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Autore: Chaosreborn_the_Sad    02/06/2008    1 recensioni
Dopo un incontro per caso, accade l'impensabile. Per leggere questa storia è necessario aver letto "Untitled" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=133469&i=1), sezione Originali-Nonsense, in quanto fa da prologo per "Without Inspiration". Non ci capireste molto, altrimenti.
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Without Inspiration Cap III

E così s'arriva all'ultimo capitolo di Without Inspiration. Che poi (leggerete in fondo tra le note per capire) forse l'ultimo non sarà.

Buona lettura.

 

Cap III

- Hai preso i libri?-.
- Tranquilla Jess, non son tipo da scordarmeli- rispondo. Jessica sbuffa.
Iniziamo a camminare attraverso Borgo Fonderia. Nonostante siano solo le sette e mezza, è già buio.
Mentre camminiamo, la mia amica mi chiede come va.
Le dico che non lo so. Anche perché, in fin dei conti, è vero. Ella sorride, mesta, per poi darmi una pacca sulla spalla.
- Dai, che stasera ci divertiremo- afferma.
- Anche perché paga Jack- aggiungo. Entrambi ridiamo.
L’autobus numero venti si ferma, ad un gesto di Jessica. Saliamo e ci sediamo, contenti di aver trovato un paio di posti.
L’iPod ed il fedele compagno mp3 sono nuovamente tirati fuori e presto la voce del Cesco Guccini risuona nelle mie orecchie. In poco tempo mi ritrovo a canticchiare a mezza voce.
- “Bella d’una sua bellezza acerba, bionda senz’averne l’aria…”-.
- Come dici?-.
- Nulla Jess, canticchiavo- le dico. Senza una parola, ritorna a farsi cullare dalla voce di Steve Tyler.
Arrivati in Largo Barriera scendiamo, pronti a scarpinare fino al luogo designato.
Fa freddo. Troppo freddo.
Dopo una ventina di minuti, arriviamo. Siamo pure in anticipo, ma troviamo Jack già là, con la sigaretta che pende dall’angolo della bocca. Accanto a lui sta Dean, con altri nostri amici ed amiche.
Ci avviciniamo e salutiamo.
Jack e un paio d’altri fumatori tirano le ultime boccate ed entriamo.
Chiedo a Jack se manca ancora qualcuno.
- Mah, non so. Helena mi ha detto che sarebbe arrivata più tardi, con la sua amica, Mary e Johan non potevano venire e Sven è già dentro- mi risponde.
Saliamo la scala che ci porta al piano superiore del pub e prendiamo posto ad un tavolo, che Jack aveva fatto riservare, chiamando quello stesso pomeriggio.
Cominciamo ad ordinare le prime rosse, brindiamo a Jack, che pagherà il conto, alla nostra e agli amici.
Dopo i brindisi si passa alle chiacchiere, qualcuno tira fuori un mazzo di carte, c’è chi fa dentro e fuori del locale per fumare e così via.
- Jack-.
- Dimmi, Kyle?-.
- Proporrei un tagliere- gli dico, riferendomi al peculiare modo di servire le grappe in quel pub: a dozzine sui taglieri. Jack annuisce e si volta verso la cameriera.
Dopo aver preso il suo ordine, la signorina si dilegua. Nello stesso momento, appare, in cima alla scala, Helena.
- Hej Helena, siamo qui!- dico, notandola.
Mi nota, sorride e si avvicina.
- Hej, Kyle! Vado a chiamare Maeve, arrivo subito-.
- Maeve?- mi fa Jess, una volta che la nostra amica è scesa dalle scale.
- Bel nome. È celtico-.
- Sì, lo so. Ma chi è?-.
Asserisco che, probabilmente, sarà l’amica di cui aveva accennato un paio di giorni prima.
Come risposta, Jess afferra un bicchierino rimasto incustodito e lo vuota in un sorso.
- Ragazzi, lei è Maeve- annuncia Helena, dopo aver recuperato l’amica ed esser tornata.
Un coro di saluti accoglie la ragazza. Io levo velocemente gl’occhi verso la biondina nuova arrivata, per poi immergermi nella conversazione con Sven, dall’altra parte del tavolo.
Jess, al mio fianco, si alza per andare in bagno, portandosi dietro Amy. In meno di un secondo mi trovo Helena accanto.
- Allora, come va?- mi domanda sorridendo.
- Bene, grazie. Voi?- le dico. Al che, allungo la mano verso Maeve, seduta oltre Helena.
- Piacere, io sono Kyle-.
Ella stringe la mia mano, guardandomi negli occhi. Sorride. Riconosco quegli occhi.
Per un momento, cala il silenzio, nella mia mente.
Lascio la sua mano e le sorrido anche io.
- Mi dispiace deluderti, ma neanche stavolta, sono Giovanni- affermo.
Helena mi guarda, non capendo. Il sorriso di Maeve s’allarga.
- Ma…-.
- Sì, sono lo stesso di Mercoledì-.
Helena mi chiede se ci conosciamo già. Entrambi rispondiamo “circa”. Helena continua a non capire.
Maeve m’offre una sigaretta.
- Vieni fuori?-.
Accetto la cicca che mi sta offrendo. Con piacere.
Ci alziamo ed usciamo.

- È strano, non pensavo di rivederti così- mi dice ella. Le accendo la sigaretta e annuisco.
- Neanche io-.
Fumiamo, in silenzio, scambiandoci solo degli sguardi, di tanto in tanto.
Ci son momenti, in cui non riesco a staccare gl’occhi da quelle iridi.
Fa freddo. Ma non è troppo.
- Che cosa c’è?- mi domanda, sorridendo. Sorridi ancora, ti prego.
- Nulla- rispondo, sorridendo a mia volta.
Come dirle ciò che provo senza sembrare un folle, mi domando, nel mentre. Noto che anche Maeve ha tirato l’ultima boccata.
- Vuoi tornare dentro?-.
- Non ancora. Stiamo tanto bene qui- dice.
Restiamo in pace ancora qualche minuto, finché la quiete non viene interrotta da due ragazzi, uno ubriaco ed uno meno.
Maeve s’avvicina a me tentando di nascondersi alla loro vista. Troppo tardi.
- Maeve! Vieni qua!- grida quello meno ubriaco.
Lo guardo meglio e noto che m’assomiglia terribilmente.
Le chiedo se si tratta di Giovanni. Annuisce. La allontano da me e le dico che devo portargli un messaggio da parte di due ragazze. Sembra non capire, all’inizio, poi s’accende la scintilla.
- Kyle, no!-. Non l’ascolto. Molto semplicemente, le sorrido e m’avvicino ai due. Guardo quello che ha parlato. Potrebbe essere un mio gemello, se non fosse per qualche dettaglio, come gli occhi castani anziché blu.
- Ti chiami Giovanni?- domando. Mi risponde chiedendomi perché m’interessa. Adducendo una sequela d’interiezioni degne delle più fumose osterie del porto.
Gli dico di rispondere e basta. Conferma, sempre imprecando.
- Ho qualcosa da parte di due ragazze- asserisco. Detto ciò, gli arriva un cazzotto sul viso. Barcolla leggermente e tenta di aggrapparsi all’amico, che rovina in terra, trascinando Giovanni con sé.
Gli butto due euro, per il disturbo, auguro loro una buona serata e torno da Maeve, che mi aspetta ancora sulla porta del pub.
- Non sei la sola che ha avuto a che fare con lui- le dico. Le racconto dell’altra ragazza che mi ha schiaffeggiato, lo stesso giorno in cui l’avevo incontrata. Afferma che è stato molto gentile, da parte mia, fare quello che ho fatto.
Apro la bocca per rispondere, ma ella mi mette la mano sulle labbra.
- Non dire nulla-.
Incerta, come se non fosse sicura di ciò che sta per fare, mi bacia.
Dura poco, ma sembra un’eternità.
Mi ringrazia nuovamente. L’abbraccio.
Non fa più tanto freddo, ormai. O forse sì. Mi accorgo che Maeve sta tremando.
- Vieni, torniamo dentro- le propongo.
Mi stringe più forte. Singhiozza.
- Che cosa c’è che non va?-.
Affonda ancora di più il viso nella mia spalla e mi fa sapere che nessuno, mai, ha fatto qualcosa del genere, per lei.
Le dico che non deve piangere. Le dico che era il minimo che potessi fare. Le dico… che l’amo.
Mi guarda. È senza parole.
Le spiego come stanno le cose. Come il suo sorriso, i suoi occhi, mi abbiano fatto innamorare.
- Sei sincero-. Non è una domanda, è una constatazione. È un sollievo, per me, vederla sorridere ancora. Le asciugo le lacrime dal viso e la guardo. Ella sospira.
- Non posso- sussurra.
Calmo, le chiedo perché. Maeve china il capo e mi illustra la situazione.
Si trova a Trieste per un soggiorno di studio, cominciato a settembre, che si sarebbe concluso quel preciso giorno. L’indomani si sarebbe imbarcata su un aereo, per tornare a casa.
Le domando da dove venga, sperando sia un posto raggiungibile.
Sorrido amaramente, quando mi dice che il suo cognome è Jonasson e che è originaria di Uppsala. Il suo poco accento, quando parla italiano, è dovuto alla pratica e a lontani parenti del ramo di sua madre.
Tutto è un circolo. Le dico che il cognome di mia madre è Svenson. Siamo legati alla stessa nordica terra.
La stringo per l’ennesima volta, prima di parlare nuovamente.
- Se tu potessi…-. Non concludo la frase. Mi bacia prima che io ci riesca. Sussurra un sì nel mio orecchio.
In quel preciso momento, Helena esce dal locale. Stanno tutti per andare via. In più, si è preoccupata relativamente per Maeve.
Helena mi conosce, sa che non sono tipo da mettere le mani addosso ad una ragazza, ma, non vedendoci tornare dopo così tanto tempo, le era venuto un lieve dubbio. Resta anch’ella senza parole, vedendoci abbracciati. Non diciamo nulla. Maeve recupera la sua borsa, dalle mani di Helena, che continua a fissarla tra i riccioli castani, che le ricadono sul viso. In breve, il resto del gruppo esce fuori.
Jessica non dice nulla. Ha capito tutto vedendo Maeve. Le auguro una buona notte, dicendole che sarei rimasto ancora un po’ in città. Mi scocca un’occhiata di bonario rimprovero, mi saluta e si avvia verso casa di sua zia, poco lontana dal pub.
Maeve saluta Helena, dicendole che io le avrei spiegato tutto, per poi ritornare da me. Insieme, cominciamo a camminare verso le rive.
Arriviamo fino al Molo Audace, dove passiamo il resto del tempo.
Passiamo la notte là. Seduti su una panca, a chiacchierare. Ignorando volontariamente i cellulari, che vibrano fino alle due, per le varie chiamate.
Ma questa notte è ancora nostra.

Verso le quattro del mattino, ci avviamo verso la casa dove viene ospitata. L’accompagno fino a sotto la porta.
Mi dice addio.
La bacio ancora. Mentre la porta si chiude, mi sussurra tre parole.
- Jag älskar dig-.
Le uniche parole in svedese che comprendo.
Passo un altro paio d’ore a vagare per la città, immersa nel buio. Aspettando che gli autobus comincino a circolare di nuovo.
Fa freddo, nei momenti che precedono l’alba. Ma non abbastanza.
Finalmente, verso le sei e qualcosa, dopo aver fatto un’abbondante colazione in un bar, trovo una corriera diretta a Muggia.
Anche oggi osservo l’alba dai vetri in plexiglas del mezzo. Il riflesso dorato del sole sul mare mi rimembra subito la sua chioma aurea.
Sospiro.
E così, romantico senza speranze, mi sono innamorato di un sogno impossibile.
Sorrido al vuoto. Sono solo, nell’autobus, tralasciando il vecchio che dorme, seduto qualche posto più in là.
Certo che quando Jess e Helena sapranno tutto, mi prenderanno per pazzo, mi dico.
Scendo all’altezza del cimitero di Muggia e m’incammino su per la salita, per arrivare a casa. Non m’importa della sfuriata che riceverò, nel momento in cui metterò piede in casa, non m’interessa quanto può essere impossibile l’amore che provo per lei. L’unica cosa che m’importa è il cielo sopra la mia testa. Il sole risplende.
Non fa più tanto freddo.

Ok, forse è un po' inverosimile. Ma, chissà...

E si conclude così Without Inspiration. Nonostante restino molte strade, ancora aperte. Chissà che Kyle non abbia voglia di prendere un treno. Tra Muggia ed Uppsala, tanto, ci sono solo novecentoottantadue miglia e mezza. In linea d'aria.

Grazie mille alle due recensitrici ed a tutti coloro che hanno letto.

Ed ora vi pongo un interrogativo: che cosa preferite leggere prima, il baccanale dei diciotto anni di Kyle, Dean e Ben del giugno dell'anno dopo (Without Inspiration si conclude al 15 dicembre); o un eventuale folle viaggio di Kyle verso Uppsala

Avete tempo per dirmi la vostra preferenza fino a domani alle 17:00.

Un saluto a tutti.

P.s. le canzoni citate sono "Autogrill", di Guccini e "Notte Prima degli Esami", di Venditti. Inoltre vedrei perfetta come sottofondo nella scena del bacio "Kissing you" di Des'ree.

Ho citato anche il film Sin City, un paio di volte. A voi il compito di capire dove. =) 

 

 

 

 

 

  
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