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Autore: Made Again    15/01/2014    2 recensioni
***
Tratto dalla recensione lasciata al capitolo 21 "Untitled Track" da Lady Igraine.
"Non riesco a capire esattamente che considerazione abbia di lei ecco. La schernisce, la pretende, la ama, l'abbandona, la odia... è una commistione di sentimenti indistricabili che si rafforzano l'uno con l'altro e distruggono. Li distruggono entrambi. E questo apre molti interrogativi, perchè con una simile tempesta dentro non potranno mai davvero comunicare, potranno sempre e solo prendersi, scacciarsi, odiarsi e amarsi in una lotta senza tregua... "
***
Storia dalla trama complessa, particolare, azzardata.
Storia-tributo alla band inglese "Marillion".
Storia di malsana dipendenza ed ostentata indipendenza.
Storia di una vita irreale eppure specchio di una vita reale.
Storia di due gemelli.
Storia di un fratello ed una sorella.
Una ragazza.
Brave.
Genere: Sentimentale, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Cari lettori,
Here we are.
Enjoy.
Cheers.



Canzone del capitolo: Cover My Eyes (Pain and Heaven)
 

 
11 Gennaio 1991
 
L’anno nuovo era cominciato talmente bene, le premesse per quel 1991 erano tanto buone, che Rachel non aveva nemmeno ventilato l’idea di prefissarsi dei buoni propositi per quei nuovi dodici mesi di fine millennio. Tutto nella sua vita aveva finalmente trovato il suo ordine, una certa, regolare normalità che però non sfociava mai nel noioso. Quelle nuove abitudini le erano oramai familiari e trovava rassicurante persino quella maledetta sveglia che ogni mattina la tirava giù dal letto. Finalmente, dopo un anno di tumulti interiori, di paure, di incubi, di insicurezze, era riuscita a riallacciare i cavi spezzati di quella vita, imprimendole nuovo slancio e vigore. Da poco era diventata la curatrice di una rubrica tutta sua all’interno del NME e tutto ciò non faceva che riempirla di gioia e orgoglio. Oramai lavorava stabilmente alle dipendenze di Mr. Palmer che si era rivelato con il passare dei mesi meno freddo e calcolatore di quanto le era sembrato inizialmente e molto più adatto a vestire i panni di direttore di una rivista musicale qual’era il New Music Express. Una mattina lo aveva infatti visto arrivare a cavalcioni di una mastodontica motocicletta, indossando il solito completo da lavoro elegante corredato ad un paio di Ray Ban dorati da aviatore, chiodo di pelle nera e fazzoletto rosso annodato all’altezza della gola. La musica, puro Heavy Metal da spaccare i timpani, sparato a tutto volume dalla radio della grossa Harley Davidson, mescolato a quella visione al limite del sovrannaturale le aveva aperto gli occhi riguardo la vera natura del suo capo. Aveva riso di gusto di fronte a quell’accozzaglia senza senso di stili, ma le era piaciuto.
Era ancora tuttavia sottoposta all’incessante controllo di Mc Gill, che non cessava mai di farle notale quei piccoli particolari che solo all’occhio esperto di un veterano non sfuggono. Infondo, lei lavorava lì da nemmeno un anno e curava già la sua personalissima rubrica affiancata da Jacky Gallagher, fotografa di professione. Si occupavano essenzialmente di nuovi talenti. Nuove band dal grande e mal valorizzato potenziale. C’era fermento nella sfera musicale in quel periodo. Sembravano spuntare ovunque come funghi nuovi, talvolta improbabili gruppi, facendo la felicità di giovani inglesi e curatori di rubriche giornalistiche di nuovi talenti. Alcune band che cominciavano a farsi spazio prepotentemente nel panorama musicale di quella fetta d’Inghilterra erano The Verve, Blur, Anathema, ma voci parlavano di altri gruppi in rapida ascesa che cominciavano proprio in quei primi-ultimi anni del XX secolo a farsi spazio. Oasis, tanto per citare il più chiacchierato, soprattutto a causa dei precoci, ma già presenti tumulti interni causati da Noel, chitarrista e autore dei testi della band ed il cantante, il fratello minore Liam, ex cantante bello e possibilissimo della band The Rain che aveva sentito qualche mese prima proprio al Lass o’Gowrie. I Gallagher brothers, ironia della sorte. Ed i meno noti, ma già piuttosto popolari The Hobbies. Ed era proprio dei fantomatici falchi che Rachel e Jacky andavano disperatamente cercando. Lettere richiedenti delucidazioni in merito a quei cinque sconosciuti arrivavano sempre più frequentemente in redazione e le due intraprendenti giovani giornaliste d’assalto in erba si erano lanciate alla loro disperata ricerca. Sebbene fremesse molto più all’idea di incontrare un fantomatico Richard Ashcroft intento a sorseggiare un autentico Yorkshire Tea insieme agli altri componenti dei The Verve, un già meno probabile Ian Brown, frontman di quei magnifici Stone Roses che aveva imparato ad amare o ancor di più, il mitico Steve Hogarth, insuperabile cantante dei suoi Marillion, si sarebbe accontentata anche di quei cinque disadattati di Burnage, gli Oasis, appena nati, ma già promettenti fenomeni planetari. Tutto pur di poter rinunciare ad incontrare quel gruppo, quei chimerici The Hobbies che pur senza averli mai visti, già trovava irritanti.
Primo, perché erano introvabili.
Secondo, perché erano destinati a morire in partenza. Facevano cover delle canzoni degli stessi Marillion e qualche pezzo loro, giusto per non passare per una semplice e banale Tribute band. Ciò che di fatto erano. Eppure quella versione mancuniana del gruppo progressive di Aylesbury, la sua Aylesbury, sembrava piacere.
Era l’11 Gennaio 1991, giorno del suo diciannovesimo compleanno, e Gale le aveva fatto la sorpresa insieme più bramata e meno desiderata: i The Hobbies si sarebbero esibiti lì, proprio al Lass o’Gowrie.
Tentativo di sabotarle il compleanno?
No!, si era giustificato lui, semplice favore da professionista a professionista.
Stronzate, aveva pensato tra sé e sé Rachel.
Erano le nove passate, ma Rachel quella sera non svolgeva le sue solite mansioni di barista, non indossava la bella divisa verde e bianca da cameriera. Nessuno dello staff quella sera lavorava: Violet, Penny, Lyla e Gale sedevano assieme a Jacky, chi più civilmente, chi meno, attorno al piccolo tavolino di legno vicino al palchetto, davanti alle rispettive birre. Altre tre sconosciute si occupavano del marasma di gente che affollava scompostamente l’ormai piccolo locale, vista la grande fama di cui godeva. Così si svolgeva quel diciannovesimo compleanno. E Rachel era felice.
-Propongo un brindisi!- sbraitò Gale, sovrastando il vociare della folla.
-Yeah man, alla nostra Kay!- rispose Lyla, già piuttosto allegra.
-Cheers!- urlarono tutti gli altri, alzando in aria i boccali traboccanti di Guinnes. Qualche avventore abituale si unì al brindisi.
-Vacci piano, Kay.- rise Jacky dietro agli spessi occhiali dalla montatura dorata. –Abbiamo un impegno questa sera! Vedi di ricordarlo.-
-Si, si. Tanto quei cinque cazzoni faranno cagare. Come tutti quei disperati senza speranze che hanno provato ad eguagliare i Marillion prima di loro. Non hanno possibilità. E lo sai anche tu.- ribatté Rachel in tono scocciato.
Jacky scosse la testa, testarda. –Potranno anche essere cinque cazzoni, ma la gente vuole sentire cos’hanno da dire. E ogni parola che riusciremo a spillargli sono soldi in più per noi.-  la fotografa portò una ciocca castana dietro all’orecchio ed imbracciò la Reflex con fare professionale.
-Io so solo che se mi rovinano il compleanno, gli tirerò tanta di quella merda che saranno costretti ad emigrare. Giuro.-
-Si, Kay. Cazzo, così ti voglio!- latrò Gale, sbattendo il boccale sul tavolo. –Ma se devi proprio insultarli, fallo fuori dal pub. Poi mi fai cattiva pubblicità e c’è troppa gente sta sera per fare cazzate davanti a tutti.-
Proprio in quel momento, i musicisti presero posto sul palco. Il chitarrista afferrò il microfono e urlò a pieni polmoni.
-‘Night Northern! Sta sera cominceremo in modo diverso dal solito. In onore del nuovo album che verrà lanciato da qui a breve dai Marillion, apriremo con una canzone tratta proprio da Holidays in Eden. Esclusiva di questa serata. Hope you’ll enjoy it, mates. Cheers!-
-Tranquillo.- sorrise Rachel rivolta a Gale, continuando però a fissare il chitarrista, un ragazzo sulla ventina, biondo e piuttosto alto. Si vedeva che era uno di quei personaggi di una certa pasta. Si leggeva l’entusiasmo autentico nei suoi occhi scuri.
Almeno l’atteggiamento è promettente.
 –Ora indosserò la mia maschera di professionalità e andrà tutto per il meglio.-
Le prime, leggere note di intro presero il via dalle rapide dita del ragazzo alla tastiera. Il ritmo si fece fin da subito incalzante.
E poi quella meravigliosa, splendida maschera di professionalità si infranse, lasciando Rachel a viso scoperto, priva di qualsiasi difesa. Inerme, impreparata ad affrontare quel che sarebbe seguito.
Una voce calda, potente, straordinaria attaccò il pezzo, seguendo la melodia dettata dal synth. Applausi e fischi partirono scompostamente dal pubblico dietro a lei.
La voce attaccò la strofa, con energia e vigore.
 
“Cover my eyes,
The light falls on her face,
Dangerous lines,
Dangerous colours and shake,
Ferocious designs,
Connected and ready to play,
Buttoned up tight,
Crimson and Halloween-white.”

 
“Copro i miei occhi,
La luce cade sul suo viso,
Linee pericolose,
Colori e forme pericolosi,
Progetti crudeli,
Collegati e pronti a funzionare,
Abbottonato stretto,
Il cremisi e il bianco candido.”
 
Rachel portò le mani a coprire la bocca. Era incredula.
Dio…No, calma. Non è possibile. E’…è  uno scherzo. Andiamo. Calma, non è niente, solo una coincidenza, uno sbaglio. Respira.
 
Chitarra e batteria entrarono.
Il ritornello iniziò, incalzante.
E lui salì sul palco.
 
“She's like the girl in the movie when the Spitfire falls,
Like the girl in the picture that he couldn't afford,
She's like the girl with the smile in the hospital ward,
Like the girl in the novel in the wind on the moors.”

 
“Lei è come la ragazza nel film quando cade lo Spitfire, (*)
Come la ragazza nella foto che lui non può permettersi,
Lei è come la ragazza con il sorriso nella corsia d’ospedale,
Come la ragazza del racconto nel vento della brughiera.”
 
Heyden. In tutta la sua bruciante, inscindibile essenza. Il viso atteggiato in un’espressione concentrata, serena, tremenda e splendente mentre le sue corde vocali liberavano quella melodia nell’aria fumosa, un sorriso disarmante, spensierato che mai, mai Rachel gli aveva visto in volto, il corpo libero di muoversi al ritmo della musica. Gli occhi azzurro ghiaccio puntati fissi di fronte a lui, micidiali ed insostenibili come sempre, i capelli neri a ricadergli disordinati sulla fronte.
Rachel sentì l’aria diventare calda, sentì ogni singolo respiro scenderle nei polmoni e bruciarla consumandola dall’interno, sentì il mondo fermarsi, sentì il silenzio ed il frastuono dentro di sé, sentì ogni membra del suo corpo gridare e la mente tacere, impotente davanti a lui. Lui. Che dopo quei dieci, lunghi, infiniti mesi era nuovamente a pochi metri da lei, diverso eppure sempre lo stesso.
 
“Pain and heaven,
Pain and heaven”

 
“Dolore e Paradiso,
Dolore e Paradiso”
 
Spostò le mani, coprendo gli occhi, incapaci di reggere oltre quella vista così bramata e temuta.
Cover My Eyes…
Troppo dolorosa e troppo meravigliosa insieme.
Pain and Heaven…
 
Lui non sembrava essersi accorto di nulla. Nessuno si era accorto di nulla. Tutti erano troppo concentrati sulla sua presenza, discreta eppure prepotente sul palchetto, dalla sua voce, limpida e straordinariamente potente, dai suoi occhi color ghiaccio eppure capaci di sguardi bollenti, dalle sue labbra che si muovevano rapide articolando i versi di quella canzone straordinaria che sembrava nuovamente essere stata scritta per lei. Per loro.
Progetti crudeli.
La ragazza nella foto che lui non può permettersi.
La ragazza con il sorriso nella corsia d’ospedale.
Dolore e paradiso.
 
Nessuno, nemmeno Lyla impegnata a battere il tempo col palmo sul tavolo, nemmeno Jacky che, Reflex alla mano, scattava senza sosta. Nemmeno Gale, che pur continuava a fissare il volto di Heyden, chiedendosi dove l’aveva già visto, aveva percepito le mille sensazioni che l’avevano attraversata in quei pochi secondi, troppe tutte insieme, troppo intense. Brividi le percorrevano la schiena, le mani le tremavano, aveva la pelle d’oca.
 
“The meaning of life,
A hair falls out of place,
Cover my eyes,
Dangerous colours and shapes,
And when she moves,
Cover my eyes.”

 
“Il significato della vita,
Una ciocca di capelli si scompiglia,
Copro i miei occhi,
Colori e forme pericolosi,
E quando lei si muove,
Copro i miei occhi.”
 
E poi il ritornello, di nuovo. Quella voce, di nuovo, a calcare quella melodia così insolita per quel gruppo progressive, così maledettamente pop eppure così incalzante, trascinante. Rachel si rese conto che, se non fosse stata seduta su quella sedia, sarebbe caduta a terra. Le gambe tremavano talmente tanto da non poterla reggere in piedi. Il corpo inerme, la testa pesante, maledettamente pesante. La stanza sembrò prendere lentamente a girare.
 
“She like the girl on the TV with the red guitar,
Like the girl with the dealer at the end of the bar,
She's like the girl with the smile in the dream in the dark,
Like the girl overtaking in the open car.”

 
“Lei è come la ragazza alla TV con la chitarra rossa,
Come la ragazza con lo spacciatore in fondo al bar,
Lei è come la ragazza col sorriso del sogno nel buio,
Come la ragazza che sorpassa nella macchina decappottabile.”
 
E quelle due parole, quasi urlate, così vere. Le uniche cose che provasse in quel momento, le uniche sensazioni che sentiva definite dentro di sé.

“Pain and heaven,
Pain and heaven”
 
 “Dolore e Paradiso,
Dolore e Paradiso.”

Quello che anche lei voleva gridare a quel microfono datato assieme al fratello.
Al suo gemello, all’altra parte di sé che aveva considerato a lungo perduta. Heyden.
Senti una gioia incontrollabile, impetuosa pervaderla, scaldare quelle sue membra fredde.
Il pezzo stava terminando quando Rachel s’alzò in piedi. Sentì qualcuno tirarla per la manica, ma non le importava. Stesse dritta a pochi metri dal palco. Il bassista alzò gli occhi neri dalle spesse corde dello strumento e stette a guardarla con aria interrogativa. Ma le iridi smeraldine di Rachel erano puntate dritte in quelle di Heyden che sembravano brillare sotto la luce del riflettore.
Abbassò gli occhi.
E la vide.
I loro sguardi si incatenarono e sembrò che null’altro esistesse nel locale all’infuori di loro. Scese un surreale silenzio. Solo le ultime note di Cover my Eyes riempivano l’aria tesa, facendola vibrare. Tutti li fissavano, chi attonito, chi incuriosito, chi troppo ubriaco per capirci qualcosa. Heyden mosse un passo in avanti, verso di lei.
Allora Rachel si rese conto di ciò che realmente aveva fatto. Aveva riaperto la porta che lei stessa gli aveva sbattuto in faccia ben due volte. E non riuscì a reggere il peso del gesto che aveva inconsciamente compiuto. Si era alzata, si era mostrata. Avrebbe potuto rimanere seduta in mezzo alla folla e nulla di tutto quello sarebbe accaduto.
Vigliacca…
Si voltò e prese a correre, facendosi spazio a gomitate tra la folla. Sentì Gale chiamarla a gran voce, ma non si fermò. Senti la gente mormorare nella sua direzione, ma non si voltò ad ascoltare. Inciampò, incespicò, ma mantenne l’equilibrio. Continuò a correre impetuosamente verso l’uscita. Indossava una semplice felpa, ma il freddo pungente di quella fretta notte di gennaio non aveva importanza: lo sentiva sferzarle violentemente il viso, non le interessava.
Girò l’angolo, ma una mano magra dalle dita lunghe e forti le afferrò il polso, costringendola a fermarsi. Si voltò e trovò gli occhi del gemello nei suoi. Brillavano per il freddo. Non le era mai sembrato così dannatamente bello. E tutte le sue difese finirono in frantumi davanti a lui. Sensazioni mai provate la invasero. Sentì che se avesse continuato a dare il tacito permesso alla sua mente di vagare sarebbe impazzita, quindi la spense. Smise di pensare e si abbandonò al fratello.
Heyden le prese i polsi, li strinse in una presa calda, dolorosa, spinse violentemente il corpo di Rachel contro il muro freddo e la baciò.
Premette le labbra fredde contro quelle calde, umide e morbide di Rachel con urgenza. Spinse il proprio corpo contro quello della sorella, inchiodandola al muro ruvido alle sue spalle. Avvertire il magro eppure sorprendentemente energico corpo del fratello sul suo a quel modo la sconvolse di gioia e piacere. Chiuse i pugni e spinse con altrettanta violenza il proprio viso contro quello di Heyden, costringendolo ad arretrare. Avvantaggiata da quel gesto che aveva causato la sorpresa del gemello, Rachel si staccò dal muro, fece ruotare i loro corpi tenuti ancora saldamente uniti dalla solida presa di Heyden sui suoi polsi e prese il suo posto, mandandolo a sbattere contro la parete laterale del palazzo. Si alzò il punta di piedi e lo baciò con altrettanta urgenza. Dischiusero le labbra all’unisono e le loro lingue si incontrarono. Presero a  rincorrersi freneticamente, ad assaporarsi in modo così sbagliato e meraviglioso al tempo stesso. Rachel cominciava ad avere il respiro affannato, mentre il cuore di Heyden batteva rapido sotto il leggero tessuto della camicia che indossava. Heyden le prese il labbro inferiore tra i denti e lo morse, lasciandola senza fiato. Sentì le sue labbra prendere a scendere lungo il suo collo, lasciando un’umida scia di baci urgenti, impetuosi, sostituiti poco dopo da morsi sempre più dolorosi. Rachel sentiva che le gambe non la reggevano più. Heyden lasciò quindi la presa sui suoi polsi, le afferrò le cosce con le mani forti e la sollevò senza fatica, facendole stringere le gambe attorno alla sua vita. I morsi diventavano via via sempre più disperati, violenti. Rachel voleva urlare, ma non aveva abbastanza fiato per farlo. Finché Heyden non la morse con forza inaudita prendendo poi a succhiarle la pelle martoriata. Rachel gridò quando sentì i denti di Heyden nella sua carne.
Heyden la lasciò, premette i palmi febbricitanti sulle sue spalle, facendola arretrare di un passo. Allungò la mano verso il suo collo devastato e le fece correre un dito lungo la pelle arrossata. Quando ritirò il dito, Rachel notò quel liquido vermiglio, caldo e denso che ben conosceva sulle dita del gemello. Lui succhiò piano il dito, poi annullò nuovamente la distanza tra loro e prese a passarle lentamente la lingua e le labbra sulla pelle viva affinché il sangue smettesse di fluire. Rachel chiuse gli occhi a quel contatto dolce, sentendo nuovamente il cuore accelerarle nel petto. Lo aveva già fatto. Aveva già sentito il sapore del suo sangue. Ed ora di nuovo. Erano di nuovo una cosa sola.
Quando ebbe finito, Heyden arretrò nuovamente. Rachel poté finalmente guardarlo attentamente: i capelli neri erano scompigliati, il petto si alzava ed abbassava velocemente, gli occhi azzurro-ghiaccio brillavano nel buio, lucidi per il freddo e per l’eccitazione. Passò la lingua sulle labbra in un gesto automatico ed incrociò le braccia sul petto. Sembrò pensare per qualche attimo, poi parlò.
-Perché?-
-Dovevo.-
-Dovevi cosa? Dovevi fare a meno di alzarti? Dovevi stare ferma e non scappare? Dovevi telefonarmi quando te ne ho dato la possibilità? Dovevi dimenticarmi? Dovevi tenermi fuori dalla tua vita? Dovevi fingere di odiarmi? Dovevi… Dovevi tante cose, Rachel. Eppure ora sei qui.-
-Dovevo averti di nuovo.-
Il volto di Heyden si dipinse di un’espressione vagamente interrogativa, senza però perdere la sua solennità.
-Ce l’avevo fatta. Ero riuscita a chiuderti fuori dalla mia vita dopo mesi e mesi di doloroso silenzio. Ma quando poi è arrivato il momento di confermare definitivamente la scelta, il mio corpo si è ribellato. Per questo ti dico dovevo. Perché non volevo, ma ne avevo troppo bisogno.- Abbassò lo sguardo e si afferrò il braccio sinistro con la mano destra. –Io… Non ce la faccio senza di te.-
Heyden non si mosse. Rimase immobile, fermo nella sua posizione composta, un vago sorriso di tacito trionfo aleggiava ora sulle sue labbra.
Rachel sentì la pelle del collo bruciarle. Tastò delicatamente il punto dolorante, ma il sangue continuava lentamente a fuoriuscire dal morso sul suo collo.
Alzò il viso verso Heyden e lo sorprese a sorridere, ironico. Sentì la rabbia montarle dentro e gli lasciò uno sguardo carico di rancore e disprezzo.
-Sono sempre io quella a sbagliare, vero? No, tu non hai mai fatto un cazzo. Sei sempre stato impeccabile nel tuo agire, specialmente con me, no?-
-Taci.- le intimò lui, fattosi nuovamente serio a quelle parole. Allargò leggermente i piedi e portò le braccia ad incrociarsi sul petto che prendeva in quel momento ad alzarsi ed abbassarsi più rapidamente. La tenue luce dei lampioni proveniente dalla strada principale illuminava debolmente i forti tratti del suo viso, contratti in un’espressione irritata.
Questo suo atteggiamento la fece esplodere.
-Cazzo, guardati! Non fai altro che dirmi che ho sbagliato, mi tratti come se tutta la colpa di ciò che è successo fosse solo mia! Non sono io quella che ti ha tormentato per anni, non sono io quella che ti ha baciato in una fredda notte di gennaio senza darti poi un fottuto straccio di spiegazione! Non sono io quella che…- la voce di Rachel si spense. Risentì tutte le sensazioni sconvolgenti di quella notte bruciarle sulla pelle, sentì il cuore accelerarle nel petto, le mani calde del gemello sul suo corpo nudo, febbricitante. Esattamente un anno fa. Chiuse gli occhi, indietreggiando fino a ritrovarsi spalle al muro all’altro lato del vicolo buio. Aveva bisogno di appoggiarsi a qualcosa, le gambe le tremavano violentemente. Fece appello a tutte le sue forze per non cadere proprio in quel momento, non poteva permetterselo. Alzò nuovamente gli occhi verso Heyden. Ora c’era solo rabbia nel suo sguardo, gli occhi verdi erano di un colore più cupo del solito ed Heyden se ne accorse.
-Quindi ora tocca a me chiedertelo. Una volta per tutte. Perché? Perché, fratello?- sputò, velenosa.
Heyden indietreggiò fino a ritrovarsi spalle al muro a suo volta, piegò il ginocchio destro ed appoggiò il piede al muro, tenendo le braccia conserte.
-C’è una cosa molto semplice che la gente tende a dimenticare, una cosa che tutti, compreso quel coglione del tuo patetico scozzese devono ficcarsi in quelle teste del cazzo che si ritrovano. Compresa tu, sorellina.-
Assottigliò lo sguardo, piegò la testa leggermente verso il basso, gli occhi color ghiaccio saettavano tetri nel buio, più chiari e glaciali che mai. La voce gli uscì tagliente e fredda in un sinistro mormorio.
-Tu sei mia, Rachel. Ed è una cosa che non puoi cambiare.-
Il suo sguardo si sciolse in un sorriso inquietante e tremendamente ipnotico, godendosi l’effetto di quelle parole sulla sorella, mentre il viso di Rachel si apriva in un’espressione sconvolta e preoccupata che non provò nemmeno a celare.
Heyden abbassò nuovamente la voce. –E per essere mia, devi portarne i segni. Tutti devono saperlo. Sapere che tu sei parte di me, proprio come io sono parte di te. Ciò che sei va oltre le semplici, fottute, patetiche parole di adolescenti innamorati. La tua non è una scelta. E’ così e basta. Quello…- fece un segno col capo rivolto al morso dolorante sul suo collo –come pure la cicatrice che porti sulla guancia serve a ricordarlo. A tutti, ma soprattutto a te. Non potrai mai scegliere, Rachel. Né cambiare tutto questo. Potrai prenderti in giro, fare finta che non sia così, che quello che è stato non sia mai accaduto. Potrai cercare di dimenticarmi, di scappare, ma non puoi. Ormai è tardi.-
Heyden si riavvicinò lentamente al copro scosso dai brividi della gemella, incombendo sulla sua piccola figura ancora fragile. Fletté leggermente le ginocchia fino a portare i propri occhi all’altezza di quelli della sorella. Le prese il mento tra le dita, costringendola controvoglia a fissarlo negli occhi chiari. I loro sguardi s’incatenarono. Le posò un dolce, morbido bacio sulle labbra rosse per il freddo pungente.
Si separarono.
-Non puoi scappare da me, Rachel. Tu sei mia.-
 
 
 
 
(*) Spitfire: aereo simbolo della Royal Air Force durante la II° guerra mondiale.
  
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