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Autore: live in love    15/01/2014    1 recensioni
" Certe persone sono come un famoso ritratto: per comprendere l'insieme si deve comprendere la sfumatura di ogni pennellata "
Tratto dal Prologo:
[ - Mi dispiace signorina Cornelia - afferma con finta voce costernata, continuando imperterrito a fare il suo lavoro.
Indignata al massimo avvampo violentemente, scoccandogli un'occhiata al vetriolo che spero lo faccia definitivamente tacere.
Mi ha chiamato con il mio secondo nome! Penso irritata al massimo dalla sua persona, così tranquilla e ironica da risultare arrogante.
- Emma - lo correggo asciutta e stizzita, pervasa da un imponente voglia di picchiarlo.
Tentando di placare i miei istinti omicidi lo guardo male, di sbieco, mentre ridacchia divertito.
- In ogni caso, Emma, ho fatto medicina non scuola di estetica - ribatte lui, calcando volutamente sul mio nome e conferendogli un alone quasi sarcastico. ]

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Mia prima storia originale.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 21


Colpevole o innocente

I miei occhi, persi nel vuoto, non vedono realmente ciò che ho davanti, le pupille che seguono distrattamente la linea sinuosa del tavolo posto al centro della stanza senza riuscire quasi a distinguerla davvero mentre mi perdo tra le mie riflessioni.

Frasi spezzate ed emozioni si mischiano, stralci di momenti dolci e passati che fanno da sottofondo a questo mio torvo e ansioso rimuginare, confondendomi e portandomi a chiedere cosa sia reale e cosa no.

È come se improvvisamente tutti i confini fossero svaniti, facendo sprofondare ogni cosa nel caos più totale.

Facendovi sprofondare me.

Rimangono semplicemente quelle parole a fare da spartiacque tra verità e bugia, così impalpabile e intangibile da portarmi a chiedere se sia mai esistita una linea netta tra le due cose.

Ma il problema è proprio questo in fondo, qual è la verità? Quale la bugia?

Ha cambiato destinazione dei terreni... zone residenziali... profumo di soldi... mazzette illecite...

Una fitta di inquietante turbamento mi invade non appena questo stordente eco mi rimbomba in testa, esattamente come non smette di fare da quando ho letto l'articolo, ormai un paio di ore fa.

Non ho fatto null'altro se non sedermi sul divano, rimanendo immobile, completamente fulminata sul posto.

Non ho urlato, non mi sono disperata e non sono scoppiata a piangere.

Semplicemente sono rimasta ferma, ammutolita da un qualcosa di molto più forte e impetuoso di un pianto liberatorio mentre un insieme di domande taglienti e senza risposta mi hanno riempito la testa, annebbiandomi.

Non ho praticamente percepito i mormorii isterici e convulsi di mia madre e neanche le veementi chiacchiere dei collaboratori di mio padre, rimanendo unicamente in silenzio mentre le mie dita accartocciava il quotidiano.

Solo un quesito si era levato prepotentemente sugli altri: dove risiede la veridicità?

Non riuscendo a capirlo sono rimasta semplicemente in balia dei miei lancinanti sentimenti, non riuscendo a governarli mentre mi sono ritrovata completamente incapace di alzare qualsivoglia difesa.

Boccheggio, il petto che si alza in modo aritmico sotto l'ansare sconclusionato del mio respiro accelerato, così tante percezioni che si agitano dentro di me senza darmi pace.

Ansia, rabbia, frustrazione e ancora una infinità di altre sensazioni.

Nel vano tentativo di rilassarmi affondo maggiormente la schiena nell'imbottitura del divano, la postura, però, che rimane inevitabilmente contratta mentre una perfetta ed imperscrutabile quiete continua a permeare il soggiorno, facendolo apparire specularmente attonito e, di conseguenza, alimentando il filone alogico e convulso delle mie riflessioni.

Totalmente ammutolito, è pervaso da una statica tranquillità quasi irreale, corposamente impregnata da una tensione sottile e penetrante che mi vela la pelle, vibrandomi inquietantemente addosso.

Nessun rumore la intacca, infatti, nessun brusio che la frantuma, aumentando a dismisura la mia solitudine.

La stessa di cui mi beo e che al tempo stesso mi tormenta, rendendomi un ossimoro vivente.

Immobile, però, non faccio niente per rompere questo inconsueto e labile equilibrio, persistendo nel rimanere rigidamente seduta sul divanetto a due posti in pelle nera.

Ghiacciata sul posto, raggelata, mi perdo nel vuoto devastante che mi abita, un ronzare di elucubrazioni che non fanno altro che rendermi stordita e confusa.

Completamente desolata prendo un tremolante respiro, lento e profondo, lasciandolo scivolare suadentemente nei miei polmoni senza che il senso di agitazione che provo si dimezzi.

Tutt'altro. Se possibile, infatti, aumenta, finendo quasi per stritolarmi tra le sue spire soffocanti che non so contrastare.

Affondo simultaneamente gli incisivi nel mio labbro inferiore, torturandolo spietatamente fin quasi a percepire una confortante sensazione di fastidio, il bisogno di scaricare il nervoso represso che mi abita che diventa una impellente necessità.

Ma non lo faccio, schiacciata da questa incombente mole di incertezze mentre ripercorro distrattamente cosa è accaduto solo qualche ora fa, ancora.

Dopo aver letto l'inchiesta del New York Times non ho detto assolutamente nulla, tutti i pensieri improvvisamente azzerati, le parole bloccate in gola senza che riuscissi ad esprimermi.

Irrazionalmente, le mie dita, appoggiate staticamente sulla mia gamba ancora fasciata dai pantaloni a righe del pigiama, si contraggono, portandomi ad arricciare il morbido cotone fino a stropicciarlo del tutto mentre una scarica di rabbia e tristezza mi travolge impietosamente, una sorda frustrata che mi brucia addosso.

Come se il tempo si fosse malinconicamente fermato, cristallizzandosi e facendomi perdere il contatto con la realtà, un sordo dolore ha preso velocemente possesso di me, devastandomi.

Quasi come se fossi rimasta ferma a quell'attimo in cui i miei occhi hanno letto quelle frasi, al momento in cui il mio cuore è stato letteralmente stritolato da una morsa spietata quanto concreta, non ho praticamente percepito i collaboratori di mio padre abbandonare alla spicciolata il soggiorno, uno dopo l'altro.

Solo una unica considerazione mi ha rimbombato in testa, distruggendomi attimo dopo attimo, smontando ogni mia sicurezza minuto dopo minuto.

Mi ha usata.

Lo stesso che continua ad annichilirmi, tormentandomi fedelmente senza mai abbandonarmi.

E così sono rimasta qui, lasciando che tutto il resto andasse avanti mentre io rimanevo indietro a guardare, divorata dai dubbi e dalle perplessità. Unicamente questo.

Le stesse che si sono moltiplicate infinitamente, rendendomi poco lucida e razionale.

Quasi non reggendo più la vista di questa stanza chiudo istintivamente gli occhi, un pressante magone che mi chiude la gola, impedendomi quasi di respirare agevolmente e rendendo contemporaneamente più lucide le mie iridi.

Il mio gemito strozzato, addolorato, sferza l'aria subito dopo, frantumando debolmente la calma che mi circonda.

Serro semplicemente le palpebre, abbassandole, quasi a volermi rifugiare nel torbido buio che mi consentono, alcune lacrime imprigionate tra le mie ciglia scure che tento disperatamente di trattenere ad ogni costo, intimandomi di non cedere.

Non posso farlo, non voglio.

Reprimendole a forza deglutisco, non riuscendo a superare il nodo che mi affligge.

A dispetto delle mie intenzioni, però, le frasi di quell'articolo tornano nuovamente a vorticarmi in testa, così taglienti e acuminate da ferirmi, lasciando un solco bruciante dentro di me che non so ricucire.

Il profondo amore … tramutato in un mero affare … che gli avrebbe fruttato milioni di dollari...

Come se avessero gettato sale sulle mie ferite sanguinanti ed aperte percepisco il cuore mancare dolorosamente un battito, un sordo male che mi trafigge il petto da parte a parte.

Perché mi ha fatto questo? Dannazione, perchè?

Domande su domande si ammassano, annodandosi tra di loro, complicandosi man in mano che i secondi scorrono, creando una matassa ingestibile e fuori controllo.

In modo quasi masochistico la mia mente, intanto, si arrovella, sottolineando di continuo la realtà dei fatti.

Sono stata questo per lui? Un affare?

Annaspo destabilizzata non riuscendo neanche a pronunciare il suo nome nella mia intimità interiore, profondamente turbata da tutto ciò non sapendo assolutamente dove sbattere il capo, il violento desiderio di poter spegnere il cervello che si scontra contro l'amara impossibilità di farlo.

Mi sento incredibilmente fragile, frastornata e scioccata dall'improvvisa situazione che mi è piombata addosso, investendomi in pieno.

Sentendomi incredibilmente prossima al pianto mi porto le mani al viso, sfregandole contro i miei lineamenti in modo secco e frustato, le dita fredde e gelate che cozzano con l'ardore delle mie guance mentre tento quasi di scacciare a forza questo stato d'animo, non riuscendovi.

Cosa devo fare? Mi chiedo nuovamente alla desolante ricerca di una risposta, di una linea guida che mi dica come agire, a chi credere.

Le mie certezze sono improvvisamente crollate, facendomi sentire interiormente dilaniata dalla coscienza della verità e dal valore delle mie sensazioni, del mio istinto.

Confusa vacillo, i miei polpastrelli che scivolano tra le ciocche dei miei capelli, tirandole appena e portandole nervosamente indietro, mentre emetto un frustrato soffio. L'ennesimo.

Tuttavia, è ben altro l'attimo seguente a riscuotermi, attirando flebilmente la mia impalpabile attenzione.

L'ovattato e delicato rumore di una porta che si apre, infatti, mi porta irrazionalmente a socchiudere gli occhi, il chiarore che illumina la stanza che torna a ferirmi le pupille.

Un dolce e fievole sussurro lo segue l'attimo seguente, pungolandomi morbidamente.

- Posso? -

La famigliare voce di mio padre, ora suadente e quasi timorosa, difatti, spezza in due il silenzio che mi circonda, frantumandolo in mille pezzi e facendomi ricercare distrattamente con lo sguardo la sua figura.

Lo individuo l'attimo dopo fermo ed immobile sulla soglia della porta, i suoi occhi nocciola già puntati sul mio viso, intento a fissarmi accuratamente mentre una punta di angoscia li anima, rendendoli più cupi e introversi.

Staticamente contratto, mi guarda insistentemente, la camicia azzurra che indossa spiegazzata in più punti e i primi bottoni sbottonati che lo fanno apparire incredibilmente stralunato e trascurato.

Una espressione visibilmente preoccupata aleggia, invece, sul suo volto pallido, stanco e provato dalle poche, ma intense ore che sono trascorse da quando lo scandalo ci ha travolto in pieno.

La sua occhiata mi lambisce teneramente nel momento stesso in cui sbatto le ciglia, la vista sfocate da un velo di lacrime che fa apparire i suoi tratti incredibilmente sfocati e distorti, appannati.

Esattamente come le mie emozioni, considero.

Le nostre iridi, tuttavia, si scontrano solo per una fugace manciata di secondi dal momento che rifuggo questo contatto in un estremo tentativo di protezione, celandogli senza alcuna remora il mio stato d'animo.

Cercando di riscuotermi raschio in seguito appena la gola con un soffocato colpo di tosse, strusciando nervosamente i palmi delle mie mani sulle mie cosce, sfregando più e più volte il tessuto dei miei pantaloni con un movimento nevrotico.

- Certo – ribatto esitante subito con un filo di voce, il tono che esce vibrante e spezzato dalle mie labbra dischiuse, quasi rauco, come se non parlassi da troppo tempo.

Il mio cuore, intanto, persiste nel pulsare agitazione e stordimento nelle mie vene, scalpitando più forte nella mia cassa toracica senza darmi tregua, infondendomi un inconsueto senso di precarietà.

Non so cosa fare, cosa dire. Non so semplicemente nulla.

Tentando di conferirmi un minimo di autorevolezza e contegno deglutisco, adocchiando un punto indistinto sul pavimento.

Nel medesimo momento in cui lui compie un passo in avanti, richiudendosi pacatamente l'uscio alle spalle con un sordo tonfo, mi porto le dita agli occhi, sfregandoli debolmente mentre percepisco nuovamente le lacrime premere per uscire, cercando orgogliosamente di scacciarle.

Seppur a fatica ci riesco, espirando lentamente l'aria tra i denti mentre mi sento quasi a disagio nell'apparire così indifesa e frastornata davanti a lui.

Colpevolezza e sconforto, infatti, si mischiano dentro di me, facendomi sentire disarmata e priva di alcuna difesa, di qualsivoglia maschera imperscrutabile che possa permettermi di nascondere ciò che provo.

Stringendomi timidamente tra le braccia gli faccio subito dopo posto sul divano, muovendomi appena mentre il suo incedere rimbomba debolmente nella stanza, un leggero ticchettio che mi solletica sfocatamente l'udito.

Persistendo nel rimanere chiuso in un placido mutismo lui si siede al mio fianco l'attimo dopo, l'imbottitura della seduta che si abbassa appena sotto il suo peso mentre sospira, affondando il gomito sinistro nel bracciolo in pelle nera.

Nonostante non lo stia guardando in faccia, percepisco, tuttavia, la sua occhiatina discreta accarezzarmi a distanza, un vezzeggiamento che in questo momento finisce per irritarmi, infastidendomi nonostante la totale e disinteressata amorevolezza di cui è impregnato.

Il filone sconclusionato e torbido dei miei pensieri viene, però, interrotto l'attimo seguente dal suo mormorio mentre io persisto nel torturare con la punta delle dita il cotone del pigiama, arricciandolo.

- Come stai? - torna, infatti, a parlare l'attimo dopo mentre io persisto a fissare la mia mano, le unghie rovinate e smangiucchiate in un impeto di malumore e rabbia, tensione, che mi ha portato a rosicchiarle.

Un sorriso sarcasticamente ironico a queste ingenue e premurose parole mi stende istantaneamente la bocca, assomigliando terribilmente ad una smorfia contrita mentre mi sento quasi arida, impoverita di sentimenti positivi e belli.

Rimane unicamente una voragine, realizzo mestamente sentendomi vuota e sfinita.

Senza mentire mi ritrovo l'istante dopo a ribattere, rispondendogli senza indorare la pillola. Non questa volta. Non ho, infatti, alcuna voglia di confortare gli altri, di cercare di dare altri una forza e un sostegno che io non ho e non posseggo.

- Sto – ammetto onestamente fievole, fornendogli uno scorcio diretto di ciò che mi avvilisce mentre il nodo che mi stringe la gola sopprime quasi il mio laconico sussurro, rendendolo impalpabile.

Nessuno dei due dice poi null'altro per una manciata di attimi, lasciando che una impermeabile quiete cali su di noi, avvolgendoci.

Annuendo docilmente, mio padre si esibisce l'istante dopo in un profondo respiro, rendendosi probabilmente conto del mio aspetto non ottimale e del mio stato d'animo, decisamente nero pece.

Sono, infatti, ben consapevole di apparire molto probabilmente in pessime condizioni, quasi come se un treno mi avesse investito in pieno, i capelli ancora arruffati e gli occhi rossi che accompagnano il mio anomalo pallore.

Il pensiero che possa provare compassione nei miei confronti, tuttavia, non fa altro che irritarmi ulteriormente, indispettendomi.

Cogliendomi totalmente di sorpresa, lui allunga una mano verso di me l'attimo dopo, sfiorando la curva della mia spalla con la punta dei polpastrelli.

Irrazionalmente sobbalzo nel momento stesso in cui lui mi accarezza in modo più deciso e tenero, dedicandomi una amorevole carezza che, però, non mi scalda.

Nonostante la dolcezza della sua coccola, infatti, l'infinita tristezza che provo persiste nell'attanagliarmi, una morsa serrata che mi chiude lo stomaco, rabbuiandomi.

Ed è proprio tutto questo, in qualche contorto ed istintivo modo, a spingermi a nascondere il viso tra i miei capelli, nascondendogli il mio tormento.

Lui, tuttavia, non appare dello stesso avviso dal momento che, con un movimento veloce e delicato, mi scosta alcuna ciocche, portandomela senza il minimo sforzo dietro l'orecchio nel probabile e vano tentativo di incontrare il mio sguardo.

Magonata, rimango momentaneamente immobile mentre il suo lambirmi scivola poi sulla mia guancia, percorrendola morbidamente ed in modo affettuoso esattamente come faceva quando ero piccola e spaurita dopo un brutto sogno.

Peccato che, questa volta, le sue carezze non potranno allontanare questo incubo, farmi ritornare serena e spensierata.

Arriccio le labbra in una smorfia delusa, melanconica.

Qualcosa, a questo suo gesto premuroso e delicato, si agita maggiormente dentro di me, sovrastandomi facilmente e risucchiandomi tra le sue spire fin quasi a togliermi il respiro.

Una incredibile sensazione di dolosità, difatti, nei suoi confronti mi pervade, facendomi sentire incredibilmente responsabile di tutto quello che sta succedendo.

Probabilmente, se la sua carriera sarà distrutta per sempre sarà unicamente colpa mia.

Solo mia e della mia ingenuità.

Appesantita da questo grumo di pensieri ed emozioni, che mi gravano pesantemente addosso, infosso leggermente la postura mentre mi domando come potrò mai guardarlo in faccia, specchiarmi nelle sue iridi, con la consapevolezza di aver annientato e annichilito tutto ciò per cui aveva lavorato così intensamente.

- Tesoro – mi richiama, tuttavia, mio padre l'attimo seguente, riattirando il mio interese nel chiaro tentativo di farmi alzar il capo e, di conseguenza, guardarlo in viso.

Sconvolta, tuttavia, cedo, facendolo docilmente subito dopo.

Se possibile, la sua espressione costernata e provata mi ferisce ulteriormente, approfondendo a dismisura la ferita impressa a fuoco dentro di me, nel mio cuore, acutizzando il magone che mi opprime.

Le lacrime si fanno nuovamente imminenti, sfocando il suo profilo mentre, inspirando a fatica, ricaccio indietro il magone, allontanandolo con un estremo sforzo di volontà.

- Quello che hai letto su di me sul giornale non corrisponde alla verità – soffia l'attimo seguente, non smettendo neanche per un secondo di fissarmi, un chiaro alone di sincerità che impregna ogni sua singola afferzaione.

Con le palpebre leggermente socchiuse annuisco, rendendomi conto di non averci mai davvero creduto.

In qualche istintivo modo, infatti, il dubbio non mi ha mai sfiorato seriamente riguardo il suo coinvolgimento.

Non ho mai realmente pensato che avesse accettato di usare i soldi dei contribuenti o, peggio, che si intascasse dei soldi in cambio di favori.

Lo conosco troppo bene, so quanto si impegna davvero per cambiare le cose e non solo per motivi di propaganda.

Tiro leggermente su col naso, incrociando le braccia sotto il seno mentre lui parla ancora, in modo accorato.

- Non ho mai preso o accettato alcuna mazzetta – afferma ancora, la voce che non vacilla o si incrina, rimanendo saldamente onesta e trasparente – E' solo spazzatura e ci tengo che tu sappia che le cose dette sul mio conto non sono veritiere – mormora nuovamente, persistendo nell'accarezzarmi teneramente.

Una domanda mi attraversa celermente la mente l'attimo dopo, fulminandomi sul posto.

E lui? Le cose che hanno detto su di lui sono vere o false? Mi agito a questo quesito martellante, un pressante mal di testa che inizia ad infastidirmi, pulsando all'altezza delle mie tempie e amplificando ad iperbole il mio supplizio.

Una torva espressione cupa e ombrosa cala sul mio viso l'attimo seguente, fin troppo conscia dell'assenza di delucidazioni rassicuranti, mentre incasso contemporaneamente la testa tra le spalle, sentendomi svuotata.

Le sue frasi, invece di rilassarmi, difatti, mi provocano una sorda ondata di rabbia, incontenibile.

Ha parlato unicamente per se stesso, realizzo amaramente.

Riguardo Andrew non ha detto assolutamente nulla, però, noto rendendomi conto di come non abbia decisamente smentito niente a riguardo.

Allarmata e furiosa, ferita, mi ritrovo così a parlare l'attimo seguente, muovendomi inquietata sul posto mentre la sua dolce coccola continua.

- Quindi il resto corrisponde alla verità? - lo incalzo con un filo di voce, incrinata e al tempo stesso salda, permeata da una sorda punta di malinconica e triste testardaggine che mi spinge a ricercare disperatamente la veridicità, agognandola.

Quasi colto in contropiede dalla mia domanda lui apre e chiude la bocca un paio di volte, una sorda frustrazione che impregna i suoi tratti mentre sembra quasi non sapere cosa dirmi, esitando.

- Emma, questo non lo so – mi dice infine, chiamandomi insolitamente per nome.

È una cosa, infatti, che fa raramente se non in occasioni incredibilmente serie e preoccupanti, preferendo al mio nome di battesimo nomignoli e soprannomi più amorevoli e affettuosi.

I suoi polpastrelli scivolano contemporaneamente via dalla mia guancia, appoggiandosi nuovamente sulla spalla senza aggiungere altro, facendomi sprofondare in un turbinio di desolazione e ira che mi divora, dilaniandomi.

Annuisco, più confusa di prima non sapendo assolutamente dove sbattere il capo.

- Quando è venuto nel mio ufficio mi ha solo esposto il suo progetto – aggiunge dopo un attimo, comprendendo forse lo stato di totale caos in cui verso, tentando premurosamente di schiarirmi le idee.

Un travolgente moto di gratitudine si riversa copiosamente dentro di me a questa dichiarazione, commuovendomi.

Avrebbe tutte le ragioni del mondo per non dirmi nulla, evitare le delucidazioni e concentrarsi unicamente sulla sua carriera in via di sgretolamento, ed, invece, rimane qui, al mio fianco, a consolarmi, cercando di aiutarmi a fare nitidezza.

Non mi urla istericamente contro come fa mia madre, denigrando lui e ciò che provo, e neanche mi giudica come, al contrario, fanno tutte le altre persone.

Resta unicamente vicino a me, sospiro provata.

- L'approvazione è passata tramite un comitato su cui io non ho potuto influire in nessun modo – mi riscuote dalle mie elucubrazioni, sempre più contorte e sconclusionate - Non ho avuto alcuna voce in capitolo a riguardo – conclude inclinando appena il volto, persistendo nel trafiggermi con una occhiata schietta e trasparente, nessun alone di imperscrutabilità che lo vela.

In modo del tutto irrazionale, la mia mente mi riporta ad un altro sguardo offuscato dalla cripticità, lo stesso in cui mi sono specchiata così tante volte senza mai comprenderlo totalmente.

Tutte le volte che mi sembrava di esserci riuscita, di aver afferrato ciò che realmente pensava in quel momento, mi sono ritrovata con un pugno di mosche in mano, non riuscendovi.

Era perchè mi stava mentendo? Mi incalzo nuovamente, non sapendo decretarlo.

- Però, voglio anche essere totalmente onesto con te – spezza di nuovo il silenzio, spingendomi a guardarlo con più attenzione mentre annuisco, essendogliene intimamente grata.

È questo ciò di cui ho bisogno, onestà.

Come se fosse sul punto di rivelarmi qualcosa di vitale importanza inspira lentamente una boccata di ossigeno, gonfiando il petto e facendomi di conseguenza specularmente irrigidire, il terribile presentimento che qualcosa di doloroso stia per sferzarmi, colpirmi.

- E' vero che ha cambiato la destinazione del terreno in quella residenziale – mi comunica, raggelandomi sul posto, spezzandomi il fiato in gola.

Il mio cuore manca letteralmente un battito, bloccando il suo incedere per una frazione di secondo, i polmoni che bruciano in carenza di aria mentre una invisibile e incredibilmente tagliente lama mi trafigge il petto da parte a parte.

Ha cambiato la destinazione del terreno in quella residenziale, ripeto nella mia testa basita e scioccata dalla realtà dei fatti mentre una sofferenza fisica ed emotiva mi coglie, spezzandomi in due.

Perchè è così che mi sento al momento: spezzata in due, rotta in mille pezzi.

Non era una bugia, è tutto vero.

Una devastante commozione mi pervade a questa constatazione, stringendomi così forte tra le sue spiravi da consumarmi mentre una matassa annodata di emozioni e sensazioni si aggrovigliano dentro di me, diventando ingombranti.

Annaspando, rimango immobile a guardarlo, staticamente distrutta.

Una lacrima sfugge, però, dalla prigione delle mie ciglia l'attimo seguente, rotolando lentamente sulla mia guancia lasciando una scia bagnata dietro di se.

Ancora una volta, tuttavia, non mi lascio andare ad un pianto sconfortato e liberatorio, trattenendomi orgogliosamente dal farlo.

O, forse, più semplicemente non ci riesco, non sono in grado di lasciarmi andare e sfogarmi.

Perchè, in qualche modo, farlo vorrebbe dire che tutto questo è davvero vero, che lo sono le parole di quel maledetto articolo.

Visibilmente dispiaciuto mio padre passa leggermente il pollice sulla mia pelle, asciugandola e guadagnandosi la mia occhiata intenerita.

Rincuorandomi piego lievemente il viso di lato, appoggiandolo contro il suo palmo nel disperato tentativo di ritrovare un po' di calore.

Non ci riesco, però, quella sensazione di gelo totale che mi blocca interiormente permane.

Ma la vera coscienza del perchè di questo fatto arriva subito, tagliente come una lama.

È unicamente il suo calore che vorrei in questo momento, null'altro.

Stringo istintivamente le labbra in una linea netta e dura, il dubbio sulla sua sincerità e su quella dei suoi gesti che torna immediatamente a tormentarmi, pungolandomi nel profondo ed instillando in me un senso di insicurezza interiore.

Cosa era vero? Cosa no?

Andrew, boccheggio al solo pensare il suo nome, inoltre, non si è fatto più vivo.

Non mi ha chiamato o scritto alcun messaggio, scomparendo semplicemente nel vuoto. Cosa che mi ha inevitabilmente ferito ulteriormente.

Tuttavia, i miei tormentosi pensieri vengono interrotti l'attimo seguente.

Un insistente bussare alla porta, infatti, spezza in due il silenzio e di conseguenza il momento di intimità in cui ci eravamo rifugiati.

- Avanti – borbotta con un sospiro stanco mio papà una manciata di secondi dopo, invitando il disturbatore a palesarsi ed entrare.

Allontana poi contemporaneamente la mano dal mio viso, appoggiandosela in grembo e facendo, di fatto, svanire la coccola che mi stava riservando mentre io mi affretto a nascondere la faccia tra i capelli, asciugandolo frettolosamente con un gesto fugace e celere delle dita.

È già abbastanza avvilente ed imbarazzante apparire in questo stato davanti a lui, decisamente l'ultima cosa che voglio è mostrarmi in queste labili condizioni a degli estranei.

Emotivamente instabile deglutisco, la bocca asciutta ed impastata e l'animo dilaniato.

Una testa bionda e riccioluta fa subito dopo capolino nella stanza, un viso maschile e sbarbato che accompagna uno sguardo verde che ci scruta ansiosamente, in modo quasi frenetico ed agitato annunciando altri problemi.

Sospiro pesantemente.

Dopo un attimo di incertezza il ragazzo, di qualche anno più grande di me e con indosso un perfetto ed impeccabile completo grigio scuro, spezza la quiete della camera, spiegando il motivo della sua presenza mentre mio padre gli fa distrattamente cenno di parlare.

- Signore, mi spiace davvero disturbarla – inizia, un timbro basso e incolore appena incrinato da una punta di reale rammarico - Ma ho il Senatore Bennett al telefono e chiede insistentemente di lei – soffia visibilmente teso e costernato, sollecitando educatamente mio papà ad assolvere ai suoi doveri lavorativi.

Oggi più che mai mastodontici, arriccio in una smorfia irritata e colpevolmente avvilita le labbra.

Senza dire nulla lui annuisce, muovendo il capo su e giù mentre sbuffa sommessamente non appena pronuncia il nome dell'uomo, roteando sconfortato le iridi al soffitto.

- Arrivo, Jack – ribatte l'attimo seguente, lanciandogli un eloquente sguardo nel tentativo di fargli capire che vuole rimanere ancora un attimo da solo con me, invitandolo ad uscire – Digli di pazientare ancora un attimo – aggiunge ancora, istruendolo e congedandolo del tutto mentre lui esita nuovamente, rimanendo staticamente immobile sull'uscio.

In modo del tutto incomprensibile posa poi i suoi occhi verdi su di me, studiandomi attentamente quasi volesse cogliere qualche dettaglio sulla mia espressione, innervosendomi a dismisura e portandomi irrazionalmente a irrigidirmi maggiormente.

Acconsentendo senza fiatare, tuttavia, ci lascia nuovamente soli l'attimo seguente, richiudendosi silenziosamente l'uscio alle spalle con un sordo tonfo.

Mio padre si volta nuovamente verso di me l'istante dopo, le labbra già dischiusa nel probabile sforzo di articolare il suo dispiacere in delle convulse frasi di scuse, seriamente rammaricato di dover interrompere la nostra conversazione.

Capendolo e conoscendolo perfettamente bene, però, lo anticipo sul tempo, parlando e cogliendolo di fatto in contropiede.

- Stai tranquillo papà, vai – gli dico comprensiva, rassicurandolo e tentando difficoltosamente di sembrare calma e con la situazione sottomano.

Cosa assolutamente che non ho al momento. Tutt'altro.

Nonostante questo e con la speranza di essere abbastanza convincente persisto nel fissarlo, non vacillando e non volendogli creare più grattacapi di quelli che già gli ho causato. Decisamente troppi e molto complicati.

- Ne parliamo ancora dopo allora, tesoro, ok? - mi chiede in risposta lui, appoggiando teneramente una mano sulla mia gamba in un confortante tocco, un vezzeggiamento appena accennato che mi percorre nel vano tentativo di tranquillizzarmi.

Stringendomi tra le braccia tento goffamente di sorridergli, riuscendo unicamente ad arricciare in una smorfia contrita, che non assomiglia neanche vagamente ad un sorriso, la bocca, riuscendo unicamente a provocare la sua pallida ombra.

Cosa che non sfugge sfortunatamente a mio papà, che mi rivolge un'altra lunga e preoccupata occhiatina di sottecchi, studiandomi accuratamente quasi a voler captare l'entità dei miei turbamenti.

Non lasciando tempo ai ripensamenti annuisco vigorosamente, in modo deciso.

Non credendo neanche per un attimo alla maschera di facciata dietro cui tento di nascondermi lui soffia pesantemente l'aria tra i denti, afflitto.

Tuttavia, fa forza sulle gambe subito dopo, alzandosi silenziosamente in piedi.

Senza dire altro si avvia in seguito mutamente alla porta, aprendola e scomparendo nel corridoio il secondo dopo, lasciandomi nuovamente da sola.

Con la stessa velocità con cui è stata precedentemente spezzata, una morbida e densa quiete torna permeare il soggiorno, ammutolendola.

Inquieta e abbattuta sprofondo maggiormente la schiena contratta nell'imbottitura del divano, affondandovi ed appoggiando contemporaneamente il gomito sul bracciolo, reclinando il capo indietro fino a poggiare la nuca contro la spalliera.

Le mie pupille incontrano il soffitto bianco l'attimo dopo, le riflessioni che celermente tornano a vorticarmi nel cervello.

Quel senso di schiacciamento, di pressione esasperante, infatti, torna a tormentarmi sibillino e sinuoso, facendomi vacillare e mettendo a dura prova la mia sanità mentale.

Tentando disperatamente di svuotare la mente socchiudo gli occhi l'attimo seguente nel vano tentativo di sentirmi meglio, più leggera.

L'angoscia, però, non mi abbandona, così come neanche le perplessità e le domande, che rimangono saldamente ancorate dentro di me senza lasciarmi di fatto scampo.

Corrucciata e con il magone a chiudermi la gola inspiro lentamente, cercando di rilassarmi leggermente, almeno quel tanto che basta per far svanire questo snervante mal di testa che ha iniziato a pulsare più insistentemente da un paio di minuti.

Espiro, svuotando completamente i polmoni l'istante seguente, desiderando ardentemente di far fuoriuscire con l'anidride carbonica anche tutto ciò che provo.

Perchè è questo che vorrei al momento: non provare semplicemente nulla, essere anestetizzata per qualsiasi sofferenza o delusione.

Purtroppo, però, non è così, constato consapevolmente amara, fin troppo conscia del dolore e del speculare sentimento che, nonostante tutto, continuo a nutrire nei suoi confronti.

L'ennesima ondata di lacrime represse che mi coglie, tuttavia, viene spazzata via sul nascere da un altro rumore, che mi spinge a riaprire allarmata le palpebre.

Solo con un attimo di ritardo, l'attimo dopo, mi rendo conto che proviene nuovamente dalla porta.

Deglutendo, poso lo sguardo sul suo legno lucido mentre dei brevi e corti tonfi costituiscono un pacato bussare, riscuotendomi vagamente dal torpore in cui sono caduta.

Che mio padre sia già di ritorno? Mi domando sorpresa e meravigliata, trovando alquanto insolita l'estrema brevità del suo colloquio di lavoro.

Una stilettata di nervosismo e ansia, timore, a questa considerazione mi perfora, portandomi a dubitare che sia successo qualcosa di grave.

Intanto, la persona in questione, non aspetta il mio invito ad entrare, aprendo con un gesto ampio e veloce l'uscio, palesandosi completamente.

La figura asciutta e minuta di mia madre compare subito dopo dinnanzi a me, mettendo piede nella stanza mentre mi ritrovo a dannarmi e tirare contemporaneamente un sospiro di sollievo, il ticchettio dei suoi tacchi sul parquet che rimbomba appena.

Rivolgendomi una severa e interessata occhiataccia da sotto le ciglia nere mi fissa per una manciata di secondi, i lineamenti ancora contratti dall'arrabbiatura che mi fanno intuire il fatto che non mi abbia ancora perdonato del tutto riguardo la storia dell'inchiesta.

Come se fosse davvero colpa mia, mi dico mesta e offesa, irritata dal suo apparente non capirmi.

Il suo mutismo, tuttavia, dura assai poco dal momento che inizia a parlare il momento dopo, richiamandomi bruscamente.

- Tesoro, c'è una persona che vuole vederti – soffia, difatti, informandomi e rimanendo staticamente ferma sulla soglia, la mano ancora appoggiata sulla maniglia in ottone.

Un sorriso sinistro e soddisfatto le inclina al in su la bocca l'attimo seguente, allarmandomi inconsapevolmente e portandomi di conseguenza ad aggrottare interdetta e confusa la fronte.

Chi diavolo è ora? Sbotto nella mia intimità, per nulla contenta di ricevere visite.

Nonostante le varie insistenze di Sam, ho rifiutato persino di vederla e di avere il suo conforto, preferendo decisamente rimanere da sola ad elaborare il tutto.

Che sia lei?

- Mamma, non ho voglia di vedere nessuno – borbotto torvamente, esibendomi in un sonoro sbuffo infastidito, palesandole senza alcuna remora la mia poca voglia di avere ospiti mentre scosto una ciocca di capelli dal mio viso.

Stupendomi, lei non appare, tuttavia, per nulla offesa dalla mia rispostaccia, limitandosi ad insistere ulteriormente, sperando probabilmente di farmi cedere.

- Emma non fare i capricci – mi rimbecca, continuando - E' una persona che tiene molto a te – si impunta, flettendo appena il tono in un fievole rimprovero mentre congiunge le mani, persistendo nel trafiggermi con il suo sguardo nero pece e portandomi, di conseguenza, ad arricciare furente le labbra, indispettita dal suo modo di appellarmi.

Senza, poi, lasciarmi il tempo di dire altro inclina appena il capo di lato, compiendo una piccola torsione sul posto fino a girarsi di tre quarti nella direzione del corridoio, la porta dischiusa che non mi permette, tuttavia, di vedere chi c'è.

- Entra pure, caro – afferma dopo una manciata di secondi, accogliendo premurosamente l'ospite.

Ignorando totalmente il mio desiderio, infatti, fa come se io non ci fossi, cosa che mi ha sempre terribilmente indispettito.

Contraendo appena l'espressione incrocio seccamente le braccia sotto il seno, assottigliando pericolosamente le iridi e trucidandola, per nulla intenzionata ad assecondarla.

Dei passi appena strascicati precedono, intanto, di qualche secondo, la comparsa di una persona slanciata, che mi toglie letteralmente senza fiato non appena il mio cervello lo riconosce, dando un nome al suo pallido volto e portandomi, di conseguenza, a sbarrare gli ovvhi.

Che cosa ci fa lui qui? Mi domando istantaneamente inquietata e infuriata mentre il mio cuore aumenta leggermente il suo incedere, i battiti che diventano lievi e frastornati palpitazioni senza che io possa opporre alcuna resistenza.

Disorientata e confusa gli rivolgo un adocchiamento, non preoccupandomi di essere invadente o indiscreta, i pantaloni neri dal taglio classico e la camicia grigio chiaro che indossa che lo fasciano alla perfezione, facendolo apparire vestito di tutto punto.

Noah, immobile e con la schiena ritta, compare, infatti, improvvisamente davanti a me, lasciandomi letteralmente senza parole e contraccambiando il mio sguardo sgomento con uno calmo e razionale.

Le sue iridi azzurre sono impregnate da una disarmante quiete, appena intaccata da una reale e concreta punta di dispiacere che le scurisce appena, rendendole più liquide.

Non sapendo cosa dire incasso unicamente il capo tra le spalle, rimanendo silenziosamente a guardarlo mentre mia madre, in secondo piano, ci scruta sorridente, non riuscendo, però, realmente ad attirare la mia attenzione.

- Ciao Emma – afferma morbidamente, incrinando appena il consueto timbro calmo e neutrale che lo caratterizza mentre si esibisce in una espressione indecifrabile, i capelli leggermente più lunghi di come li ricordassi.

Persistendo nel mantenere una mano affondata nella tasca dei pantaloni, non aggiunge null'altro.

- Ciao – mastico mestamente a fatica, ancora spaesata e smarrita dalla sua inaspettata e stupefacente presenza.

Tuttavia, ci pensa orgogliosamente mia mamma, l'attimo dopo, a chiarirmi le idee, spiegandomelo esaustivamente.

Appoggiando confidenzialmente una mano sul suo braccio, infatti, gli riserva una fugace carezza, esibendosi in un inquietante sogghigno prima di riprendere a parlare.

- Noah ha saputo della disgrazia che ci ha colpito e cosa ci ha fatto quel farabutto – inizia, difatti, a raccontarmi, convinta e decisa, mentre calca leggermente su alcune parole, facendogli assumere una sfumatura aspra e acida.

Alludendo sfacciatamente ad Andrew e definendolo in modo assolutamente non positivo, sottolinea nuovamente la realtà, non preoccupandosi della sofferenza o anche solo del fastidio che ciò potrebbe provocarmi.

Mi ferisce inevitabilmente, facendomi sentire nuovamente incredibilmente fragile e disarmata.

Troppo incupita e frustrata decido subito dopo di non badarvi ulteriormente, mente e corpo già corposamente saturi di tutte queste emozioni negative per permettere che altre vi confluiscano.

- E così ha pensato di passare per vedere come stavi – mi dice con lo stesso identico, mellifluo tono che risulta incredibilmente pungente e snervante alle mie orecchie

Per nulla rallegrata o rasserenata mi limito, però, solamente ad annuire lentamente, non dicendo nulla.

È, tuttavia, proprio lui, l'attimo dopo, ad attirare corposamente il mio interesse, muovendosi inaspettatamente.

Chiudendosi in un impercettibile mutismo, compie, difatti, un passo in avanti, raggiungendomi con una manciata di ampie falcate.

Si siede poi elegantemente al mio fianco, guadagnandosi la mia occhiataccia sorpresa e sgomenta mentre l'imbottitura si abbassa sotto il suo peso.

Meravigliandomi totalmente si sporge leggermente in avanti subito dopo, stringendomi in un abbraccio serrato e caldo che mi fa istantaneamente irrigidire, mettendomi violentemente a disagio.

Diventando quasi una statua di sale tra le sue braccia, infatti, contraggo irrazionalmente la schiena, tendendomi fin quasi allo spasimo mentre il suo profumo lontanamente famigliare mi solletica le narici, senza tuttavia inebriarmi.

Un sadico e masochistico pensiero mi attraversa subito dopo la mente, tagliente e sincero.

È così diverso dal suo.

All'istante la ferita che spacca a metà il mio cuore si accentua, stritolandolo in una morsa ghiacciata e stridente fin quasi a sbriciolarlo, inaridendomi sino ad annientarmi

Con il magone che si intensifica improvvisamente non faccio nulla, non ricambiandolo mentre il suo respiro placido si infiltra tra i miei capelli, la stretta sul mio corpo che persiste nel rimanere salda.

- Ho letto le porcherie che hanno scritto sul New York Times – mormora sprezzante al mio orecchio, in un sussurro così basso da risultare intimo e impalpabile – Sono venuto appena ho potuto – si rammarica subito dopo, apparendo quasi impotente davanti alla travolgente veemenza dello scandalo che ci ha investito in pieno, realmente dispiaciuto.

Ammutolita non dico nulla, non muovendomi neanche per annuire e deve essere proprio questa mia mancata risposta, l'attimo dopo, a spingerlo ad allontanarsi da me, rivolgendomi un breve sguardo che non riesco a sorreggere mentre il suo tocco sul mio corpo scivola inevitabilmente via, sciogliendosi del tutto.

Abbasso irrazionalmente le pupille l'istante seguente, puntandole sulla fantasia a righe del mio pigiama senza realmente a vederlo mentre lui si appoggia contro lo schienale, rimanendo compostamente seduto al mio fianco senza smettere, neanche per un secondo, di scrutarmi attentamente, mettendomi a disagio.

Sospiro lentamente.

Forse, semplicemente, non voglio essere giudicata, mi dico, fin troppo ben consapevole che è proprio quello che stanno facendo tutti.

Mi biasimano, dando giudizi o considerazioni affrettate su cose che non sanno o che solo ipotizzano.

Snervata, mi mordo leggermente le labbra, torturando il labbro inferiore con gli incisivi, mentre mia madre riprende a parlare sbattendomi in faccia la sua plateale preferenza per Noah senza mezzi termini, non preoccupandosi di nasconderla.

- Noah, sei stato molto premuroso – lo apostrofa, infatti, teneramente, in modo quasi dolce ed affabile mentre stende leggermente la bocca in un pallido sorriso, facendogli un lampante complimento.

Appoggiando poi le mani sul grembo, socchiude leggermente le iridi, non smettendo neanche per un attimo di alternarle da me a Noah e viceversa, cercando probabilmente di cogliere qualche romantico dettaglio che possa evidenziare una nostra possibile complicità.

Cosa decisamente impossibile e il fatto che, con tutto quello che mi è capitato, lei riesca a trovare la concentrazione per farlo mi indispettisce enormemente, seccandomi.

Esibendomi in un criptico sbuffo, soffio in un sibilo l'aria tra i denti, guadagnandomi le loro occhiatine confuse e interdette che, però, ignoro deliberatamente.

Noah, visibilmente abbattuto e dispiaciuto, allarga subito dopo le braccia, riprendendo a parlare e spezzando, di fatto, la leggera e pesante quiete che era calata distrattamente nella stanza.

- Purtroppo, ero fuori città per questioni di lavoro – afferma, riaccendendo la conversazione – Ho saputo dell'inchiesta solo dopo che è stata pubblicata e non ho potuto far nulla per impedire che diventasse di dominio pubblico – continua mesto, spiegando il perchè del suo mancato intervento.

Simultaneamente dalla mia memoria riemerge il debole ricordo di ciò che ha fatto riguardo la rivista Off, intervenendo ed intercedendo per me a mia insaputa, aiutandomi a non creare un ulteriore scandalo. Un gesto gentile e affettuoso che all'epoca avevo accolto con piacere.

Un lieve moto di gratitudine si scatena dentro di me a questo pensiero, subito, tuttavia, divorato e assorbito dalla rabbia e dal dolore che provo, così forti da scacciare tutto il resto.

Semplicemente, così intense da divorarmi viva.

Ignari di ciò che mi affligge, continuano a discutere.

- Noah non preoccuparti, non avevo alcun dubbio sul fatto che ti saresti interessato – lo rabbonisce mia madre, docilmente, mentre gesticola appena con la mano, compiendo un movimento vago e distratto volto a rassicurarlo.

Persistendo nel rimanere staticamente immobile a qualche passo di distanza dalla porta non si avvicina a noi, preferendo restare in piedi.

Le mie pupille vi si soffermano per una manciata di secondi, scrutando sommariamente i suoi tratti ora più tranquilli e rilassati, meno contratti.

Tuttavia, il timbro caldo e basso di Noah, l'istante seguente, mi porta a inclinare il viso verso di lui, adocchiandolo.

- Ora, la cosa migliore da fare, visto che la notizia è già nota, è pubblicare un comunicato stampa di smentita, secondo me – aggiunge in seguito lui, parlando in modo autorevole e professionale – Ho già parlato col Governatore – continua, riferendosi limpidamente a mio padre, non usufruendo del modo più confidenziale con cui gli ha sempre detto di chiamarlo – E gli ho dato la mia disponibilità per farlo tramite l'Hill Journal - mormora nuovamente, dando la sua totale disponibilità a riguardo e riferendosi nitidamente al giornale che la sua famiglia possiede da numerose generazioni, portato avanti da una dirigenza famigliare.

Una espressione decisamente compiaciuta e soddisfatta compare istantaneamente sul volto di mia mamma mentre lui continua il suo discorso, corrucciando leggermente la fronte come se qualcosa gli fosse appena venuto in mente, un problema che non aveva considerato.

- O se preferite evitare di usare un giornale che potrebbe apparire di parte, posso chiamare il l'editore del Wall Street Journal – propone ancora, consentendoci una vasta gamma di scelte e possibilità che finiscono inevitabilmente per stordirmi, confondendomi di più.

Ancora una volta, infatti, il bisogno di stare da sola si fa strada dentro di me, insinuandosi celermente tra le mie pieghe e scontrandosi veementemente contro la sua generosità.

- Grazie di esserti messo a disposizione, Noah – afferma ancora lei, ringraziandolo in modo sincero.

Lui, quasi leggermente imbarazzato, si stringe tra le braccia, muovendosi leggermene sul posto.

- In ogni caso ho parlato con il mio caporedattore – soffia, cambiando leggermente discorso e alludendo nuovamente al quotidiano della sua famiglia – E abbiamo tre dei nostri miglior reporter a lavorare su questo caso - sospira, esitando appena mentre persiste nel sorreggere lo sguardo di mia madre – Si...insomma per capire cosa ci sia di vero in questa storia – aggiunge dopo una manciata di secondi, rivolgendomi una breve occhiata di sottecchi che però ignoro.

Mia mamma, invece, dischiude la bocca, pronta a ribattere prontamente mentre una smorfia contrita e indispettita le stende i tratti, venendo tuttavia colta in contropiede da Noah, che continua a parlare.

- Chiaramente sulla parte delle tangenti non vi è alcun dubbio – si affretta a precisare convinto e autorevole lui, alzando appena il mento – Conoscendo suo marito è una cosa che escludo assolutamente a priori – conclude infine, credendo ciecamente a mio padre senza neanche voler indagare o sapere altro, provocando il sottile sorriso lusingato e orgoglioso di mia mamma.

- Si, beh anche se quando si tratta del Dottor Harrison non c' più nulla da escludere – bofonchia aspramente, il timbro che assume una sfumatura acida mentre arriccia la punta del naso, apparendo incredibilmente irritata e calcando volutamente sul suo nome.

Una smorfia indispettita mi aleggia immediatamente sul viso davanti al suo sprezzante mormorio, portandomi ad irrigidirmi istintivamente.

Irritata, non riesco a frenare un moto di rabbia davanti alla sua ennesima battutina.

Nonostante tutto quello che è successo, difatti, non riesco a reprimere il senso di protezione che provo nei suoi confronti, così violento da emergere su tutto il resto.

- Mio marito ovviamente non sa nulla, ma non possiamo escludere con certezza che abbia corrotto qualcuno della commissione, comprandosi il suo favore – gesticola, infierendo ulteriormente, le sue parole che affondano gelidamente spietate dentro di me, marchiandomi a fuoco - Ma visto il soggetto ora come ora c'è da aspettarsi di tutto – conclude mestamente, parlando di lui quasi come una persona ignobile.

Cercando testardamente di non sbottare socchiudo leggermente gli occhi, serrandoli quasi del tutto mentre inspiro profondamente, tentando disperatamente di mantenermi razionale.

Cosa assai complicata.

Noah annuisce in modo serio e composto mentre un'ombra scura cala improvvisamente sul suo viso, incupendolo leggermente.

- Sicuramente si è approfittato di Emma quando era più fragile e vulnerabile – constata pesantemente, chiamandomi in causa e portandomi di conseguenza ad alzare il capo, guardandolo attentamente mentre lui gira il viso, piegando appena la testa di lato – L'operazione, poi la mia proposta che … - gesticola, la mano che si blocca a mezz'aria mentre simultaneamente le sue affermazioni si arrestano, facendolo apparire esitante e dubbioso, quasi cercasse la cosa giusta da dire.

Istintivamente corrugo appena le sopracciglia, lanciandogli una sbiadita e curiosa occhiatina mentre lui abbassa appena lo sguardo, puntandolo in un punto indistinto e curvando contemporaneamente le spalle al in giù, un peso invisibile che gli grava addosso.

- Che, beh, ammetto essere capitata in una situazione e in un momento decisamente sbagliati – mormora costernato e sincero, il rammarico che gli incrina la voce, facendola vibrare nell'aria.

Apparendo incredibilmente dispiaciuto e consapevole al tempo stesso sfrega piano il palmo della mano sul tessuto scuro dei suoi pantaloni, guardandomi di sbieco.

Sentendomi quasi a disagio nell'affrontare questo argomento proprio ora e davanti a mia madre mi limito a non aggiungere nulla.

O forse non avendo semplicemente l'attenzione per soffermarvici.

- E lui deve aver sicuramente sfruttato il suo fascino per attirarla nella sua rete – aggiunge nuovamente, rompendo il breve silenzio che si è creato, portando mia mamma ad acconsentire vigorosamente.

Una fitta lancinante a questo pensiero mi coglie, perforandomi da parte a parte mentre la morsa al mio stomaco aumenta, diventando quasi insostenibile.

Ha fatto questo, mi ha inebetito seducendomi? Mi chiedo, non riuscendo a capire dove sia la verità e, soprattutto, sentendomi incredibilmente avvilita, devastata.

Quasi priva di forze e rattristata da questa confusa realtà non dico nulla, restando in balia di tutto ciò che provo e che penso.

- Ora, sicuramente, apparirò come l'ex fidanzato che per ovvi motivi non lo sopporta – afferma Noah, mettendo quasi le mani avanti, finendo di fatto per giustificare il suo mormorio e causando l'espressione indispettita di mia madre.

Scuotendo vigorosamente il capo, infatti, lei dissente, sottolineando il suo movimento con ciò che dice dopo una manciata di secondi.

- Caro, ma cosa dici suvvia – lo rimbecca flebilmente, in modo quasi dolce, mentre rotea simultaneamente le iridi pece al cielo – Ovviamente nessuno pensa che tu dica ciò per quello che è successo con Emma – aggiunge ancora determinata, il timbro che si inasprisce appena nel momento stesso in cui termina la frase, riservandomi una occhiata ammonitrice che non mi sfugge.

Esibendosi in una smorfia contrita ed infastidita la ricambio, adombrandomi.

È tutto quello a cui riesce a pensare in questo momento?Alle mie mancate nozze? Mi chiedo sconfortata e delusa, ben certa che lei non mi abbia ancora perdonato il fatto di aver rifiutato la sua proposta di matrimonio.

- Lo dici, perchè i fatti dimostrano chiaramente come stanno le cose – continua, terminando la sua considerazione e facendomi riemergere dalle mie elucubrazioni.

Noah, concordando mutamente, scuotendo su e giù la testa.

Stupendomi, allunga una mano nella mia direzione subito dopo, appoggiandola delicatamente sulla mia gambe, poco sopra il ginocchio mentre mi rivolge un amorevole sguardo, facendolo scivolare sul mio profilo.

In un gesto affettuoso e dolce, mi riserva una lieve e leggera carezza, muovendo impercettibilmente le dita mentre il calore della sua pelle supera il tessuto del mio pigiama.

Al contrario di ciò che è accaduto per il suo abbraccio questa volta non mi irrigidisco, limitandomi unicamente a non muovermi.

Ci pensa lui stesso, l'attimo seguente, a parlare, spiegando il suo comportamento improvviso ed incomprensibile.

- A prescindere da quello che è successo tra di noi, Emma, io sono qui per te – mi dice in un sussurro flebile e impalpabile, manifestando incomprensibilmente tutto ciò che sente nei mie confronti mentre mi fissa, tentando probabilmente di incontrare le mie occhiate vacue e lucide.

- Grazie – riesco unicamente a formulare, la mente così densa di tormenti che non mi permette di riflettere in modo razionale e lucido.

- Se hai bisogno di parlare con qualcuno senza essere giudicata o di avere qualsiasi tipo di informazione io sono a tua disposizione – afferma nuovamente, persistendo nel sfregare i polpastrelli su di me, vezzeggiandomi teneramente.

Invece di consolarmi, tuttavia, la sua coccola finisce per inverosimilmente infastidirmi, mettendomi a disagio e provocandomi un sottile senso di irritazione.

Il suo tocco, infatti, appare incredibilmente sconosciuto, distante e diverso da quello che vorrei sentire questo momento sulla mia pelle.

Il suo tocco.

Il sentimento che provo nei suoi confronti, da un lato, e la sofferenza di ciò che si sta rivelando la realtà, dall'altro, mi dilaniano, spezzandomi in due e facendomi quasi sul punto di essere strappata, come se due forze distinte mi tirassero in due direzioni opposte.

Cosa devo fare? A chi devo credere?

Annaspo boccheggiante, non riuscendo a scorgere la scintilla luminosa della verità farmi strada.

E a tutto questo stordimento si va a sommare il nervosismo dovuto al loro modo di comportarsi, alle loro chiacchiere vuote che sanno solo denigrarlo e, di conseguenza, sottolineare la condizione in cui sono.

Improvvisamente più tesa e arrabbiata stringo le dita a pugno, serrandole fin quasi a far sbiancare le nocche mentre gli riservo una fulminante occhiata.

- Non ho voglia di parlare – ribatto, infischiandomene per una volta di apparire maleducata o sgraziata, assottigliando contemporaneamente lo sguardo – Ma tu puoi tranquillamente rimanere qui con mia madre a parlare di come avevate capito tutto su Andrew e le sue intenzioni fin dal principio – sbotto ironica e sarcastica al limite della sopportazione, stringendo la bocca in una linea netta ed indurendo i lineamenti mentre lui mi guarda visibilmente sorpreso, quasi colto in contropiede dal mio mormorio acido e teso - Ora scusate, ma vado a stendermi – liquido duramente poi entrambi, satura di tutto.

Delle loro chiacchiere, di ciò che dicono su Andrew e su questa dannata sensazione che mi fa sentire incredibilmente come un animale in gabbia.

Pallida, deglutisco, scrollando vigorosamente la testa e alzandomi simultaneamente con un sospiro stanco, tirandomi in piedi senza aggiungere altro.

Dinnanzi allo sbigottito di mia madre e quello più pacato, ma comunque sorpreso di Noah compio poi un passo in avanti, la testa così piena di informazioni da essere quasi sull'imminente punto di scoppiare.

Ferita e frastornata supero mia mamma l'attimo seguente, avvicinandomi velocemente alla porta senza congedarmi come le buone norme impongono mentre la pressante sensazione di stare per soffocare mi coglie spietata, rendendo più lucido il mio sguardo e sfocando ciò che ho intorno.

Voglio solo andarmene, respirare aria pulita e, soprattutto, rimanere da sola.

Solo questo.

- Scusala, è un po' nervosa – percepisco sbiaditamente il sussurro di scuse di mia madre, che appare quasi lontano.

Ed è proprio mentre appoggio la mano sulla maniglia ed il freddo dell'ottone si scontra con la pelle gelida del mio palmo che mi rendo che mi sento così, con le ossa rotte e il cuore a pezzi, per un motivo molto chiaro, lampante, che ruota intorno alla sua figura.

Tutto sembra, difatti, portare ad una unica sentenza, una sola verità supportata dai fatti.

Abbassandola forse con fin troppa forza ed enfasi, la apro, dando sfogo al violento fastidio e nervosismo che si agita dentro di me.

Ed è esattamente nel momento stesso in cui mia madre mi chiama scioccata e con voce stridula, cercando di attirare la mia attenzione, ed io metto contemporaneamente piede nel corridoio che considero che tutto questo porta verso una sola realtà.


Colpevole.




*****

Stancamente, i miei occhi, cerchiati da delle nere occhiaie, si posano sullo schermo buio del mio telefonino, serrato tra le mie dita sottili e contratte che lo stringono in modo quasi spasmodico.

Un sospiro fievole e lungo, accorato, mi solca subito dopo le labbra dischiuse e screpolate a causa delle innumerevoli volte in cui ultimamente le ho mordicchiate, spezzando il pacato e calmo silenzio della mia camera.

Così diverso dal mio stato emotivo, così turbolento e dilaniante.

Intanto, il violento ed insopprimibile desiderio di vederlo illuminarsi si scontra contro l'inevitabile impossibilità che ciò accada, sgretolandosi fino polverizzarsi del tutto.

L'ho, infatti, spento non appena sono salita in camera mia subito dopo la conversazione con Noah e mia madre, provata e stizzita nel non trovare nessuna sua traccia che indicasse il tentativo di cercarmi.

Non un messaggio, non una chiamata.

Nulla di nulla, quasi fosse sparito nel vuoto senza lasciare traccia.

Arrabbiata e furiosa, ferita, allora, avevo deciso di tagliere tutto e tutti fuori dal mio mondo, non volendo avere a che fare con nessuno.

Divorata dai dubbi mi ero abbandonata sdraiata sul letto, tentando vagamente di prendere sonno o anche solo vagamente di rilassarmi.

Non appena avevo abbassato le palpebre le parole di quell'articolo, i mormori insinuanti di mia mamma e le verità di mio padre, erano, però, riemersi con estrema facilità dalla mia memoria, vorticandomi in testa ed acutizzando a dismisura la mia confusione, portandomi di nuovo a chiedermi dove fosse la veridicità.

Cosa quasi totalmente impossibile da definire. O, forse, semplicemente sono io a non volerla vedere, mi dico, piegando la bocca in una smorfia contrita mentre i miei polpastrelli solleticano la cover blu in plastica che lo ricopre, proteggendolo dai graffi.

Quasi sul punto di piangere avevo ringhiato tra i denti una infinità di imprecazioni, contro di lui, contro me stessa, contro ciò che provo e che non riesco a sopprimere.

Quel sentimento, infatti, è rimasto subdolamente ed in modo ironico l'unica cosa a non essersi annebbiata, rimanendo dolorosamente nitida.

Frustrata, mi ero così ritrovata persino a rifiutare di andare a pranzo non appena mi avevano avvisato che era pronto e che avevano fatto preparare il mio piatto preferito, accampando la scusa di un folgorante mal di testa alla domestica di mia madre, chiudendomi nella mia camera senza fiatare e con lo stomaco in subbuglio, assolutamente priva di appetito o voglia di compagnia.

Agitata ed irrequieta lancio l'ennesima occhiata sconsolata al mio cellulare, riemergendo dalle mie elucubrazioni e posandolo subito dopo al mio fianco, sul copriletto di un intenso bordeaux.

Deglutendo faccio poi vagare lo sguardo intorno a me, tentando disperatamente di occupare almeno per una manciata di secondi la mente, focalizzando il mio precario interesse sul mobilio dell'ambiente.

Rettangolare e dalle pareti di un caldo e delicato color pesca, è fiocamente illuminato dai raggi invernali del sole che filtrano agevolmente dall'ampia finestra alla mia sinistra, posta sul muro più lungo.

Le tende avorio riprendono, invece, i cuscini del letto dalla struttura in mogano su cui sono seduta da una infinità di minuti, così tanti da avermi fatto perdere praticamente la cognizione del tempo.

Esattamente di fronte a me e dello stesso legno, compare un ampio armadio a più ante, alto fino al soffitto bianco ed immacolato mentre alla mia destra, vicino alla porta, vi è un basso mobile con cassettoni, sormontato da uno specchio appeso a quadro dalla elegante e ovale cornice in metallo.

Sul pavimento, costituito dal parquet chiaro, al contrario, è presente un pregiato tappeto persiano, i toni sul rosso scuro e sul verde che aggiungono un tocco di classicità, opera decisamente del gusto raffinato e maniacale di mia madre.

Inspirando profondamente una boccata d'aria permetto al profumo di pulito e di lavanda, tipico delle lenzuola del mio letto, di scivolare nei miei polmoni, deliziandomi fiaccamente.

Tuttavia, il mio distratto rimuginare viene interrotto l'istante dopo, frantumandosi in mille pezzi e congelando momentaneamente i miei dubbi.

Un sommesso bussare, delicato e appena accennato, infatti, mi richiama alla realtà, facendomi sobbalzare spaventata.

Con il cuore, difatti, che pulsa leggermente più insistentemente nella mia cassa toracica sbarro gli occhi, irrigidendo la schiena e contraendo la postura.

Mi volto subito dopo in quella direzione, chiedendomi silenziosamente chi possa essere il disturbatore in questione.

Ipotizzando che sia Violet, la domestica, mandata da mia madre per trascinarmi a pranzo, roteo lo sguardo al cielo, esibendomi in un sonoro sbuffo infastidito e seccato che non trattengo.

- Non ho fame Violet – sbotto, alzando appena il tono della voce qual tanto che basta per farmi sentire senza invitarla ad entrare, lasciandola maleducatamente fuori dalla camera.

Decisamente l'ultima cosa che voglio al momento, infatti, è sorbirmi nuovamente i giudizi di mia madre o altre chiamate di lavoro di mio padre.

Curvando al in giù le spalle non ottengo alcuna risposta, un pacato silenzio che cala nuovamente su di me portandomi a pensare che abbia finalmente capito l'antifona.

Rincuorata, mi volto nuovamente verso la finestra, sfiorando con la punta delle dita i pantaloni del pigiama che ancora indosso.

Svogliata al massimo, infatti, non mi sono ancora cambiata, preferendo rimanere comoda.

Tuttavia, le mie speranze di essere lasciata in pace si frantumano l'attimo seguente, sbriciolandosi dinnanzi all'ennesima interruzione.

Altri brevi e sordi tonfi, infatti, mi disturbano, irritandomi e provocando il mio broncio arrabbiato e stufo.

Già al limite della sopportazione e decisamente non dell'umore adatto stringo le labbra in una linea netta e serrata, indurendo i lineamenti mentre sbatto furiosamente i palmi sul materasso, alzandomi con impeto subito dopo.

Tirandomi in piedi, mi avvicino poi con sguardo omicida verso l'uscio, strisciando appena i piedi sul parquet.

Lo raggiungo l'attimo seguente, appoggiando velocemente la mano sulla maniglia in ottone, pronta redarguire adeguatamente Violet, ed esercitandovi una leggera pressione nel tentativo di aprirla.

Con una torsione semplice e rapida del polso lo schiudo l'attimo seguente, le palpebre minacciosamente socchiuse che accompagnano il mio pallore e la smorfia contrita che mi aleggia in faccia, facendomi apparire probabilmente torva e cupa mentre schiudo contemporaneamente le labbra, pronta a parlare.

Tuttavia, inaspettatamente, le parole mi muoio improvvisamente in gola, spezzandosi in tronco e mandando in fumo totalmente i miei pensieri, annebbiandoli e facendoli scomparire in un angolo remoto del mio cervello.

Basita e scioccata, le mie pupille, infatti, incontrano una figura snella e lanciata ferma ed immobile esattamente davanti a me, già intenta a fissarmi accuratamente con un pallido mezzo sorriso che conosco alla perfezione.

Stordita, sbatto le ciglia, cercando di metterla coerentemente a fuoco mentre il mio cuore perde un battito, trasformando il suo incedere in delle scatenate palpitazioni subito dopo.

Ammutolita, infatti, mi ritrovo a fissare l'ultima persona che mi sarei mai immaginata di trovare alla mia porta, una delle poche che in questo momento ho desiderio e voglia di vedere.

Lui.

- Michael -

Il mio sussurro esce così fievole dalla mia bocca da risultare inudibile quasi alle mie stesse orecchie, il timbro incrinato da una punta di sordo sconcerto che mi disarma, lo stupore che si insinua così velocemente dentro di me da togliermi il fiato, privandomene.

Il magone, violento ed intenso, che avevo fino ad ora arginato con così tanta fatica, torna all'istante a stringermi totalmente.

Più alto di me di una manciata di centimetri, mio fratello mi studia con i suoi occhi identici ai miei sogghignando teneramente, una camicia a quadri blu e un paio di semplici jeans che lo fasciano alla perfezione mentre dei corti capelli castani gli circondano il viso, ora stesi da una pacata e tranquilla espressione che mi rassicura.

Lo sgomento si mischia così velocemente al bene che gli voglio, profondo e forte, andando a confluire celermente in ciò che già provo, emozioni contrastanti e devastanti che mi dilaniano.

Ed improvvisamente, davanti al suo sorriso caldo e al suo sguardo amorevolmente impregnato di affetto e amore nei miei confronti, mi sento quasi crollare vacillando precariamente.

Gli occhi, infatti, si riempiono così velocemente di lacrime da rendere vano e impossibile il tentativo di trattenerle orgogliosamente, il petto che si alza in modo aritmico e frenetico sotto la spinta del respiro spezzato e ansioso mentre un intenso grumo di emozioni mi crolla addosso.

Lo stesso che ho cercato fino ad ora di arginare con un ostinato muro di facciata, tanto orgoglioso quanto inutile.

Boccheggiante mi ritrovo così a non dire null'altro, percependo il pianto farsi incredibilmente imminente e vicino, dei grossi lacrimomi che premono per uscire, rimanendo imprigionate nelle mie ciglia senza scivolare sulle mie guance pallide.

Timidamente fragile e a disagio mi porto immediatamente le mani al viso, affondando il volto nei miei palmi gelidi e freddi, espirando in modo secco e convulso mentre blocco sul nascere dei corposi singhiozzi, soffocandoli.

Ed è proprio questa mia insolita e spiazzante reazione a portare Michael a parlare, abbandonando i convenevoli e facendo svanire nel vuoto il probabile saluto che stava per rivolgermi.

- Ei … Ems – mormora dolcemente chiamandomi con lo stesso nomignolo che usava quando ero piccola, una punta di palpabile angoscia che incrina il suo tono mentre compie una ampia falcata verso di me, raggiungendomi celermente – Cosa succede? - mi domanda apprensivo, appoggiando le mani, ampie e calde, sulle mie braccia, avvolgendomi in uno strano e impacciato abbraccio.

Il suo odore buono, di casa, mi solletica l'attimo seguente le narici mentre persisto a mantenere le mani sul viso, le palpebre serrate nell'angustio tentativo di non piangere.

Non gli rispondo istantaneamente, limitandomi a scuotere unicamente il capo, facendo frusciare i capelli sulle mie esili spalle mentre rimango curvata leggermente in avanti.

Sospirando pesantemente e comprendendo probabilmente il mio stato emotivo incerto e frustrato, non aggiunge nulla, facendo scivolare gli avambracci intorno alla mia vita, serrando maggiormente la morsa sul mio corpo.

Deglutendo a fatica tento disperatamente di tenere sotto controllo i miei sentimenti ingovernabili e irascibili, acconsentendo docilmente a questo contatto premuroso e tenero.

Sconfortata e avvilita, difatti, appoggio il viso sul suo petto, il calore della sua pelle ben percepibile nonostante il leggero strato di tessuto che la ricopre mentre permetto alle mie dita di scivolare via dai lineamenti del mio volto, scoprendolo completamente.

Interminabili attimi, intercorrono, alimentando il rigoroso silenzio che avvolge il corridoio, prima che io riprenda flebilmente a parlare, ribattendo finalmente al suo quesito.

- E' successo un casino – mi limito a mormorare in modo schivo e convulso, masticando quasi le lettere tra i denti mentre mi ritrovo a stringere le braccia al seno, rannicchiandomi quasi contro di lui.

Tormentata ed inquieta non dico altro, chiudendomi in un breve mutismo mentre i ricordi e i fatti che hanno riempito le ultime ore mi invadono corposamente la testa, annebbiandomi nuovamente la razionalità.

Michael, tuttavia, riprende a parlare l'istante seguente.

- Lo so, è stata la seconda cosa che nostra madre mi ha detto dopo “ciao” - mormora al mio orecchio, borbottando con la solita ironia che lo contraddistingue, tentando forse di strapparmi un sorriso che non compare sul mio viso.

Tutto ciò che tende le mie labbra è una lieve smorfia. Non dubito, infatti, che mia mamma lo abbia assalito non appena ha messo piede in casa, investendolo probabilmente con un fiume di improperi verso Andrew e ciò che ci sta succedendo.

Tuttavia, è proprio questo filone di pensieri a suscitarmene un altro, portandomi ad aggrottare confusamente la fronte mentre persisto nel sentirmi dilaniata interiormente, una riflessione che emerge tra le altre attraversandomi fugacemente la mente.

Cercando, infatti, di ignorare ciò che provo e di ingoiare il nodo di sensazioni che mi opprime, allontano leggermente il volto da lui, alzando il capo quel tanto che basta per guardarlo in viso.

- Ma tu che ci fai qui? - soffio stordita, ricordando solo ora che lui dovrebbe essere in giro per l'Europa con la sua fidanzata invece che a New York, cambiando intanto abilmente discorso e virando altro la sua attenzione.

Nonostante Michael abiti lontano da me da quando ha finito il college, andando a lavorare a Washington non ci siamo allontanati, finendo per informare l'altro su tutti i nostri spostamenti o a aggiornarlo sulle cose che ci accadono, rimanendo molto legati.

Lui, si esibisce in una leggera espressione disinteressata e semplice , facendo unicamente spallucce.

- Grace doveva tornare a Washington per questioni di lavoro – mi spiega, riferendosi alla sua fidanzata, con cui convive da ormai un paio d'anni, oltre che collega e di cui sono stata i primi mesi terribilmente gelosa – Così ho pensato di tornare a casa per un paio di giorni, sono ancora in ferie – conclude, rivolgendomi debolmente un ghigno mentre mi scruta quasi febbrilmente, i segni della mia sofferenza che non devono probabilmente passargli inosservati.

Soffiando pesantemente l'aria tra i denti, infatti, appoggia una mano sulla mia guancia, percorrendola con una amorevole carezza con il pollice fino a sfiorare la linea della mia mandibola, tesa e contratta.

In risposta, io mi limito unicamente ad annuire debolmente, non riuscendo a non invidiare la felicità che scorgo nelle sue iridi, profonda e concreta, reale.

La stessa che provavo io fino a qualche giorno fa, boccheggio mentre l'ennesima fitta di rabbia e delusione si riversa nelle mie vene, pervadendo ogni singola cellula del mio corpo.

La stessa che era frutto di un inganno? Mi domando dubbiosa, le incertezze che tornano prepotentemente ad attanagliarmi, spietate e taglienti, finendo di fatto per approfondire l'insanabile ferita che si è aperta dentro di me, incredibilmente simile ad una voragine.

- Ora, perchè non ci sediamo e mi racconti con calma cosa è successo? - mi riscuote improvvisamente lui dai miei turbamenti, portandomi a far scontrare i nostri sguardi incredibilmente uguali mentre soffia morbidamente le parole, temendo quasi di spaventarmi o portarmi a chiudermi a riccio in me stessa.

- Non c'è molto da dire – mormoro mestamente, non scorgendo in lui alcuna traccia di giudizio o arrabbiatura oltre ad un sconfinato affetto che in qualche modo mi rincuora debolmente, scaldandomi – Ma va bene – acconsento infine con un sospiro, incapace di negargli qualcosa e di ribattere ulteriormente, cedendo unicamente.

Mutamente, compio poi un istintivo passo indietro, allontanandomi di conseguenza da lui mentre abbasso gli occhi, guardando la punta delle mie ciabatte mentre mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Michael, rivolgendomi una breve occhiatina di sottecchi, si richiude pacatamente la porta alle spalle l'istante seguente, creando la giusta intimità per permetterci di conversare in tutta tranquillità.

Precedendomi, mi supera subito dopo con un paio di ampi passi, andandosi a sedere sul bordo del mio letto.

Senza esitare ulteriormente lo seguo l'attimo seguente, prendendo posto al suo fianco.

- Ho letto l'inchiesta che hanno pubblicato sul New York Times – esordisce dopo una manciata di secondi di silenzio, guardandomi accuratamente in faccia – Ci sono andati giù pesanti – constata mentre io annuisco, ogni singola parola di quel trafiletto marchiato a fuoco nella mia mia memoria, in modo concreto ed indelebile.

Doloroso.

- Già – mi limito unicamente a ribattere, asciutta e schiva, non sapendo cosa altro dire.

O, forse, non avendo semplice voglia di aggiungere niente.

Michael, riservandomi una lunga e discreta occhiata nel tentativo di studiarmi e comprendere cosa mi frulli per la testa, sospira nuovamente, riuscendoci senza troppo impegno.

Fin da quando eravamo bambini, infatti, non ha mai fatto molta fatica a comprendere i miei stati d'animo o se c'era qualcosa che non andava, riuscendo anche ad intuirlo, a volte, prima di me, interpretando correttamente i miei atteggiamenti o anche solo le mie smorfie.

Sono una sorta di libro aperto per lui, realizzo cupamente.

Esattamente come lo sono per lui, mi ricorda velocemente una vocina petulante e fastidiosa nella mia mente, ferendomi a dismisura e portandomi irrazionalmente a tendermi.

Raddrizzando la schiena, infatti, stringo quasi spasmodicamente tra le dita il bordo della mia maglietta, arricciandola fino a spiegazzarla e contraendomi disperatamente in contemporanea mentre una marea di pensieri e domande mi affollano il cervello, inebetendomi.

Mi tolgono ogni briciola di lucidità quasi, non opponendo alcuna resistenza ai sentimenti che mi abitano, non ponendomi freno.

È stato proprio questo a rendergli così facile sedurmi e sfruttarmi a suo piacimento? Mi chiedo all'istante, non riuscendo a frenare l'istinto di questo quesito così spontaneo e carico di stordente confusione. Così vero, così amaro.

Non sapendo darmi una delucidazione o, forse, più semplicemente, non volendo farlo, scrollo leggermente il capo mentre i suoi occhi scuri continuano ad accarezzare il mio profilo, lambendomi a distanza e in modo silenzioso.

- Comunque – riprende improvvisamente a parlare dopo un breve attimo di esitazione, stringendosi debolmente tra le spalle mentre io alzo il volto, tornando a guardarlo in faccia, ansiosa di sapere cosa abbia da dirmi e finendo per specchiarmi unicamente nelle sue iridi, amorevoli e sincere.

Pervase da una punta di palpabile quiete, tenta quasi di infondermela guardandomi, senza, tuttavia, riuscirci.

Non credere a tutto quello che dicono i giornali – mi consiglia onesto e tenero, piegando appena il viso di lato nel tentativo di fissarmi più agevolmente mentre, contemporaneamente, appoggia entrambi i palmi sul copriletto rosso scuro del letto, sfregandoli appena in un gesto che tradisce il turbolento nervosismo che agita anche lui.

Stringendo le labbra, seguo spontaneamente questo suo gesto fugace, perdendomi simultaneamente tra le mie riflessioni, quasi come se facessi fatica a rimanere concentrata per più tempo su un argomento.

Non accorgendosene, lui ribatte ancora, continuando il discorso.

Lo sai, che gonfiano le cose – afferma nuovamente, rammaricato e trasparente, dinnanzi alla mia occhiataccia scettica e sarcastica, rivelandomi una veridicità che questa volta non sembra coincidere con la realtà.

Dissentendo, difatti, arriccio la bocca in una sfacciata e lampante smorfia ironica, che non mi affretto a nascondere, inarcando simultaneamente un sopracciglio corvino, un ciuffo di capelli che mi solletica goffamente la guancia senza, però, essere scacciato.

- Non questa volta – mi impunto laconica e sibillina con un filo di voce, spezzata e così debole da risultare impalpabile – Sembra essere tutto vero – concludo infine, incassando la testa e chiudendomi allo stesso tempo in uno statico e torvo mutismo, un'ombra torva che cala sui miei tratti, oscurandomi velocemente.

Purtroppo, aggiungo nell'intimo silenzio del mio cervello, non riuscendo a non dispiacermi per la situazione in cui sono sprofondata mio malgrado.

Rabbia e frustrazione si mischiano nuovamente al dolore a questa considerazione, creando un sentimento bruciante e divorante che mi dilania, scuotendomi tormentosamente senza lasciarmi scampo.

È come un fuoco ardente e vorace che mi consuma attimo dopo attimo, attirandomi tra le sue spirali soffocanti fin quasi a soffocarmi.

Cercando di non badarvi accavallo debolmente le gambe, un movimento impercettibile mentre spero simultaneamente che il discorso sia caduto di conseguenza nel vuoto, non avendo alcuna voglia di parlare di lui o di discutere ancora.

Ancora una volta, difatti, il desiderio di rimanere da sola si insinua celermente dentro di me, portandomi a rifuggire quasi la sua compagnia.

Mio fratello, in tutta risposta e non dandomela assolutamente vinta, sbuffa sonoramente contrariato, quasi indispettito dal mio mormorio, portandomi a corrucciare la fronte e scrutarlo per nulla dell'umore di essere contraddetta. Tutt'altro.

Roteando gli occhi al cielo, infatti, si esibisce in una espressione quasi seccata, riprendendo a parlare subito dopo.

- Emma, la storia di Kate non ti ha insegnato nulla? - mi rimbecca, andando a picchiare su un mio lampante tasto dolente mentre mi chiama stranamente per nome, non usando nessun nomignolo questa volta.

Riferendosi sfacciatamente, difatti, a ciò che è successo con Kate e a come io avessi praticamente frainteso la loro vicinanza e la presenza dei suoi nipoti con la possibilità che fossero sposati e che avesse una famiglia, fa leva su questo fatto, sottolineando taglientemente come io avessi confuso tutto, finendo per creare una situazione che neanche esisteva.

Colta in contropiede mi imbroncio appena, offesa e stupita dal suo bonario attacco volto in qualche modo ad rendermi più lucida.

- Anche allora sei saltata subito alle conclusioni – mi ricorda, rimproverandomi dolcemente mentre allude chiaramente agli innumerevoli sfoghi che avevo avuto con lui, tenendolo per parecchie ore al telefono senza riuscire a cavarne un ragno dal buco.

Alla fine, mi era stato incredibilmente di aiuto, consentendomi di schiarirmi le idee o anche solo di liberare un po' il nervosismo che mi attanagliava.

È stato, infatti, partecipe di tutte le tappe che ho attraversato con Andrew, dall'iniziale antipatia che ho avuto all'ospedale nei suoi confronti agli aspetti più romantici ed intensi, sentimentali, del nostro rapporto.

E lo è anche di questa situazione, purtroppo.

Questa volta, infatti, non sono saltata alle conclusioni prima di avere gli elementi per avere una opinione.

Non mi sono inventata tutto, non ho fantasticato nulla di diverso da ciò che costituisce la realtà.

Le parole sono stampate nero su bianco su milioni di copie di giornali, incontrovertibili e incontrastabili, presentano delle prove tangenti di un qualcosa di devastante.

Indispettita e pervasa da un sordo sgomento dal suo difenderlo scuoto nuovamente la testa, così vigorosamente da far ondeggiare i capelli sulle mie esili spalle, ribattendo irata.

- Questa volta, però... - incomincio subito dopo a parlare, iniziando un discorso che muore sul nascere, venendo bruscamente interrotta l'attimo seguente da mio fratello.

- Ci possono essere migliaia di spiegazioni, Ems – afferma deciso e determinato muovendo la mano in un gesto secco che sferza l'aria, infervorandosi.

Colta di sorpresa dal suo modo autorevole e pacato al tempo stesso di parlare non dico nulla, stringendomi unicamente tra le spalle, non sapendo cosa dire.

Comprendendo forse di essere stato leggermente brusco lui gonfia il petto con un respiro profondo, socchiudendo leggermente le palpebre nel tentativo di adocchiarmi in modo più dolce e delicato, tranquillizzandosi.

Ed è solo nel momento stesso in cui si allunga verso di me, appoggiando una braccio intorno alla mia vita nel tentativo di stringermi a se, che comprendo che la sua frase e l'impeto con cui l'ha pronunciata sono state dettate dal bene che mi vuole e dal dispiacere scaturito dal vedermi abbattuta e triste per un qualcosa di neanche totalmente certo.

E il consueto tormento torna a scuotermi.

Colpevole o innocente?

- Mi hai detto che voleva creare anche un'area per i parenti dei malati – esordisce dopo un attimo di totale quiete, il timbro ora più caldo e tranquillo, impregnato di serena calma che però non riesce ad estendersi anche a me, lasciandomi avvolta dall'ansia e dall'inquietudine.

Annuisco, mentre dalla mia memoria riemergono i ricordi di quella chiamata, fatta quasi nel cuore della notte, e in cui gli avevo raccontato elettrizzata tutto ciò che mi aveva mostrato.

Così felice … così ingenua, considero amaramente.

Era una bugia anche quello? Mi domando nuovamente, non sapendolo stabilire con assolutezza. O era tutto vero?

Sempre più priva di certezze, come se la terra venisse a mancarmi all'improvviso e senza avvertimento sotto i piedi, vacillo confusa tra i miei pensieri, il torace che si alza in modo aritmico sotto l'ansare irregolare del mio respiro spezzato, reso più pesante dal magone che mi occlude la gola non dandomi tregua neanche per un minuto.

- Ecco, magari ha cambiato la destinazione dei terreni semplicemente per questo motivo – mi spiega, persistendo nel stringermi a se, rafforzando la presa e dimostrandomi di fatto di aver letto l'articolo del New York Times visto che io non ho assolutamente menzionato questa cosa.

Non badandovi troppo, tuttavia, mi limito a mantenere gli occhi bassi, affondando i denti nel mio labbro inferiore, indecisa e interdetta, non riuscendo nuovamente a governare l'insieme di emozioni che mi abitano spietate e non riuscendo a stabilire una linea netta tra verità e finzione.

- Non lo so – mormoro onesta e limpida in un sussurro appena udibile con un filo diretto tra bocca e cervello, le lacrime che tornano pungenti a premere all'angolo dei miei occhi, così tumultuose e intense da incrinare il mio tono, spezzandolo di netto – Sono così... confusa e stanca... non so cosa pensare – ammetto totalmente sincera, sconsolata e afflitta mentre mi porto nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, non sapendo più dove sbattere la testa.

Perchè è così, non so cosa fare, cosa dire o a chi credere.

Non so niente di niente.

Mi sento come staticamente bloccata in questo stato d'animo, stordimento e tristezza che si fondono, unendosi e rendendomi priva di difese e fragile, quasi sgretolata dalla morsa spietata della realtà, qualunque essa sia.

Vorrei urlare, disperarmi, insultarlo eppure non riesco a fare nulla di tutto ciò, rimanendo immobile, il calore dei suoi gesti che quasi neanche mi sfiorano, non intaccandomi.

- Ems, puoi fare solo una cosa: parlare con lui – soffia mesto, accorato, probabilmente provato dal vedermi in questo stato pietoso, cercando affannosamente di consolarmi ed indicarmi contemporaneamente una via sicura da intraprendere per risolvere tutto questo caos.

So perfettamente che questa, con tutta probabilità, è la soluzione migliore per fare nitidezza, ma, in qualche contorto modo, ne sento al tempo stesso il bisogno e ne ho anche quasi paura.

Il timore di avere la conferma riguardo ciò che hanno scritto sul quotidiano, di scoprire come non siano solo semplici parole ma anche fatti, mi raggela, terrorizzandomi letteralmente e approfondendo lo squarcio che si è aperto dentro di me.

Ho il terrore di scoprire che non mi abbia mai amato, boccheggio dolorante, incapace quasi di respirare al momento mentre questa melanconica e tagliente coscienza mi ferisce maggiormente.

Comprendendo il mio stato emotivo Michael soffia costernato l'aria trai denti, riprendendo a parlare mentre io sbatto le palpebre, scacciando orgogliosamente e in modo tenace il pianto imminente.

- Andrew, ti ha chiamata? - mi chiede poi di punto in bianco, interrompendo il flusso delle mie elucubrazioni mentre flette appena la voce, ammorbidendola e virando leggermente il fulcro del discorso.

- No – mormoro flebilmente all'istante, sempre più cupa e sconfortata mentre una smorfia triste mi solca il viso, curvando le mie labbra – Ma ho spento il telefono – gli dico, alzando leggermente lo sguardo fino a farlo scontrare con il suo, permettendomi di leggermi totalmente – Ma ha il turno in ospedale, quindi sapevo già che non ci saremmo sentiti – aggiungo sincera subito dopo, notando una cosa che in un altro momento non mi sarebbe parsa strana, non riuscendo a pronunciare il suo nome ad alta voce.

Troppo doloroso.

Michael annuisce lentamente, comprendendo appieno cosa voglio dire, cosa le mie frasi incerte nascondono.

Sul punto di parlare, schiude poi la bocca, le parole, però, che gli rimangono bloccate in gola dal momento che veniamo l'attimo seguente bruscamente interrotti.

Un insistente bussare, vigoroso e deciso, contro la superficie esterna della porta, infatti, richiama corposamente la nostra attenzione, portando entrambi a voltarci in quella direzione.

Corrucciando la fronte sbuffo, chiedendomi chi diavolo sia nuovamente a disturbarmi.

Cosa che oggi sembra capitare fin troppo frequentemente.

La soluzione, però, arriva esattamente un paio di secondi dopo, scacciando almeno questi dubbi dalla mia testa.

- Emma, sono Sam – la voce squillante della mia amica arriva nitida e limpida nonostante lo strato di legno che ci separa, autoritaria e decisa, facendola apparire quasi indispettita mentre si fa, di fatto, riconoscere – Apri – mi intima nuovamente dopo un attimo, facendo sghignazzare divertito mio fratello al mio fianco per il modo quasi dittatorio con cui lo fa.

Roteando brevemente gli occhi al cielo mi alzo subito dopo, un pallido sorriso che aleggia sul mio viso nel constatare come non mi abbia dato retta.

Contravvenendo a ciò che le avevo detto per telefono, infatti, è venuta comunque qui, nonostante avessi espresso la lampante volontà di rimanere da sola.

In effetti, oggi nessuno sembra darmi retta, sospiro pesantemente mentre mi avvicino alla porta, aprendola con un gesto veloce e rapido.

Il suo viso a forma di cuore e la sua occhiataccia verde smeraldo preoccupata compare davanti a me l'attimo seguente, la sua figura fasciata da un corto cappotto grigio che si staglia a una manciata di centimetri di distanza da me.

Con i capelli raccolti da una alta coda e il corpo fasciato da una semplice tuta nera, decisamente non da lei, mi fissa insistentemente, sgranando leggermente le iridi, apparendo totalmente struccata.

Tuttavia, sorprendendomi, mi scocca una severa occhiata l'attimo seguente, non accorgendosi apparentemente di mio fratello, che rimane in un rigoroso silenzio alle mie spalle.

L'ansia affettuosa scivola velocemente via dai suoi tratti, lasciando il posto ad un violento nervosismo.

- Non mi rispondevi al telefono – sbotta arrabbiata, visibilmente scocciata mentre incassa il capo, un sacchetto bianco che pende dal suo polso mentre mi rimbecca– Mi sono preoccupata!- infierisce ancora, infervorandosi mentre io non ribatto nulla, non avendone semplicemente le forze.

Senza aspettare una mia affermazione lei mi sorpassa subito dopo, entrando nella mia camera con una semplice ed unica falcata.

- Ciao Sam – mormora proprio l'attimo seguente Michael, palesando la sua presenza.

Notandolo unicamente ora lei si blocca improvvisamente, fermandosi proprio a qualche metro dal letto, fissandolo sbigottita.

Una ondata di rossore ed imbarazzo la coglie l'istante seguente, facendola arrossire corposamente mentre, contemporaneamente, ricordo distrattamente la cotta che si era presa per lui quando ci siamo conosciute. Forte e fugace, arriccio la punta del naso.

Neanche questa considerazione divertente, tuttavia, riesce a spezzare il mio stato d'animo angosciato, constato mentre chiudo l'uscio con un lieve tonfo.

- Michael! - lo riconosce esaltata e improvvisamente allegra l'attimo dopo, aprendosi in un ampio sorriso mentre si avvicina al materasso, appoggiandovi sopra il sacchetto con un leggero scricchiolio.

Si volta poi l'istante seguente leggermente verso di me con una piccola torsione, tornando a guardarmi direttamente in faccia.

- Ti ho portato le tue patatine preferite – mi dice dolcemente, ammorbidendo teneramente il tono, alludendo al gusto piccante e salato che adoro – Pacchetto extra – sogghigna debolmente mentre io annuisco, incrociando le braccia sotto il seno.

Intanto, il calore dovuto al bene e alle premure delle persone che ho intorno non mi scalda, lasciandomi gelidamente angustiata, quasi fossi sul punto di soffocare.

- Grazie – soffio in un unico e laconico sussurro lieve e pacato, deglutendo mentre percepisco lo stomaco chiuso da una morsa stretta – Ma non ho molta fame – aggiungo subito dopo, rimanendo staticamente immobile.

Sam mi rivolge allora una lunga occhiata, scrutando attentamente la mia espressione contrita e afflitta.

Michael, invece, dal canto suo, non ribatte niente, limitandosi unicamente a sedersi meglio sul bordo del letto, cercando forse una posizione più comoda e agevole.

- Dovresti mangiare – non desiste lei, insistendo testardamente mentre allarga appena le braccia, assottigliando le labbra in una linea netta ed accorata – Quando si tratta di problemi di cuore è la cosa migliore, guarda – prova a scherzare subito, tentando probabilmente di strapparmi un sorriso senza, tuttavia, riuscirvi.

Irrazionalmente, mi irrigidisco davanti a questa sua innocente ed innocua battutina, percependola incredibilmente simile alla realtà.

Me lo ha completamente pietrificato il cuore, annaspo.

Indurendo i lineamenti la trafiggo con una occhiataccia al vetriolo, i miei occhi lucidi che mandano lampi furenti mentre la fulmino, prendendomela incomprensibilmente con lei che, invece, non c'entra nulla.

- Direi che questo è decisamente di più che un semplice problema di cuore – la raggelo, smorzando sul nascere il suo sussurro divertito, per nulla divertita.

Lei, tuttavia, non sembra offendersi, scrollando le spalle mentre si sfila la giacca, lasciandola cadere con un sordo tonfo sul copriletto.

- Si, beh, è un gran bel casino in effetti– mormora mestamente mentre mio fratello si passa la mano sulla nuca, limitandosi a rimanere in ascolto - Ma, non credo ad una parola di quello che hanno scritto sul giornale – mi dice dopo un attimo di esitazione, sedendosi con un sospiro pesante sul letto, vicino a Michael, senza mai smettere di guardarmi neanche per un secondo – Né riguardo tuo padre, né riguardo Andrew – aggiunge ancora, facendomi assottigliare minacciosamente lo sguardo, in modo quasi pericoloso, mentre sottolinea ciò che pensa senza troppe remore o accortezze, finendo per essere diretta e sincera come sempre.

Una istantanea ondata di rabbia e nervosismo davanti al suo difenderlo mi coglie subitanea, riversandosi copiosamente nelle mie vene, annebbiandomi quasi la vista a causa della sua intensità.

- Sam, non iniziare per favore – sbuffo seccata, sottolineando la mia volontà con un gesto secco e violento della mano, sferzando l'aria.

Non sono, infatti, per nulla dell'umore di parlare di lui, di sorbirmi i suoi commenti di difesa.

Decisamente, è l'ultima cosa di cui ho bisogno al momento.

Deglutisco, sentendomi incredibilmente irrequieta e a disagio sotto il loro adocchiarmi in modo scrutatore, attenti e accurati quasi volessero leggermi dentro per capire cosa provo.

Ma la verità è che troverebbero unicamente il vuoto, null'altro.

- Non inizio, dico solo che non credo che sia come scrivono – si difende tempestivamente lei, stringendosi tra le spalle mentre mi muovo leggermente sul posto – Ci potrebbero essere molte spiegazioni, non è detto che proprio sia come dicono – conclude, ricalcando di fatto le stesse identiche parole che mi ha detto anche Michael, solo qualche attimo fa.

Come se non bastasse, proprio lui le dà man forte subito dopo.

- Gliel'ho detto anche io – borbotta, intervenendo finalmente nel nostro battibecco e guadagnandosi la mia occhiata risentita.

Specularmente, Sam, invece, si volta verso di lui, illuminandosi debolmente in viso, visibilmente rasserenata nel trovare un alleato per una battaglia persa in partenza.

- Mike, dovresti vedere come la guarda Andrew quando sono insieme – afferma concitata lei, così convinta e sicura nel parlare da apparire quasi come stesse comprovando una tesi.

A questo suo commento una invisibile stilettata mi trafigge il petto, perforandomi il cuore e togliendomi il fiato, le immagini di tutti i nostri momenti dolci e passionali che mi invadono corposamente la mente, proiettandosi davanti a me e ferendomi incredibilmente.

Con quell'organo traditore che pulsa agitazione e melanconia freneticamente dentro di me punto lo sguardo sulla punta delle mie ciabatte, stringendo maggiormente le braccia al seno, quasi a volermi proteggere da questo sentimento dilaniante.

Il desiderio di voler scomparire che diventa più insistente, petulante.

- E' sempre stato perfetto nei suoi confronti – bofonchia ancora, snocciolando frase dopo frase, come se fosse incapace di fermarsi mentre fa come se io non ci fossi, giustificandolo - A me sembrava davvero innamorato – aggiunge infine mentre lui annuisce, ascoltandola attentamente.

Quasi a limite della sopportazione inspiro lentamente una lunga boccata d'aria, non riuscendo a calmarmi, le mie mani strette a pugno che sono perfetto emblema della mia rabbia, della furia che si scatena dentro di me, finendo per immobilizzarmi inspiegabilmente.

La stessa che vibra sulla mia pelle, facendomi sentire ancora una volta quasi gelata, ghiacciata da un sentimento più forte e potente di quello che io posso combattere.

- Si, da come me ne ha parlato Emma sembrava una brava persona – conviene lui, il tono grave ma tranquillo che finisce irrimediabilmente per snervarmi, portandomi ad espirare in modo secco e concitato – E se mio padre gli ha dato fiducia vuol dire molto – conclude cripticamente, riferendosi alle possibilità che mio papà gli ha dato, prendendolo da subito in simpatia.

Perchè lo fanno? Perchè lo difendono a tutti i costi? Mi domando istantaneamente, la razionalità annacquata da una marea di sensazioni travolgenti, disarmanti.

Ed è proprio questo, in qualche modo, ciò che fa traboccare definitivamente il vaso, l'ultima goccia che non riesco ad assorbire o sopportare.

Quasi come fosse composto da fragilissimo e delicato cristallo, il contenitore delle mie emozioni scoppia, frantumandosi in mille pezzi e permettendo a tutte le emozioni che vi avevo faticosamente racchiuso di fuoriuscire copiosamente.

E semplicemente sbotto, al limite della tolleranza

- Anche nostro padre ha diritto a sbagliare – sibilo tagliente e fredda - E magari anche questo suo essere così perfetto faceva parte del suo piano – gelo entrambi con una risposta secca e tagliente, le parole così acuminate che vibrano nell'aria.

Entrambi mi guardano quasi sbigottiti, sorpresi dalla sofferenza e dalla rabbia di cui è impregnata la mia frase, di come il mio tono vacilli.

Con gli occhi lucidi, nuovamente pieni di lacrime mal trattenute, arriccio le labbra, congedandomi mentre il desiderio di rimanere da sola a cercare di fare chiarezza nei miei pensieri diventa praticamente una necessità.

- Vado a farmi la doccia, ora – affermo in un sussurro, deglutendo a fatica.

Senza dire nulla o aspettare risposta mi giro, appoggiando la mano sulla maniglia in ottone senza prendere alcun cambio dall'armadio, facendovi leggermente pressione per abbassarla.

Apro subito la porta, uscendo velocemente nel corridoio con un ampio e strascicato passo per dirigermi verso il bagno, i loro consigli e le loro parole che conducono ad una sola sentenza.

La stessa che agogno disperatamente sia vera, ma che risulta anche incredibilmente difficile, quasi impossibile.

Sospiro.


Innocente.





*****

Strisciando fiaccamente le pantofole sulle piastrelle grigio fumo entro svogliatamente nel bagno, il magone che mi occlude la gola e il respiro che fa quasi fatica a raggiungere i miei polmoni mentre un odore di pulito e gelsomino mi solletica le narici, portandomi ad arricciare irrazionalmente la punta del naso.

Esitante, rimango momentaneamente immobile sull'uscio, disorientata e con ancora la mano appoggiata alla maniglia, mentre i miei occhi socchiusi guardano senza vederlo davvero ciò che ho davanti.

Quasi priva di forze e con le spalle curvate al in giù, come se un peso vi gravasse concretamente sopra, sbatto le ciglia, mettendo a fuoco l'ambiente spazioso e rettangolare che mi accoglie subitaneamente.

Con ancora il cuore che pulsa agitato dentro di me, le mie pupille incontrano l'attimo seguente il mobilio semplice e lineare che lo adorna, i muri di un tenue grigio chiaro, che contrastano contro il pavimento di una tonalità più scura.

I faretti posti sul soffitto bianco che illuminano fiocamente la stanza mentre, alla mia sinistra, compare un basso mobile in legno nero e, ai lati, varie mensole dello stesso colore che fanno bella mostra di se sull'intonaco, occupate interamente da alcuni profumi e vari sali da bagno ornamentali delle più svariate sfumature di azzurro e blu.

Decisamente dovuti al gusto estroso di mia madre, non reprimo la smorfia contrita che spezza la mia espressione neutrale, incolore.

Poco distante, vi è poi una doccia dalla base squadrata, il cristallo delle sue pareti che brilla appena a causa del chiarore, apparendo incredibilmente lindo e contrastando con la sua struttura in metallo, mentre sul fondo della stanza sono presenti i sanitari.

Riscuotendomi emetto poi un tremolante sospiro, entrando subito dopo nella camera, richiudendo la porta con un sordo e ovattato tonfo.

Un corposo silenzio mi circonda nuovamente l'attimo seguente, avvolgendomi tra le sue suadenti spirali mentre l'eco delle parole di tutte le persone che oggi mi hanno dato consigli o pareri continuano a rimbombare nella mia testa, creando un opposto vociare.

Lo stesso che mi ha causato un petulante mal di testa, sbuffo indispettita portandomi le dita alla tempia, massaggiandola lentamente nel vado tentativo di farlo svanire.

Cosa che, però, non accade visto che il suo pulsare rimane intatto, petulante e violento a provocarmi un irritante fastidio.

Stravolta, muovo poi i polpastrelli, facendoli scivolare sulla mia fronte e compiendo dei piccoli e circolari movimenti nel vano tentativo di rilassarmi, di svuotare la testa.

Ma non ci riesco, purtroppo, tutti i dubbi rimangono subdolamente ancorati dentro di me, alimentati da una mole disarmante di considerazioni e domande.

E la voragine dentro di me si dilata attimo dopo attimo, approfondendo lo squarcio che si è creato.

La ferita che mi ha inflitto continua a sanguinare copiosamente, bruciando e diventando sempre più profonda ed irrecuperabile, creando una emorragia di emozioni e sentimenti che fatico a contenere, a tamponare.

Lo sgomento iniziale, il drammatico stupore che mi aveva travolto nel leggere quell'articolo è lentamente svanito via mentre all'essere basita si è sostituita una intensa rabbia, forte e travolgente.

Rabbia contro chi lo accusa, contro chi lo difende e contro di lui.

Stringo la mano, abbandonata lungo il fianco, a pugno, irrigidendomi mentre un sinistro e sincero pensiero mi trafigge, attraversandomi celermente la testa come un fulmine a ciel sereno.

Rabbia contro me stessa, realizzo abbattuta e al tempo stesso indispettita, rendendomi conto che la furia che provo è rivolta in gran parte verso di me, un po' per essere stata così ingenua da non accorgermi assolutamente di nulla e un po' per ciò che non riesco a smettere di provare verso di lui.

Un sentimento troppo pulito, troppo sincero e amorevolezza. Semplicemente troppo.

Nonostante tutto, infatti, non riesco a smettere di amarlo, di sentirmi intimamente legata a lui e la consapevolezza che tutto questo potrebbe essere dovuto ad qualcosa di fittizio, ad una recita organizzata ad arte non fa che farmi sentire terribilmente peggio, avvilita e addolorata.

Quasi masochisticamente il mio cervello mi porta a ripercorrere silenziosamente tutte le cose che mi ha detto, i momenti che abbiamo condiviso e tutte le spiegazioni che mi ha dato riguardo le mie schive incertezze.

Le stesse a cui non mi ero abbandonata, credendo a lui. Fidandomi.

Era fondate, allora? Non riesco esimermi dal chiedermi onestamente stordita, non essendo in grado di comprendere se il mio istinto mi abbia portato ad essere diffidente o, unicamente, la mia sconcertata affinità con lui mi abbia tradito.

Stringo le labbra in una linea netta e contrita, muovendomi leggermente e in modo angoscioso per il bagno fino a raggiungere il lavandino in ceramica bianca, ovale e sormontato da un rubinetto in acciaio.

Nessun rumore intacca l'insolita bolla di quiete in cui sono sprofondata.

Così insolita, così triste.

Sentendomi quasi in precario equilibrio emotivo, come se stessi camminando sul precipizio di un burrone, affondo gli incisivi nel mio labbro inferiore fino a percepire una catartica sensazione di dolore, il ferroso gusto del sangue che mi invade il palato.

Lo stesso bisogno che mi ha spinto ad abbandonare Sam e mio fratello nella mia camera, sbigottiti e preoccupati per il mio scontroso comportamento, si tramuta ora velocemente in uno spossante senso di malinconia, finendo di fatto per acutizzare la mia tristezza.

Non mi fa sentire bene, tutt'altro.

Mi sento desolatamente sola, abbasso lievemente le palpebre, la fiducia tradita che dole terribilmente dentro di me.

E i pensieri, che persistono nel non darmi pace, non fanno altro che rendere maggiormente devastante questa situazione.

Vorrei semplicemente potermi spegnere, chiudere tutto il resto fuori dalla mia testa e rimanere semplicemente immobile, farmi scivolare ogni cosa sulla pelle senza percepirne la scottante bruciatura che lasciano dietro di se, senza soffrirne così tanto.

Perché fa così male? Mi domando, difatti, non potendo quasi sostenere questo dolore così vigoroso e tagliente che, indifferente e spietato, continua ad affondare la sua lama nel mio cuore, distruggendomi sempre di più.

E la risposta, una delle poche della giornata, purtroppo, arriva chiarificatrice l'attimo seguente.

Perché lo amo. E nonostante tutto non mi pento di farlo, di provarlo.

Deglutisco a fatica, stringendomi fragilmente tra le braccia senza riuscire a sopprimere una ondata più poderosa di questa emozione, raggelante e bollente al tempo stesso.

Perché, se da un lato porta con se una sottile ventata di piacere, dall'altro mi investe in pieno con la veridicità dei fatti, che decisamente parlano chiaro e che sottolineano come, per lui, invece, sia stato tutto una partita pianificata a tavolino.

Spossata e con quel subdolo e traditore muscolo, che non smette di pulsare per lui, stretto da una morsa ghiacciata e stritolante, deglutisco a fatica, scoprendo la gola secca e la bocca impastata.

La stessa identica malinconia che era subentrata all'ira torna ad agitarsi amaramente dentro di me, facendomi sentire incredibilmente prossima a cedere.

Ne ho quasi il timore, paura di abbassare quel muro di contenimento che ho irrazionalmente alzato per proteggermi non rendendomi conto che ormai è troppo tardi per farlo, per difendermi da un qualcosa che ormai è così radicato dentro di me, così importante.

Lui lo è.

Ha preso involontariamente possesso della mia mente, del mio cuore e della mia anima senza che quasi io me ne accorgessi.

E ancora una volta questo comporta un sibilante quesito che non riesco a decifrare.

Colpevole o innocente? Che ruolo ha in tutta questa storia Andrew?

Torvamente inquietata dalla mancanza di delucidazioni soffio l'aria tra i denti, lo sguardo che irrazionalmente si è posato sul lavandino senza realmente vederlo mentre tutte queste elucubrazioni mi pungolano disgraziatamente.

E il desiderio di non provare nulla almeno per una frazione di secondo diventa così violenta da diventare un bisogno.

Cosa che non sembra essermi consentita, o, forse, è semplicemente impossibile.

Non appena, difatti, la mente sembra spegnersi per un attimo c'è, chi per me, sottolinea la situazione, sia in modo dolce che in modo più amaro e sotto forma di rimprovero, finendo per farmi nuovamente annegare in quell'oceano di considerazioni, amore e quant'altro.

Devo reagire, mi impongo testardamente, tentando di non vacillare.

Sospiro.

Con questa consapevolezza a vibrarmi sull'epidermide appoggio entrambi i palmi delle mani sul lavabo mentre alzo lentamente gli occhi, puntandoli sullo specchio appeso al muro, posto esattamente di fronte a me.

Squadrato e dalla cornice in acciaio rimanda il mio riflesso stravolto, nitido e perfetto, riproducendo fedelmente ogni mio più piccolo movimento.

Incontro subito dopo le mie iridi sgranate ed incredibilmente lucide mentre un estremo pallore non mi conferisce decisamente un bell'aspetto, facendomi apparire sofferente e angosciata, come se mi avesse investito in pieno un treno.

Irrazionalmente, tendo la bocca in una smorfia contratta ed infastidita, arricciandola, i capelli gonfi e arruffati che mi circondano il volto e che mi fanno sembrare quasi stralunata, sul punto di una crisi di nervi.

Decisamente, ora l'apparire bella è l'ultima cosa che mi interessa, mi dico amaramente, non riuscendo a non provare pietà per me stessa, biasimandomi.

La mia attenzione, tuttavia, non riesce a rimanere focalizzata su questo vuoto rimuginare per più di una manciata di secondi, una forza quasi superiore che la porta istintivamente altrove.

A lui.

Annaspo indecisa, incapace di tracciare una linea tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, tra bugia e veridicità.

A cosa devo credere?

Quale è la verità? Era tutto finto ciò che mi ha detto, i sentimenti che sembrava provare?

Sono stata solo una pedina nelle sue mani?

Boccheggiante serro improvvisamente le palpebre, cercando disperatamente di rifugiarmi nel pacato buio che mi consentono, una pungente ondata di ansia e angoscia che mi sferza così velocemente e in modo violento da apparire incredibilmente simile ad una frustrata, spezzandomi il respiro in gola.

Sentendomi quasi paralizzata, totalmente bloccata percepisco distintamente le membra contrarsi fin quasi allo spasimo le sue promesse che mi rimbombano in testa.

Tutto quello che voglio sei tu … Ti amo...

Fragibile e spezzata inspiro lentamente, non riuscendo a scacciare il timbro della sua voce calda e bassa dalla mia memoria.

Non ci riesco, però.

Come se non bastasse, alle sue promesse si aggiungono anche le loro frasi, confondendomi dispettosamente e privandomi ulteriormente di quel poco di razionale lucidità a cui resto aggrappata faticosamente con le unghie e con i denti, vedendola scivolare inesorabilmente via secondo dopo secondo.

Il profondo amore … tramutato in un mero affare … che gli avrebbe fruttato milioni di dollari..

Brancolo nel buio priva di certezze.

E' vero ... ha cambiato la destinazione del terreno in quella residenziale... E' vero...

Le frasi di mia madre, di mio padre, di Noah... e poi ancora di Sam, di Michael e del quotidiano mi frullano in testa, riecheggiando e facendomi sentire incredibilmente spossata ed impotente, quasi non in grado di combattere tutte le emozioni che mi abitano.

Ci possono essere migliaia di spiegazioni ...

Facendomi sentire quasi sul punto di scoppiare non la smettono neanche per un attimo di tormentarmi, emergendo facilmente dalla mia memoria e combinandosi con una infinità di possibilità, inducendomi ad una moltitudine di scelte tra cui mi districo senza riuscire a capire cosa fare, quale imboccare.

Cosa devo fare?

È un bel casino … Dovresti parlare con lui...

E altri quesiti si ammassano a quelli che già mi pungolano, accatastandosi. So che Michael ha ragione, dovrei farlo, eppure qualcosa mi spinge a rifuggire quel contatto, persistendo nel non capire perchè mi abbia fatto tutto questo.

Perché?

Strizzo maggiormente gli occhi.

Perché mi ha fatto questo?

Le mie spalle tremano leggermente sotto il gravare del nervosismo, la postura lievemente piegata in avanti che mi curva la schiena mentre sono nuovamente dilaniata da così tanti desideri opposti da sentirmi strappata.

Da un lato vorrei muovermi, agitarmi fino a non avere più un briciolo di forza in corpo e sfogare totalmente la rabbia divorante che sento e, dall'altro, invece, voglio unicamente rimanere immobile, quasi scomparire e farmi scivolare tutto addosso, non farmi ferire da nulla o da nessuno, da alcun giudizio.

Eppure non ci riesco.

Lotto con me stessa, contro le persone che lo difendono e contro quelle che lo accusano.

Lotto contro il sentimento che provo verso di lui, perdendo probabilmente in partenza questa battaglia.

Istintivamente stringo il bordo del lavandino tra le dita, così forte e intensamente da far quasi sbiancare le nocche, la pelle che si tende e diventa inevitabilmente più sottile.

E lotto, lotto invano.

Tirando su con il naso deglutisco, spronandomi ad agire, a smuovermi ed entrare almeno nella doccia.

Magari quello riuscirà a calmarmi un minimo, mi dico cercando di convincermene, non riuscendo a crederci io stessa.

Come se fossi quasi in un circolo vizioso mi sento vittima degli stessi pensieri, delle stesse ripetute riflessioni.

Soffiando pesantemente l'aria tra i denti mi riscuoto faticosamente dopo interminabili e lunghi secondi, riaprendo gli occhi e non riuscendo, tuttavia, ad apparire distesa e pacatamente quietata.

Tutt'altro, constato specchiandomi nuovamente nel mio riflesso, trovando i miei lineamenti tesi e contratti, delle occhiaie nere e scure cerchiano le mie iridi, segnandole torvamente.

Cercando di non badarvi ulteriormente artiglio il bordo della maglia del mio pigiama, sfilandomela l'attimo seguente e lasciandola cadere ai miei piedi con un lieve frusciare mentre una ondata di brividi mi coglie, infreddolendomi.

Appoggio poi i polpastrelli sui miei fianchi, abbassando i miei pantaloni a righe con un movimento secco e veloce, celere, il mio intimo che fa la stessa fine, finendo sul pavimento.

Totalmente nuda stringo poi le braccia al seno, non indugiando oltre e muovendomi subito dopo.

Rimanendo afflitta dalle mie elucubrazioni mi avvicino poi celermente alla doccia, non vedendo l'ora di essere investita in pieno dal getto dell'acqua, potendomi finalmente scaldare.

Semplicemente di cancellare il suo profumo dal mio corpo, realizzo nel momento stesso in cui apro le ante in cristallo, entrandovi totalmente.

Quasi paradossalmente, infatti, è ancora presente su di me, come se l'alone del suo tocco fosse impresso sulla mia pelle, ricordandomelo attimo dopo attimo.

Come se non bastasse avere marchiato a fuoco nella mente il suo sorriso, i suoi occhi e i suoi baci, anche questo mi tormenta, dilaniandomi estenuantemente.

E il solco dentro di me aumenta maggiormente, ancora.

Incomprensibilmente, mi sembra quasi ancora di percepirlo intorno a me, di sentire il suo odore nei miei vestiti, sulle cose.

Forse sto semplicemente diventando pazza, mi apostrofo da sola, maledicendomi con un borbottio.

Irritata e furiosamente stizzita da questa realtà allungo poi una mano, aprendo con un gesto secco e violento la manopola dell'acqua.

Il getto bollente accompagnato dal suo rumore di sciabordio mi travolge completamente, colpendomi all'altezza del petto e finendo inevitabilmente per bagnarmi.

Le gocce, così calde da bruciare sulla mia epidermide gelida e ghiacciata, mi inzuppano i capelli subito dopo, provando al tempo stesso una sensazione di piacere e fastidio.

Cercando di svuotare cervello e corpo serro di nuovo completamente le palpebre, rimanendo staticamente ferma per una manciata di secondi, non insaponandomi.

Tuttavia, a dispetto delle mie disperate e ansiose speranze, il mio cuore sbatte vigorosamente nella mia cassa toracica, pompando tristezza e melanconia insieme al sangue nel medesimo momento in cui il mio cervello viene invaso dai momenti ardenti che abbiamo condiviso proprio nella doccia di casa mia non troppi giorni fa.

Le immagini dei nostri attimi di passione, infatti, si proiettano dolorosamente davanti a me, ferendomi sinceramente e facendomi quasi sentire sporca, usata.

È così, non riesco ad esimermi dal domandarmi ansiosamente, mi ha semplicemente usata? Sono stata un giocattolo nelle sue mani?

E la risposta mi fa dannatamente paura, tanto. Troppo.

Chino il capo, abbassandolo mestamente senza aver voglia di combattere ancora contro i mulini a vento.

La mia chioma, ormai gocciolante, finisce inevitabilmente in avanti, solleticandomi distrattamente il seno mentre una sensazione di soffocamento mi attaglia, accentuando maggiormente la morsa angustia che mi stringe lo stomaco.

Percependo quasi il respiro mancare sospiro, l'aria che esce spezzata e frammentata dalle mie labbra schiuse mentre non riesco a togliermi dalla testa le frasi di quell'articolo, i fatti che costituiscono questa situazione.

Realtà o finzione?

Boccheggio ansante, vacillando senza riuscire a darmi una spiegazione limpida e trasparente, il bisogno di non pensare a nulla che diventa disarmante, scontrandosi contemporaneamente contro l'impossibilità di farlo.

Sopportando quasi un dolore fisico passo le dita tra i miei capelli, portandomeli indietro mentre stringo simultaneamente i polpastrelli intorno a qualche ciocca, il nodo alla gola che preme più insistentemente, non dando accenno di voler diminuire.

Mi sono sbagliata davvero su di lui?

Mi è sempre parso così sincero e aperto nei miei confronti, anche nei momenti in cui si affrontavano questioni dolorose per lui.

Mi ha presentato la sua famiglia, mi sottolinea ancora una volta una vocina acuta nella mia mente, sottolineando l'altro lato della medaglia.

Lo stesso su cui non mi ero molto soffermata.

Era anche quello solo un gioco? Non riuscendovi quasi a credervi scuoto il capo, annegando nella mia stessa sofferenza mentre ricordo tutti gli attimi passati con i suoi nipoti, il piacere di stare con loro e condividere quegli squarci di vita quotidiana con lui.

E ancora una volta i dubbi mi assillano, sconvolgendomi con la loro forza devastante, portandomi alla distruzione, sempre più vicina e prossima mentre le fitte alla tempia non smettono di infastidirmi, lo stomaco chiuso da una morsa così stretta da farmi quasi percepire un alone di nausea.

Angosciata scrollo le spalle, non sapendo a cosa credere, a chi credere e soprattutto quale decisione prendere.

Perchè è lampante che ne vada presa una, mi mordo nervosamente il labbro inferiore nel vano tentativo di sopprimere l'impeto dei miei sentimenti.

Incapace quasi di stare in piedi e con le gambe pesanti e stanche, quasi avessi ingaggiato una lotta corporea più che emotiva, mi volto debolmente, compiendo una piccola rotazione sul posto fino a girarmi nella direzione opposta al muro, il getto che ora mi sferza la schiena.

Sfinita e spossata mi ci appoggio l'attimo dopo.

Deglutendo a fatica, punto poi lo sguardo in un punto indistinto davanti a me.

Troppo concentrata a cercare di non scoppiare a piangere non riesco a farlo, finendo di fatto per ignorarlo mentre un assordante silenzio mi circonda.

Perché è così difficile fare una scelta, stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato?

Mi chiedo delusa e sconfortata, terribilmente triste e arrabbiata, il desiderio di trovare una via da imboccare che diventa quasi solo un miraggio, una miriade di domande che mi assillano insistentemente.

Cosa dovrei scegliere? A chi devo dare fiducia? Mi chiedo nuovamente, l'ossigeno che brucia nei miei polmoni respiro dopo respiro, la gola sempre più occlusa dal magone.

Alle parole di un giornale o a lui, la persona di cui mi sono innamorata?

Ed è proprio in questo momento, in modo del tutto irrazionale, che mi rendo conto unicamente ora di non conoscerlo, di non sapere più quale sia il vero Andrew.

Boccheggio, il suo ritratto che appare incredibilmente indecifrabile, le pennellate che avevo tracciato che risultano adesso macchiate e sporcate da altre, più corpose e violente.

Una ondata di lacrime, a questa considerazione, mi travolge subitaneamente, così velocemente da cogliere in fallo le mie difese, abbassare e fragili.

Un imminente pianto, infatti, mi inumidisce terribilmente le iridi, dei grossi lacrimoni che si mischiano alle goccioline d'acqua tra le mie ciglia, sul punto di fuoriuscire e scivolare sulle mie guance mentre mi rendo conto di come mi ha lacerata.

Con le braccia staticamente abbandonate lungo i fianchi piego appena il viso di lato, la bocca dischiusa mentre il triste dolore che provo si acutizza dentro di me, prendendo possesso di ogni singola cellula del mio corpo.

Mi soffoca, avendo semplicemente il sopravvento mentre un altro singhiozzo, più forte, mi scuote vigorosamente, facendomi quasi tremare mentre la soluzione appare solo una: scegliere.

Ma cosa? Mi tormento incapace di capirlo, confusione e stordimento che hanno pieno possesso della mia mente.

Bianco o nero?

Giusto o sbagliato?

Vacillo.

E' stato tutta una farsa la sua? O era vero?

Bugia o verità?

Il mio cuore accelera le palpitazioni davanti a questa possibilità, destabilizzandomi mentre non riesco a capire, semplicemente a pensare con chiarezza mentre le perplessità si accatastano le une sulle altre attimo dopo attimo, ammassandosi e non facendomi comprendere chi sia davvero Andrew.

Il suo era amore o recitazione?

Si è solo preso gioco di me per arrivare a mio padre o gli interessavo davvero?

Fisicamente spossata e mentalmente confusa, stravolta, mi lascio semplicemente scivolare lentamente lungo il muro.

Delle grosse e roventi lacrime rotolano sulle mie guance senza quasi che io me ne accorga mentre un sordo male mi attanaglia nel constatare che c'è la possibilità che non mi abbia mai davvero amato.

È così?

Copiose, seguono i miei lineamenti fino a raggiungere la mandibola, cadendo nel vuoto e disperdendosi nell'acqua mentre i singulti mi scuotono devastanti.

Proprio come vorrei fare io, scomparire.

E semplicemente il mio muro crolla definitivamente sotto l'ennesimo colpo inflittomi.

Si sbriciola finalmente, lasciando che tutto ciò che ho fino ad ora orgogliosamente trattenuto abbia libero sfogo.

Lo faccio io, sentendomi quasi annienta dal sentimento che provo, distrutta ed incapace di trovare una soluzione.

Devastata, rannicchio le gambe al petto, le unghie che graffiano leggermente la pelle nel tentativo di tenerle contro di me, scoprendole incredibilmente scivolose a causa dell'umidità che le impregna.

Piego in avanti il volto, il pianto sfrenato che prende velocemente il sopravvento mentre alcune ciocche dei capelli si appiccicano contro la mia faccia, impregnandosi ed assorbendo la mia sofferenza.

Chi è Andrew Harrison? Boccheggio sconvolta, scioccata, riuscendo quasi a realizzare unicamente e totalmente ora ciò che davvero potrebbe avermi fatto.


Colpevole o innocente?




Note:

Buonasera!

Ed eccoci qui con un nuovo aggiornamento, particolarmente atteso e decisamente lungo.

Innanzitutto, inizio col ringraziarvi per le recensioni fatte all'ultimo capitolo, ci tenevo molto e siete stati davvero molto carini, quindi GRAZIE.

Passando al capitolo, beh, ci sarebbe molto, moltissimo, da dire, ma anche questa volta non voglio sbilanciarmi troppo per non rovinare le sensazioni che vi ha lasciato e un po' anche per non spoilerare.

Come avrete notato, è temporalmente ambientato poche ore dopo la fine dello scorso aggiornamento, dopo che Emma ha letto l'inchiesta del New York Times.

Le prime due parti presentano una struttura simile: Emma, dilaniata dai pensieri e dai dubbi, che “subisce” un po' la presenza e i consigli di altre persone.

Nella prima, infatti, abbiamo il padre che tenta un po' di rincuorarla, coccolandola, e poi la presenza di sua madre e Noah, entrambi che non hanno molta simpatia per Andrew; nella seconda, invece, abbiamo Michael che fa il suo esordio in questa storia, consigliandola, e poi Sam che, come sempre, con il suo essere sincera e frizzante non ci va leggera con Emma, non facendosi scrupoli a manifestarle il proprio pensiero.

La terza parte, al contrario, è quella che probabilmente rappresenta meglio lo stato d'animo di Emma: travagliato, dubbioso, triste e un mucchio di altre cose, concludendosi poi con il quesito emblema del capitolo.

Colpevole o innocente? Non mi sbilancerò su quello, ma i farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate!

Direi che non c'è altro da dire.

Spero che non vi siano errori o ripetizioni, come sempre, in ogni caso, provvederò a rileggere il capitolo e in caso a correggerlo.

Il prossimo aggiornamento arriverà il 22 Gennaio.


A presto


xoxoxo


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