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Autore: Alex Wolf    15/01/2014    7 recensioni
Ultima parte della storia di LegolasxElxSauron. Ispirata al film "Il ritorno del re".
Dal 13° capitolo:
"Mi sono sempre chiesto perché amore e sangue avessero lo stesso colore: adesso lo so.
- Alessandro D'Avenia"
« Stai lontano! Stai lontano da me! » Gli ordinai, facendo un passo indietro. I suoi occhi celesti mi guardarono stupiti dal mio comportamento e le sue labbra si socchiusero un poco. « Non voglio farti del male, ti prego. » Lo implorai, e per la prima volta dopo tanto tempo mi sentii fragile, distrutta e vuota dentro, con le lacrime che minacciavano di scendere. Ma non volevo piangere, perché non volevo mostrarmi debole, non volevo essere debole.
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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You must go. ‘Cause it’s time to choose. 
 
 
“Se vedi il mare in due occhi marroni è la fine.”
 
— occhiglaciali, tumblr.

 
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La cella è scura, fredda e umida, sebbene alcuni raggi di sole riescano ad aggirare la sbarre e poggiarsi al suolo. Sono giorni che sto rinchiusa qui sotto assieme ai nani, e che mi rifiuto di mangiare le cose che Thranduil mi manda in più; certo, un pezzo di pane non è che mi sazi così tanto, ma io non voglio sconti: ho fatto da sola questa scelta, e non ho intenzione di crollare. Un pizzico mi risveglia dallo stato assente in cui sono e quando mi volto trovo Fili a guardarmi: gli occhi scuri preoccupati.
« Tutto bene? » Domanda, ritirando la mano oltre le sbarre. Sorrido e annuisco, sebbene la mia testa stia scoppiando, la pancia mi brontoli e il mio corpo tremi dal freddo. Tutto a causa della mancanza di cibo, lo so che è per quello, ma sono maledettamente cocciuta e non ne toccherò nemmeno un pezzo. « Sicura? Non hai una bella cera. » Continua. Chiudo le palpebre, che sento pesanti più che mai e getto la testa indietro, poggiandola al muro freddo di roccia.
« Sono solo stanca. Tutto qui. » Lo rassicuro, risucchiando poi immediatamente le guance dentro la bocca per morderle quando una stilettata di dolore mi trapassa il ventre. Sento il nano sospirare e muoversi, tentando di allungarsi abbastanza verso di me per poggiare la mano sulla fronte. Quando ci riesce, la ritira subito e io apro una palpebra per spiarlo.
« Questa è febbre, e anche alta a mio parere. E’ colpa di queste celle umide, e del fatto che non mangi. Quando capirai che uscire da qui è la soluzione migliore? Non ci devi nulla, Isil. » Volto la testa verso di lui e mi sposto leggermente nella sua direzione, ignorando le fitte allo stomaco brontolante. Dio, mi sento debole e stanca più di quanto non dovrei. Sto per collassare, me lo sento.
« Non è vero. Non è febbre », si lo è, « sto bene. » Sono una bugiarda, ma non voglio farlo preoccupare. Lui continua ad osservarmi con quei suoi occhi incerti e capisco cos’ha in mente ancora prima che apra bocca. « Se osi chiamare le guardie giuro che ti strappo la barba. » Lo minaccio e, dirigendomi barcollando verso l’altro lato della cella, mi allontano. Porto le mani al petto e allungo leggermente le gambe, poggio la testa al muro e chiudo gli occhi. Tutto scompare, i pochi raggi di luce si affievoliscono e le tenebre mi incatenano nella loro morsa. E’ freddo e buio, e sto male. Sento solo voci in lontananza, ma non riesco a capire nulla i suoni sono ovattati, sfumati dal sonno che mi ha presa.
 


Quando apro gli occhi la luce mi acceca, costringendomi a socchiudere le palpebre per abituarmi pian piano a quel cambiamento. Riesco a distinguere forme e figure: sono in una grande camera, che si apre sul alto nord in un grosso terrazzo senza finestre dal quale entra una leggera brezza, che fa ondeggiare le grandi  tende di velluto verde. E’ tutto molto candido qui dentro, rilassante e al contempo diverso dalla cella in cui ero. Le pareti sono lisce e bianche, i mobili di legno che sono all’interno della stanza sono finemente lavorati e decorati con splendide figure sinuose ed eleganti. Abbasso lo sguardo e osservo il letto in cui mi trovo: è molto grande, troppo grande per essere un semplice matrimoniale e sopra il materasso sono stese lenzuola bianche e un secondo paio verdi smeraldo. Delle colonne di mogano salgono verso l’alto e s’intersecano fra loro creando un quadrato sopra la struttura, giacenti sulle travi ci sono dei veli candidi che scendono per la lunghezza delle travi e si legano ad essi tramite una corda d’oro. Un flebile cinguettio mi fa voltare verso l’esterno e li, prima nascosto dal movimento sinuoso delle tende, vedo un uomo. Indossa una lunga veste color argento, ma dal colletto posso dire che all’interno è di un intenso rosso purpureo. I capelli biondi, quasi argentei alla luce del sole, sono sciolti sulle spalle ampie e le braccia muscolose si muovo verso le tempie, dove le dita si fermano ad accarezzare le tempie candide. Trattengo il respiro quando capisco di chi si tratta; ci ho messo qualche minuto a ricreare la sua immagine senza corona nella mia mente, ma non posso essermi sbagliata. Socchiudo le labbra e muovo la testa con una velocità improvvisa che mi causa un giramento di testa. Mi reggo la testa fra le mani e quando il senso di nausea è passato sbatto le palpebre sorpresa e tento di porre risposte alle mie domande: Dove mi trovo? Di sicuro nella sua stanza. Perché sono qui? Devo essere svenuta e Fili deve aver chiamato le guardie. Perché proprio qui? Non ne ho idea. E ora che faccio? Pessima domanda, non ho risposte adatte. Prima che qualche idea possa passarmi per la testa, Thranduil volta leggermente il capo verso di me e i suoi occhi vengono attraversati da un fulmine vitale. Osservandolo, mi sento come una preda braccata da un cacciatore troppo bravo da cui poter sfuggire. I suoi occhi, vetro trasparente e freddo, restano fermi nei miei, mentre lui si volta completamente e comincia a camminare nella mia direzione con quel suo passo tanto leggero e sicuro che pare non toccare suolo. L’interno della tunica, come avevo previsto, è rosso e riluce sotto i caldi raggi solari. Supera gli immensi tendaggi verdi e io non posso fare a meno di sentirmi messa alle strette. Non mi piace stare sola col re: è freddo, distaccato, un predatore abile e riesce a smuovere dentro di me tanti sentimenti contrastanti contemporaneamente. Lo vedo e il mio cuore comincia a rallentare i battiti, sento la sua voce e mi pare fermarsi del tutto e il sangue nelle mie vene sembra congelarsi, ma non mi dispiace. Thranduil mi mette in soggezione, è capace di farmi tacere quando lo vuole davvero. Eppure, è in grado di farmi salire il nervoso con un solo gesto della mano a volte, o con i suoi discorsi. Smetto di osservare davanti a me, non mi ero neanche accorta di aver cambiato traiettoria visiva, e ritorno a guardare verso il re. Sussulto, trovandolo in piedi accanto al letto, e d’istinto stringo le coperte nei pugni e le tiro verso l’alto. So che sono vestita, me ne sono accertata, ma è stato un gesto naturale. L’elfo mi fissa e sono sicura di aver visto un piccolo guizzo di divertimento comparire per qualche istante sulle sue labbra; e ora non posso fare  a meno di chiedermi come dev’essere quando sorride o è felice, perché non l’ho mai visto lasciarsi andare ad un pó di felicità. I miei occhi corrono a delineare la sua mascella tesa, e poi tornano a fissare i suoi: sono così distaccati, sembrano due laghi ghiacciati provenienti da un altro mondo. Due candidi buchi neri che incanalano tutto e non fanno trasparire nulla. Prima che possa anche solo muoversi si avvicina, piegando il busto nella mia direzione, e i capelli biondi ricadono a pochi centimetri dal mio viso. Mi getto indietro, affondando nei cuscini alle mie spalle; farei di tutto per non mostrarmi imbarazzata di fronte a lui, dopo tutto devo pur mantenere la mia immagine da “stramba ragazza cocciuta e orgogliosa”.   
« Come ti senti? » Chiede con quella sua voce ghiacciata, che riesce persino a farmi congelare le vene nonostante l’insolito caldo che c’è fuori. L’osservo e socchiudo le palpebre tentando di non mostrarmi troppo stupita della domanda postami, anche se era scontato me la facesse.
« Bene. » Rispondo con il suo stesso tono di voce.
« Bene. » Ripete lui, alzando il busto e dandomi le spalle. La luce del sole oscura la sua figura mettendone in risalto il profilo. La veste argentea brilla un poco, i raggi illuminano anche l’elsa della spada che è attaccata alla cintura che poggia sui fianchi del re. Mi passo una mano fra i capelli e ragiono sul da farsi: non posso restare li, nelle sue stanze, non c’è la faccio è più forte die me. Standogli così vicina potrei impazzire e non agire coscientemente. Perciò, con velocità mi scopro le gambe e comincio a gattonare verso la fine del letto opposta al re, che ancora osserva il bosco che si estende oltre il terrazzo. Quando poggio i piedi a terra, la veste da camera che indosso rasenta il suolo e crea come un’aura attorno alla fine della mia figura. Lancio una veloce occhiata al sovrano e, caricandomi la gonna fra le braccia, mi avvicino alla suntuosa porta d’uscita. La mia ombra mi segue fedele, spero solo che non mi tradisca e si allunghi verso la luce più del dovuto. Allungo una mano verso la maniglia ma delle dita lunghe avvolgono il mio polso bloccandomi.  Lascio ricadere tutta la stoffa a terra e mi volto a  guardare il viso del sovrano, che mi guarda serio e enigmatico. Chissà cosa starà pensando, cosa vorrà fare. Poi penso che sia arrabbiato per il mio tentativo di fuga e subito il mio cuore accelera con talmente tanta forza che penso che cadrà a terra, sporcando il pavimento di sangue.
« Devi stare a letto, non puoi ancora andare a spasso per il mio palazzo con la febbre che hai avuto. » Sottolinea quel possessivo come se ne dipendesse la sua vita. Scrocchio le dita della mano libera, sapendo che a lui da fastidio, e lo fulmino con uno sguardo; ma lui rimane impassibile a fissarmi, con le spalle dritte e il portamento regale. Lo detesto quando fa così, ovvero sempre; mi fa salire il nervoso. Lui non può darmi ordini, non è il mio re, sebbene io viva in casa sua.
« Posso fare quello che voglio, tu non sei il mio re. » Lui si acciglia e stringe un po’ di più la presa, non demordo. « Sto bene, lasciami andare nelle mie camere a cambiarmi. »
« Sei pallida come un cencio, la febbre è passata da poco e non puoi permetterti di riprenderla viste le tue attuali condizioni di denutrizione. »
« E’ colpa tua se non mangio. Non voglio il cibo di un dittatore collezionista d’oro e  ossessionato dal proprio aspetto fisico, che non vuole aiutare dei nani a riconquistare la propria casa. » Socchiude le labbra e, quando le richiude, irrigidisce la mascella. L’ho colpito al cuore, perché per la prima volta sono riuscita a vedere le sue barriere abbassarsi un poco prima di essere rinnalzate. Sorrido soddisfatta, ma tutto cambia quando il re chiude le palpebre; per qualche secondo tutto rimane in stallo, fermo come se fossimo in pausa, poi uno strano rumore mi fa rizzare i capelli sulla nuca. I miei occhi corrono alla sa guancia, mentre quelli di vetro del re restano fissi sul mio volto cereo. Osservo la sua pelle bruciare, staccarsi, scomparire fino a lasciare intravedere i muscoli, i nervi e le ossa della parte sinistra del viso del sovrano. Seguo la linea che si ferma appena sotto lo zigomo e quando incrocio i suoi occhi sussulto: quello sinistro è bianco, l’iride si può distinguere solo perché è di qualche tonalità più scura, ma per il resto è tutto completamente bianco.
« Se questo è un trucco, smettila. Mi stai facendo paura. » Ammetto senza pensare, e tento di distogliere lo sguardo da quell’occhio ceco. No, non c’è la faccio a smettere di fissarlo, c’è come una calamita che mi spinge a osservare il suo viso deturpato sebbene non voglia. Ancora una volta, le mie orecchie sentono quello strano suono di carne lacerata e il viso di Thranduil torna quello che conosco, o almeno pensavo di conoscere.
« Non aiuterò quei nani, perché conosco la potenza del fuoco del drago. » Sibila avvicinandosi pericolosamente, poggiando le sue mani sulle mie spalle con poca gentilezza. E’ talmente vicino che riesco a sentire il suo profumo di aghi di pino e estate, sebbene non sappia proprio di cosa possa sapere l’estate: ma lui me la ricorda, così come i suoi occhi in questo momento mi ricordano i ruscelli. Il mio cuore sussulta: è maledettamente troppo vicino al mio corpo, e posso sentire i suoi muscoli e il suo calore. Il re mi osserva, e i suoi occhi di vetro mi sembrano vacillare un poco mentre esamina i miei tratti. La sua presa sulle mie spalle si fa più leggera, la distanza fra noi più sottile. Non riesco a capire cosa stia succedendo, non riesco a tentare di indovinare i suoi pensieri da quanto sono bloccata. E’ così vicino che è riuscito a mandare in tilt tutte le mie funzioni neuronali, e non ha neanche parlato troppo. Una sua mano sfiora i miei capelli, spostandoli dietro il collo e io rabbrividisco. I nostro occhi non si sono ancora lasciati andare, non ho ancora cercato di scappare da quella sua presa magnetica e non ne capisco il motivo. E’ come se fossi imprigionata in una morsa di ghiaccio, dove tutta via fa un caldo tremendo.  Questa cosa non va bene, affatto. Tutto sta diventando troppo stretto attorno a me, la stanza mi sembra rimpicciolirsi fino a soffocarmi, il re è troppo vicino e questa cosa mi mette pressione. Per la prima volta non so cosa fare, come comportarmi, cosa dire e la cosa mi mette nervosismo addosso.
« Sire. » Sussurro, per la prima volta dando a Thranduil del “lei”; ma per lui è come se non avessi detto niente.
« Hai degli occhi davvero, davvero scuri sai? Sembrano ruscelli. » Inarco le sopracciglia confusa, che abbia bevuto troppo vino? Probabile, quanto impossibile. Magari è solo scemo, ecco tutto. Continua a osservarmi e le sue mani si spostano dietro il mio collo con una delicatezza che pensavo non sapesse usare con le donne. Ha abbassato le barriere, lo capisco da come i suoi occhi cambiano da azzurri ghiaccio ad un tenue blu. Trattengo il respiro e l’osservo avvicinarsi. Il suo petto ampio preme contro il mio, il suo calore riscalda il mio corpo e i nostri respiri si fondono. Poggia le sue labbra sulle mie. Divento una statua, tentando di capire che fare perché lui mi ha preso in contropiede; ma poi, una delle sue mani si insinua nei miei capelli ed è la fine per me e il mio buon senso. E’ così delicato mentre mi sfiora la mia pelle che mi porta a chiudere gli occhi e dimenticami di tutto; le sue labbra sono gentili mentre si muovono e portano le mie a fare lo stesso. Alzo le braccia circondando il suo collo e il solletico che mi fanno i suoi capelli mi porta a sorridere. Dopo tutto non è una cosa così brutta: Thranduil sa essere persino dolce, in fin dei conti. Però… però c’è un pensiero che mi tormenta adesso: Legolas. La sua immagine sorridente mi passa davanti agli occhi, sotto le palpebre, mentre le mani del sovrano si apprestano a tirarmi verso l’alto, per farlo stare meglio.  Come posso fare questo a Legolas?  Come… prima che possa pensare ad altro la porta si apre e eccolo li: parli del diavolo spuntano le corna. Il giovane principe degli elfi silvani si è bloccato davanti a noi, e i suoi occhi passano da me al padre. Dio, che imbarazzo. Mi sento una puttana, e forse è quello che sono; alla fine non sono stata in grado di bloccare nemmeno uno stupido bacio che non volevo, perché alla fine mi era piaciuto.
 
 


 
°     °
 
 



Aprii di scatto le palpebre e una folata d’aria m’investì in pieno. Túron allungò le possenti ali, dispiegandole per far si che il vento le accarezzasse e scosse violentemente il capo, lasciando che una nuvola di fumo uscisse dalle grandi narici. Mi guardai attorno, constatando che stavamo sorvolando delle terre non molto lontane da Gondor e sbadigliai, poggiando una mano sulle labbra. Dovevo essermi appisolata qualche ora dopo la partenza, visto che la sera prima non ero riuscita a dormire. Avevamo deciso di accamparci e io avevo fatto il turno di guardia doppio, sebbene sapessi che Fanie non dormiva ma era come in stato di dormiveglia non mi ero sentita di svegliarla del tutto e rapirla dal poco sonno che aveva acquisito. Un'altra potente carezza d’aria mi fece intuire che Armë ci si era affiancata, e le sue ali battevano piano e ritmicamente fendendo l’aria gelide della notte.
« Ma quanto ho dormito? » Chiesi curiosa a Fanie, che era alle prese con i capelli che le erano finiti fra le labbra a causa del vento. Lei si voltò e sorrise, carezzandosi una guancia; sotto la luce stellare la sua pelle era paurosamente candida e gli orecchini alle orecchie brillavano sinistramente.
« Quasi due ore, non molto. In ogni modo, ben tornata nel mondo dei vivi. » Tornò a osservare le terre davanti a lei. Alzai le spalle, abbracciando il collo del mio dragone quando un grido squarciò la notte silenziosa. Immediatamente alzai il capo e così fece anche l’elfo; un altro lamento scosse le montagne e mi fece accapponare la pelle. Non era un lamento umano, ne animale, quelle grida non potevano arrivare così in alto con tanta nitidezza, perciò non potevano essere altro che…
« I Nazgûl! Via! » Gridò Fanie, stringendo le mani al pomo della sua sella. La dragonessa virò con velocità e ne evitò uno per poco. Voltai il busto per osservare quale strana creatura cavalcassero e rabbrividii: non era un drago, di certo. Aveva un lungo collo e una lunga coda e il viso ovale con una bocca che lo tagliava da parte a parte. Non aveva squame ed era liscio e viscido.
« Merda. » Mi lasciai sfuggire dalle labbra, prima di distendermi sul collo del mio drago e sperare che tutto andasse per il meglio.
 
 
Here we are, Peipe!
Questo, più che un capitolo capitolo, è un ricordo. Il tanto atteso ricordo del bacio  fra Thranduil e Ele. Anyway, che ne dite? Piaciuto? Ora vado a nanna <3 Notte :3
  
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