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Autore: Glowen    02/06/2008    8 recensioni
Pansy ha sempre guardato la neve scendere attraverso i vetri delle finestre, e desiderato di correre fuori a creare pupazzi. Lui la porta a farlo. Una George/Pansy scritta per il concorso Quotation Fest.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George Weasley, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Cruciverba e palle di neve alla Vigilia di Natale”

 

Pansy siede annoiata in Sala Grande. E’ il 24 Dicembre, e lei ancora non lo sa che la Vigilia di quell’anno non la dimenticherà mai; che si sveglierà ogni 24 Dicembre, per tutto il resto della vita, cercando di ritrovare con l’immaginazione le emozioni di quel giorno.

Ancora non lo sa.

Il tavolo degli Slytherin è vuoto, eccezion fatta per il posto che occupa lei stessa, a metà del tavolo, e lei si sente incredibilmente sola, anche se sa che le basterebbe scendere in Sala Comune per ritrovare le sue amiche, che stan preparando i bagagli per tornare a casa; anche se, alle sue spalle, il tavolo dei Gryffindor è popolato da un folto gruppo di ragazze, le cui stridule risate arrivano fino alle sue orecchie.

Entrando in Sala, poco prima, aveva lanciato una pungente battuta sulla gonna che indossava Lavinia Boots, non tanto perché la trovasse davvero ridicola, ma perché ciò che tutti si aspettavano da una giovane Slyterin, ricca e piena di stile, era proprio che criticasse un simile straccetto, soprattutto se indossato da una come la Boots. E Pansy aveva capito, sulla sua pelle, che sfuggire a ciò che gli altri si aspettano da te non solo è doloroso e difficile, ma alla fine ti rendi conto che è impossibile.

Quando le ragazze Gryffindor scoppiano a ridere simultaneamente, Pansy si volta veloce, fulminandole con lo sguardo. Poi, torna al cruciverba che sta facendo, sul retro di un vecchio numero della Gazzetta del Profeta.

Gliel’ha lasciato Draco, poco prima, mentre impacchettava il resto delle sue cose, pronto per tornare a casa sua, facendole una pungente battuta sul fatto che lei fosse l’unica a rimanersene ad Hogwarts, mettendo l’accento sul fatto che vi sarebbe rimasta insieme agli straccioni, ai Mezzosangue e ai babbanofili. Pansy si è mostrata superiore davanti alle sue parole, ma di dentro si era messa ad urlare.

Che colpa ne aveva lei se sua madre non la voleva a casa - o meglio “tra i piedi”, per usare le sue proprie parole- mentre organizzava una splendida cerimonia Natalizia con tutti i parenti e gli amici più in vista. Le aveva detto senza giri di parole –e per quella che non era la prima volta- che lei l’avrebbe fatta sfigurare, e che nessun abito, nemmeno una delle fantastiche creazioni di Miss Needlethread, avrebbe potuto darle quella grazia e quella bellezza che le mancavano per natura.

Smette di ripensare alla faccia di sua madre, contratta in una smorfia mentre la guarda, come se non fosse sua figlia quella che aveva davanti, ma una Mezzosangue qualunque, e riabbassa il suo sguardo castano sul cruciverba, svolto a metà.

<< “Lo inventò Monnamea il Pazzo” >> legge la definizione a mezza voce, poi si solletica il mento con la piuma imbevuta di inchiostro che tiene in mano.

<< Il Monocolo, Parkinson, certo che non sai proprio niente >> si intromette un’irritante voce, appartenente a qualcuno che si è appena lasciato cadere sulla panca al suo fianco, con la schiena e i gomiti poggiati al tavolo e lo sguardo fisso sulle ragazze al tavolo dei Gryffindor.

Pansy alza sulla figura uno sguardo acido, e le basta notare i capelli rossi, sparsi davanti al viso, per capire che si tratta di un Weasley. Quale, non lo sa. E non le importa nemmeno.

<< Weasley, hai sbagliato tavolo >> gli comunica con freddezza.

Lui però non sembra essere per niente intimorito o scoraggiato dal suo tono, e si limita a scrollare le spalle.

<< Per mia fortuna, Parkinson, ci vedo ancora abbastanza bene >> le spiega col tono sciolto di chi conversa amabilmente davanti a una bottiglia di Burrobirra. << Anzi, ci vedo abbastanza per vedere che quella seduta là al centro è Vera Wollstonecraft; e io dovrei essere matto per andarmi a sedere a fianco di Vera Wollstonecraft. Soprattutto dopo che le ho rifilato una Merendina Marinara difettosa per vendicarmi della buca che mi ha dato>> le racconta, con voce divertita. E sembra non stia parlando a Pansy Pakinson, odiosa Purosangue Slytherin, ma ad uno qualsiasi dei suoi amici sanguesporco.

Pansy riflette su questo, ma poi si rende conto che è stanca di dividere il mondo tra Mezzosangue e Purosangue. E poi le è difficile farlo, seduta accanto a Weasley che le parla con noncuranza, come parlerebbe a qualsiasi Gryffindor o Hufflepuff si trovasse seduto a fianco. Ma lei è una Slytherin.

E allora? Ma ha senso quello che sta pensando?

Mentre lui continua a cianciare a proposito di Vera Wollstonecraft, Pansy scrive ‘monocolo’ tra le caselline del cruciverba.

<< Weasley, per piacere, o stai zitto o te ne vai a sederti al tuo tavolo di perdenti >> gli dice, perché la sua voce allegra, che si alza e si abbassa, le impedisce di riuscire anche solo a leggere una definizione del suo cruciverba.

<< Concedendo il fatto che io sia cieco, tu sei sorda, mia cara Parkinson. Mi sembra di averti spiegato molto approfonditamente i motivi per i quali non posso assolutamente accomodarmi al mio tavolo, come invece sarebbe mia intenzione fare >> dice, tutto d’un fiato, e Pansy pensa che gli manchi solo di fare un inchino per essere inquietantemente simile a quel pomposo Senza-mezza-testa.

<< Taci, dannatissimo Weasley >> gli dice, portandosi le mani alle orecchie per sottolineare quanto poco sopporti la sua voce.

Gli Slytherin sono famosi per parlare solo quando è necessario farlo; lei non ha mai sentito Blaise o Theodore o Markus mettersi a chiacchierare solo per il gusto di farlo, e deve abituarsi a questa novità.

Anzi, non deve abituarsi affatto; deve cacciare Weasley via dal tavolo degli Slytherin, tavolo al quale lui non ha il minimo diritto di sedersi.

Comunque lui sembra averla ascoltata e si zittisce, mentre il suo sguardo è fisso a seguire ogni movimento delle ragazze Gryffindor.

Pansy si stupisce, perché non credeva che lui fosse in grado di obbedire a un simile ordine.

<< “La inventò Oliver Lander” >> legge la nuova definizione, tra sé e sé.

<< Parata doppia >> si intromette nuovamente la voce di George Weasley che no, non è capace di obbedire a un simile ordine.

<< Mi sembrava di averti detto di startene buono e zitto, se proprio volevi rimanere qui >> gli dice acida Pansy.

<< Ma tu non sei assolutamente in grado di finire quel cruciverba senza il mio aiuto >> replica lui, e –anche se la frase potrebbe essere catalogata tra le offese- il suo tono scanzonato la fa sembrare solo una divertita annotazione.

<< Lo sono, invece >> replica subito Pansy, piccata, e riabbassa lo sguardo sul foglio.

<< Andiamo, Parkinson, guardati intorno: non c’è nessuno dei tuoi amichetti Slytherin con la puzza sotto al naso. Nessun Blaise-io-ho-stile-e-tu-no-Zabini, nessun Draco-figlio-di-papà-Malfoy e nessun Theodore-maledizioni-senza-perdono-Nott >> elenca, e Pansy deve reprimere un sorrisetto. Riesce a farlo perfettamente, perché sono sedici anni che si allena a farlo.

<< Quindi >> prosegue George << Puoi anche accettare l’aiuto di un impavido Gryffindor. Nessuno lo saprà mai. >> conclude, e a Pansy ricorda ancora una volta quel gentiluomo vecchio stile di Senza-mezza-testa.

Lei non sa cosa rispondere; non è decisamente una di quelle persone che hanno sempre la battuta pronta.

<< Hai detto che è ‘ parata doppia’? >> si limita a chiedergli, dopo aver preso un profondo respiro.

<< Sì. E prima che tu lo chieda sì, ancora una volta, ne sono sicuro >> replica lui, mentre un bel sorriso gli si allarga su tutto il viso.

Tiene ancora d’occhio ogni movimento di Vera Wollstonecraft e Pansy, da brava Purosangue viziata, sente l’irrazionale gelosia che quegli sguardi non siano fissi su di *lei*.

<< “Quello di Sir Godrick aveva disegnato un drago” >> legge, dopo avergli lanciato uno sguardo di sottecchi.

<< Cappello >> dice George, senza esitare.

<< Mantello >> dice Pansy, nello stesso secondo.

Entrambe voltano il viso di lato a fissare l’altro, e tra di loro passa uno sguardo di sfida.

<< Cappello >> ripete George, con estrema calma.

<< Non ho mai visto Sir Godrick raffigurato con un cappello con su un drago!>> replica Pansy piccata.

<< Andiamo, Parkinson, passo metà delle mie giornate nella torre di Grifondorò. Saprò bene se il drago è sul cappello o sul mantello! >> argomenta George, allargando le braccia intorno a sé.

Pansy nota che non torna a fissare lo sguardo su Vera Wollstonecraft. Si da della stupida, dopo aver formulato questo pensiero.

Senza sapere perché scrive ‘cappello’ nello spazio dedicato alla definizione ‘8 verticale’.

Si rende conto che ora, quasi inspiegabilmente, si sente un pochino meglio rispetto a quando è corsa lì, con espressione dura per nascondere le lacrime che le provocavano le affermazioni di Draco. Si sentiva un pochino meglio, perché George Weasley la trattava come qualsiasi altra ragazza, non come un’intoccabile Purosangue Slytherin e –soprattutto- non come una reietta Purosangue Slytherin; quella che sua madre non voleva avere a casa.

<< Dieci orizzontale: “Sono in sala rosa quelli di una famosa canzone di Celestina” >> legge la seguente definizione, per distrarsi.

Ci pensa un attimo e anche George Weasley sembra riflettere.

<< Barbagianni! >> esclamano poi, nello stesso momento. Lui ride, lei lo sta per fare ma poi si schiarisce la voce, rende nuovamente dura l’espressione del suo viso e si accinge a riempire le caselline.

Ma si blocca a metà.

<< Weasley! >> esclama, e lui sobbalza sulla panchina. << Il tuo maledetto ‘cappello’ fa venire ‘barbagianpi’! >>

Lui la guarda a lungo, poi ride ancora.

<< Può essere che mi sia sbagliato >> concede, senza aversene a male, ridendosi addosso per primo. << Del resto non è che passo il mio tempo ad osservare il dipinto di Sir Godrick >> aggiunse, muovendo una mano davanti a sé.

<< Voi Slytherin invece immagino che ogni mattina vi inginocchiate davanti alla statua di Salazar e lo preghiate di vegliare su di voi >> dice, con una mezza risata, e socchiude gli occhi come se davanti a è riuscisse a vedere la scena.

<< No che non lo facciamo >> replica Pansy, piccata, mentre con un incantesimo fa sparire l’inchiostro dal foglio di giornale. Poi poggia la bacchetta sul tavolo e riempie le caselline con le lettere giuste.

<< Andiamo, Parkinson, non prendertela a morte per ogni minima osservazione! Ridici sopra >> dice lui, poi si blocca e la guarda.

<< Tu sai ridere, vero? >> le domanda, ed è serio. Così serio che lei resta interdetta a guardarlo, con la bocca aperta in una piccola ‘o’.

<< Certo che so ridere, Weasley! >> esclama, ancora più piccata, scrivendo al definizione del 14 verticale, premendo la piuma sul foglio molto più del dovuto.

Lui nota il foglio di giornale che quasi si strappa e si pente di quello che ha detto. E pentirsi di quello che ha detto non è una cosa che a George Weasley capita spesso.

Rimane in silenzio, mentre lei compila con foga le definizioni una dopo l’altra, con aria arrabbiata e la sua solita espressione dura dipinta ad arte sul viso.

<< Ti sei offesa, Parkinson? >> le domanda George dopo un po’.

<< Premettendo che niente di quello che mi dice un babbanofilo Gryffindor può offendermi, sì, mi sono offesa >> replica lei, riempiendo una lunga riga col nome di ‘Serena Hildebrand’.

<< Ah! Ma allora possiedi il senso dell’ironia!> > esclama George << Non l’avrei mai detto! >> ridacchia tra sé e sé.

<< E comunque non era mia intenzione offenderti, Pansy>> aggiunge, facendosi un po’ più serio.

Lei nota che l’ha chiamata per nome e nota anche che non ha più lo sguardo fisso su Vera Wollstonecraft, ma non dice niente.

Alza gli occhi dal foglio, perché il cielo nuvoloso si è fatto improvvisamente più chiaro. Guarda il soffitto e rimane con la bocca aperta. Sta nevicando.

<< Nevica >> comunica a tutti e a nessuno, e si sente ancora quella bambina dalle lunghe trecce scure che, appannando il vetro della finestra col respiro, guardava i fiocchi morbidi che scendevano dal cielo e sognava di andar fuori a giocare. Sognava di avere un padre che le insegnasse a fare pupazzi e una madre che l’avrebbe accolta con una torta di mele appena fosse rientrata in casa, infreddolita e felice.

Invece era sempre rimasta in camera sua a guardare la neve scendere, e non c’erano mai stati pupazzi e torte per lei.

George alza a sua volta lo sguardo sul soffitto coperto da fiocchi di neve, ma non sembra capire come mai gli occhi della ragazza brillino tanto mentre lo guarda.

<< Mi piace la neve >> gli spiega lei, anche se lui non le ha chiesto di farlo

<< Mentre scende ci parla e sembra che il tempo si fermi. Tutti sono tappati in casa e bevono cioccolate bollenti >> narra con voce trasognata.

Non ha mai parlato a nessuno dei suoi inverni passati a guardare la neve oltre i vetri, senza poter uscire a corrervi in mezzo, e che quando chiedeva “Perché, mamma?” lei le rispondeva solamente “Non si addice alle signorine”, come se lei non fosse solo una bambina che voleva imparare a fare i pupazzi di neve.

Non ha mai parlato a nessuno delle emozioni che le agita in petto la neve che cade, perché non ha mai visto nessuno dei suoi amici fermarsi a guardarla mentre scende ed è sempre stata sicura che non avrebbero capito; avrebbero riso.

Ma George Weasley ha ancora il viso alzato a fissare il soffitto cangiante, e sorride.

<< Quando ero bambino papà ci portava sulla vecchia collina, e tutti insieme costruivamo decine di pupazzi, orientati verso la casa dei Lovegood come un plotone di soldati. Tornavamo a vederli due giorni dopo, e quello che meglio aveva mantenuto le sue fattezze originali vinceva un premio. Poi tornavamo a casa tirandoci palle di neve per tutto il tragitto, e mamma aveva preparato una torta al cioccolato per il vincitore e per tutto gli altri >> le racconta, lo sguardo puntato in aria e perso tra i ricordi, e anche i suoi occhi ora si illuminano un po’.

Sta bene a parlare con Pansy Parkinson, sta bene ad insegnarle a lasciar cadere la maschera ed essere solo se stessa.

<< Vinceva sempre Percy>> aggiunge con una smorfia carica di rancore represso.

Pansy lo sta guardando e si rende conto che non ha mai parlato a nessuno dei suoi inverni passati a desiderare di correre sotto la neve.

<< Mia madre non mi ha mai lasciata uscire a giocare>> gli dice << Perché non si addiceva a una signorina. Io restavo in camera mia e guardavo la neve che scendeva e desideravo tanto poter uscire a costruire pupazzi, e rientrare trovandomi una fetta di torta di mele ad aspettarmi e una madre che, abbracciandomi, mi dicesse che ero bellissima, anche se tutte e due sapevamo che non era vero, un padre che venisse fuori a duellare con me e poi mi rubasse la torta dal piatto, ridendo>> gli dice, e se ne pente nel momento stesso che lui abbassa gli occhi dal soffitto e glieli punta addosso.

Ma poi lui sorride a annuisce piano, e sembra che la capisca.

<< Non invidio la tua infanzia, Parkinson>> le dice << Anche se tu eri piena di giocattoli e io e Fred giocavamo con i vecchi burattini di Billy >> aggiunse, scostandosi dal viso una ciocca di capelli rossi.

Pansy sa che dovrebbe sdegnarsi davanti a racconti di gente così pezzente da non avere giocattoli e così indegnamente semplice da andare sulla collina a costruire pupazzi di neve; sa che dovrebbe, ma non ci riesce, perché nei racconti di George c’è odore di famiglia, di affetto, e di cioccolate calde bevute mentre fuori dai vetri scende la neve.

Si immagina lei stessa che entra in casa di George, a braccetto con lui, e sua madre –la grassa e povera Molly Weasley- che le va incontro con una fetta di torta di mele su un piattino e un sorriso sul viso. Si crogiola un attimo in questa immagine, poi si rende conto che non c’è al mondo un solo motivo per il quale lei dovrebbe recarsi a casa dei Weasley, a braccetto con George e accettare la torta e i sorrisi della grassa e povera Molly.

<< Ventuno orizzontale: “Quelli di giardino non sanno parlare”>> legge ad alta voce una definizione, così all’improvviso che George sussulta di nuovo.

Capisce che lei vuole cambiare argomento.

<< Gnomi, ma la definizione è sostanzialmente errata. Ai nostri abbiamo insegnato tante di quelle parolacce che alcune non le so nemmeno io>> e guarda di sottecchi Pansy, aspettandosi una battuta denigrante sui giardini infestati di gnomi, una battuta che però non arriva.

Lei scorre con lo sguardo le definizioni, cercandone una appropriata, ma sembra star pensando a tutt’altro; e sembra triste.

<< Andiamo! >> le dice alzandosi di scatto e guardandola aspettando che si alzi a sua volta.

<< Dove?>> domanda lei perplessa, alzando su di lui il suo sguardo scuro.

<< Perché voi Slytherin dovete sempre avere tutto sotto controllo?>> borbotta lui e la afferra per un braccio, poi la trascina correndo per tutta la Sala Grande, senza curarsi delle sue lamentele, delle sue esitazioni.

La trascina oltre tutto il Salone d’Ingresso, travolgendo alcune nanette Hufflepuff che aspettavano sotto le scale coi loro bauli e la spinge fuori dal portone principale.

Lei si blocca, rendendosi conto che lui le ha finalmente lasciato il braccio, e si guarda intorno.

<< Weasley che cosa diav…?>>

Una palla di neve la colpisce in piena nuca. Si volta, furiosa, e vede George Weasley che la fissa con espressione colpevole e le mani sporche di neve.

Deve essere intrinseco della natura dei Gryffindor voler salvare la gente.

Lei aveva bisogno di essere salvata?

Pansy resta un attimo interdetta, poi si china e raccoglie della neve, che gli lancia addosso. Lui la evita senza fatica e corre dietro alcuni cespugli.

Lei vi si avvicina con una nuova palla in mano, ma lui le appare alle spalle e la riempie di neve.

Sua madre le aveva sempre detto che non si addiceva alle signorine. Sua madre non la voleva a casa, quel Natale e tutti gli altri, perché lei era troppo brutta e insignificante per i Parkinson.

Non riesce a provare rabbia mentre pensa a tutto questo, perché lo fa mentre insegue George Weasley per i giardini che pian piano si riempiono di neve, con i fiocchi ghiacciati che le bagnano i capelli e le risate di lui che riempiono l’aria.

Si sente bene; si sente davvero bene.

<< Avanti, puoi fare di meglio!>> la beffeggia lui quando lei sbaglia ancora mira. Si ferma qualche metro avanti, con le braccia poggiate ai fianchi, come a sfidarla a colpirlo anche mentre se ne sta perfettamente immobile.

Non la sta considerando una stronza Purosangue Slytherin, così insignificante che sua madre non la vuole a casa per Natale, ma la considera una ragazza. E lei non è abituata a questo.

Colpisce George, raccoglie altra neve e lo rincorre.

Si rende conto che lui aveva ragione, quando sosteneva che lei non sapeva ridere. Sta imparando a farlo adesso, mentre lui si nasconde dietro gli alberi e i cespugli come se non avesse mai fatto null’altro per tutta la vita che non giocare a palle di neve nei giardini di Hogwarts.

Quando scompare di nuovo, lei si ferma, entrambe le mani piene di neve, guardandosi intorno pronta a cogliere ogni minimo rumore e a precederlo. Ma lui non spunta fuori da nessuno dei cespugli, per lunghi minuti.

Pansy lascia cadere la neve e sbatte le mani congelate.

<< Weasley?>> domanda. Sente un rumore verso la capanna di Hagrid e si avventura dietro alcuni cespugli, chiamando ancora il nome del ragazzo.

<< Weasley mi stai facendo morire d’infarto. Spero per te che come minimo ti abbiamo divorato gli Schiopodi Sparacoda di quel Mezzogigante>> gli dice, mentre passa a fatica tra alcuni rovi, seguendo il rumore che sente. La sua gonna si incastra e lei si gira per strattonarla, ma ci mette troppa forza e quando quella si rompe, lei scivola all’indietro.

Ma George è magicamente apparso alle sue spalle e la sorregge.

<< Dillo, che è sempre stato ingiusto che fosse Percy a vincere!>> le ordina, mentre lei si rimette in piedi. Pansy capisce a cosa si riferisce solo quando vede un pupazzo nella radura lì dietro, rotondo e sorridente, con delle pigne al posto degli occhi e una corona di rovi in testa.

<< Sì, carino >> concede lei con ostentata aria di superiorità, senza allontanarlo mentre ancora la sorregge, come se pensasse che lei non sia in grado di stare in piedi da sola.

Pansy ha imparato ad essere un’educata aristocratica, una degna Purosangue e una fredda Slytherin. Ha imparato ad essere tante cose nella sua vita, ma non ha mai imparato ad essere una donna. Non ha mai imparato ad essere semplicemente Pansy.

<< Mi insegni a farne uno?>> gli domanda, alzando verso di lui il viso. E’ così vicino che potrebbe contare le sue lentiggini una ad una. Che potrebbe baciarlo, senza motivo, solo per poi potersene pentire per tutta la vita.

<< Ma certo >> esclama lui, lasciandola libera e camminando a grandi passi verso il pupazzo. Per un attimo, inspiegabilmente, si sente abbandonata. Poi lui le prende la mano e la trascina con sé, come guidandola verso quella distesa di neve fresca dietro la capanna di Hagrid. E lei si sente di nuovo bene.

<< Voglio farne uno splendido>> gli dice, mentre i piedi le sprofondano e ogni passo è più faticoso di quelli che percorreva avanti e indietro per camera sua, guardano la neve oltre il vetro.

<< Voglio farne uno splendido>> gli ripete, lasciandosi guidare, mentre sa che non ci saranno più vetri tra lei e la neve.

<< Voglio farne uno splendido>> dice ancora, come in una specie di cantilena, decidendo che non c’è persona migliore di George Weasley per insegnarle ad essere semplicemente Pansy.

<< Voglio farne uno splendido>> canticchia ancora, mentre lui distrugge a calci il vecchio pupazzo per far spazio ad uno nuovo e non le lascia la mano e guarda solo lei e non Vera Wollstonecraft.

<< Voglio farne uno splendido>> ripete per la quinta volta, alzando il viso per prendere la neve in faccia, e in quel momento lo sa, che quel 24 Dicembre se lo ricorderà per sempre.

Scritta per il ‘Quotation Fest’ di www.georgeandpansy.forumfree.net

Se volete votarla, potete andare qui: -àhttp://georgeandpansy.forumfree.net/?t=29926988&view=



  
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