un po' simpatico, dopotutto. Ma le sue sorelle erano vive, vive, vive, non riuscì a pensare ad altro per tutta la cavalcata di ritorno, e gli sfuggì persino una risata di sollievo ed euforia, una risata liberatoria in mezzo al silenzio, a cui gli alberi replicarono con un prolungato tramestio di foglie tremanti nel vento.
 ***
-Manca meno di un'ora all'arrivo, mi dicono.- annunciò Tyrion, sedendo sul piccolo divano di velluto rosso della carrozza in cui Tommen stava consumando il pranzo. 
Nonostante il giovane re fosse solitamente accusato di pigrizia cavalcare gli piaceva, quindi stava al fianco dei suoi uomini quasi sempre, ad eccezione dei momenti del pasto, come quello. Non aveva granchè voglia di vedere qualcuno, tantomeno suo zio, però strinse i denti ed abbassò gli occhi sul piatto senza dir nulla.
Era ancora molto turbato dalla confessione pubblica di Myrcella, e questa interna sofferenza lo aveva corroso dall'interno per tutti quei giorni, procurandogli stanchezza, malumore e persino una febbre leggera, che si era abbassata progressivamente con il tempo. Nemmeno le lettere di sua moglie, lady Margaery, riuscivano a tirarlo su di morale; anzi, non appena le riceveva le scartava con rabbia, senza togliere il sigillo di ceralacca. Era di questo che Tyrion era venuto a parlargli.
-Che intenzioni hai a proposito di tua moglie?- domandò, esaminando cautamente la sua espressione. Non voleva farlo arrabbiare di nuovo, però la questione andava affrontata e l'ultima parola spettava proprio al re.
-Che genere di intenzioni dovrei avere?- replicò lui, cupo, punzecchiando i pezzi di pomodoro nel suo piatto, con non troppa convinzione.
Tyrion sospirò. -Per quanto tempo hai intenzione di fare finta di niente? Ti sta fregando il palazzo sotto il tuo regale naso, e tu che fai? Lo sposti dall'altra parte? Su, nipotino mio, non giochiamo al reuccio immusonito e cerchiamo di comportarci con fermezza e risoluzione. Questa vigliaccheria non serve a niente.-
Infastidito dal suono delle sue parole, Tommen sollevò il capo con un'espressione scocciata.
-L'hai detto tu che la lettera da Approdo del Re l'ha scritta Sansa Stark e che è un falso, no? E allora perchè dovrei preoccuparmi e credere che quel che scrive sia vero? È soltanto un espediente per farmi tornare ad Approdo del Re e mettere a repentaglio la guerra.-
Tyrion attese diversi istanti prima di proseguire; intanto il ragazzo si portò alla bocca la forchetta, inghiottendo un pezzo di pane intinto nel sugo.
-Non lo ritengo del tutto esatto. Io credo che ci sia anzi una discreta percentuale di verità nella lettera. Dopotutto, avvertirti avrebbe comunque avuto lo stesso effetto che inventarselo, no? È il risultato che conta, per Sansa. Se può aiutare gli Stark, bene, ma se può aiutare gli Stark e mettere zizzania fra Lannister e Tyrell, ancora meglio. Non sei d'accordo?-
Tommen picchiò la superficie di legno con il pugno. La voce cominciava a fremere di rabbia. Possibile che Tyrion non capisse?!
-È mia moglie. Ti sembra così assurdo che voglia fidarmi di lei? Io voglio bene a Margaery, e voglio crederle. Di sicuro, non baderò alle stupidaggini che dice quella là. Io amo Margaery, capito? Lei non mi farebbe mai questo.-
Lei non mi farebbe mai questo. Parole dolorose al momento sbagliato. L'aria che gli gonfiava i polmoni fuggì in uno sbuffo estenuato. Socchiuse la bocca per permettergli di evadere, ferito da se stesso.
Tyrion si chiese se potesse rimandare quella rivelazione, si rimproverò per tutte quelle remore rimbrottandosi che il ragazzo doveva crescere. Prese un bel respiro e si buttò.
-Ho inviato una lettera a Podrick, non appena mi è arrivato il falso di Sansa, e gli ho chiesto se avesse l'impressione che la regina stesse tramando qualcosa. Mi ha risposto... che stava indagando proprio su questo, perchè aveva sentito delle chiacchiere fra le spie di Varys. Mi dispiace tanto, Tommen, ma non si può ignorare...-
-Bene.- La voce di Tommen stridette di lacrime. -Allora fai direttamente quello che ti pare ed ignorami come sempre! La mia opinione vale meno dei fichi secchi, vero?!- Guardarlo negli occhi, lui e i suoi calcoli e la sua logica infallibile, era più difficile di quanto pensasse. Faceva male. Non più male del resto, comunque. La sua fu una supplica a qualche dio in cui, in quel momento, avrebbe avuto bisogno di credere, ma non ci sarebbe mai più riuscito. -L'ho sposata! Ha mio figlio nella pancia! Cosa dovrei fare?! Dimmelo! Dovrei farla ammazzare e facilitare la vita agli Stark?! Dovrei... dimmelo tu, visto che sai sempre tutto!-
Con un ultimo gesto stizzito, scaraventò il piatto con il resto del pranzo a terra, insieme alla tovaglia che si sformò ed arricciò sotto le sue mani, ai cocci della ceramica che strillarono contro il pavimento, al piagnucolio metallico delle stoviglie. Aveva il fiatone senza avere corso. Le sue mani erano rosse, furiose, quasi pulsanti del sangue sottopelle.
Tyrion assistette senza battere ciglio alla sua violenza innocua, di bambino deluso. C'era qualcosa di patetico, in quello sfogo, e qualcosa di atrocemente drammatico insieme. Il Folletto sembrava avere spento la propria ironia, per una volta. 
-Sto salvaguardando il tuo trono, non il mio. Quel che faccio, lo faccio per te. Perchè voglio il tuo bene.- rispose pacatamente, come se volesse contrastare con la ragionevolezza della diplomazia la puerilità del suo gesto sciocco ed inconsulto. Infine, quando si accorse che il ragazzo lo stava ascoltando, concluse. -Visto che i nostri movimenti dipendono attualmente soltanto da quelli degli Stark, propongo di far rinchiudere Margaery in prigione, ma soltanto dopo aver partorito. Se ti sembra una scelta appropriata...-
-Va bene.- sussurrò Tommen in un bisbiglio infranto. -Va bene.-
Non riusciva a capire come fosse stato possibile che Margaery, la sua Margaery dal sorriso bello e i fiori fra i capelli, avesse potuto trasformarsi in una traditrice. Anche lei. Il mondo sembrava volergli essere ostile a tutti i costi, all'improvviso, prendendo possesso del cuore delle persone che amava, sottraendogli le uniche che avrebbero potuto difenderlo. In Margaery non c'era nulla di male, solo conforto, gioia, luce. E adesso questo, sorrisi che diventano ghigni, mani che diventano artigli. Forse un giorno un giullare di corte avrebbe cantato una ballata in cui le fanciulle diventavano mostri, ma a chi sarebbe mai potuta piacere? Va bene, rinchiudetela, uccidetela, fatele del male, tanto non è più giusta, non è più lei, è corrotta, è inquinata. Tanto non riuscirei mai ad amarla come prima.
La menzogna crollò non appena cercò di stringerla a sè.
***
Ogniqualvolta Meera avesse tentato di dargli un'arma, aveva poi dovuto requisirgliela ridendo. Ti tremano le mani, diceva in tono di divertito rimprovero. Jojen Reed rammentò tutto ciò, mentre lui ed Edmure salivano a rapidi passi la scala a chiocciola che conduceva agli appartamenti della famiglia. Il lord di Delta delle Acque era estremamente agitato; dopo aver fatto estenuanti domande per venti giorni di viaggio, nel corso degli ultimi trascorsi aveva smesso di aprire bocca e da allora non spiccicava parola, probabilmente a causa del nervosismo. Teneva lo sguardo perduto da qualche parte, in un punto davanti a sè, sfregandosi le mani di tanto in tanto. I suoi passi erano talmente concitati ed irrequieti che Jojen faticava a stargli dietro.
-Non serve lasciarsi prendere dal panico in questo modo, lord Tully.- mormorò Jojen. -È tutto sotto controllo.-
L'uomo non rispose, come se non avesse il tempo nè la pazienza di trovare una replica adeguata, ed annaspò confuso fra i suoi pensieri. Appena varcarono l'arco di pietra che divideva le scale dagli alloggi, una donna venne loro incontro: aveva lunghi capelli fulvi, raccolti solo in parte sulla nuca e per il resto lasciati sciolti fino alla vita, grandi occhi caldi e castani e un viso dolce, emotivo, con labbra carnose.
-Edmure, mio signore? Che cosa sta succedendo? Appena mi hanno avvertita del tuo arrivo, ho temuto il peggio...-
La sua voce era sottile e un po' tremula. Il marito s'illuminò, a vederla, e dopo tanto tempo distese il volto in un largo sorriso; strinse con le mani le esili spalle della moglie e la baciò delicatamente sulle labbra. Lei si alzò appena sulle punte dei piedi, rinfrancata per un attimo, ed arrossì sulle gote. Però Edmure non prolungò quel contatto e fissò sua moglie, con una nuova gravità negli occhi gonfi d'ansia ed insonnia.
-Stanno arrivando i Lannister, Roslin. Vogliono assediare il castello. Ho lasciato il grosso delle truppe a rallentarli, ma non so quanto potrà servire... La maggior parte degli uomini è ancora con mio nipote. Perciò dobbiamo fare il possibile per difendere Delta delle Acque con le forze che abbiamo, prima che sia troppo tardi.-
-I Lannister?- farfugliò Roslin, smarrita. -Come fai a saperlo?-
-Per merito suo.- Edmure indicò con un cenno Jojen, che attendeva pazientemente alle sue spalle. -È il consigliere di Brandon... l'indovino.-
-Oh.- sussurrò la donna, osservandolo come avrebbe fatto con un piccolo animale esotico particolarmente singolare, e con quel pizzico d'intimidita venerazione che le persone ingenue provano verso ciò che non conoscono. Jojen, pur non apprezzando l'appellativo indovino (già veggente gli stava un po' scomodo), fu costretto a ricordare ad Edmure che dovevano affrettarsi e non c'era tempo per i convenevoli.
Un bambino che non dimostrava più di otto anni uscì dalle sue stanze e, non appena riconobbe il padre, gli balzò fra le braccia.
-Padre! Sei tornato!- strillò con una vocina acuta. Era sorprendentemente simile alla madre: i suoi capelli erano tenere fiamme vive, la sua carnagione bianca come porcellana e gli occhi castani e tondi; nei suoi tratti, comunque, c'era anche qualcosa del padre. Edmure lo abbracciò più stretto che riuscì, stringendoselo al petto come se cercasse un tepore tanto agognato, trattenendolo intensamente fra le sue braccia ed affondando grato il mento nella sua spalla, gli occhi appena umidi.
-Miles... sono così contento di rivederti, ragazzo mio.-
Anche la sua bambina, Elyn, era uscita di soppiatto, silenziosa come un'ombra, dal temperamento meno vivace di quello del fratello; stringeva la mano di Roslin, con lo sguardo chino a terra. Visto che aveva solo cinque anni la sua treccia era ancora corta, del color castano ramato del padre, ed i suoi occhi limpidi e cristallini erano quelli dei Tully.
-Bentornato, padre.- bisbigliò. Edmure si chinò a baciare anche lei sulla piccola guancia vellutata, tempestata d'efelidi color nocciola.
-Quanto mi siete mancati, tesori miei... ma adesso sbrighiamoci, dovete mettervi in salvo.- Si alzò e si rivolse a Jojen. -Cosa faranno i Lannister appena giunti qui?-
Il ragazzo indicò il lato opposto dell'edificio con l'indice. -Ho visto la Torre Nord in fiamme, quindi sappiate che sarà la prima ad essere attaccata; per limitare i danni, potete evitare di posizionare là i vostri uomini, piuttosto, e risparmiare loro una morte indegna. Non ho visto nulla circa la vostra famiglia, e questo mi fa sperare il meglio. Propongo di far fuggire tutti i suoi cari al più presto, lord Tully... magari sotto la protezione di suo zio Brynden e di alcuni uomini fidati? Potranno raggiungere la fortezza del loro alfiere più vicino e rifugiarsi lì fino a che il pericolo non sarà scampato. Dopotutto, i Lannister non si avventureranno più a Sud nelle Terre dei Fiumi, se il loro scopo ultimo è quello di ritrovare la Strada del Re, e comunque il loro obiettivo non sono i suoi familiari, fortunatamente.-
Edmure annuì rapidamente con la testa. -Molto bene. Allora, Ryger, vai ad avvertire Brynden e digli di portarli dove egli ritenga più opportuno. Roslin, seguilo.- Fissò la moglie negli occhi e le sorrise debolmente. -Verrò a prendevi il prima possibile, quando tutta questa brutta storia sarà finita...-
Lei cercò di rispondere al sorriso e lo baciò con dolcezza sulle labbra. -Fai attenzione.- raccomandò in un soffio, prima di prendere in braccio i bimbi a turno per permettere loro di salutare il padre, e di congedarsi con un ultimo sguardo preoccupato.
Jojen richiese una pianta di Delta delle Acque, e quando gli venne fornita tentò di fare mente locale.
-Nella visione la torre Nord era completamente abbattuta, e il fumo si intravedeva anche da questa fila di finestre... tutte queste, fino alla Torre di guardia. Ciò significa che tutta l'ala sud-est, compresa la torre sud-ovest, verranno lasciate per ultime. Quanti uomini ci sono a disposizione?-
-Cento rimangono di quelli che ho portato con me, duecento erano rimasti a proteggere il castello.- calcolò Edmure pensieroso.
Jojen scosse la testa. -Troppo pochi. Dubito che possiamo fare qualcosa per impedire la rovina della fortezza, ma perlomeno la vostra famiglia non subirà lutti, e so per certo che i Lannister non si fermeranno qui a lungo. La sorte di queste terre dipenderà unicamente dalla sorte della guerra. La meta dei nemici è un'altra.-
Poi un'intuizione parve baluginargli nello sguardo color del muschio, subitanea e preziosa.
-Allora?- insistette Edmure impaziente.
-Non è importante, lord Tully. Adesso mi ascolti attentamente: i Lannister arriveranno da nord-ovest, quindi attaccheranno quest'ala del castello e s'introdurranno nel maniero tramite l'ingresso minore. Se piazzerai i tuoi uomini a difesa delle zone che ho visto illese, probabilmente tutto andrà per il meglio per le prime ore, e il numero delle vittime sarà notevolmente più basso. Penserò io al resto.- aggiunse, e queste parole stupirono Edmure.
-Cosa intendi dire? Cosa significa il resto?-
-Non temete. Tutto è già stato decretato.- si limitò a rispondere, i pensieri a vagare e procedere fin molto lontano da lì.
Lui ed Edmure scesero poi le scale per impartire gli ordini ai soldati, in gran fretta. Dopo aver dato tutte le disposizioni ed indicato le posizioni esatte, lord Tully si chiese cosa avrebbe dovuto fare lui.
-Non vi ho visto nè prigioniero nè morto, quindi immagino che possiate scegliere.- rispose laconico Jojen. Edmure decise dunque di guidare i suoi uomini nella difesa, per non fare la figura del codardo quand'era la sua fortezza ad essere in pericolo.
-Ma tu, ragazzo, ho sentito dire che non hai mai indossato un'armatura in vita tua.- aggiunse. -Puoi fuggire insieme ai castellani là dove mio zio sta portando i bambini e Roslin, e sarai assolutamente al sicuro. Hai già fatto fin troppo per noi.-
Ma Jojen non abbandonò ancora la posizione al fianco di Edmure: ricordava che armi aveva visto nella visione e quindi spiegava qual era il luogo ottimale per sistemare i balestrieri, gli arcieri, gli addetti ai pentoloni di pece bollente, da riversare sulle teste di coloro che avessero tentato di scalare le mura. Quando terminò di dare tutto l'aiuto possibile, l'esercito era già quasi alle porte.
-Devi scappare immediatamente,- gli raccomandò Edmure, -prima che arrivino. Forza, corri!-
Il ragazzo obbedì ed imboccò il corridoio che, all'interno del maniero, avrebbe dovuto portarlo nei piani inferiori, verso l'uscita posteriore; ma non scese affatto come gli era stato ordinato. Strinse con più forza la pergamena che aveva nel palmo della mano e si avviò in direzione della Torre Nord, quella che nelle sue visioni era ridotta ad un cumulo di macerie. Non lo faceva insensatamente, anche se può sembrare: aveva una missiva molto urgente da inviare e i corvi si trovavano soltanto nella torre di vedetta a Nord. Salì le scale; nessuno cercò di fermarlo nè udì i suoi passi, perchè era completamente vuota, dato che aveva impartito egli stesso l'ordine di sgomberarla. Giunto in cima, si apprestò a legare il rotolo ad una zampa del corvo, quando una voce alle sue spalle lo immobilizzò lì dov'era: era quella affilata ed un po' beffarda di Tyrion Lannister.
-Guarda guarda chi si vede. Il guastafeste. Chi ti ha autorizzato a rubarmi le idee geniali, prima ancora che mi vengano?-
Stava sulla soglia, circondato dai suoi soldati, che avevano già puntato le armi contro la schiena di Jojen. Il ragazzo, con uno scatto furtivo, nascose il foglio all'interno del mantello, senza farsi vedere perchè appunto di spalle.
-Voltati.- ordinò Tyrion placidamente. Il consigliere del re del Nord fece come gli era stato detto e gli rivolse un mezzo sorriso amaro.
-Dunque tu sei il Folletto. Ti ammiro molto, sai. Desideravo da un pezzo fare la tua conoscenza... anche se magari non proprio a queste condizioni.-
-Sono un po' critiche, vero?- confermò Tyrion. -Che bello, ho un fan. Peccato che lo debba uccidere appena l'ho incontrato. Le persone intelligenti scarseggiano, di questi tempi, e quelle poche che ci sono stanno dalla parte sbagliata... Anche se trovarti qui mi ha sorpreso. Dimmi un po', cosa avevi intenzione di fare?-
Jojen scosse il capo. -Immagino che ora non abbia più importanza. Comunque, permettimi di dubitare che tu voglia uccidermi. Un bravo giocatore sa sfruttare al meglio le carte che ha, e per sfruttare al meglio me non bisogna mettermi a tacere per sempre, ma farmi parlare, piuttosto. Dico bene?-
-Hai presto indovinato il tuo triste destino, mio povero amico.- sospirò Tyrion, anche se non era poi così addolorato. -Prendetelo e portatelo via.- Schioccò le dita.
Ma prima che i suoi uomini potessero scattare, Jojen Reed infilò la mano nel mantello ed estrasse un corto pugnale, la cui lama era percorsa da un sottile filamento di luce, proveniente dalla finestra. Tyrion Lannister aggrottò la fronte, stupito da quell'imprevisto; sotto suo ordine, le guardie rimasero dov'erano.
-Sarebbe bello prendermi in ostaggio e ricattare Brandon,- cominciò Jojen, con voce calma, puntandosi il coltello alla giugulare, minacciando la vena pulsante ad un soffio da essa, -sarebbe bello immergermi nell'olio bollente, scuoiarmi pezzo per pezzo davanti ai suoi occhi, finchè non getta la corona ai vostri piedi. Sarebbe bello, soprattutto perchè sarebbe efficace.-
Ormai i suoi propositi erano manifesti. Tyrion Lannister si rese conto che la situazione era più problematica di quanto fosse apparsa a prima vista: bisognava intervenire subito.
-Questa è pusillanimità, Reed, non coraggio. Di' le cose per come stanno, hai paura di quel che potrebbe accaderti e preferisci, come dire, spegnere l'interruttore. Davvero un gesto compassionevole nei confronti della persona che ucciderebbe i suoi uomini uno ad uno, se servisse a salvarti la vita... Il tuo egoismo dovrebbe essere considerato un reato.-
Jojen sorrise di nuovo. -A parlare sei veramente bravo come dicono. Sai qual è la prima visione che ho avuto, Folletto? Quella della mia morte. Nessuno sa meglio di me ciò che sta per succedere. Tutto qui ha avuto inizio, tutto qui avrà fine. Sarà così com'è stato detto.-
D'altronde, nessun poteva capire cosa significava non avere segreti con il futuro, vivere una vita perennemente due passi avanti a lui, senza la gioia della scoperta, il privilegio dello stupore. Nessuno poteva capire quanto nel profondo egli si fosse inoltrato nei misteri di quella realtà folle ed incongrua. Nessuno, tranne Levenna Stark, naturalmente.
-Grazie, Reed. Stai privando il tuo re della sua arma migliore, davvero una bella mossa.- rise Tyrion, imbevendo ogni parola di sarcasmo, quando in realtà tutto il suo piano stava andando a rotoli. -Distruggerlo psicologicamente lo aiuterà di certo ad affrontare una guerra, che ne dici? Ci stai facendo un favore talmente enorme, che inizio a sospettare che tu stia voltando gabbana.-
-Tutto ciò che ho fatto nella mia intera esistenza è stato per il re del Nord. La mia vita è stata votata alla sua prima che nascessimo. Gli sto semplicemente rendendo ciò che gli appartiene.- replicò Jojen, con voce pacata ma ferma. Ciò che Tyrion diceva non era del tutto errato: Jojen era ben consapevole che non avrebbe resistito a tenere la bocca chiusa, se lo avessero sottoposto a tutte quelle torture di cui conosceva l'orrore. Aveva sempre avuto un fisico debole, incapace di adeguarsi ad eccessivi sforzi o sofferenze, di salute più o meno cagionevole. Ecco perchè non voleva correre il rischio di svelare ciò che non andava svelato. Ma era anche vero il resto. Era anche vero che Bran avrebbe sofferto. Ancora.
Quando ti ho incontrato per la prima volta, eri un ragazzino smarrito nel bosco con il lutto negli occhi e le ali inchiodate al suolo; quando ti ho lasciato, eri un re al capo del suo esercito, con la vendetta negli occhi e un onere di ferro sul capo. Non piegavi più la testa come un tempo, però l'anima che trovai e congedai era sempre la stessa.
Fu allora che Tyrion Lannister si rese conto che nulla ch'egli potesse dire, o fare, sarebbe servito a qualcosa. Lasciò pendere le braccia lungo i fianchi.
-Strumentalizzare la sua ira è la cosa più perfida e meno romantica che io abbia mai sentito fare da un innamorato nei confronti dell'altro.- dichiarò, intuendo le intenzioni dell'altro.
-Siete stati voi a creare il Re Storpio, Lannister. Voi e la vostra empietà.- Jojen serrò le dita intorno all'impugnatura del pugnale. Le mani non gli tremavano, per una volta. Ci sarebbe riuscito, per una volta. -Siete stati voi a creare il Re Metamorfo. E adesso state a guardare mentre vi schiaccia sotto il debito delle conseguenze.-
Presto capirai, Brandon, presto capirai tutto quanto, e forse troverai il coraggio di perdonarmi, così come hai trovato il coraggio di alzarti in piedi da solo. Tu ancora non lo sai, ma non hai più bisogno di me.
Il pugnale punse e gli carezzò il collo, da una parte all'altra. Jojen Reed non ebbe nemmeno il tempo di avvertire la ferita bruciare.
Tyrion arricciò il naso davanti alla fontana di sangue che ruscellò sul farsetto verde del ragazzo, fino a spandersi sul pavimento e propagarsi in fretta, come un morbo. Ha avuto fegato, dovette riconoscere con una smorfia. Peccato che sia stato tutto inutile.
-Avanti, perquisitelo. Stava per inviare un messaggio, non ve ne siete accorti? Crede che sia così scemo da non aver visto che lo stava legando ad un corvo? Sono nato qualche giorno prima di lui. Su, muovetevi.-
La lettera fu presto trovata. Un soldato la trasse dal mantello, in parte intrisa di sangue. -Ecco, mio signore.-
Tyrion la prese con la punta delle dita e l'aprì, la fronte corrugata. Scorse rapidamente le righe, scoprendo con sollievo che era praticamente tutta leggibile nonostante le macchie. Man mano che proseguiva nella lettura, il suo sconcerto cresceva a dismisura: possibile che...? Afferrò parola per parola, avidamente, ed al termine sollevò lo sguardo sbalordito. Dalla porta alle sue spalle fece irruzione Bronn, un mercenario che aveva stretto inaspettatamente una sorta di legame d'amicizia con lui, nonostante il fatto che la lealtà dei mercenari la si paga con l'oro.
-Stanno per distruggere la torre, nano, sono venuto ad avvertirti. Cosa è successo qui?- Lanciò un'occhiata perplessa al cadavere dallo spaventoso sfregio sulla gola, ancora disteso a terra.
-Quello è l'amante di Stark. Il veggente. Si è suicidato per non rischiare di svelare niente all'interrogatorio, a quanto pare.- spiegò in fretta.
L'uomo alzò un sopracciglio. -La regina del Nord ha deposto la corona.- commentò con ironia.
Tutto ciò che Tyrion riuscì a dire fu: -Quel che importa è che abbiamo vinto, Bronn. Era questo che Jojen Reed voleva proteggere a costo della vita. Abbiamo vinto.- Sventolò il foglio con esultanza.
Maestà,
so che in questo momento sei estremamente arrabbiato e deluso dalla mia disobbedienza. Ti chiederai perchè ti ho lasciato da solo e sono partito senza nemmeno avvertirti, senza spiegarti le mie ragioni. Non devi assolutamente credere che io abbia ignorato i tuoi ordini per strafottenza, o perchè non rispetto la tua regalità, mettendo in discussione il tuo potere. Non c'è uomo del Nord che ti possa servire ed onorare più di quanto ho fatto io. Con questa lettera voglio spiegarti il motivo del mio gesto, che a te potrebbe sembrare avventato ed incosciente. Sono partito senza indugio per salvare Delta delle Acque e la famiglia Tully non perchè li ritenga più importanti di te, non perchè riponga in loro la mia fedeltà, e nemmeno, lo ammetto senza vergogna, per un eroico slancio di coraggio: ma perchè non riesco a sopportare l'angoscia del mio fallimento. Sì, hai capito bene, ho fallito, Maestà. Proprio la notte della mia partenza l'esito della guerra mi è stato svelato dal crudele fato senza occhi.
L'esercito del Nord è destinato alla sconfitta, mentre invece i Lannister trionferanno ancora. Re Tommen rimarrà sul trono e la lady sua moglie darà alla luce un figlio, la cui vita sarà lunga e felice. Lo so che queste parole ti sembrano incredibili, scioccanti, ma non sono altro che l'atroce verità. Avrai dei seri dubbi, dato che il nostro esercito è forte e motivato, ma posso spiegarti anche questo. Tutto avverrà per una reazione a catena. È con il cuore dolente che mi viene costretto a rivelarti che nessuno dei comandanti di questa spedizione sopravvivrà. Tuo fratello Rickon morirà, trafitto con la sua stessa spada dalla ragazza Lannister che si è portato nel letto. Ma quello che più mi rincresce è che la missione della mia vita, salvarti, proteggerti e sostenerti in modo che tu potessi regnare sul Nord fino all'estrema vecchiaia, è fallita miseramente proprio quando aveva più speranze di successo. Tu morirai, mio re, morirai su una pira non appena giunto alla capitale. L'ho visto. A questo punto, non mi resta che morire prima di te: perdona la mia codardia, ma non rimarrò in vita per ascoltare le tue grida mentre ardi vivo fra le fiamme. Ti ho udito urlare in sogno, ed è stata l'esperienza più terribile della mia breve ma intensa esistenza. Il tuo dolore, la tua morte causata dalla mia incompetenza mi perseguiteranno fino in fondo all'inferno. La tua sarà un'agonia lenta e lunga, probabilmente interminabile; non voglio più mentirti, Maestà. Dopo aver letto tutto questo, penso che non ti sembrerà più assurdo che io voglia fare un tentativo per salvare i pochi che hanno la possibilità di sopravvivere.
Non c'è speranza di salvezza nè per Rickon, nè per te. Se si fosse stata, io l'avrei trovata. Ma qualsiasi cosa tu faccia, dal tornare indietro verso Grande Inverno al raddoppiare il numero dei soldati, sarà vana. Meera vivrà, se te lo stai chiedendo, ma a costo di fuggire da Grande Inverno, portando con sè Kenned e tua figlia non ancora nata. Quale sarà il loro destino, io non lo so, non ho avuto occasione di vederlo. Magari un giorno gli Stark torneranno di nuovo a casa, e questa è l'unica speranza che potrebbe risparmiarti un dolore altrimenti assoluto, e ugualmente intollerabile. Il salvataggio degli abitanti di Delta delle Acque è stata soltanto una scusa come un'altra per cercare di fare del bene con i miei poteri, per scampare al madornale disastro che attende dietro l'angolo le truppe del Nord. Speravo che con le mie abilità avrei potuto cambiare le cose, fare la differenza, beneficare il Nord ed il nostro popolo. Ma sono soltanto un illuso, Maestà. Ho deluso Meera, mio padre, me stesso, e forse sarei riuscito ad accettarlo, ma ho deluso te, e questo non riuscirei mai a perdonarmelo. Non voglio più vivere nel mondo che dimostrerà per l'ennesima volta quanto sia indegno di te.
Mi dispiace, per quel che può servire a priori: tu lo sai, che non sono parole a vuoto le mie.
Jojen Reed
***
-Cazzo.-
Rickon espirò rumorosamente, in uno sbuffo furibondo, e frugò il messaggio fra le sue mani come se sperasse di vedere le parole deformarsi, sciogliersi, scombinarsi fino a scrivere un verdetto diverso, diverso da quell'orribile avversità che si stagliava all'orizzonte minacciosa come un banco di nubi tempestose. Infine, dopo alcuni istanti di adirata, immobile, inerte contemplazione, squartò la carta con furia crescente, scagliando i frammenti al vento con gesti incontrollati, ed affondò le sue lunghe unghie nei palmi della mano. Chinò la testa. Avvertiva il cuore sconquassargli il petto in un ritmo frenetico, martellante, doloroso; chiuse gli occhi e realizzò che l'interno delle sue palpebre era rosso. Invocò l'aiuto dei suoi dèi troppo lontani, cercò la loro voce nell'aria torpida ed arida del Sud. Ma non si trovava nelle lande di ghiaccio che gli avevano dato i natali, non era l'austera compostezza di Grande Inverno nè l'atroce imprudenza di Skagos quella che strisciava sulla sua pelle, non era il vento glaciale che gli recava i sussurri del suo oracolo quello che gli avvolgeva le orecchie: soltanto la melma viscida di paesi placidi. Il volto di Rickon, le cui cicatrici venivano percorse con discrezione dal tatto impalpabile di una luna pavida, si contorse appena a quel pensiero. Il calore del Sud era opprimente, alieno, estraneo, lo rendeva nervoso, irrequieto. Soltanto cose terribili erano successe, soltanto cose terribili sarebbero potute succedere lì. La morte di suo padre, di sua madre e Robb, la precedente sconfitta del Nord. E adesso questo. Era davvero più di quanto la pazienza di Rickon -già molto esigua- potesse tollerare.
Quasi non udì i passi di Myrcella, morbidi e cadenzati su un manto d'erba secca. Mani piccole e delicate gli toccarono il collo e quelle braccia dal profumo inconfondibile lo avvolsero, senza stringere troppo, ma abbastanza da permettergli di percepire il suo calore.
-Rickon. Rickon, luce dei miei occhi, dimmi che cosa succede...-
Rickon scattò d'improvviso, ma ella non arretrò. -Quel dannatissimo veggente è morto! È crepato! Che all'inferno possa essere rinnegato da quella puttana di sua madre e fottuto dai demoni!-
L'espressione di Myrcella si fece seria e decorosamente turbata; la sua fronte s'increspò. -Ti prego, calmati, cuor mio. Spiegami. Non capisco. È... morto? E perchè?-
-Ma non capisci?! Adesso mio fratello darà di matto! Abbandonerà la guerra, ci manderà tutti a fare in culo!- Rickon pressò con le sue le pupille di Myrcella, indignato, come se volesse trasmettere senza veli il suo completo aborrimento. -Come glie lo dirò a Bran, eh? Con che faccia mi presenterò davanti a lui a dirgli che il suo veggente si è sgozzato come un vitello al mattatoio?!-
Myrcella era ancora una Lannister, anche se magari non ne andava più fiera come prima; spostò con gentilezza una ciocca dei capelli fiammeggianti del ragazzo dietro l'orecchio e domandò, con voce tranquilla e composta: -Mi stai dicendo che si è ucciso da solo?-
-... tuo zio lo voleva fare prigioniero e lui si è tagliato la gola per non cadere nelle sue mani. Questo mi è stato riferito, e in realtà ci credo. Ma la colpa è solamente sua! Se non fosse andato di persona a Delta delle Acque, tutto questo non sarebbe successo. Non ci ritroveremmo in questa situazione di merda... Per salvare chi, poi? Una zoccola Frey e due mocciosi!-
La fanciulla gli prese le mani fra le sue e sorrise pacatamente. -A volte le persone, quando sanno che la vita altrui dipende da loro, si comportano in modo strano, anche folle. Ma tu non fare così, ti prego. Finchè io e te siamo insieme, niente di male può succederci... Vedrai che tuo fratello non farà altro che arrabbiarsi ancora di più, quando lo scoprirà, e chiederà vendetta di nuovo. Dovrai stargli vicino.-
Rickon la fissò per qualche secondo, infine si concesse un piccolo sorriso. -Come al solito parli a proposito, ragazza. Hai ragione. Sistemeremo tutto quanto. Adesso vieni qui...-
La trasse a sè e la baciò senza fretta, mentre quel vento senza impeto smuoveva pigramente i loro capelli fino ad intrecciarli.
-Anche tu devi stare vicino a me.- Fu un sussurro così fioco che Myrcella credette di averlo udito soltanto nella sua mente, e tacque; dopo un ultimo sospiro, Rickon abbandonò il conforto della sua spalla d'alabastro e si avviò verso la tenda del fratello, con una determinazione diversa.
Bran lo capì subito, allo stesso modo in cui Estate fiutava i temporali e le menzogne, senza l'ombra di quel dubbio che gli avrebbe salvato la vita.
-No.- disse, non appena lesse lo sguardo del fratello, artigliando i braccioli del suo sedile come un sacerdote che non tollera d'essere strappato dal suo altare. -No.- Non dirlo.
Fintanto che non l'avesse detto, Bran non sarebbe stato costretto a crederci.
Fintanto che non l'avesse detto, Bran non sarebbe stato costretto a crederci?
-Bran.- La voce di Rickon non voleva introdurre una conversazione, nè tentare di dire alcunchè. Affermava da sola. Poche lettere, una verità così gravosa che sembrava non riuscire a trattenere sulla lingua. Disse solo Bran.
Il resto, il re del Nord lo sapeva già.
Cercò di aprire la bocca e negarlo di nuovo, ma il mondo intero stava immobile ad attendere la sua vigliaccheria, e nell'aria c'era già scherno, malinconia. C'era già tutto. Impossibile rinnegare il futuro, ormai, impossibile chiudergli la porta in faccia: era già lì. Lì. Di fronte a lui. Inesorabile, onnipotente. Fatale. S'era insinuato nel suo presente prima ch'egli potesse rendersene conto. A soffrire non si impara mai, pensò Rickon osservandolo. Sebbene familiare, il dolore è sempre nuovo. La morte è la faccenda più naturale di tutte, l'unica certezza che abbiamo in questo schifo di mondo, eppure le riserviamo sempre l'accoglienza più indignata e sconvolta, come se il suo potere su di noi non avesse il diritto d'essere esercitato, come se il nostro universo personale fosse una sfera a parte, con proprie regole, che merita una pace perpetua quanto utopistica.
L'aria divenne una massa compatta, rovente, insostenibile che costrinse Bran, pressandolo da ogni parte, e l'ossigeno divenne fuoco. La realtà circostante lo aggredì vorace. Egli tremava sul suo trono. Le mani convulsamente aggrappate ai braccioli non lo reggevano già più. Il mondo sfrigolò confondendosi davanti ai suoi occhi.
E cadde davanti a lui, fremendo atroce nell'aria, un attimo di stordente e terrificante follia.
-Maestà!- Le guardie gli si fecero appresso, preoccupate, notando il tremore concitato delle mani ed il capo reclino contro il petto. Fu allora che Bran alzò la testa ed urlò.
Urlò finchè l'aria nella sua gola non fu esaurita, e ancora, finchè il palato non sanguinò, e ancora, verso la fine del delirio. Le labbra livide ardevano come i lembi di una ferita.
Si accorse del sangue, ch'era schizzato fino a lordargli il viso, soltanto quando i suoi occhi impastati si spalancarono, intenti alla partecipazione dello stesso folle lutto; le guardie erano esanimi, corpi morti a terra, e lui era ancora lì ed urlava.
Rickon tentò di avvicinarsi al fratello, a quei cadaveri dalla testa spaccata in cocci, anche se non sapeva esattamente per fare cosa. Voleva fermare Bran e l'emorragia di quel dolore di cui si sentiva in parte, inconsciamente, responsabile; uno dei loro uomini lo afferrò per il braccio e lo trattenne.
-State indietro, mio lord.- lo supplicò. -E' meglio... aspettare.-
Rickon era sconcertato: anzi, no, era atterrito. Quel potere lì non era il solito che Bran utilizzava per giustiziare i loro nemici, era qualcosa che non aveva mai visto in vita sua, e avrebbe preferito non vedere mai. Aveva ucciso più persone contemporaneamente. Involontariamente, pensò ancora, e fu ancora più terrificante.
-Uscite.- riuscì solamente ad ordinare agli uomini sgomenti. -Via di qui!-
Non appena uscirono tutti e si chiusero la porta alle spalle, la prima cosa che Rickon  disse fu:
-Tutto ciò deve rimanere segreto. Ci libereremo dei cadaveri e faremo sapere alle famiglie che sono morti in battagli. Nessuno dovrà sapere che...-
Che il re del Nord è impazzito? Che probabilmente non sarà più in grado di guidare un esercito? Che i suoi poteri sono incontrollabili e possono uccidere inavvertitamente tutti coloro che gli stanno accanto? Non avrebbero dovuto saperlo, perchè... altrimenti chi avrebbe continuato a sostenere un re che stermina i suoi uomini?
Fu così che il re Metamorfo fu lasciato a consumare da solo la sua sofferenza colpevole, il suo dolore illegittimo. Dopo un lasso di tempo incalcolabile, Bran si rese conto di essere caduto dal trono, di stare strisciando a terra, trascinandosi con la sola forza delle braccia, le mani artigliate al grosso tappeto che percorreva la lunghezza della stanza. L'odore -il sapore- del sangue dei morti era forte, ferrigno, come un pugno sui denti; ma il dolore dentro di lui era aspro, acido, corrosivo. Bran si chiese confuso come fosse finito lì, perchè si fosse mosso, dove stesse andando. Quel pensiero lo sconfortò a tal punto che smise di lottare e giacque a terra. Alzò la testa e urlò ancora, un suono distorto e malsano che stridette fra le labbra arrossate di sangue. Poi l'urlo venne inghiottito da una dimensione altra, parallela, e la realtà masticò la sua voce, si avventò su di essa, che continuò a vibrare senza emettere alcun suono. Seppellito sotto strati di silenzio, ascoltò il pianto sulle sue guance divampare incandescente, ferendogli la carne senza pietà.
L'ultimo ricordo furono le mani gentili di un septon che non riconobbe. -Bevi, Maestà, bevi. Hai bisogno di dormire...-
Bran non ricordava di avere una bocca, ma a quanto pare bevve quello che non era altro che latte di papavero, perchè poi, vasta ed insperata, vi fu soltanto la pace.
***
-Però, a conti fatti, lo hai rubato.- canticchiò Robin Arryn con un sorrisetto esultante e malizioso, come se desiderasse soltanto ottenere una confessione confidenziale dal detenuto tremante di fronte a lui. L'indulgenza leggera nella sua voce era soltanto un inganno. -Lo hai rubato.-
L'uomo deglutì a fatica, retto in piedi dalle braccia energiche di due piantoni, implorandolo disperatamente con gli occhi. Alayne pensò che dovesse avere fame, perchè era a digiuno almeno da tre giorni, quando l'avevano incarcerato, e molto freddo, dato che le guardie reali avevano già spalancato la Porta della Luna. Il che non era un indizio granchè fausto, rimuginò la ragazza, nè una prospettiva allettante.
-Sì, mio lord, io... io l'ho rubato. Ma, come vi stavo dicendo, mia moglie... i miei figli... soffrono la fame. Io non sapevo cosa fare, io non... non volevo, non...-
-Per guadagnare i soldi bisogna lavorare.- replicò Robin, sprezzante, con tono saccente. -Tu hai un lavoro?-
-N... no, mio lord...-
-Ecco! Sei uno scansafatiche, insomma. E non provare a negarlo. Quindi sei un ladro, e sei pure scansafatiche. Guardate un po' voi se non è una grande prova di ingratitudine, la sua,- si rivolse poi alla corte radunata nella sala, -che io mi sottragga continuamente alle dispute del regno ed alle contese fra famiglie per il bene del popolo, per dare loro una vita agiata e confortevole, e loro se ne fanno un baffo del mio pensiero. Beh, non pretenderete mica che tenga nella Valle un tale rifiuto della società, vero?-
-No!- pigolò l'uomo, volgendo gli occhi prima intensamente verso Robin, poi verso Alayne, appellandosi alla tipica, pia compassione femminile. -Pietà!-
Robin seguì lo sguardo dell'uomo. -Tu che cosa ne dici, cara Alayne? Graziato o condannato?-
La moglie fissò con distacco l'uomo, scivolato in ginocchio sul pavimento di marmo, che congiungeva le mani in segno di supplica. Non sembrava un vero delinquente, ma lei non avrebbe mai privato il maritino malaticcio del suo piacere più cruento.
-Condannato.- disse infine, dopo aver finto di pensarci un po' su. L'uomo ululò ancora qualche preghiera intraducibile; gli occhi di Robin sfavillarono d'esaltata, fanatica estasi omicida, quasi liquefacendosi di voluttà.
-Allora fatelo volare.- sussurrò, distendendo pigramente le gambe davanti a sè, pronto a godersi lo spettacolo con un sorriso eccitato sulle labbra. E così era stata cantata la canzone preferita del lord della Valle, come ogni settimana. Quelle specie di processi non erano altro che farse mal organizzate, perchè effettivamente si contavano sulle dita di una mano coloro che si erano salvati, dopo essere stati giudicati da lui ed Alayne. La storia doveva essere davvero commovente e verace per toccargli il cuore. Robin non era cinico, anzi era piuttosto emotivo, ma mancava assolutamente d'empatia e solitamente anteponeva il proprio godimento e divertimento personale a tutto il resto.
-Mio lord!- Fu allora che un messaggero irruppe trafelato nel salone. Le guardie, che stavano trascinando il prigioniero verso la Porta della Luna, si fermarono, e una folata di vento andò quasi a chiamarli. Robin, che detestava essere interrotto in simili occasioni, storse il naso e ordinò alle guardie di stare lì dov'erano allungando verso di loro la mano destra, bianca e magra, decorata da un grosso e pesante anello con una pietra di zaffiro, d'un blu avvolgente, in cui gli occhi annegavano così come avrebbero fatto nelle acque del Mare del Tramonto.
-Cosa c'è adesso?- domandò infastidito.
-Le truppe del re, di re Tommen, sono qui... hanno un mandato reale, vogliono inviare un portavoce a Nido dell'Aquila... a costo di dichiarare guerra in caso di rifiuto.-
Robin si alzò in piedi di scatto, indispettito, serrando i pugni e contraendo la bocca, come se avvertisse un sapore aspro sul palato. -Perchè sono venuti?! Cosa vogliono da me?!-
Il messaggero tacque per qualche secondo, incerto. Infine rispose: -Vogliono vedere lady Alayne.-
Gli occhi di Robin si strabuzzarono. -Co... cosa?!-
-Cosa?!- gli fece eco la moglie, stranita, mentre un brivido le percorreva le braccia nel midollo stesso delle ossa. Come, volevano vedere lei? A che scopo, a che pro? Perchè mai un esercito intero, durante una guerra spietata perdipiù, dovrebbe dirigersi in un maniero, fare un lungo e rischioso viaggio, perdere tempo ed energie soltanto per vedere la moglie insignificante di un lord che nella guerra non era coinvolto per nulla?! C'era una sola agghiacciante possibilità: se questo esercito avesse scoperto la verità sulla tutt'altro che insignificante lady di Nido dell'Aquila.
-No, Robin.- bisbigliò a bassa voce. -Io non voglio vedere nessuno... Fai qualcosa, ti prego.-
-E io non voglio che nessuno ti veda!- ribattè Robin con forza, stringendo la mano della ragazza. Si leccò rapidamente le labbra asciutte, riflettendo. -Possiamo... possiamo inventare una scusa, che sei malata, che hai la febbre ed è meglio che rimani a riposo e non ricevi ospiti...-
-Non sarà una febbriciattola a schiacciare un decreto reale.- Petyr Baelish parve comparire per incanto dalla folla di ministri; lui non assisteva mai al gioco preferito di Robin, quindi Alayne non si aspettava di trovarlo lì. Naturalmente doveva essere stato informato della novità e doveva essere accorso. -Non credo che qualcuno di voi abbia presente che cosa si intende, per decreto reale. Viene rilasciato nelle situazioni di estrema emergenza, soprattutto quand'è questione di vita o di morte. Re Tommen non si farà fermare dalle vostre scuse inventate allo sbaraglio all'ultimo minuto...-
Robin non parve molto impressionato nè sollecitato da quelle parole. -E quindi cosa proponi di fare, visto che parli tanto?- sbottò, sostenuto.
-Non dubito che qualche idea giungerà, ma propongo fino a quel momento di portare Alayne ai piani superiori, dove il fantomatico portavoce reale non la potrà vedere.-
Baelish era molto più nervoso di quanto desiderasse mostrare a Robin, che sospirò ed annuì. -Io lo tratterrò... guadagnerò tempo... ma tu intanto fatti venire un'idea, perchè se succederà qualcosa di spiacevole a causa della tua incompetenza sarai il prossimo a volare! Siamo intesi?!-
L'uomo inarcò un sopracciglio in un'espressione di garbato scetticismo. -Non escludo che in questo castello l'incompetenza abbondi, ma la mia cara Alayne è nelle migliori mani, fortunatamente. Andiamo ora, non c'è tempo da perdere...-
Prese la ragazza per mano e la condusse nelle sue stanze, percorrendo i corridoio e le gradinate del castello con fervente rapidità. La lasciò nella camera insieme ad alcune ancelle, che la circondavano in attesa di ricevere il permesso per spazzolarle i capelli o distrarla con vanesie chiacchiere.
-Adesso devi aspettarmi qui e non uscire per nessun motivo. Risolveremo tutto, te lo prometto.- la rassicurò in fretta. -Ti fidi di me, non è così?-
Alayne attese qualche istante, infine annuì timorosa. Ditocorto si era dimostrato l'unica persona a tenerci veramente a lei, in quegli anni bui, e non soltanto a parole.
-Sì.- concluse, aggrottando la fronte. Il pensiero di lasciare il proprio destino nelle mani altrui, soprattutto in quelle incaute di Robin, la spaventava.
Baelish sorrise, compiaciuto dalla risposta. -Significa che non resterai delusa.- 
Quando scese nuovamente nella sala, vi scoprì con grande sorpresa -ma neanche troppa, in realtà: chi altri avrebbe potuto mandare re Tommen?- una persona di sua conoscenza.
-Tyrion Lannister.- lo accolse, spalancando le braccia in gesto di saluto, con un mezzo sorriso graffiante a fior di labbra. -Vedo che abbiamo visite. Come sta il nostro amato re?-
-Il Folletto.- sibilò Robin, lanciando un'occhiata vivace d'astio all'ospite. Tyrion Lannister, nonostante fosse piuttosto a suo agio, tese un sorriso un po' stropicciato: brutti ricordi erano rievocati da quella sala, da quel portale spalancato sul vuoto celeste del cielo aperto.
-Ma guarda un po', Robin... chi non muore si rivede, e a quanto pare questo proverbio è tristemente attendibile.- commentò, guardandosi rapidamente intorno ed ignorando bellamente Ditocorto; avrebbe avuto modo di vedersela di lì a poco con lui.
Il lord di Nido dell'Aquila s'imbronciò. -Infatti avrei dovuto liberarmi di te subito, non appena ne ho avuto l'opportunità, invece che costringermi a sopportare nuovamente la tua importuna persona, piccolo uomo.- Dopo essersi così lagnato, protese il capo in avanti e mostrò un sorriso derisorio. -Vedo che non sei cambiato granchè, dall'ultima volta che sei stato qui.-
Lui invece era diventato uno stangone, ma Tyrion diede una risposta diversa. -Anche per me è commovente ritrovare l'amabile dialettica del bambino seienne schizofrenico che mi stava tanto simpatico, Arryn, non dubitarne neanche per un secondo.-
Il ragazzo, esitante se considerarlo un complimento o meno, battè le palpebre. -Uh... senz'altro. Ma cosa accidenti ci fai qui?-
Tyrion intrecciò le dita dietro la schiena e cominciò a percorrere il salone a grandi passi. Non sapeva se quel ragazzino facesse il finto tonto, oppure -come gli pareva- fosse tonto e basta, però l'avrebbe capito di lì a poco.
-Effettivamente c'è una ragione ben precisa. Anche se ti suonerà strano, non mi sono fatto tutta questa salita soltanto per udire di nuovo la tua amabile voce... Sono venuto in cerca di una fanciulla di buona famiglia, con begli occhi azzurri, che un tempo a quanto pare era mia moglie. Si chiama Sansa Stark.- Sorrise affabile. -Dove posso trovarla?-
Robin contrasse il viso, accigliato. -Molto lontano da qui, presumo, perchè a Nido dell'Aquila non abita nessuna Sansa Stark.- 
Tyrion inarcò le sopracciglia. -No, davvero? Eppure mi pare di capire che l'hai sposata pure tu. Non dirmi che ha cambiato marito di nuovo...-
-L'unica donna che io abbia mai sposato è Alayne Stone, e nessun altra.- ribadì il ragazzino, ostinato. Schioccò stizzosamente le dita per farsi versare del vino in una coppa. Dopo aver portato il calice alle labbra ed aver bevuto a lenti sorsi, lentamente, concluse: -Sansa Stark è stata dichiarata scomparsa da parecchio tempo. Ormai sarà morta.-
Fu a quel punto che Petyr Baelish decise di intervenire tempestivamente. -Perdona la mia sconveniente curiosità, caro lord Tyrion, ma una domanda sorge spontanea. Perchè tu ed il tuo re la state cercando, e urgentemente al punto da emanare un editto reale e recarvisi qui con l'intero esercito? Devi ammettere che questa situazione desta qualche perplessità.-
-Non siamo nè io nè il mio re a cercare Sansa, lord Baelish, te lo posso assicurare. È lei che cerca noi.-
Baelish inarcò un sopracciglio. -Forse sarà a causa del mio intelletto non fino come il tuo, ma temo di non seguirti. Potresti spiegarti meglio?-
-Lo farò anzi ben volentieri.- Tyrion osservò la gelida cortesia sul suo volto e quasi sorrise. Quell'uomo mi vuole morto all'incirca quanto io voglio morto lui, pensò, eppure non ho mai sentito una discussione civile come questa... -Sansa mi manda dei massaggi, a volte. Certo, all'inizio ho fatto un po' fatica a capire ch'era lei la mittente, visto che ha usato qualcuno dei suoi numerosi nomi nel firmarsi, ed è stato un peccato. Fortunatamente sono riuscito a capire che il suo nome non era nè lord Mallister, nè Podrick Payne, sebbene così dicesse. Come ho fatto? È molto più semplice di quanto pensi. Quando ho parlato con Mallister in persona, che mi ha assicurato di non aver mandato nessuna missiva ad Approdo del Re... beh, ormai era troppo tardi per rimandare re Tommen al sicuro a casa sua, però ho deciso di scoprire se il mittente fosse chi sospettavo. Insomma, lord Baelish, il solo fatto che subito dopo la tua partenza Sansa Stark sia sparita e Robin Arryn si sia sposato con una figlia di nessuno offre di chi meditare. Dicevano che la nuova lady della Valle non soltanto non volesse mostrarsi ai suoi sudditi, ma non tollerasse nemmeno di essere ritratta; voce che mi è stata confermata da un pittore che ho ingaggiato e che lord Robin certamente ricorda. Ora, qui le ipotesi sono due: o sua moglie è una racchia da far paura, oppure per qualche ragione non si vuole che si venga a conoscere il suo aspetto. Perchè? A questo punto mi sembra quasi scontato aggiungere che nei registri anagrafici della Valle non risulta nessuna Alayne bastarda, nonostante il suo cognome sia Stone, e che per verificare l'autenticità delle future lettere che sarebbero giunte al re da corte ho chiesto ad un mio funzionario di scriverle tutte con l'inchiostro rosso, e che l'ultima lettera proveniente dalla capitale era nera che più nera non si può. Può essere stato soltanto qualcuno che conosce Approdo del Re, influente al punto da poter avere contatti fra le spie di Varys e scoprire del piano di Margaery... Volete aggiungere qualcosa oppure mi portate subito la ragazza? O come minimo fatemi le vostre scuse, dato che ho dovuto affrontare tutta questa salita soltanto per arrivare quassù.-
Baelish gli rivolse un ghigno debitamente, raffinatamente limato. -Allora temo che tu debba proprio accontentarti della vista del dolce viso del nostro giovane lord Robin, Lannister, perchè qui, come il mio signore ha già puntualizzato, Sansa Stark non si è mai fatta vedere. D'altronde, come avrebbe mai potuto salire fin quassù? Gli unici inservienti che hanno i mezzi per aiutare gli ospiti a salire obbediscono soltanto sotto ordine di lord Robin.-
-Il ragionamento non fa una grinza, lord Baelish,- ammise Tyrion mellifluo, -dunque lady Sansa non può essere giunta qui in altra maniera, se non accompagnata da qualcuno piuttosto ben accetto, che vi si recò proprio... ecco, sì, otto anni fa. Così come otto anni fa lei è sparita misteriosamente. Una vera coincidenza, non c'è che dire.- Senza dare il tempo a Baelish di replicare, il Folletto si voltò verso Robin. -Ritieni di avere un buon rapporto con tua moglie?-
Robin assunse un'espressione di disappunto. -Ma certamente. Che razza di domande sono queste? Stiamo progettando di generare un erede al più presto, in tutta onestà.- aggiunse compiaciuto.
Tyrion fece una smorfia, evidentemente inorridito da quella prospettiva. -Così potrai staccarle il bambino dalle tette ed attaccartici tu? Ho il vago sospetto che tu ti sia sposato solo per quello... perchè, per il resto, non vedo cosa tu te ne possa fare, di una moglie mentitrice come quella.-
Robin Arryn impallidì e si fece cianotico come un morto. Aprì la bocca in una "o" indispettita e furibonda, evidentemente intenzionato ad urlare uno spergiuro, ma poi parve demordere. Strinse le labbra ed alzò una mano, come per indicare ai suoi uomini la Porta della Luna, ma riuscì nuovamente a tornare padrone di sè. Ricadde sconfitto dalla propria stessa furia sul sedile; dopo qualche istante trascorso a fissarlo con astio, Robin si chinò in avanti e sillabò:
-Mia moglie si chiama Alayne Stone, non Sansa Stark.-
-Tu la chiami Alayne e io la chiamo Sansa, ma stiamo parlando della stessa persona.- dichiarò il Folletto tranquillamente. -Ecco, vedi, visto che siamo in guerra con la sua famiglia lei potrebbe farci comoda.- Sollevò un dito, come a raccomandargli di fare attenzione. -Però la mia non è una richiesta, e ti prego di non fraintenderla come tale. La tua montagna è circondata dagli uomini di Tommen, Arryn. Se io non tornerò dabbasso entro tre ore, oppure se tornerò con un diniego, il re ti taglierà i viveri. Quindi, cosa ne dici di portarmi la ragazza, offrirmi un bicchiere di vino possibilmente non avvelenato e salutarci come i vecchi amici che siamo, invece di costringermi a dire a Tommen di farti del male?-
Robin Arryn serrò gli occhi in due fessure. -Va' in malora, Folletto.-
Tyrion sospirò tristemente, e dopo pochi istanti ritentò. -Secondo te vale la pena di iniziare una guerra e devastare la tua Valle per una stupida ragazzina bugiarda, come te ne potrai trovare tante altre? Consegnamela, Arryn. È la cosa migliore che tu possa fare. Arrenditi.-
Robin picchiò la mano contro il bracciolo del suo scranno e sgranò gli occhi ancora di più, se possibile.
-No.
Ho detto di no. Lei si chiama Alayne ed è mia. Capito? Non potete portarmi via anche lei. È mia!-
Baelish tirò un sorriso amaro. Sì, probabilmente Alayne Stone apparteneva a Robin. Era la sua favola, la sua fantasia, la sua chimera; una promessa non mantenuta, come mille altre. Il giovane lord però non aveva più alcun diritto su di lei: si stava già disintegrando, per lasciar posto a Sansa Stark. E Sansa Stark non apparteneva affatto a Robin. Sansa apparteneva a Baelish, che non aveva certo intenzione di sprecare quest'occasione. E fu ben lieto di scoprire che l'idea tanto attesa era arrivata.
Tyrion scosse il capo. -Va bene, ho capito che il senno sta andando a donnine allegre in questo maledetto castello... Probabilmente dovrei ordinare a Tommen di ridurlo in macerie non appena scendo da qui...-
-No.- La voce di Ditocorto s'intromise nuovamente nella discussione. -Lord Robin, mi sembra arrivato il momento di smetterla con questa farsa. Ebbene, metti da parte la tua risaputa gelosia e mostriamo lady Alayne al Folletto qui presente, così che possa capacitarsi con i suoi occhi del fatto che tua moglie non è altri che chi dice di essere. Posso spiegarti tranquillamente perchè il nome di Alayne non compare nei registri della Valle: perchè non l'ho registrata alla sua nascita. Volevo che rimanesse segreta, in realtà, per avere assicurato il mio posto a corte... un po' sleale, dirai tu, però è così. Adesso posso andare a chiamare la mia figliola, non è così, lord Robin?-
-No!- strillò Robin infuriato. -Mai e poi mai!-
Baelish trattenne una smorfia; ovvio che quel piccolo idiota doveva sempre intralciarlo con la sua stupidità.
-La tua gelosia è assolutamente insensata in questa occasione, mio caro, perciò ora, che sia tu volente o nolente, porterò Alayne a cospetto del qui presente, così che possa riferire al nostro re ciò che noi gli stiamo assicurando. Con permesso.-
Quando il ragazzino tentò di obiettare, Baelish gli lanciò di sfuggita un'occhiata eloquente, spazientito. Appena giunto alle stanze dove Sansa era nascosta, attendendo novità con molta apprensione, l'uomo esclamò subito:
-Non c'è tempo da perdere. Voi,- e indicò Sansa e la sua cameriera personale, -scambiatevi gli abiti.-
Alayne era scioccata. -Scambiarci cosa?!-
-C'è qui il Folletto che vuole vedere Alayne Stone. Dunque noi gli presenteremo Alayne Stone... soltanto che passeremo la parte ad una nuova attrice.- Indicò con un cenno di scherno la povera ragazzina, che ignara di tutto lanciava occhiate smarrite all'uno ed all'altro. All'udire che Tyrion era giunto lì, Alayne rabbrividì di stupore: costretta da una pavida angoscia, si nascose dietro un paravento per togliersi gli abiti ed indossare quelli smessi e macchiati di sporco della servetta. La cameriera invece si ritrovò con un ingombrante abito di broccato azzurro, con pesanti ornamenti di pizzi e perle sulla gonna, scarpe alte ed una sontuosa collana al collo; venne aggiunta da parte di Alayne una cuffietta ricamata di merletti per nascondere il fatto che i capelli fossero in disordine. Baelish prese poi entrambe per il braccio, indicando loro la strada; quando giunse nei pressi delle cucine, bisbigliò qualcosa all'orecchio di una delle cuoche, che annuì in fretta e si affaccendò a cercare qualcosa. Ditocorto si rivolse ad Alayne.
-Ora ti farò portare a Valle, qui non è più un posto sicuro per te. Il Folletto potrebbe decidere di andare in fondo a questa storia e perquisire Nido dell'Aquila, grazie al mandato reale. Starai dentro le casse vuote dei rifornimenti per i viveri, così nessuno si accorgerà di te... e lì ti condurranno da qualcuno con il quale sarai al sicuro, Alayne, credimi.-
La ragazza lo guardò, il volto adombrato. -Io non voglio essere al sicuro... io voglio essere al sicuro con te.-
Baelish liquidò il discorso con un cenno affrettato. -Adesso non c'è tempo per questo. Ascoltami, io ti raggiungerò... ma non adesso. Desterei troppo i sospetti. Ci ritroveremo presto, ma adesso devi andare, subito.-
Sansa esitò, infine si allungò verso di lui e gli lasciò un bacio leggero a fior di labbra.
-Questo, perchè sei stato così meschino da farmi sentire di nuovo una lady indifesa.- dichiarò, con un sorriso mesto. Baelish non si scompose, si limitò a sorridere di sottecchi. In fondo, era così che doveva andare. Era così che sarebbe dovuto andare, quella volta. Mentre la cuoca aiutava Sansa a nascondersi nella cassa,
-Addio, mia cara Alayne. Non potrò mai più chiamarti a questo modo.- sospirò, sotto lo sguardo sconcertato di quella disgraziata cameriera che, fra presunti padri baciati da presunte figlie ed abiti sfarzosi, quel giorno le pareva di vaneggiare. Appena venne presentata al cospetto del Folletto, egli storse il naso.
-Questa non è Sansa Stark.- rilevò, irritato all'idea di dover fare una ricerca accurata e sicuramente lunga e noiosa in tutto il castello.
Baelish sorrise. -Lieto che finalmente tu l'abbia capito, amico mio...-
Robin lanciò un'occhiata intristita oltre i vetri delle grandi finestre, perdendo lo sguardo nel disegno delle nuvole sfilacciate che serpeggiavano fra le pareti rocciose, drappeggiate sui monti come festoni, adagiate sulle macchie selvose, in eterei anelli di vapore bianco.
Arrivederci, cugina, pensò, mentre l'anima crollava grave nel petto come piombo. Il lord di Nido dell'Aquila comprese di essere di nuovo solo.
***
Meera Reed non era nata per regnare, e lo sapeva benissimo. Quando, nel rivolgersi a lei, i servitori la chiamavano mia signora, non poteva evitare di aggrottare la fronte con disappunto. La faceva sentire a disagio, perchè non si sentiva di certo superiore a nessuno. Fin da bambina non aveva avuto grandi ambizioni per il futuro: figlia di una casata minore, di un crannogman, lady soltanto in teoria, la cui massima aspirazione nella vita sarebbe stata ereditare quattro pezzi di terra paludosi nell'Incollatura, seconda a suo fratello. Non poteva certo immaginare cosa il destino avesse in serbo per lei. Negli ultimi tempi aveva avuto tutto il tempo di meditare circa ciò che rende tale una vera regina, e lei era assolutamente convinta che comprendesse anche quella gamma di codici, di cerimoniali e di formalità di corte che lei non riusciva proprio a sopportare: gli ospiti che portano i doni, che recitano le benedizioni a memoria, che chiacchierano a vanvera sul proprio viaggio e sulla guerra e che passano direttamente ad ingozzarsi al banchetto; le sciocche damine che le erano state presentate, l'una dopo l'altra, nel vano tentativo di distrarla; i bei discorsi che le facevano imparare a memoria per questo e quell'altro lord. Tutto ciò era sempre meglio della noia, comunque, la noia che la inseguiva per i corridoi, la soffocava nell'acqua ustionante del bagno e la attanagliava nei grandi saloni vuoti, che non c'era più nessuno a riempire. L'unico modo per farla svagare sarebbe stata ridarle il suo arco e la sua lancia, pensò con rimpianto.
-Volete ancora dello spezzatino, lady Meera?- La voce argentina e sonora di Shireen Baratheon la strappò improvvisamente ai suoi pensieri.
Meera scosse la testa, rivolgendole l'espressione più benevola che le riuscì. -No, ti ringrazio. Io... credo di non avere più fame.-
-Non avete quasi toccato cibo.- le fece notare la ragazzina, con un'espressione d'interrogativo stupore che da quella constatazione parve più intristita che accusatoria.
-E' vero.- rilevò la regina, trattenendo un sospiro fra le labbra. Shireen non indagò oltre la questione e si limitò a sorriderle.
A Meera quella ragazzina stava simpatica. Nonostante il suo animo fosse evidentemente molto limpido e vulnerabile, era sempre allegra e pronta a dispensare saluti e parole gentili per tutti, dai ricchi lord ai garzoni della cucina, dai vecchi ai bambini; però non era sciocca e vanesia, bensì riflessiva e riservata a tal punto da sapere quando tacere, quando parlare e che cosa dire. La sua gentilezza e sensibilità la rendevano una coinquilina davvero amabile e, benchè non avessero molto in comune, i pomeriggi più interessanti per Meera erano quelli che trascorreva conversando con lei. Una volta le aveva persino confessato quanto amasse cacciare. È ciò che mi fa sentire viva, aveva detto. Shireen l'aveva osservata a lungo e infine aveva detto, scandendo chiaramente ogni sillaba: un'anima come la vostra non dovrebbe permettere agli altri di sopprimerla. Io credo che voi dobbiate respirare di nuovo.
-Che gli dèi ti fulminino. Questo è lo spezzatino più buono che io abbia mai mangiato.- bofonchiò Osha, leccandosi avidamente le labbra unte di sugo rosso. Meera roteò gli occhi, esasperata.
-Ti supplico, Osha, usa le posate. Non è difficile. Altrimenti fai passare la fame a tutti gli altri...-
La bruta replicò con un'occhiata truce. -Non ti dico che cosa dovresti fartene, delle posate... io le schifo, le tue dannate posate. Quando sono venuta qui, ho messo subito le cose in chiaro: resto a corte soltanto a patto di non mettere i vestiti da deficente e di non avere niente a che fare con i vostri gingilli da persone perbene. Quindi non venirmi a fare la morale con le tue posate, adesso!-
Shireen scoppiò in una risatina. -Oh, Osha, sei davvero una persona spassosa. Dici sempre cose divertenti.-
Osha assunse un'espressione perplessa. Fissò a lungo Shireen, con un cipiglio inquisitore, infine voltò lo sguardo verso Meera e si picchiettò la tempia con il dito indice, con eloquenza, come a dire questa non ci sta proprio con la testa. Dopo un'attenta osservazione, la bruta aveva in generale approvato Shireen come moglie di Rickon. Sembra moscia e ignara, però in realtà ha un animo di ferro. Io le intuisco, queste cose, aveva dichiarato con aria d'importanza. È una ragazza forte, temprata, sveglia. Sempre meglio di quella sgualdrinella biondina.
-E quello?- Osha fece un cenno con la testa verso Meera, che stava giocherellando distrattamente fra le dita il ciondolo appeso ad una sottile catenina d'argento. Era un prisma adamantino, con una miriade di sfaccettature di struggente perfezione, che bevevano bramose la luce rosata delle torce, assumendone la dolce tonalità. Lei lo fece tintinnare, sfiorandolo appena con l'unghia.
-Un regalo di Bran, prima di partire.- rispose con disinvoltura, a voce atona. -Finora non l'ho mai messo, però oggi me lo sono ricordato.-
Osha lo esaminò soltanto per qualche istante, poi scosse la testa cupamente. -Se pensa di comprare il tuo sorriso con i gioielli, vuol dire che non ha la più pallida idea di chi tu sia.-
Shireen assistette al loro scambio con un po' di disagio, però, dato che lo pensava sul serio, aggiunse educatamente: -È molto grazioso.-
Meera annuì, abbassando lo sguardo su di esso. -Inutile, ma grazioso. Le cose inutili sono quasi sempre graziose, per compensare la loro inutilità.-
Dopo alcuni istanti di silenzio, sul quale gravò lo spettro impalpabile ma immancabilmente presente della guerra, Osha manipolò la conversazione per portarla su temi più leggeri.
-Ma dov'è lady Selyse?- Era stato uno strazio per Meera convincerla almeno a chiamare lord e lady chi di dovere, almeno per non finire stecchita prima del tempo.
-Stasera ha deciso che si fa portare il cibo in camera.- rispose Shireen, alzando le spalle. -Dice che la sua fede è in crisi e che ha bisogno di Melisandre.-
-Melisandre?- Meera aveva già sentito quel nome, ma non riusciva a ricordare in che contesto.
-La sacerdotessa rossa che sostiene mio padre.- spiegò Shireen, per poi portare la forchetta alla bocca, pensosa. Dopo una pausa per deglutire, proseguì. -Mia madre crede molto in lei e la voleva accanto a sè qui, a Grande Inverno, ma Melisandre è dovuta partire per l'oriente, alla ricerca di un tale alleato delle tenebre... ogni tanto ci fa sapere per lettera come procede. Non mi sembra che abbia ottenuto grandi risultati, però mia madre confida incredibilmente in lei.-
Osha fece una smorfia. -Questi strani culti orientali del fuoco mi hanno sempre ispirato diffidenza, sarà perchè-
Meera si piegò sul tavolo e si aggrappò con le mani al bordo, incerta, annaspando. Le altre commensali si girarono subito a guardarla, allarmate.
-Cosa ti succede, lady Meera?- chiese Shireen, preoccupata. Dopo pochi secondi di spaventata immobilità lei abbozzò un sorriso impacciato, sollevando faticosamente le palpebre sugli occhi velati di smarrimento.
-Sto bene, grazie. Dev'essere il corpetto... probabilmente me l'hanno allacciato troppo stretto. È tutto a posto, davvero.-
Shireen annuì, la fissò ancora per qualche istante e poi si portò il calice alla bocca. Osha lanciò a Meera uno sguardo indicativo, un presentimento che la attraversò fin nelle membra. In effetti, non era proprio verosimile che le allacciassero il corpetto troppo stretto tutti i giorni. In effetti, quello non era da escludere: almeno, se così fosse stato, avrebbe avuto un pensiero nuovo a tenerla occupata. Sarebbe stato bello.
-Meera vacilla perchè ha bevuto troppo vino, quindi per stasera è meglio che smetta.- annunciò Osha astutamente, allungandosi ad afferrare la coppa della regina e scolandosene il contenuto in un sorso. Meera assunse un'espressione indignata.
-Ne ho bevuto pochissimo! Era praticamente pieno, il bicchiere che hai tracannato fino all'ultima goccia! Però è vero che portiamo a tavola troppo vino. Quando Bran tornerà, mi farà la predica...-
-Quando il gatto non c'è, i topi ballano.- ribattè placidamente Osha, colmandosi il calice di nuovo.
-Dovremmo prendere esempio da lady Shireen e bere acqua.- aggiunse Meera, indicando la giovane Baratheon.
Osha esibì un ghigno allegro. -Ti conviene abituarti ad attaccarti alla bottiglia fin da subito, ragazza, se nel prossimo futuro sposerai Rickon...-
-Perchè?- domandò ingenuamente Shireen, guardando prima l'una e poi l'altra con sorridente aspettativa. Entrambe scoppiarono a ridere. A quel punto s'udì bussare.
-Avanti.- esclamò Meera, cercando di darsi un contengo. Entrò il Maestro di corte, con un'espressione di affranta cautela.
-Mia regina,- cominciò con voce fioca, -ci sono notizie da parte del re.-
Meera lo fissò, la forma delle risate precedenti ancora a fior di labbra. -Ebbene?-
Le bastò guardare l'uomo in volto per un secondo ancora, per capire che una calamità si stava per abbattere sulla sua casa, che una voragine si sarebbe spalancata sotto i suoi piedi per inghiottirla.

























Note dell'Autrice: sì, sì, lo so. WTF?! Che accidenti è questo capitolo?! Avete ragione, però dovevo metterci un sacco, e ci ho messo... un sacco di cose. Un sacco di cose orribili.
Ho ucciso Jojen, ho davvero ucciso Jojen! Ancora io non posso crederci. O.O Come ho potuto fare una cosa simile?! Beh, certo che ha l'atteggiamento di un personaggio che morirà in modo tragico, però potevo avere un po' di pietà. Le fan del pairing sappiano che l'ho fatto contro la mia stessa volontà, perchè io li amo più di qualsiasi altra cosa, e che mi perdonino! Piazzerò qualche flashfic traboccante di fluff per farmi perdonare! Le fan dei Lannister invece staranno gongolando alla grande per la famosa lettera... quindi non vi resta che scoprire come andrà a finire! L'unica cosa che aggiungo è che non tutto è come sembra.
Sansa ha baciato Baelish... mmh. Vabbè. Ci stava. Non è che loro mi piacciano molto, ma in questa situazione ci stanno.
Spoiler per il prossimo capitolo: ci saranno degli sviluppi che coinvolgeranno Margaery... Grazie a tutti coloro che sono riusciti -più o meno sani- ad arrivare fin qui! Vorrei tanto sapere cosa ne pensate! ^-^
Lucy
  
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