Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: stellanera9    16/01/2014    0 recensioni
Eloise McKenzie è una ragazza semplice,che vive in un paesino del Texas dalla mentalità ristretta e una profonda credenza religiosa. Un giorno,reduce da un brutto risveglio, posa gli occhi su un ragazzo dall’aria dannatamente misteriosa, con uno sguardo incredibilmente magnetico, che con passo svelto non bada alle varie occhiate stranite che gli altri studenti gli lanciano. Eloise resta a bocca aperta quando una delle sue amiche le rivela che in realtà,quel ragazzo bellissimo, è una ragazza : Mary Walker.
Dal testo :
"Io e te siamo come rose nel deserto : fiori belli,bellissimi,ma inadeguati e circondati dall'arido e dalla desolazione. Sì,siamo fiori belli,ma pur sempre rose nel deserto."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 3

- Macchia -

                                                        

                                                                                                                                      

Eloise si sedette lentamente sul divano e si tolse le scarpe . Era sola quella sera perché la madre aveva il turno all’ospedale. Avrebbe dovuto prepararsi la cena da sola, ma non aveva molta fame. Era appena tornata da casa di Emily e, nonostante lei avesse insistito per farla restare a cena, aveva rifiutato. Si sentiva stanca, aveva le gambe a pezzi e il sonno le annebbiava la mente.

Allungò il corpo sulla superficie fredda e chiuse gli occhi. Era abituata a quel silenzio che le faceva compagnia e, in fondo, le era sempre piaciuto. L’aiutava a riflettere, a fare chiarezza nella testa, ad ascoltare la propria voce nitidamente, senza che quella del resto del mondo la sovrastasse, come spesso accadeva. Non doveva dare risposte a nessuno, non era costretta a parlare con nessuno e poteva tuffarsi in quell’assenza di suono senza ferirsi troppo. A volte odiava ascoltare i suoi pensieri, odiava ascoltare la sua voce fissa nella testa ma in genere, proprio quando voleva evitare quel fastidio angosciante, si mischiava al caos e diventava un tutt’uno con esso. Quella sera invece non c’era niente oltre alla stanchezza ad infastidirla. Era stranamente serena e sentiva che su quel divano avrebbe potuto chiudere gli occhi e scivolare lentamente in una dimensione più leggera. C’erano sogni brutti e sogni belli, ma se uno ci pensava bene, non esistevano sogni brutti: bastava aprire gli occhi e accorgersi che si trattava di un’astratta macchinazione del cervello, calmare il respiro e tornare a vivere. Con la vita vera invece non era così, purtroppo. A volte riusciva la cosa inversa: chiudere gli occhi ed estraniarsi per quei momenti astratti dalla realtà. Se però i problemi che attanagliavano il corpo erano insidiosi e pieni di una forza troppo oscura da sopportare, diveniva persino difficile addormentarsi.

Eloise svuotò la testa, respirò a fondo e senza accorgersene, mentre una serenità precaria si impossessava di mente e corpo, si addormentò.

Quella notte sognò.

Indossava una maschera da pagliaccio e girava con solo una vestaglia indosso per i corridoi della scuola. Tutti la guardavano, tutti ridevano, ma lei continuava a camminare nonostante ogni sguardo che la colpisse la ferisse nel profondo. Camminò a lungo, senza una meta, a piedi scalzi. Passò davanti agli Implacabili e loro risero fino a che non gli uscirono le lacrime dagli occhi, senza curarsi affatto della sua presenza. Passò davanti all’intera squadra di cheerleader ed una di loro dal volto quasi indistinguibile alzò la vestaglia e le risate, che già le riempivano la testa, divennero ancora più forti ed assordanti. Non voleva fermarsi e si chiedeva perché diavolo le sue gambe non la portassero via da quel postaccio. Era come se non fosse in grado di andarsene, come se quegli sguardi l’avessero fatta prigioniera in quel posto freddo e cupo. Ad un tratto vide una figura familiare in cima alle scale. Capelli lunghi, grigi ,un viso lungo solcato da qualche ruga, due piccoli occhi color cielo che la fissavano e la bocca piena curvata in un  piccolo sorriso spento. Quando Eloise si rese conto di chi fosse cominciò a correre per raggiungerlo, ma non appena salì il primo scalino quella sagoma sparì, lasciandola sola e abbandonata a delle lacrime di dolore. Con la sofferenza nel cuore, che rendeva il suo viso umido e la bocca impastata di saliva, salì ancora gli scalini, entrò in una classe e, piena di rabbia, spaccò una finestra con una sedia. Il vetro si frantumò in mille pezzettini e lei stramazzò a terra senza forze. Il dolore le lacerava il petto, le impediva di respirare e non dava tregua ai suoi occhi da quell’acqua impura. Urlò una volta ,due volte, ma non c’era nessuno ad ascoltarla. Si trascinò vicino al vetro che riempiva il pavimento e prese una scheggia molto appuntita in mano. Posò la superficie tagliente sul polso e lentamente lacerò la pelle mentre il flusso delle lacrime aumentava; il dolore dell’anima si mischiò a quella del corpo e in un gioco perverso e malato, le due cose divennero unico fluido rosso che macchiava la pelle di Eloise. La ragazza gettò la scheggia a terra e quando si voltò rivide suo padre. La guardava triste, con gli occhi lucidi, l’aria afflitta e allo stesso tempo delusa. Era quella delusione sul viso dell’uomo a rendere Eloise ancora più disperata. Sperava che si sarebbe avvicinato per aiutarla ad alzarsi, per curare le sue ferite, ma lui sparì di nuovo. E allora si gettò a terra, mentre quella ferita profonda macchiava di rosso il pavimento bianco di quell’aula. Smise di piangere, ma allo stesso tempo di respirare.

«Eloise! Eloise, svegliati!»

Qualcuno la scosse per la spalla.

«Sveglia El. È mattina».

La ragazza aprì gli occhi a fatica e notò che la luce del sole irradiava il soggiorno. Si passò le mani sul viso in preda ad una confusione devastante e si accorse che era bagnato.

«Quando sono tornata in cucina stavi piangendo. È tutto ok?»

«Mmm… sì mamma, è tutto ok».

Merda, aveva pianto per davvero. Si stiracchiò, sbadigliò e si stropicciò gli occhi. Era ancora persa in quelle immagini surreali che l’avevano attanagliata per lunghi minuti; mai come quella volta fu grata al Signore per aver creato il sole.

                                                                                                                                 *

Eloise si stiracchiò per l’ennesima volta a scuola. Aveva già affrontato tre lezioni, una più faticosamente dell’altra. Non aveva bisogno di ascoltare per essere in grado di capire, ma faticava ugualmente nel tenere gli occhi aperti e mettere in scena una recitazione in grado di ingannare i professori. Le bastava tenere lo sguardo fisso su di loro mentre scrivevano formule o leggevano libri dalla cattedra, ed annuire di tanto in tanto quando i loro occhi si fissavano sul suo viso in cerca di approvazione. Forse le era più difficile fingere che ascoltare per davvero.

Quel sogno l’aveva profondamente scossa. Dopo più di tre ore poteva ancora riuscire a capacitarsene. Suo padre diceva sempre che i sogni erano frutto di desideri o pensieri che a volte inconsciamente le persone avevano dentro. Poteva dargli ragione, ma perché a distanza di un anno tornava a sognare l’uomo grazie al quale esisteva? E cosa significava la maschera e tutto il resto? Continuava a pensarci e ripensarci, tormentandosi mani e labbra con la testa persa in quelle immagini che difficilmente avrebbe scordato. Si era addormentata serenamente la sera prima, eppure… in genere sognava cose strane solamente quando si addormentava con un pensiero fisso in testa anche per questo motivo non riusciva proprio a spiegarsene il significato.

La terza ora era finita e mentre passeggiava tranquillamente per i corridoi alla ricerca di una delle sue amiche vide Jason mano nella mano con Emily.

«Ciao ragazzi!»

Jason afferrò il viso della sua ragazza delicatamente e le diede un bacio intenso per salutarla; uno di quei baci che Eloise poteva solo immaginare. Lei non era mai stata fidanzata, tranne alle elementari, con un ragazzino di nome Steve. Ricordava ancora bene quando passeggiavano per la classe di venticinque metri quadrati mano nella mano. Lo rivedeva ancora, di tanto in tanto, quel ragazzo dai capelli rossicci, ma quella loro storia insignificante di quand’erano ragazzini era come se fosse stato un motivo in più per tenerlo a distanza da Eloise.

«El!» urlò Emily piena di gioia, correndo ad abbracciarla.

«Sbaglio o il grande ed impacciato Jason non è poi cos’è impacciato quando si tratta di baci?» chiese Eloise con un sorrisetto.

L’amica fece spallucce «Altro che impacciato: bacia da Dio!»

Le due risero e la ragazza dagli occhi verdi colse l’occasione per punzecchiare l’amica.

«Non è che fa anche altro da Dio?»

«Elly!» strillò l’amica ridacchiando. «Da quando in qua fai battutine su queste cose? Abbatti un tabù, lo sai?»

«Allora scusa. Niente più battutine, promesso».

«Lo sai che te lo dirò se dovesse succedere, ma sai anche come la penso, no?»

«Lo so, scherzavo solamente».

«Solo baci, solo baci. Ma a volte…»

«A volte?» chiese Eloise curiosa, tornando a sorridere.

«Beh, ecco…» l’amica era imbarazzata e le guance chiare si colorarono leggermente di rosso «a volte vorrei concedermi di più, capisci? Insomma, è pur sempre un maschio e quando ci baciamo sul letto o magari quando sono seduta su di lui… percepisco il suo desiderio di avere più di qualche semplice bacio».

Entrambe sorridevano, ed Eloise annuì dimostrando comprensione.

«E poi ha un fisico pazzesco! Spesso dobbiamo fermarci quando ci baciamo e siamo soli in casa sua, altrimenti… la tentazione c’è».

«Ma tu vuoi aspettare fino al matrimonio, giusto?»

«Giusto!» rispose sicura l’amica «perché, tu no?»

Eloise non aveva mai veramente pensato a come e quando perdere la sua verginità; forse perché non aveva mai avuto un ragazzo e quindi il problema non si era mai posto. Per lei era qualcosa di importante e di certo non si sarebbe concessa al primo stupido che avrebbe incontrato. Probabilmente avrebbe aspettato anche lei il matrimonio.

«Sì, penso di sì. Non ci ho mai riflettuto veramente ma dovrà essere speciale».

«Sono d’accordo» rispose l’amica compiaciuta.

La campanella suonò e le strade delle due amiche si dovettero dividere.

«Ci vediamo a mensa».

«Ciao Em» la salutò Eloise.

La ragazza sorrise ed annuì con il capo.

Le gambe di Eloise, che quel giorno erano fasciate da dei jeans scuri a zampa di elefante, la portarono rapidamente all’armadietto per permetterle di prendere i libri dell’ora successiva. La ragazza sbuffò sonoramente e convinse ogni fibra del suo corpo a non scappare via da quel posto orribile. Non aveva voglia di stare in classe, persa nei meandri della sua mente; non aveva voglia di ascoltare le voci dei professori e non aveva neppure voglia di camminare, respirare o parlare. Perché per una buona volta non era rimasta a casa? Avrebbe potuto recuperare un po’ di energie dormendo e poi rilassarsi leggendo qualche pagina di libro. Aveva erroneamente pensato che andare a scuola e distrarsi un po’sarebbe stato di sicuro migliore che restare in casa da sola a tormentarsi. Sbagliava, aveva tralasciato un piccolo particolare: sarebbe stato meglio andare a scuola per qualsiasi essere vivente, ma non per la studentessa modello Eloise McKenzie. Quanto desiderava una persona che la strappasse via da quella quotidianità velenosa, qualcuno che in un giorno come quello la tentasse a sgattaiolare via; qualcuno di cui era talmente presa che ogni tentazione sarebbe stato un motivo in più per cedervi.

C’erano coppie di nerd, coppie di secchioni, coppie di popolari, coppie di inetichettabili per via della loro invisibilità sociale. Chiunque trovava un compagno o una compagna, ma lei? Avrebbe mai trovato la persona giusta ?Quella che le avrebbe fatto tremare le gambe? Quella che avrebbe reso ogni suo respiro più corto e disperato? Quella che le avrebbe mandato in tilt qualunque organo vitale? Quella che avrebbe riempito il suo cuore di così tanto amore, che sarebbe potuto scoppiare ?

Un altro sospiro riempì il silenzio di quel corridoio, ma proprio quando Elly chiese implicitamente uno scossone alla propria vita, quello arrivò nel peggiore dei modi.

«Ma guarda un po’ chi c’è!» disse Carry Wilson, squadrandola con cattiveria.

Eloise strillò una serie di parolacce nella sua testa. Abbassò lo sguardo e si girò, stralunando gli occhi. Carry era un ragazza bellissima: aveva un viso ovale, magro, labbra scure a cuoricino, occhi verdi come smeraldi e lunghi capelli biondi. Era così magra e aveva una pelle così magnificamente abbronzata che ad Eloise, nel solo guardarla, dolevano gli occhi. Come tutti i giorni quell’umana dall’aspetto di una dea indossava la divisa bianca e blu delle cheerleader ad esaltarle le lunghe gambe affusolate.

Dietro a Carry, con la funzione di formare un trio perfetto e pieno zeppo di malvagità, c’erano Ashley Welsh e Micaela Simons.

Ashley era all’ultimo anno ma era decisamente la più insignificante tra le tre. Aveva un viso lungo, capelli mori con la frangetta e la pelle color pesca. Non aveva un corpo bello o speciale come quello delle altre due. Sfiorava il metro e cinquantacinque e le sue gambe erano leggermente in carne.

Emily detestava con tutta se stessa quella ragazza. Soltanto sei mesi prima aveva fatto di tutto per distruggere il rapporto tra Jason e lei perché si era presa una cotta per il biondo. L’aveva odiata e soprannominata “la nana malefica”.

Micaela Simons era di una bellezza indescrivibile. Ogni volta che Eloise la guardava si chiedeva come cavolo avesse fatto la genetica a dar vita ad una creatura di una simile bellezza. Non riusciva nemmeno a provare invidia nel puntarle gli occhi addosso. Era così bella che non si poteva fare a meno di venerarla in segreto. Nemmeno se Eloise si fosse sforzata con tutta se stessa sarebbe riuscita ad odiarla; nessuno ci riusciva e se non ci fosse stata Carry Welsh ad oscurare la sua luce, quella ragazza avrebbe accecato l’intera città di Archer City.

La prima cosa che spiccava e meravigliava nel viso di Micaela erano i suoi grandi occhi blu. Aveva degli occhi stupendi di una colorazione che, se osservata bene, tendeva quasi al violetto. Il viso era ovale, dai tratti leggeri e delicati. Le labbra scure e carnose, i capelli mori e lisci. Aveva un fisico mozzafiato, tonico, con delle forme stupende e delle gambe che mettevano in soggezione chiunque. Micaela aveva l’aspetto tipico di una fotomodella, ricordava un po’ l’attrice bellissima di Transformers. Eloise era sicura che se quella ragazza fosse nata in grandi città come New York o Los Angeles avrebbe sfondato.

«Girati quando ti trovi in nostra presenza» disse acida Ashley.

Eloise non voleva voltarsi. Era impietrita, con lo sguardo fisso sull’armadietto, mentre pensava ad una scappatoia da quella brutta situazione.

«Girati!» strillò Carry.

Purtroppo Eloise obbedì ed una cascata di frullato freddo, dallo strano colorito rosa e dall’odore disgustoso, le macchiò la maglietta arancione.

Le ragazze risero di gusto e Carry gettò il bicchiere vuoto sui piedi della povera vittima, macchiandole anche le scarpe con degli schizzi.

«Così impari a non obbedire. Noi volevamo solo fare una chiacchierata» concluse la bionda, dileguandosi con le sue amiche tra le risate che rimbombavano nel silenzio.

Eloise si guardò attorno, disperata. Era immobile, fradicia e puzzolente. Prese un lembo della maglietta che le aderiva sulla pelle come della carta velina e lo osservò.

«Cazzo» borbottò, sbuffando.

Diede un calcio al bicchiere e, muovendosi come se improvvisamente avesse perso la capacità di camminare, si diresse in bagno.

Era in ritardo di almeno cinque minuti per la lezione di storia e come sarebbe rientrata in classe zuppa in quel modo? Tutti avrebbero riso di lei, per l’ennesima volta. Forse quel sogno era stato un messaggio di allarme, o forse era stata solo la triste previsione della sua realtà quotidiana.

Non appena aprì la porta imbrattata di scritte una violenta puzza di fumo le bloccò immediatamente il respiro. Qualcuno stava fumando, ma chi, se era severamente vietato? Alzò gli occhi e vide Mary; era appoggiata al muro con i piedi incrociati e con la sigaretta tra le labbra. Era così bella in quella posizione che qualcuno avrebbe dovuto immortalarla con una foto per non lasciare che ogni dettaglio di quel momento sparisse con il tempo. Ad Eloise tremò per un istante la terra sotto i piedi, quando la ragazza prese la sigaretta tra le dita ed aprì le labbra lasciando uscire lentamente il fumo bianco. La ragazza dai capelli corvini indossava una canottiera nera semplice, un paio di jeans scuri strappati sulle ginocchia e le sue solite Converse nere. I capelli erano sempre e impeccabilmente fissati in quel ciuffo ribelle e sbarazzino.

Eloise sentiva di non avere scelta : o se ne sarebbe andata (ed anche alla svelta) oppure sarebbe rimasta in quel bagno che era una cappa di fumo e avrebbe iniziato a fissare quella ragazza misteriosa.

Poteva scappare di nuovo? Quanto sarebbe stato brutto se l’avesse fatto ancora?

Erano passate due settimane da quella famosa domenica in cui si era rifiutata di stringere la mano di Mary, fuggendo dalla chiesa. Due settimane in cui le era parso che la serie di problemi che si era posta non fossero mai esisti. Per i primi tre giorni aveva cercato inutilmente lo sguardo vuoto di Mary a mensa per chiederle scusa con gli occhi, ma l’altra non aveva accennato a guardarla nemmeno una volta, come se fosse invisibile o non fosse degna di essere guardata. All’inizio ci era rimasta un po’ male, come se si fosse aspettata un qualcosa che però non era mai arrivato; poi, con il passare dei giorni, ci aveva fatto l’abitudine a quella presenza singolare e solitaria che non degnava nessuno del suo sguardo e della sua parola.

No, non se ne sarebbe andata. Quella volta aveva davvero bisogno del bagno e se proprio qualcuno se ne sarebbe dovuto andare, quella sarebbe stata Mary.

Eloise si guardò allo specchio e scosse la testa. Aveva la maglietta completamente fradicia e per di più le si vedeva il reggiseno. Guardò ancora allo specchio ma questa volta si fissò sulla figura di Mary che ricambiò l’occhiata. Continuava a fumare appoggiata a quel muro e, probabilmente, non si sarebbe spostata da lì nemmeno se fosse crollato il mondo.

Eloise doveva  togliersi la maglietta, provare a rimuovere la macchia e ad asciugarla con della carta igienica, ma come faceva se quella ragazza continuava imperterrita a fissarla, senza accennare nemmeno minimamente ad andarsene da lì? Non poteva chiederle di andar via, sarebbe stato molto scortese, così prese un pezzo di carta, lo bagnò con dell’acqua e provò a pulire la macchia ugualmente.

«Se ti do fastidio me ne vado» disse una voce rompendo il silenzio.

Eloise sgranò gli occhi quando capì a chi appartenesse quel suono grazioso. Mary Walker le aveva parlato. Alzò lo sguardo verso lo specchio e la guardò stupita. Restò ferma alcuni secondi in quella posizione, come un’ebete, tant’è che l’altra sollevò le sopracciglia e sorrise appena.

«Ehm… no, tranquilla. Non mi dai fastidio».

Mary Walker le aveva parlato. Aveva una voce così… grave ,ma allo stesso tempo dolce, melodica e leggermente roca.

«Ok» rispose l’altra, tranquilla.

Eloise aveva i muscoli rigidi a differenza di Mary. Era leggermente in imbarazzo per la sua condizione e si sentiva a disagio ed impacciata.

Si costrinse ad abbassare lo sguardo e continuò quel lavoro praticamente impossibile. La maglietta non aveva intenzione di asciugarsi, ma Eloise non si arrendeva. Sentiva gli occhi di Mary addosso ed era come bloccata nella sua posizione nient’affatto comoda. Perché quella strana ragazza le faceva quell’effetto? Possibile che la intimorisse così tanto? Era inquietudine o soggezione quella che provava?

«Io non insisterei così tanto» disse ancora quella voce «Se continui di questo passo la scolorirai».

Per poco Eloise non sussultò nel riascoltare quelle corde vocali vibrare di nuovo; quella volta però, c’era dell’ironia in quella voce e ciò che la rendeva ancora più gradevole. Fu allora che decise di sciogliersi un po’ da quella sua rigidità e voltarsi per non continuare a sembrare più maleducata di quanto non fosse già apparsa. In fondo Mary le aveva parlato; era una persona qualunque, perché doveva continuare a comportarsi come una cretina?

Si girò e la vide fare l’ultimo tiro di sigaretta e camminare per gettare la cicca nel water.

«Si asciugherà prima o poi, con questo caldo. Sono già un sacco in ritardo per la lezione di storia».

Mary sorrise sprezzante «perché, tu ci vai pure a lezione?»

Eloise fece spallucce ricambiando il sorriso.

La ragazza tenebrosa, vista da vicino, sembrava ancora più alta e più bella di quanto non le fosse sembrata prima di allora. Era intrisa di una bellezza particolare, non catalogabile; forse era proprio la sua ambiguità, il suo atteggiamento, o la sua aria da bella e dannata a far sentire a disagio Eloise. C’era qualcosa in quei suoi grandi occhi scuri, che rendeva le persone inquiete come se avessero visto un diavolo. Ogni fibra di quel corpo lungo ed elegante era piena di un’essenza indefinibile ma dannatamente magnetica. Ad Eloise era bastato guardare quella ragazza una volta per non togliersela più dalla testa. Quella tipa era l’unica cosa strana, nuova ed interessante in un paesino squallido come Archer City e forse Eloise, senza che se ne fosse nemmeno resa conto, aspettava da anni che quella ventata d’aria fresca le pizzicasse il viso, distogliendola dalla sua orrida realtà.

Mary si avviò verso l’uscita e all’improvviso ad Eloise prese un senso di sconforto. Non voleva che se ne andasse, non voleva smettere di guardare quel viso duro o di ascoltare il suono di quella voce.

«Ehi!» strillò senza starci a pensare due volte. La ragazza si voltò. «Mi dispiace di non averti stretto la mano in chiesa».

Gli occhi di Mary si rabbuiarono ed Eloise fermò l’impulso di gridare a se stessa “brutta idiota”.

«Non preoccuparti. Me ne ero scordata. Non è di sicuro la cosa peggiore che mi sia capitata» concluse cercando di sdrammatizzare con un sorrisetto forzato.

Poi, come se fosse stata una presenza creata dall’immaginazione esperta di una mente brillante, quella ragazza si voltò e sparì lentamente, lasciando sola Eloise in quella cappa di fumo che portava la sua firma.

Sembrava tutto un sogno; un sogno vivido o un’allucinazione. Ad Eloise non era ancora chiaro cosa fosse accaduto, le era chiara la distinzione tra realtà ed immaginazione. Si era immaginata tutto fin dall’inizio? Forse aveva avuto un così disperato bisogno di allontanarsi dallo schifo della sua vita che aveva iniziato a creare un modo tutto suo, i cui protagonisti erano misteriosi personaggi dalla scia oscura come la notte.

No, quella puzza di fumo le riempiva violentemente le narici ed era la prova materiale di cui aveva bisogno per ritornare sulla terra ferma.

Eloise si strofinò il naso, sbatté un paio di volte le palpebre fissando il pavimento e, con un sorriso inspiegabilmente stampato sul volto,uscì da quel bagno che sapeva di incredulità e confusione.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: stellanera9