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Autore: Water_wolf    15/01/2014    8 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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La mia viverna fa una cena a base di orchi

•Alex•

Ero talmente sorpreso che il boccale che avevo in mano cadde sul pavimento con un tonfo sordo, mentre i miei occhi si riducevano a due fessure e mi si spalancava la bocca. Non potevo credere che ci fosse un semidio dietro ad un furto del genere e che fosse proprio Astrid. La conoscevo bene e non sarebbe mai stata capace di una cosa del genere.
«N-non… non è vero… io non avrei mai fatto una cosa di questo tipo!» urlò lei, indietreggiando.
I suoi occhi erano diventati lucidi e ci guardava smarrita. Potei solo intuire che stesse cercando il nostro appoggio.
«Non è vero! Menti, orco, lo so. Come fai a sapere tutto questo!?» ringhiai, battendo la mano sul bancone.
L’orco sorrise, mostrando tutti i denti neri e rotti, mentre una zaffata di alito putrescente mi arrivava in faccia.
«Perché una figlia di Hell fece sosta qui, qualche giorno fa e, a giudicare dalla sacca che portava con sé, era qualcosa di pesante. Attento a chi ti porti dietro, figlio di Odino, Loki e i suoi discendenti non sono tipi raccomandabili. Sicuro di poterti fidare?» mi chiese con un sorriso crudele.
Io cercai di mantenere la calma. Non potevo lasciare che la paura mi sopraffacesse. Mi guardai intorno, in cerca di altro appoggio, ma non lo trovai. Einar era troppo impegnato a farsi gli affari suoi, come al solito e Annabeth non sembrava essere molto entusiasta di aiutare Astrid – e una parte di me mi fece intuire che, in parte, era a causa del salvataggio di Percy. Solo il figlio di Poseidone sembrava vagamente convinto del contrario, ma, forse per alcuni sospetti ancora sopiti, non si fece avanti.
«Io mi fido di lei!» sentenziai infine, guardando l’orco dritto negli occhi.
«Capisco… Che sia la scelta sbagliata o no a me non importa. Sono felice che tu mi abbia portato i due greci. La ragazza mi aveva chiesto qualche favore, sembra ce l’abbia con il figlio di Poseidone» rispose quello con aria annoiata.
Fu allora che, quasi senza preavviso, dall’ingresso apparvero due orchi armati di scuri, così come dal retro. Fu uno scatto simultaneo e ci alzammo tutti, impugnando le nostre armi, rendendoci conto che ci trovavamo in mezzo ad una trappola. Certo, mi ero preparato, sapendo che ci stavamo ficcando in una tana di orchi, ma rischiavamo parecchio.
«Che vuoi dire? Perché ce l’ha con me!?» chiese Percy, mentre puntava Vortice contro il mostro più vicino.
«Oh, quindi non sai che la tua mammina è in pericolo? La figlia di Hell ci ha detto che dovevamo ucciderla per far ricadere la colpa sui norreni» rise il capo delle creature, tirando fuori, da sotto il balcone, un grosso spadone.
A quelle parole i suoi occhi si spalancarono per la rabbia e la paura e si lanciò all’attacco, senza attenderci.
Si scatenò il finimondo. Gli orchi ci attaccarono tutti insieme, ma, pur essendo inferiori di numero, riuscivamo a farci valere. Nico e Einar si tenevano più in disparte di altri, ma ci guardavano le spalle, evitando gli attacchi a sorpresa. Io e Percy menavamo fendenti in tutte le direzioni, parando ed evitando colpi che, se ci avessero beccato, avrebbero potuto tagliarci in due. Astrid era accanto a me e mi teneva al riparo dagli attacchi laterali, mentre Annabeth faceva fuori gli orchi a coltellate.
Alla fine rimase solo il capo degli orchi, che ringhiava furioso, e due suoi colleghi, armati di asce bipenni e una decina di mucchietti di neve sparpagliati ovunque.
«Uccidete quei semidei, idioti! Non possono essere così forti!» sbraitò l’orco più grosso, sputacchiando dappertutto.
I suoi sottoposti non sembrarono particolarmente entusiasti di farlo, ma eseguirono comunque l’ordine, lanciandosi contro di noi. Nico brandì abilmente la spada trafiggendo il primo con precisione. Percy mi volò a fianco tagliando la testa al secondo. Era rimasto solo il capo che, con una forza disumana, brandì una nuova arma contro di noi.
I miei amici si spostarono e io mi abbassai, rotolando sotto la catena della mazza fino a trovarmi davanti la vita dell’orco. Prima che quello potesse reagire, la mia lama lo aveva già trafitto da parte a parte riducendolo in una nuvoletta di fiocchi di neve che si sparpagliarono per terra. Eravamo tutti esausti, ma non c’era tempo da perdere. Dovevamo evitare una guerra tra il campo Nord e il Campo Mezzosangue.
«Presto, dobbiamo muoverci! Percy, dobbiamo raggiungere tua madre prima che venga coinvolta! Einar, Astrid, voi occupatevi della runa di localizzazione. Se ho capito bene è al Campo da qualche parte» ordinai io, dopo essermi fermato un minuto a prendere fiato.
Dovevamo muoverci insieme e velocemente.
«D’accordo, ma perché attaccare mia madre? È una mortale, non c’entra nulla, in questa guerra!» protestò Percy, evidentemente in apprensione.
Lo capivo bene: anche io avevo dovuto sopportare il fatto di sentirmi responsabile della vita di mia madre e non era bello.
«Credo sia per far ricadere la colpa su di noi» ipotizzai, riferendomi a “noi” nel senso di norreni. «Un modo per dare inizio ad una faida tra me e te, spingendo, poi, gli Dèi delle rispettive parti a vendicare i figli morti.»
«Un piano degno di mio padre, non c’è che dire» fu il sarcastico commento di Einar, che continuava ad essere il primo della lista a cui dare un pugno in faccia.
Tuttavia aveva ragione: Loki era un tipo di cui non fidarsi, ma allora, perché portarci qui, proprio per sventare il suo stesso piano?
«Che importa? Mia mamma è in pericolo! Dobbiamo fare qualcosa!» esclamò Percy, alzandosi in piedi con aria decisa.
Il timore di perdere la madre lo rendeva nervoso e non voleva sprecare tempo.
«Appunto. Sai dove può essere, in questo momento?» chiesi, cercando di non innervosirlo ulteriormente.
«Be’… io… credo sia nella nostra casa al mare» rifletté ad alta voce. «Voleva invitare me e il mio patrigno mortale lì, in modo da poterci far conoscere meglio» aggiunse, arrossendo leggermente. A quanto pareva aveva ancora qualche problema ad abituarsi all’idea del padrino.
«Allora, muoviamoci. Nico, meglio se vieni anche tu, avremo bisogno di tutto l’aiuto possibile» dissi, cercando di elaborare alle svelta un piano.
«Un momento, e noi?» domandò la figlia di Atena, un po’ sorpresa e un po’ arrabbiata. A quanto pareva la batosta sentimentale l’aveva resa ancora più fredda e marmorea di prima.
«Andate al Campo. L’orco ha detto che la Runa GPS si trova lì, meglio recuperarla, prima che il colpevole ci metta di nuovo le mani sopra per farla sparire» fu il consiglio di Einar, che mi sorprese con quella affermazione così collaborativa.
Senza indugio, ci precipitammo fuori e corremmo verso la metropolitana, tendo le nostre armi a portata di mano in caso ci avessero nuovamente attaccati. Arrivati alla stazione, decidemmo di dividerci: io, Percy e Nico saremo andati a caccia di orchi, mentre gli altri avrebbero cercato il GPS prima che potessero farlo sparire.
«Aspettate!»
Mi voltai appena in tempo per poter vedere Astrid che camminava verso di noi. Era molto vicina e sembrava imbarazzata e triste. Osservandola, notai che aveva gli occhi lucidi.
«Io… lo so che, forse, non mi credete. Sono una figlia di Hell e so di non essere la persona di cui vi fidereste, ma io non c’entro in questa storia. Alex, io non avrei mai messo in pericolo Asgard e il campo, devi credermi. Io non ho idea di chi sia stato, ma di sicuro non io. Lo giuro sull’Isola di Foreseti»*
Le sue parole mi colpirono. Le avevo dato davvero l’idea di non fidarmi di lei? Mi tornò subito in mente il giorno in cui ci incontrammo la prima volta. Avevo appena tredici anni e lei era arrivata al Campo che ne aveva dodici.
Era stanca, infreddolita e sorpresa e si teneva vicina a Darain, l’elfo che le era stato guardiano. Era stata assegnata all’Orda del Drago e io mi avvicinai subito a lei, salutandola. Lei aveva risposto con un leggero cenno del capo, ma non mi ero scoraggiato. Fui incaricato di farle da guida, così toccò a me farle fare il giro base del campo. Fu una bella camminata e lei fu attenta. Man mano che avanzavamo, mi sommergeva di domande e io fui felice di risponderle. Alla fine ci sedemmo e io le raccontai la mia storia.
Non fu un problema, per lei, sapere che ero figlio di Odino, così mi affezionai a lei. Non potevo credere che adesso dubitasse di me. Le misi le mani sulle spalle e la scossi dolcemente, in modo che mi guardasse in viso, sembrava in attesa del mio giudizio.
«Lo so che non c’entri. Abbiamo passato tutta la nostra vita al Campo insieme. Non mi fiderei di nessuno se non di te. Scopriremo la verità e faremo in modo che tu sia scagionata. Sono certo che c’è una spiegazione» dissi, cercando di rassicurarla.
Lei mi sorrise, evidentemente sollevata e si asciugò le lacrime, ringraziandomi.
«Ehi! Noi dovremmo andare, piccioncini!» ci richiamò Einar, con un sorrisetto allusivo stampato in faccia. Annotai mentalmente, tra le mie cose da fare, di rompergli – di nuovo- il naso non appena si fosse rimarginato. Arrossii di colpo e mi staccai da lei, le cui guance si erano imporporate notevolmente.
Augurai buona fortuna e mi mossi rapido verso la fermata degli autobus vicina, dove, guidati da Percy, prendemmo un autobus.
«Che facciamo? Gli orchi oseranno davvero attaccare una mortale nel territorio olimpico?» chiese Nico, leggermente preoccupato.
«Se la colpa non ricade su di loro, temo proprio di sì. Sono creature immonde e orribili che adorano portare sofferenza e distruggere tutto. Dobbiamo prepararci: sono molto forti» spiegai, mentre mi rigiravo la spada tra le mani.
Dopo un po’, l’autobus ci lasciò in una spiaggia vicino a Long Island, nemmeno così lontano dal Campo Mezzosangue. La zona era deserta, ma Percy ci guidò sicuro lungo una stradina di mare che sembrava conoscere bene.
Alla fine,  ci ritrovammo sul mare e poco lontano, una piccola casa di legno, leggermente rovinata e incrostata di muschio e alghe.
«Ci siamo!» esclamò il figlio del mare, precipitandosi verso la casetta, insieme a Nico.
Io mi guardai intorno. Non c’era traccia di orchi e la zona sembrava deserta. Ipotizzai che li avessimo preceduti, ma presto sarebbero arrivati. Dallo zaino, presi due rune e le posai per terra, lungo il viale sterrato. Se un orco fosse passato di lì sarebbero esplose, facendo un bell’arrosto. Mi assicurai che fossero ben nascoste sotto la sabbia, dopodiché corsi anche io verso la casa.
Percy bussò rapidamente, ma ad aprire fu una ragazza dai capelli rossi che ci guardò sorpresa, anche se sembrava felice di vedere il signor “faccio stragi di semidee”. Aveva dei pantaloncini in jeans tutti scarabocchiati e tinti di vernice. La maglietta era bianca e leggera, adatta per il mare, ma anche quella era stata abbellita in maniera del tutto personale.
«Ciao, Percy, come mai da queste parti?»
«Rachel? Che ci fai tu qui?» domandò il ragazzo, arrossendo di colpo.
Dal sorrisetto che si stampò sulle labbra di Nico dedussi che lei era un’altra spasimante.
«Sto dando una mano a tua madre. Avevo bisogno di stare un po’ da sola, lei mi ha offerto di aiutarla, per potermene, poi, stare in pace sulla spiaggia» spiegò lei, stringendosi le spalle, mentre Percy entrava di filata.
«Dov’è mia mamma?»
«È uscita un attimo, aveva bisogno di prendere un po’ d’aria» rispose Rachel, preoccupata. «Che succede? Perché mi sembra di non aver mai visto il tuo compagno» aggiunse, osservandomi.
«Di un po’, la tua amica mortale sa dei mezzosangue?» chiesi, sorpreso.
Vero, c’erano dei mortali che sapevano di Asgard, ma erano pochissimi, scelti attentamente ed era tutti genitori di semidei.
«Non c’è tempo, Rachel! Dov’è!? Dov’è andata? È in pericolo!» esclamò il figlio di Poseidone, afferrandola per le spalle.
Si vedeva la preoccupazione nei suoi occhi.
«Io… è andata in spiaggia.»
Non aveva nemmeno finito di parlare che già il ragazzo si era precipitato fuori di corsa, diretto verso la sabbia fresca, chiamando a gran voce la madre.
«Mi spiegate che diavolo sta succedendo?» domandò Rachel, preoccupata.
Era, evidentemente, la prima volta che vedeva il suo amico così agitato.
Stavo per rispondere, quando qualcosa attirò la mia attenzione: un semplice riflesso tra le foglie, come un piccolo vetro, ma chiaro e limpido. Una frazione di secondo fu quanto bastò perché tutto quello che accadde dopo avesse luogo.
La freccia partì, non so bene se mirasse a me o a Rachel, e io mi gettai su di lei spingendola a terra e la freccia mi passò a meno di un capello dal viso, tanto che ebbi la sensazione di essere accarezzato dal freddo metallo della punta.
«Ahi!»
«Scusa... Tutto a posto?» chiesi alla ragazza sotto di me, rimanendo a terra, in caso di un altro attacco.
«Starei meglio se ti levassi.»
Dal tono capii che la stavo schiacciando e mi affrettai ad alzarmi, permettendole di sollevare la testa, ma subito un altro nugolo di frecce colpì la fiancata della casa.
«Perché non attaccano direttamente?» chiese Nico, riparatosi tempestivamente dietro un divano con infilzate due frecce sopra.
«Ci hanno fiutati» spiegai laconicamente, mentre azzardavo un’occhiata all’esterno. «Sanno che siamo tre semidei potenti e addestrati, preferiscono farci fuori a distanza, approfittando degli archi.»
All’improvviso, un rumore secco ci fece sobbalzare; estrassi l’arma e mi voltai, anche se per poco non rischiai di infilzare Percy, che teneva per mano una donna dai lunghi capelli mossi, simili ai suoi, che indossava un leggero abito da spiaggia sopra il costume. Era magra ed emanava ancora un fascino e una bellezza non da tutti, considerata l’età. Certamente sua madre.
«Stai attento!» ringhiò lui, mentre la lama gli si fermava a poca distanza dal naso.
«Scusa, pensavo che un orco ci avesse attaccato alle spalle» mi giustificai, mentre osservavo una ventina di orchi uscire dalla macchia, pronti ad attaccare con le loro armi arrugginite.
I loro grugni animaleschi ringhiavano contro di noi. Erano così brutti che avrei vomitato volentieri - effettivamente, lo feci, quando a dieci anni me ne trovai uno davanti.
«Ma cosa sono quei… cosi?» chiese Rachel, inorridita, mentre il suo viso passava dal rosato al color verde nausea. E non era la sola, anche la signora Jackson sembrava essere sul punto di svenire, anche se era, a mio parere, più per la puzza che i mostri emanavano che per il loro aspetto rivoltante.
«Orchi, e vogliono rifarci i connotati, nella tomba» risposi, con l’entusiasmo che contraddistingue i bradipi appena svegli la mattina.
«Sono vicinissimi: dobbiamo fermarli. Se combattiamo qui rischiamo di ferire Rachel e mia madre» sussurrò Percy, riparandosi dietro il davanzale della finestra.
«Hai ragione.» Osservai i mostri. «Li dobbiamo attaccare cogliendoli di sorpresa, dovremmo avere un buon vantaggio» proposi, scrutando i miei due compagni.
«Io posso evocare dei rinforzi, qualche zombie potrebbe esserci utile» aggiunse Nico, con aria decisa, nonostante il pallore che lo pervadeva.
Continuavo a vederlo come una versione maschile e rimpicciolita di Astrid.
«Ok. Mamma, Rachel, rimanete qui e cercate di non preoccuparvi» disse, infine, Percy, nel tentativo di rassicurare le due che, a giudicare dalla loro espressione, erano tutt’altro che rassicurate.
«Stai attento, tesoro» si raccomandò la madre, toccandogli un braccio, come se volesse accarezzarlo.
Era molto preoccupata per la sorte del figlio, ma sapeva di doverlo lasciar andare. Mi venne a mente che anche mia madre aveva un espressione del genere, quando partivo per il Campo. Mi chiesi come stava e se era in forma.
Era strano, ma pensavo così poco a lei. Davo per scontato il fatto che stesse bene e che fosse in salute. Era per quello che me n’ero andato. Il modo in cui Percy era legato alla sua, mi mise in ansia. Mi chiesi se stavo davvero facendo la cosa giusta, standole lontano così tanto.
«Sempre a fare l’eroe, eh?» fece la mortale dai capelli rossi, con un sorrisetto mesto, interrompendo il flusso dei miei tristi pensieri.
«Non è colpa mia, questa volta! Ah, lasciamo perdere» bofonchiò il figlio di Poseidone, con il viso rosso più che mai. «Andiamo a massacrarli, voi rimanete qui, al sicuro» aggiunse, afferrando la sua penna che si trasformò nella sua magica spada.
Ci lanciammo fuori urlando, forse più per la paura che per darci coraggio, e gli orchi caricarono. Tre di loro esplosero prima di raggiungerci, grazie alle rune che avevo piazzato lungo il vialetto, ma i loro compagni si ricompattarono e ci vennero addosso.
Nico si concentrò, e cinque zombie-guerrieri di varie epoche emersero dal terreno, pronti ad aiutarci. Uno aveva un AK-47 del Vietnam, altri due erano in degna uniforme romana e c’erano anche un pirata e soldato di epoca Napoleonica. I non-morti si affiancarono a noi, pronti a combattere, ma capii subito che sarebbero stati una distrazione e non un vero e proprio ostacolo.
Anche se prima erano guerrieri, adesso erano solo mucchi di ossa e carne putrescente. Sarebbe bastato un solo colpo, per rimandarli nel Regno dei Morti.
Lo scontro ebbe inizio e fu il caos. Innescai il pilota automatico: schiva, attacca, para, attacca, salta, colpisci, mozza la testa… la mia mente era svuotata e c’era solo il nemico davanti a me. Ero vagamente consapevole dei miei compagni, affianco, ma erano sullo sfondo, sfocati e distanti. Il combattimento procedette e a poco a poco, gli orchi arretrarono.
Percy era una furia e, con il mare vicino, sollevava immensi cavalloni che giungevano fino a noi e, ogni volta che lui veniva bagnato, sembrava rinvigorirsi. Nico era abbastanza abile come spadaccino e, pur tenendosi un po’ più indietro, non esitava a combattere. Per quel che mi riguardava, ero praticamente una furia, in battaglia. La spada che avevo in mano sibilava compiendo ampi archi. Paravo e schivavo, ricordando ogni singolo minuto passato ad allenarmi e ora mettevo in pratica.
Mi appuntai di ringraziare Hermdor: pur essendo duro, crudele, senza cuore e disposto a farti fare duecento flessioni se starnutivi mentre parlava, aveva insegnato bene a tutti.
«FERMI O LE DONNE MUOIONO!»
Il grido ci bloccò tutti e tre, mentre un orco più grande degli altri, probabilmente il capo, usciva dalla casa di mare tenendosi davanti come scudo Sally Jackson, mentre Rachel lo tempestava di pugni che avevano lo stesso effetto di un rotolo di carta igienica contro un muro di acciaio.
«Mamma!»
Percy provò a correre verso di lei, ma io lo fermai. Il mostro impugnava un coltellaccio ricurvo premuto contro la gola della donna, mentre con l’altra la teneva stretta a se, tappandole la bocca con una mano. Con gli occhi ci supplicava di fuggire, ma il figlio non l’avrebbe mai lasciata nelle mani delle creature e io non volevo scappare, però, se lui avesse fatto una mossa avrebbe condannato tutti.
Mi detti dell’imbecille, dell’idiota e dello stupido: come avevo fatto a non immaginare che ci avrebbero colti di sorpresa? Ci eravamo lanciati tutti e tre a testa bassa contando sul fatto che avremmo vinto uno scontro diretto. Ma gli orchi erano anche astuti e il loro capo sapeva che non avremmo mai attaccato, se loro tenevano un ostaggio.
«Gettate le armi, semidei» ordinò il mostro, investendoci con il suo alito che puzzava più di una fogna. E credo che la fogna si sentirebbe anche offesa.
Ci guardammo. Tre spade, una di Bronzo Celeste, una di Ferro dello Stige e una di Acciaio Asgardiano caddero a terra con un chiaro tintinnio.
«Ora avete noi, potete lasciarle andare!» ringhiò Percy, stringendo i pugni dalla rabbia.
Era una sensazione che conoscevo: la collera dell’impotenza.
Per tutta risposta l’orco gli rise in faccia: «Credi che sia stupido? “Niente testimoni” ha detto il cliente, e noi i clienti li accontent-»
Non finì la frase che sparì ingoiato da una velocissima ombra, che poi precipitò in mezzo agli altri mostri. Avrei riconosciuto ovunque il muso lungo, forte, simile ad un becco irsuto e pieno di scaglie, gli occhi gialli da rettile, svegli e accesi di rabbia e le squame bronzee, dure come la pietra.
«Vesa!» urlai, felice, mentre lei si apprestava a distruggere gli orchi superstiti.
In poco tempo la mia viverna fece piazza pulita di tutti i nemici, lasciando solo mucchietti di neve che si scioglievano al caldo sole della spiaggia.
«Tesoro, stai bene?» esclamò la madre di Percy, che abbracciava il figlio, paonazzo.
Detto da quella che aveva bisogno di aiuto.
«Mamma… per favore. Io sto bene. Tu, piuttosto? Mi dispiace, ho agito di impulso» balbettò il ragazzo, cercando di scusarsi. Ma lei era semplicemente felice di riavere il figlio tutto per se.
La rossa, però, sembrava molto meno entusiasta.
«Cosa sta succedendo, ora!?»


Spiegare cosa ci facevo lì, non fu facile. Chi ero, da dove venivo e perché ero lì e, soprattutto, spiegare perché un branco di orchi si era presentato alla porta di casa per far fuori una mortale innocente. La notizia delle Divinità Norrene fu l’ennesima dimostrazione di shock della giornata. Ormai stavo cominciando ad abituarmi.
«Grandioso, ci mancavano solo altre dodici divinità da sopportare» commentò sarcastica Rachel, con una mano sulla fronte.
Sembrava più stanca che sorpresa.
«Tredici» la corressi.
All’esterno, Vesa ringhiava, tenendoci d’occhio dalla finestra. Letteralmente, dato che l’occhio era grande quanto la finestra. Sembrava felice di vedermi tutto intero. Aveva dato una grossa leccata a Nico che ora aveva i capelli ritti, anche se la sua faccia affranta lo rendeva stranamente più buffo.
«Quindi, adesso siamo al sicuro?» domandò la signora Jackson, un po’ scossa, ma con tono deciso; era ancora sotto shock, ma si era ripresa molto velocemente.
«Credo di sì. Loki… be’, spero sia una delle volte in cui si comporta bene, altrimenti dirò a mio padre di legarlo di nuovo a testa in giù**» promisi, annuendo.
Ed era vero: a quanto avevo capito, aveva assoldato solo un clan di orchi reietti che vivevano nei bassifondi di New York. Inoltre, adesso sarebbe stato palese che era una messa in scena. Nessuno ci sarebbe cascato, da questo momento.
«Mamma, è meglio se torni in città, appena finisco questa cosa ti verrò a trovare, promesso» la rassicurò il figlio, cercando di darsi un’aria sicura. Se la stava cavando bene.
«D’accordo. Stai attento, tesoro. L’anno scorso…» Le tremò la voce e gli occhi le si riempirono di lacrime. Esitò. «Non voglio che ti cacci in guai così grossi.»
Lui annuì cupo. Non avevo idea di cosa fosse successo “l’anno scorso”, ma dedussi che doveva essere qualcosa di molto brutto, viste le facce di tutti.
«Buona fortuna, eroe» gli augurò Rachel, con un sorriso e un bacio sulla guancia che fece arrossire Percy come mai prima d’ora.
Poco dopo, una macchina con a bordo le due sfrecciò lontano, al sicuro, almeno speravo, in città. C’erano stati preparativi veloci. Sally Jackson si era ripresa in un lampo e aveva offerto a tutti noi dei pasticcini azzurri, che si erano rivelati deliziosi, mentre Rachel e Nico mi intrattennero con il resoconto dell’impresa che, poco tempo prima, avevano intrapreso con il figlio di Poseidone.
Ebbi una bella impressione su di lui: era indubbiamente il più forte di tutto il Campo, viste le situazioni in cui si era ritrovato. E a quel che aveva capito, era riuscito a distruggere un vulcano. Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
Mentre accadeva tutto questo, Vesa rimaneva fuori mugolando giocosa, come se fosse un miagolio. La ragazza sembrò intenerirsi un po’ e le si avvicinò per accarezzarla. Stavo per fermarla, ma la mia viverna non accennò intenzioni ostili. Sembrava molto a suo agio e anche Rachel pareva contenta, finché anche lei non dovette subire una leccata umidiccia, che la attraversò da capo a piedi.
«Che schifo» commentò, freddamente, mentre si toglieva la saliva dai capelli. «Ha l’alito che sa di orco digerito, bleah» aggiunse, fingendo un conato.
«Hai ragione. La dieta a base di orchi non fa per te, vero, bella?» chiesi, ridendo, mentre lei si alzava in un aria soddisfatta, come per ribadire che era stata lei a salvare la situazione.
Una volta rimasti soli, mi voltai verso i miei due nuovi amici.
«Torniamo al Campo?» domandai, ormai stanco morto: un’altra giornata in cui avevo massacrato mostri. Tipico di noi semidei.
«Sì, direi che è la cosa migliore. Magari Annabeth e gli altri hanno trovato il vostro segnalatore GPS» rispose Percy, scrollando le spalle, anche se il suo sguardo indugiò sul viale.
«Non preoccuparti, amico. Le hai salvate anche questa volta» lo rassicurò Nico, poggiandogli una mano sulla spalla, regalandogli un sorriso amichevole.
Mentre i due si allontanavano da soli, lungo la spiaggia in direzione del Campo, io mi fermai ad osservare la grande distesa d’acqua ai miei piedi e riflettei.
Riflettei sulla mia impresa, su mia madre, su Percy, sulla sua famiglia, sulla sua guerra. Mi resi conto che, nonostante le ostilità, quel posto mi piaceva.
Sapere che c’erano altri come noi, diversi, lontano dal Campo… mi faceva sentire sollevato. Percy era un tipo simpatico e anche Nico, nonostante il pallore da zombie che aveva perennemente in faccia. Oggi eravamo stati praticamente invincibili, se non fosse stato per gli ostaggi. Mi ero sentito sicuro, con loro a guardarmi le spalle.
Quando pensai alla guerra che loro stavano affrontando, al modo in cui Crono piegava altri semidei, fui invaso da un moto di rabbia: nemmeno i nostri Dèi erano mai stati gentili con noi. I figli di Loki erano spesso dei reietti, maledetti e allontanati, ma le divinità davano sempre una possibilità di cambiare. Crono stava distruggendo la speranza dei semidei greci e, anche se lo stava facendo lontano da casa mia, non potevo sopportarlo.
«Giuro che non vi abbandonerò, amici miei. Lo giuro sull’Isola di Foreseti» sussurrai, rivolto al mare e, forse, a tutto ciò che c’era lì, dopodiché mi voltai e li raggiunsi.

*Isola di Foreseti: L’isola del Dio Foreseti, Dio degli Accordi, delle assemblee e dei Giuramenti Norreno. Giurare sulla sua dimora (L’Isola) è vincolante, come un giuramento sullo stige.
** Loki fu appeso a testa in giù per aver ucciso il Dio della luce Baldr e averlo fatto precipitare negli Inferi. Loki fu “Liberato” quando Hermdor salvò il Baldr dalle grinfie di Hell, da allora Loki è considerato il peggiore dei traditori.

koala's corner.
A me piace un sacco scrivere dei combattimenti con Alex e Percy. Sembra quasi che io e Water ci stiamo dividendo i capitoli tra le sfide e il romanticismo^^
E non dimentichiamoci di Rachel, che ho salvato da qualche tagliuzzamento da parte tu, non è vero?
Ma sì, era solo un taglietto...
Come no -3-
Sono un imbecille perché mi sono accorto di aver dato un nome da maschio alla viverna, che è femmina, quindi, nel caso se ne trovasse uno migliore, potrebbe cambiarlo.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, alla prossima!

Soon on Sangue del Nord: doppio POV di Annabeth e Astrid, idee diverse e un'unica soluzione - uccidersi a vicenda.

 
 
 
 
  
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