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Autore: kyuukai    16/01/2014    3 recensioni
Una semplice storia dal sapore dolce amaro, su come un piccolo giunco abbia creato attorno al suo tappeto erboso arido una gioiosa vita propria, nonostante le ostilità altrui, e circondatasi di bizzarre ma preziose piante, che le terranno compagnia ed ameranno fino alla fine dei loro giorni.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fugaku Uchiha, Itachi, Mikoto Uchiha, Sasuke Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Ad un delicato fiore a cui piace vestirsi di bambù, auguri, e perdona il mio ritardo.

 

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C'era una volta un piccolo, tenero semino, piantato nella sabbia in tempi impervi, sotto la pioggia battente di un autunno particolarmente rigido, goccia dopo goccia l'acqua quasi lo scoprì alle intemperie, ma lui rimase lì, fermo e meditante, in attesa fiduciosa del ritorno del bel tempo e della primavera.

Difatti riuscì sorprendentemente a sopravvivere perfino al gelido inverno, e finalmente, dopo nove interi mesi, riuscì a dare i primi germogli. tirarli fuori dal peso della terra opprimente, ai primi albori della stagione tiepida.

Era il primo di giugno, una sera calda e piacevole, quando nacque, in casa Uchiha, una bella bimba che parve fin da subito tranquilla, a differenza degli altri bebè, con pochi, piccoli e delicati riccioli neri che ricadevano sulla testolina chiara.

La madre ed il padre le diedero il nome di Mikoto.

I primi anni della sua freschissima vita, finalmente all'aria aperta e sotto i raggi caldi e gentili del sole, trascorsero tra risate e giochi, scherzi birbanti ed amicizie senza impegno, di pomeriggi passati spensieratamente a rincorrersi per le vie del quartiere Uchiha, senza un pensiero per la mente gioiosa.

Ricordi che l'avrebbero fatta sorridere da adulta, ma con una vena di malinconia nella voce musicale e lieve, propria della leggera brezza tra le canne di bambù.

La bambina possedeva una bellezza delicata, fine ed elegante, come suggeriva il suo nome, lunghi capelli neri che non aveva mai osato tagliare fin dalla nascita solleticavano le sue spalle ed ondeggiavano assieme a lei ad ogni passo. Era di temperamento mite e calma, gentile di indole, ma aveva anche degli occhi singolarmente acuti, sempre attenti a qualunque parola, gesto delle persone.

Una shinobi stratega nata, cosa che gli istruttori, fin dall'accademia, non tardarono a scoprire, riponendo poi fiducia nelle sue capacità fini e senz'altro lodevoli.

Aveva avuto, fin da giovane, inoltre, un elegante fisico flessuoso, un animo forte e ben radicato nel terreno sabbioso, capace di sostenere qualunque peso ed affrontare le difficoltà con tranquillità, ma all'occorrenza, quando lo riteneva opportuno, il giunco selvatico all'arrivo del vento prepotente abbassava la testa, gentile e rispettoso, per poi rialzarlo a tempesta finita ed ergersi in tutta la sua bellezza ancora una volta, per catturare quanti più raggi del sole e gocce di pioggia.

Era una ragazza contenta della sua vita nella norma, entusiasta di vivere ogni giorno a pieno, e che amava teneramente, come ogni figlia, i propri genitori, la propria grande famiglia, in modo particolare gli anziani. Ma soprattutto ligia al suo dovere di Uchiha: nonostante la giovane età, dava il meglio di sé in tutte le missioni, ricevendo anche premi in denaro per questo, che mostrava festante, ma mai con vanto, a coloro a cui si sentiva più legata, con un sorriso delicato sulle labbra piene e rosee.

Fu quando ebbe quindici anni che le cose cominciarono a cambiare, ed i sorrisi ad appassire sulla sua bocca sempre più spesso.

I genitori divennero improvvisamente più presenti nella sua vita, sia per tramandarle tecniche segrete dello sharingan, appena manifestatosi in lei, sia nell'indirizzarla sulla retta via. In breve, organizzare la sua intera vita e prendere anche le più piccole decisioni per lei. Monopolizzare ogni suo passo, controllare ogni sua parola.

Ma gli occhi, e l'anima rimasero sue, quelle furono sempre libere di posarsi su tutto ciò che le interessavano di più, o che attiravano la sua attenzione, lì dove i raggi del sole di rado schiarivano il cielo.

Era così che aveva conosciuto Uchiha Fugaku, un taciturno ragazzo di appena un anno più grande, ad un banchetto organizzato dal clan, al quale i genitori l'avevano portato quasi a forza, facendola desistere da andare in missione assieme alla propria squadra di chuunin.

Si era allontanata un attimo per riprendere fiato, tutti quegli sguardi severi e rigidi cremisi, le parole dure ed assetate di odio e potere le avevano trasmesso un senso di oppressione al petto indicibile, quasi quanto il dolore provato ad essere stata portata lì contro la sua volontà. I genitori non avevano mai visto di buon occhi la rapida ascesa della figlia a scuola.

Era come ricevere una pugnalata dritta al cuore, ogni volta che pensava, realizzava che i suoi avrebbero di gran lunga preferito avere una ragazza ignorante e sempliciotta, come figlia, malleabile come creta tra le loro mani, non lei

Una volta allontanatasi dalla folla, invece di trovarsi sola, incontrò un giovane solitario, seduto davanti al laghetto delle carpe, apparentemente preso dal fissare il suo riflesso nell'acqua cristallina, semmai ci riuscisse con quei capelli lunghi sugli occhi.

Mikoto, guidata dalla curiosità, si era accostata silenziosamente a lui, per vedere meglio. Il ragazzo non appena fu abbastanza prossima alzò fulmineo un dito per farla fermare e stare in silenzio.

Dopo qualche altro minuto di bizzarro silenzio, un grasso pesce koi spiccò un salto dalla superficie dell'acqua, e si rituffò elegantemente nello stagnetto, schizzando acqua ai due ragazzi.

“Dunque era questo che stava aspettando!” pensò provando a scrollarsi dal kimono elegante le gocce che l'avevano colpita. Il giovane invece rimase lì a ridere a capo chino, quasi a vergognarsi di mostrarsi così apertamente divertito.

Mikoto sorrise ancora di questo, e gli diede un colpetto gioviale sulla spalla, al quale il giovane rialzò il volto, e spalancò gli occhi color carbone in sorpresa. Sicuramente non aveva immaginato che fosse una ragazza, ed arrossì un poco sulle guance.

Il lieto e spensierato raggio di sole scomparì presto, celato da spesse nubi scure. Il sorriso spontaneo le morì sulle labbra non appena sentì un vociare alle sue spalle, e girandosi scorse i genitori a complottare con un altra coppia di adulti, che avevano gli occhi sul ragazzo al suo fianco.

Subito capì che era, inconsciamente, caduta in una trama, appena tessuta, da loro.

Ed improvvisamente nella sua vita c'era solo lui, lo ritrovava in ogni incontro, sala da thè, veniva invitata ben volentieri in casa sua, dove tante facce pallide e grinzose le rivolgevano finti ed orridi sorrisi finti privi di calore. Fugaku almeno era sincero, e nel suo silenzio non si dichiarava mai a favore o meno a quegli incontri.

Lei ne era totalmente contro, tutta quell'artificialità le faceva venire il voltastomaco ad ogni incontro, le formalità, il fatto che dovesse indossare sempre gli scomodi kimono eleganti che le segavano la figura esile, le missioni che aveva dovuto rifiutare per colpa di questi incontri.

Fu quasi per ripicca, ribellione giovanile, o semplicemente balzo disperato verso la libertà che accettò la promozione a jounin senza il permesso dei genitori, che ovviamente gliela fecero pagare cara, e molto anche.

Come tanti altri, troppi forse per le sue fantasie da bambina, anche il suo matrimonio fu stato combinato tra le varie branche del clan Uchiha.

Fugaku era il figlio unico del ramo dirigente, lei la jounin più promettente. I loro genitori videro l'occasione per rinserrare i ranghi della famiglia, il profitto e l'età da marito della giovane.

Quando si unirono in matrimonio lui aveva venticinque anni. Lei appena diciassette.

Nei giorni precedenti alla grigia e rigida cerimonia, nei quali provò, sempre cortesemente, a far desistere i suoi genitori dall'impegno imminente, non solo ignorarono le sue parole piene di veridicità e paura, ma la spogliarono mano a mano di tutto, la sua libertà, il suo lavoro, le sue amicizie perfino, le allontanarono pian piano finché si dimenticarono di lei. Le tagliarono ogni possibilità di cambiare strada.

Gliene rimase solo una, ed era quella verso il giovane uomo dall'aspetto ora distinto e rigoroso in kimono nero da cerimonia, inchinato davanti al capoclan, suo padre. Circondato da mille occhi cremisi rivolti tutti a lei, che a capo chino, scivolò con passo addolorato attraverso lo stretto corridoio lasciatole dagli invitati, per raggiungerlo ed unirsi, come i genitori avevano tanto voluto, ad un uomo che neppure conosceva.

Non pianse neppure una lacrima, l'orgoglio era stato troppo forte. Sapeva che si sarebbe risollevata presto, una volta terminata quella farsa sarebbe tornata se stessa, spogliata di quel vestito così non suo, ed avrebbe tentato ancora di ragionare con i genitori, od almeno col silenzioso marito, che non aveva neppure provato a rivolgerle la parola o tenerle stretta la mano durante la cerimonia.

Che strano ragazzo, davvero.

Ma ancora una volta la povera giovane si vide chiudere le porte davanti agli occhi, madre e padre le fecero recapitare i pochi oggetti personali ed averi, assieme alla dote, nella loro casa, e si rifiutarono deliberatamente di rivolgerle la parola, figurarsi parlare di annullare l'unione di due ragazzi che non si amavano.

Fu costretta a stare ferma, rinchiusa tra quattro mura spesse come montagne e silenziose come cave sotterranee, controllata perfino dai nuovi parenti del marito nei primi giorni di matrimonio.

Per una giovane attiva come Mikoto, abituata a camminare allegramente con le amiche per le strade di Konoha, partecipare alla missione, allenarsi all'aria aperta, i primi mesi sembrarono una tortura fisica e psicologica.

Come anche cominciava a sortire effetti negativi il silenzio pesante che avvolgeva sempre più il marito, che pareva non rivolgerle nessuna attenzione particolare, si limitava a stare assieme a lei durante i pasti, e subito dopo, rivolgendole solo poche parole, necessarie solo ai fini della convivenza, non di particolare spessore.

Le fu naturale, di primo acchito, provare rancore anche verso di lui. Era l'unica persona rimasta nella sua vita, ma purtroppo non era una compagnia di certo gradita, oltre che imposta. Fece di tutto per evitarlo, pur vivendo sotto lo stesso tetto. La sua testardaggine e ribellione adolescenziale si era rafforzata da quando i genitori l'avevano costretta a lasciare la casa per abitare con lui.

Ma eventualmente, dopo molto tempo, qualcosa cambiò. Fugaku venne letteralmente a cercarla nella solitudine in cui caparbiamente si era rinchiusa, lasciava due tocchi sul legno della sua porta ogni volta che tornava a casa, senza aspettarsi nulla.

Quando la ragazza, tra le lacrime di rabbia, gli urlò frustrata che non avrebbe fatto nulla per lui, mai, tanto meno le faccende di casa per cui era così avversa. Incontrò solo altro silenzio, ed i passi leggeri sul tatami allontanarsi.

Dal giorno dopo, oltre ai due tocchi, Fugaku cominciò a lasciarle piccoli pasti leggeri, il cui odorino invitante faceva brontolare la pancia della giovane a digiuno, attraendola fuori dalla camera con le migliori lusinghe. Resistette un'altra settimana, quando aprì la porta scoprì che i pavimenti erano stati puliti e cerati, sui mobili neppure un dito di polvere, e fuori, nel giardino, il marito, impacciato di fronte a quelli che dovevano essere vestiti suoi, a stenderli all'aria aperta.

Lei si appoggiò alla finestra ed osservò sempre guardinga, sbocconcellando il cibo lasciatole, ma un mezzo sorriso sulle labbra.

Inconsciamente gli aveva già concesso qualcosa in più. Chi non lo avrebbe fatto? Era un uomo affascinante, si , ma la ragione maggiore ed iniziale era che Mikoto si sentiva terribilmente sola. Suo marito era la sua unica vera compagnia, prigioniero anche lui in quella casa grigia.

Un giovane anche lui, di poche parole, ma gli occhi di una persona matura, dignitosa e rispettosa degli altri, che sapeva ascoltare e parlare il giusto indispensabile per farsi comprendere, sempre conciso e diretto al punto.

La giovane sposa imparò pian piano ad apprezzare tutte le sue qualità, perfino i silenzi longevi, riscoprendo volentieri anche parti di se stessa che non aveva mai visto prima, la Mikoto diligente ma dai modi scherzosi, che adorava stuzzicare un poco l'uomo già di suo timido, e ridere assieme a lui, quelle rare volte che se lo concedeva, di triviali faccende o della loro quotidianità a casa.

Avevano ritrovato assieme un poco di buonumore, ciò che entrambi non provavano da anni, ormai.

Era un uomo, per il suo clan, oltre la norma: per nulla invasivo o possessivo, le concesse di continuare il suo lavoro come jounin di Konoha, di prepararsi assieme a lei la mattina presto per andare in missioni diverse, mai chiederle dove sarebbe andata e quando sarebbe tornata, ma con la certezza, silenziosa, che prima o poi si sarebbero rivisti, e che qualcuno sarebbe rimasto a casa ad aspettarli, con un pasto caldo sul tavolo per loro.

E per Mikoto non c'era nulla di meglio, se non della sana e genuina atmosfera di casa, dopo un lungo impiego, mangiare in silenzio al suo fianco e poi guardarlo negli occhi, finché lui non avrebbe tossito, impacciato, e spintosi a chiedere qualcosa, qualunque cosa, per dare l'incipit ad una serena conversazione.

Fugaku le aveva dato la possibilità ed il tempo necessario per affondare ancora meglio le sue radici nel nuovo terreno, una volta privata di quelle che la collegavano alla famiglia, e di farle vedere la donna che sarebbe diventata, presto, assieme a lui.

Ma la bonaccia durò ber ben poco, ancora, dopo la nascita della loro amicizia.

Passarono pochi altri mesi, e nel giorno del loro primo anniversario di matrimonio, la madre ormai anziana del suo nuovo amico e marito fece improvvisamente irruzione in casa loro la spaventò molto con una minaccia.

-Svergognata! Donna infame! Non hai ancora concepito un erede al mio figliolo, dopo tutto questo tempo??- aveva sbraitato dalla porta appena era andata ad aprirle. Gli occhi grigi e stanchi mandavano bagliori rossastri del suo sharingan rovinatosi col tempo, bava schiumava dalle sue gengive ritiratesi.

-Lo avevo detto io, che non eri giusta per lui!-

Il figlio corse subito in soccorso della moglie caduta a terra, e bloccò le percosse che l'altra donna le stava dando.

Erano solo amici, a quel tempo, ma Fugaku osò perfino ostacolare la famiglia affinché non le arrecassero alcun male, imponendo all'anziana madre di non dire una parola di più, alla propria sposa.

La sua fedeltà nei propri confronti era davvero lodabile, e per un attimo, al sicuro dietro le sue spalle, si sentì davvero protetta ed amata, come purtroppo i genitori non l'avevano mai fatta sentire. Vederlo prodigarsi per aiutarla però aveva anche fatto palpitare forte il cuore, in un modo alieno rispetto al solito. Ma lì per lì non vi diede peso.

Come una quercia secolare, rimase impassibile davanti alla genitrice, proteggendo il flessuoso giunco, dal capo abbassato per il dolore. Ma niente poté contro il vento che continuò a soffiare, iroso, contro la sua amata.

-Se entro due mesi non genererai un figlio con Fugaku, non solo annullerò questa fandonia di matrimonio- strillò mentre l'uomo la portava via di peso -Ma ti trascinerò e butterò nel fango, te e tutta la tua maledetta famiglia!-

Mikoto sarebbe stata eternamente riconoscente al marito per averle dato tutto il tempo dispensabile per fortificare il loro rapporto, darle la possibilità di abituarsi al nuovo tenore di vita. L'aveva trattata come un vaso di porcellana, custodendola e difendendola senza dargli mai fretta. Un vaso pieno di affetto, ora, per lui, ma Mikoto non era ancora pronta ad amarlo. Non dopo quell'ultimatum velenoso.

Non avrebbe piegato la testa di nuovo.

Si sforzò a parlarne con Fugaku, che continuava a rassicurarla, con la sua voce profonda.

-Qualora avremo figli sarà perché li desideriamo, Mikoto-san-

Dopo un anno di matrimonio, il rispettoso Fugaku non osava ancora chiamarla per nome, cosa che in altre occasioni avrebbe fatto salire un sorriso alle labbra della giovane. Non stavolta.

-Io ti voglio bene, e non voglio, assolutamente, farti alcuna violenza. Lo stesso vale qualunque altra persona al mondo- ribadì secco ancora una volta, prima di ricevere il primo, incerto, bacio da parte della donna. Lui tremò, preso alla sprovvista, non sapendo cosa fare, se non osservare i lunghi e flessuosi capelli corvini della moglie tremare, per la paura. Fugaku strinse gli occhi, rattristato alla scena, e le avvolse piano la schiena, provando a calmarla come poteva.

Oltre alle occhiate penetranti e malevole che ricevette, dopo qualche giorno, vennero recapitate a lei personalmente centinaia di rotoli con minacce poco velate da parte di tutto il clan, suo padre compreso.

Il mondo le crollò addosso di nuovo, e solo Fugaku l'aiutò a rialzarsi, ed ergersi fiera, ancora una volta.

Cominciò a seguirla ovunque, ed al primo accenno di minaccia le stringeva le mani, con forza tale da farle male, a volte, e tirava avanti, invece di imboccare una strada diversa, affrontare le sue paure a testa alta, ed al suo fianco.

Il suo amore per Fugaku sbocciò proprio in quel tempo, in quelle lunghe passeggiate dirette fuori dal quartiere che pareva essere stato maledetto, e dagli sguardi scambiati poco prima di lasciarsi per tornare ai loro impegni, in piedi davanti all'accademia, lunghi e carichi di qualcosa che gli occhi di Fugaku, così scuri e profondi, parevano far fatica giorno dopo giorno a nasconderle.

Ci volle del tempo, ma Mikoto capì il perché delle sue poche parole, in quell'attimo di separazione, e le gote le si imporporavano al solo ripensarci.

Le sue attenzioni cortesi e sincere la misero in imbarazzo molte volte, in sua presenza o meno, ma le fecero molto, molto piacere, anche perché, segretamente, le ricambiava totalmente.

E frettolosa, sospinta da quella brezza gentile di autunno e dal desiderio bruciante di dimostrargli il suo affetto, avvenne anche il coronamento del sogno di due giovani amanti, dopo un anno e mezzo dalla loro unione coniugale.

Quello che Fugaku non pensava che sarebbe mai accaduto, visto il modo in cui era iniziata la loro bizzarra unione. Ma capì subito, dal modo in cui lo toccava la moglie, da come i suoi baci fossero umidi e dal gusto amaro dato dalle lacrime che cadevano dai suoi occhi lucidi durante quelle ore piene solo di sospiri e gemiti, che c'era qualcosa che la tratteneva, ed in ogni bacio e carezza avevano lo stesso sapore.

Non ne fece mai menzione alla moglie, semplicemente la amava così tanto da sorvolare su molte cose, e concedergliene tante.

Dalla loro unione quasi disperata nacque, dieci mesi dopo, il primo figlio, un maschio.

L'intero clan festeggiò per un'intera settimana la lieta notizia. Eppure, nonostante tutta la gioia e i complimenti ricevuti, sul viso della bella ed eterea Mikoto c'era sempre un'ampia ombra di tristezza.

Chiamò suo figlio Itachi, come l'animale un po' sventurato della leggenda. Con l'augurio che nonostante tutto potesse sopravvivere in un mondo pieno di serpi pronti ad attentare alla sua vita, e che si sapesse difendere.

Lei era giovanissima, aveva appena scoperto cosa fosse l'amore, non avrebbe voluto un figlio.

Eppure il piccolino divenne il suo secondo raggio di sole.

La prima volta, dopo il parto difficoltoso, tra le sue braccia sudate ed umide, troppo stanca anche per pensare, le sembrò chiaro come la sicurezza che dopo ogni dì, la luna sarebbe sorta sulla fredda terra a rischiarare le speranze umane. Era uno scricciolo, pesante poco più di tre chili, silenzioso e completamente pelato, gli occhietti scuri socchiusi, pareva che perfino lui la stesse esaminando attentamente, prima di muovere i pugnetti verso il suo volto e vagire piano.

Mikoto, stanchissima per il parto riuscì a muovere le dita verso il figlio, e sentire il primo istintivo ma così caldo sorriso arrossarle le guance.

Negli anni a venire avrebbe ringraziato il cielo migliaia di volte per averle dato la possibilità, nonostante il matrimonio combinato, di aver avuto la possibilità di conoscere, comprendere ed amare il marito, unico vero lieto della nascita del piccolo Itachi, che continuava a cullare nelle braccia strette, rifiutandosi di farlo reggere ad altri.
Aveva paura che lo facessero avvizzire con il semplice contatto.
Fugaku invece si era seduto accanto a lei, sul tatami, ed osservata per ore, prima di semplicemente chiederle il permesso. E riuscì a cavare una risata breve e roca da lui, una volta deciso il nome per il figlio.

Mano a mano che cresceva, Itachi divenne una compagnia indispensabile nelle ore in cui il marito era impegnato alla stazione di polizia. Mikoto, alle prime prese con un bambino, da sola, riuscì comunque a crescerlo con amore ed attenzioni, custodendo nel cuore ogni attimo della sua gioventù con amore.

Antiteticamente, alla sua prima esperienza da padre, forse caricato anche dalle pressioni della famiglia, Fugaku trattò abbastanza freddamente il figlio, dopo i primi anni di vita da bebè.

Era abbastanza parco di complimenti anche nel constatare con i propri occhi i passi da gigante che aveva fatto il ragazzino, della sua spiccata intelligenza.

E nessuno dei suoi sforzi per cercare di compiacere il padre, il piccolo Itachi vedeva sempre le sue speranze distruggersi di fronte all'espressione indifferente e fredda di Fugaku. Mikoto con la sua sensibilità spiccata non tardò a farglielo notare, ma fu impossibile fargli cambiare idea.

-E' il mio ruolo come figura d'esempio. Se fossi meno severo, verrebbe sopraffatto dagli anziani del nostro clan, verrebbe deriso e preso in giro, oltre che buttare disonore sulla nostra famiglia- mormorò grave quando glielo chiese, l'uomo sempre di spalle, pronto a partire verso il lavoro, quella mattina -Sarebbe un dolore perfino peggiore da sopportare, per tutti. Itachi diventerà un Uchiha, come io prima di lui-

Ma nonostante avesse notato la chiarezza e verità nelle parole, quasi addolorate, del marito, Mikoto continuò con dolore a vedere il dispiacere nuotare ed impossessarsi degli occhi neri del giovane ogni qual volta incrociava la strada col padre, e lui semplicemente gli dava una pacca sulla spalla, e camminava oltre.

Itachi, ancora piccolo ed inesperto, lo interpretò come un rifiuto, di fronte al loro clan, e per prima cosa anche alla loro famiglia, nonostante la madre si prodigasse a fargli compagnia ed aiutarlo nei primi compiti da ninja, assegnatogli dal padre. Un rifiuto che presto si estese alla sua stessa persona, costringendolo a rinchiudersi, giorno dopo giorno, anno dopo anno, sempre più in se stesso.

Ed esattamente come aveva detto Fugaku, presto Itachi divenne il vero esempio della famiglia Uchiha. Tanto denso, e silenzioso, che era difficile persino per la madre capire cosa pensasse a volte. Lei stessa, guardandolo negli occhi, in pieno viso, non sarebbe stata capace di scorgervi un bagliore di vita, o sentimento.

Tranne in rare occasioni, quando la sorpresa era talmente grande e spiazzante da far riaffiorare, nei suoi occhi, una scintilla di speranza.

-Un fratello?- chiese incredulo, abbassando lo sguardo incredulo al rigonfiamento appena accennato sullo stomaco della madre, inginocchiata in veranda.

-Si, tesoro, presto avrai un compagno di giochi-

Le venne una stretta al cuore nel vedere l'espressione appena curiosa evaporare dal viso giovanile e tornare a nascondersi dietro la maschera tanto odiata.

-Non ne ho alcun bisogno, madre-

Quel pomeriggio, irradiati dai raggi rossastri del tramonto, aveva finalmente rivisto il figlio, quello vero, non lo shinobi che Fugaku stava forgiando. Ma anche qualcos'altro, soprattutto tra le sopracciglia, ancora crucciate oltre la barriera di capelli scuri che si stava facendo crescere, caparbio, sulla fronte.

-Madre, quando nascerà... ti occuperai di lui?-

-Certo. È il mio dovere di madre- mormorò piano, poi sorrise, toccandosi pensierosa la pancia.

-E perché gli voglio bene-

L'ombra sulla fronte si inspessì visibilmente, come anche la sua espressione.

-Ma non lo hai mai incontrato-

-Lo sento, sento quanto gli vorrò bene quando verrà da noi- mormorò semplice, carezzando ancora una volta la pancia, sperando quasi di sentire il piccolo scalciare e dare segni della sua vita.

Non accadde, ed entrambi si chiusero in un silenzio profondo, per qualche minuto.
Il ragazzo, perché definirlo bambino sarebbe stato assai bizzarro, tornò al suo fianco e sovrappose la mano sul grembo alla sua, osservandola ancora, più attentamente.

-Ne... volevi anche a me?-

L'esitazione nell'appena dover pronunciare la frase spezzò il cuore alla donna, ma poi capì che non era per mancanza di affetto ricevuto che lo stava dicendo. Itachi, il bambino che era cresciuto troppo in fretta, aveva paura che una volta nato suo fratello non avrebbe ricevuto più le attenzioni della madre.

-Te ne ho sempre voluto, e vorrò, anche quando Sasuke nascerà- disse bonaria pettinandogli i capelli lunghi, e scatenando il panico nel giovane, che fece per ritirarsi.
La madre rimase con la mano tesa verso di lui, comunque.

-Da sempre, e per sempre-

A quelle parole dolci, di una donna che difficilmente condannava od odiava, e dopo anni di proibizionismi e negazioni, Itachi sciolse le labbra dalla stretta a cui le aveva condannate e tornò al suo fianco, per farsi carezzare il capo ancora, e perdersi tra le braccia gentili ed affettuose di Mikoto, circondato dall'amore e calore che solo una madre poteva dargli.

Sasuke nacque nacque mesi dopo, un bambino vispo e pieno di energie, che a Mikoto ricordava tanto se stessa da giovane, prima che i doveri verso la famiglia ed il clan la incatenassero. Un bimbo che vedeva con meraviglia ogni nuova scoperta, e goloso di conoscenza.

Anche Itachi, che aveva ripreso il carattere più introverso del padre, venne sconfitto facilmente dal suo animo buono, ed assieme a Fugaku, si aprì di più per il nuovo arrivato.

Il suo cuore di madre palpitava forte quando, dalla finestra della cucina dove svolgeva le sue faccende quotidiane, vedeva Itachi cullare e coccolare il fratellino nel giardino sul retro, col sorriso sulle labbra, perfino del più grande, e scorgere il marito passare apparentemente per caso per il giardino e guardarli di tanto in tanto, pronto ad intervenire nel caso qualcuno dei due si facesse male.

Nonostante la nascita dei due figli avesse portato via tempo alla loro vita coniugale, Mikoto e Fugaku continuarono ad amarsi profondamente in ogni istante. L'unico momento della giornata in cui potevano parlare in riservato, e liberarsi dei pesi dai loro petti era a sera tarda, poco prima di andare a letto; si avvicinavano, scambiavano un leggero e dolce bacio, e chiacchieravano a proposito di tutto, come avevano fatto da novelli sposi. E Mikoto rideva segretamente quando lo sentiva elargire lodi alte ai figli, o complimenti per la cena che di giorno od in compagnia di altri non oserebbe mai dire. Fugaku era sempre stato un animale notturno, che solo allora tira il muso fuori dalla tana e si rivela per quello che è davvero.

E sempre col sorriso dolce sulle labbra, Mikoto in rare occasioni divulgava queste parole ai figli per incoraggiarli quando più ne avevano bisogno, in momenti di sconforto sconforto. Non importava se credevano che fosse stata lei a dirlo, seppur indirettamente era la prova tangibile di quanto il marito tenesse a loro, il che era già un miracolo per un uomo nato nel clan Uchiha. Era compito suo essere dolce, toccare, abbracciare e baciare i figli, ricoprirli di amore tattile.

Sapere che qualunque tempesta potesse esserci al di fuori dell'uscio di casa, nulla sarebbe riuscito a spazzare via il sorriso dalle loro labbra, a casa, la rassicurava abbastanza da permetterle di vivere appieno la sua nuova vita da donna felicemente sposata e mamma.

A Mikoto non pareva vero avere una famiglia così bella, contenta e normale.

Aveva perfino allacciato una sorta di amicizia, senza impegno ma molto gradevole, con la moglie del quarto hokage, Uzumaki Kushina, con cui passava deliziose mattinate al mercato, ed aiutarla nelle faccende di casa, a cui non era assolutamente abituata, a quanto pareva. Negata perfino a distinguere una rapa da una cipolla.

Infatti in casa Namikaze, se si mangiava qualcosa, era grazie al marito.

Altre erano le sue doti: era una donna solare, piena di energie ed entusiasmo, che sapeva sempre metterla di buonumore.

Aveva già progettato di invitarla a mangiare, prima o poi, a casa loro, ma purtroppo il marito glielo sconsigliò.

-Ora come ora il clan non è in buoni rapporti con Kohona, Mikoto. Non vorrei che vedendo il prossimo 'capo'- Fugaku pronunciava quella parola sempre a denti stretti -Reagissero violentemente mettendo in repentaglio la situazione, oltre che la vita della tua amica-

Qualora lui avesse avuto antipatie nei confronti di Minato, non le mostrò mai.

Mikoto accettò la sua disposizione, e continuò ad incontrare la donna, solo a Konoha, e gli presentò anche i figli. Kushina ne fu così felice da provare, addirittura, a combinare con lei i matrimoni dei più piccoli, il suo ancora nel pancione, al che la moretta aveva solo riso.

Le risate durarono ben poco, in un incidente del tutto ignoto, mentre sia lei che il marito erano andati in missione fuori dal villaggio, entrambi persero la vita, in seguito all'attacco della Volpe a nove code.

Mikoto, sentita la notizia volò tra i rami degli alberi, diretta a Konoha, neppure il marito riuscì a tenerle il passo. Itachi per fortuna, avvertendo il pericolo, si era andato a nascondere in cantina, assieme al piccolo Sasuke, che ancora strillava per lo spavento. La donna cadde in ginocchio davanti al figlio più grande, sgomento, e li strinse forte al petto mentre dava sfogo alle prime lacrime, dopo quasi dieci anni.

Ma nulla cambiò il fatto che la sua prima e vera amica era andata perduta.

I giorni continuarono a passare, l'uno dietro l'altro, in una routine che la coinvolse ancora una volta, ma non avrebbe mai dimenticato la donna, e neppure le sue battute taglienti, i progetti che avevano fatto assieme...

E con la scomparsa del nuovo hokage, purtroppo, Fugaku cominciò a scappare di casa durante la notte, per incontrarsi con gli altri Uchiha, in fermento. Volevano entrare in azione, il prima possibile, per ottenere il potere che per sangue volevano, quella sete di violenza e supremazia che tutti loro, salvi forse solo la sua famiglia, non aveva.

Vide il viso del marito inspessirsi di rughe, notte dopo notte, linee profonde non dovute alla sua età, bensì alla preoccupazione, e le stesse apparire anche su quello del figlio maggiore, ormai dodicenne.

Quando venne raccomandato dal proprio insegnante al corpo speciale degli AMBU fu come un colpo allo stomaco, per tutti in famiglia. Negli occhi del figlio, oscuri ed impenetrabili, Mikoto lesse per la prima volta la stessa ribellione velata che anche lei da giovane aveva avuto contro i genitori, e nulla la poteva addolorare di più.

Pensare che Itachi li vedesse come dei pesi sulle sue spalle, e che volesse liberarsene alla svelta.

La frattura si riaprì tra lui ed il padre, che apparentemente non si era mai curato di lui, e che così facendo lo aveva solo allontanato ancora di più dal corpo della polizia Uchiha. Perfino Sasuke era preoccupato, innocentemente, del minor tempo che avrebbe potuto passare col fratello.

Mikoto era quella che ne soffriva di più, al centro dei due fuochi, l'unica che potesse provare a calmare Sasuke ogni volta che i due uomini di casa discutevano di fazioni e politica. L'unica a provare a riavvicinarli, fungendo da consigliera e madre al più giovane, e mediatrice e moglie per l'altro, implorandolo di non ascoltare le parole sanguinarie del consiglio del clan, e di aspettare. Ancora.

-Attendere porterebbe solo all'accrescimento di quest'odio centenario, Mikoto- ribadì ancora una volta, facendo scivolare via la mano tiepida della moglie dalla sua guancia, per scappare all'ennesima riunione segreta. Alla donna, lasciata sola, rimaneva solo stringersi le braccia attorno, e sperare, tra le lacrime silenziose, che potesse andare meglio, un domani.

Lo stesso vento burrascoso che aveva spazzato via la famiglia della sua amica Kushina ora faceva scricchiolare e tremare i muri della sua dimora, in attesa di buttare già anche questa, pur di averli.

Non importa quanto si provi a sfuggire ad essi, gli attimi oscuri, in cui il cuore per il dolore vorrebbe poter esplodere, arrivarono anche per il giovane Itachi, avvolto dal mantello nero come il cielo senza stelle, in piedi sul palo che vigeva come un falco sul quartiere Uchiha.
Quanto sangue, quante vite tagliò, quasi senza battere ciglio, senza dare troppo peso ai frammenti della sua anima pura, che lasciava sul suo cammino, un colpo dopo l'altro. Era il suo compito, lo aveva accettato, con sicurezza, agli occhi di Danzo. Che però non aveva avuto pietà del suo cuore, che si ritrovò a sanguinare, una volta che trovò i genitori in casa, seduti, ad aspettarlo impassibili nella loro camera.

Entrambi erano già a conoscenza del perché era lì, nella sua tuta da AMBU, schizzata già di qualcosa di scuro in alcuni punti, e col viso pallido come la luna in cielo, quella sera.

Ma mai avrebbero provato a fermarlo, no, il loro sangue di genitori si gelava solo al pensiero. Lo stesso Fugaku, nelle lunghe discussioni con la moglie, le aveva spiegato che non c'era altra scelta.

Annientare loro, od essere annientati.

Aveva provato a mettere in fuga la moglie, col figlio minore, ma lei si era rifiutata, tra rabbia e tristezza, si era stretta al suo petto, come se la sua vita dipendesse da quel legame, e sibilato:

-Io starò con te, fino alla fine-
Le lacrime, emissarie di un dolore indicibile, ben oltre quello fisico, rimasero intrappolate nelle lunghe ciglia scure, mentre gli occhi si alzavano di nuovo al viso pallido e stanco del marito.

Come un tempo lui era stato al suo fianco e l'aveva protetta, così avrebbe fatto lei stessa, per lui, un'ultima volta.

Il suo amore era stato troppo forte, alla fine, ed un altro tipo di affetto profondo, in quel momento, era celato alle loro spalle, meditando dell'ombra della loro camera da letto, in attesa di colpire, veloce come solo un animale capace di uccidere una serpe in un solo attacco sa fare.

-Fai quello che devi- lo incalzò infine Fugaku, tenendo gli occhi scuri inchiodati alla porta davanti a sé. Mikoto sentì il figlio annaspare al suono del suo nome, i passi arretrare sul tatami, incredulo.

Non si era immaginato di essere scoperto tanto facilmente.

-Il tempo... è arrivato, padre-

-Lo so- ribatté senza battere ciglio il genitore, sempre dritto con la schiena, ed in attesa del colpo, che ancora stentava ad arrivare.

La lunga katana in suo pugno tremò sensibilmente ancora una volta. Mikoto poteva solo immaginare la paura che doveva sentire in cuore il povero figlio, che così giovane, si era fatto carico di un fardello tanto pesante.

-Sono fiero di te, Itachi- mormorò appena il padre. Il primo ed ultimo complimento che Itachi avrebbe sentito scaturire dalle sue labbra.

Lacrime amare scendevano sulle sue guance come mai in vita sua, pareva stessero fluendo fuori dopo anni di repressione. Il suo cuore, ciò che era rimasto dopo tutta quella morte, pulsò dolorosamente appena posò gli occhi annebbiati sulla forma più piccola al fianco dell'uomo.

-Madre...-

Pareva quasi che, con quel tono terrorizzato, cercasse rassicurazione. Tutto questo lo stava uccidendo.

-Tuo padre ha detto cosa fare, non indugiare- provò a dire lei, combattendo con le lacrime agli occhi -Non tentennare oltre, poiché tu sei davvero nostro figlio, un Uchina-

La donna strinse le mani sul petto, in preghiera.

-Promettimi solo... che Sasuke...-

Itachi si morse le labbra talmente forte per l'amarezza da farle sanguinare, mentre lacrime gelide scivolavano lungo le sue guance pallide, cadendo sul pavimento.

-Lui è in salvo-

Entrambi i genitori sospirarono sollevati alla notizia, quasi avessero dimenticato la situazione che stavano vivendo. Almeno i loro figli, il frutto del loro amore nato su un terreno arido ed impervio avrebbero continuato a crescere, fino a sbocciare, un giorno, ai chiari raggi della luna.

-Addio, padre- mormorò premendo di più la katana contro il kimono scuro del padre, pronto al colpo. Fugaku rialzò gli occhi alla moglie, guardandola per un ultimo pesante e profondo istante, prima che la spada gli perforasse il petto, sotto lo sguardo disperato della moglie, tremante di fronte a quella scena terribile che tanto aveva temuto si avverasse.

Fugaku poteva non essere stato l'uomo più perfetto al mondo, e di certo non una persona che ricopriva di complimenti o parole dolci la moglie. Non le aveva mai detto “Ti amo” ad alta voce, ciononostante lo aveva dimostrato in mille modi, segreti e secondari, gesti gentili ma sempre con la firma personale del silenzio, che in molti non avevano colto.
Mikoto si, fino al più semplice e nascosto, e provato le sensazioni più meravigliose assieme a lui, al suo fianco, senza mai chiedere nulla in cambio.
Era stata la sua quercia per tanti altalenanti anni, sempre a proteggerla e risollevarla, non importava l'entità della tempesta.
Ed ora lo fissava, caduto scomposto davanti a lei sul freddo pavimento, ove una chiazza di scuro e ferroso sangue si allargava di minuto in minuto che passava, imbevendo anche le ciocche corvine del marito. Tuttavia la sua presa sulla mano della moglie, nonostante la vita avesse già abbandonato i suoi occhi, non diminuì per nulla.
Mikoto non poté bloccare in singulto che meschino sfiorò le sue labbra e le fece mancare il respiro per un attimo. Altre lacrime affollarono il suo viso, al pensiero che il figlio la vedesse ridotta in quello stato. Fukagu non avrebbe voluto che facesse così, ed Itachi non meritava altro dolore, doveva darsi un contegno.
Si fece forza, ancora una volta, e raddrizzò la sua schiena non appena sentì la punta della katana, tremante, del giovane premersi tra le sue scapole.
Chiuse gli occhi, inghiottendo tutte le lacrime, tra un attimo non sarebbero servite più, e disse, con voce dolce e materna.
-Non importa quello che farai. Io, tuo padre e Sasuke ti vorremo bene in eterno-
Ed a malincuore sentì la stessa stretta al petto del figlio, accasciatosi sull'elsa dell'arma ancor grondante del sangue del padre.
-Ti amo, Itachi-

Mikoto strinse le labbra ed attese, piangendo in silenzio della disgrazia caduta sulla sua famiglia, per quanto avesse provato a rinviare. Itachi fece altrettanto, mordendosi violentemente le labbra fino a tagliarle con i propri denti, lo sharingan fiammeggiante oscurato da un velo di lacrime spesso ed impossibile da scacciare.
Ma come lo shinobi che era ormai diventato, e seguendo la via da lui indicata dal padre, si rialzò dal suo sconforto e scacciò le lacrime disperate. Era un uomo, ormai.

Mikoto continuò a piangere in silenzio, smorzando i singulti che le scuotevano le spalle, pianse per un istante la morte di Fugaku, prima di sentire il respiro gelido del suo ragazzo contro la nuca.

-Da sempre, e per sempre, madre- furono le ultime parole che Mikoto udì dire dalla voce impastata del figlio, ancora mano nella mano col marito, anche dopo la rovinosa caduta verso il pavimento.

Dopo tutto quel tempo erano ancora insieme, nonostante tutto.

Itachi li amò fino all'ultimo istante della loro vita, all'ultimo respiro, si adoperò in modo che non sentissero neppure il colpo trapassarli e togliergli la vita. Tuttavia sapeva perfettamente che i loro sguardi privi di anima lo avrebbero perseguitato per gli anni a venire.

Molte vite erano state troncate a metà quella sera, e più di un cuore distrutto in mille pezzi, con urla aberranti di un povero bambino abbandonato a fare da tetro sottofondo a tutta quella distruzione.

L'unico rimpianto di Mikoto sarebbe stato non averli visti crescere, diventare due giovani uomini, e vederli creare la loro famiglia. L'unico dolore al petto che l'aveva colpita al petto, assieme alla katana del figlio adorato, che l'aveva perforata esattamente all'altezza del suo cuore addolorato.

Non era stata triste di morire, aveva vissuto un'esistenza piena, altalenante, ma appagante, ed amato, con ogni fibra del suo essere, fino all'ultimo respiro, le persone che di più aveva a cuore, che dal terreno arido aveva fatto crescere, assieme alla sua forte quercia.

Ma per la sua famiglia, per il bene di Itachi e Sasuke, aveva deciso ciò, e decisa come sempre, aveva rialzato la testa, l'ennesima volta, e trovato serenità al pensiero di poter far del bene alle persone che amava, e poter rivedere l'amato marito, presto.

Sapeva che esattamente, come lei, i figli avrebbero trovato un modo per resistere a questa tempesta, e risollevare il capo tremante una volta smessa, eventualmente ritrovare il sorriso e la gioia di vivere. Credeva fermamente in loro, e questo sarebbe stato il suo ultimo desiderio, per il futuro dei due sventurati fratelli.

Che potessero asciugare le loro lacrime, e ritrovarsi ancora assieme, abbracciarsi ed amarsi come lei aveva insegnato loro fare, fin da giovani, quando ancora Sasuke era un bebè. Ritrovare il sorriso, e la serenità nei piccoli gesti quotidiani, proprio come una volta era stato, nel loro prato felice e riparato dai venti sferzanti di tempesta.

 

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