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Autore: Poetessia    16/01/2014    0 recensioni
"Improvvisamente, però, il mio occhio fu catturato da una scena inusuale: appoggiata ad un muretto, che volgeva la schiena alla piazzetta antistante la stazione, c'era una ragazza minuta, con i capelli castani dolcemente baciati dal sole avvolta in un cappotto nero e il capo appoggiato alle braccia conserte sul muretto. A catturare la mia attenzione era stato però un giovane uomo con una rosa in mano che, silenzioso e col passo lieve, stava sopraggiungendo verso di lei, che sembrava non averlo sentito: con molta delicatezza, lui appoggiò la testa sulla spalla sinistra di lei, in silenzio."
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovavo in Italia per un'esperienza da au pair e stavo aspettando la ragazza che mi avrebbe ospitato per l'anno successivo: mentre la noia stava prendendo il sopravvento decisi di tirare fuori la mia fotocamera dai bagagli e iniziare ad immortalare quella nazione così carica di storia, arte e profumi, concentrandomi per lo più su scatti di ampio respiro. Non avevo letto nulla in merito alla città dov'ero, quindi ero totalmente ignorante riguardo a possibili monumenti e luoghi d'interesse presenti lì, di fronte alla stazione dei treni: puntavo e cliccavo soltanto, senza neppure concentrarmi eccessivamente su ciò che stavo immortalando, sapendo che avrei potuto eliminare gli scatti inutili con un click.
Improvvisamente, però, il mio occhio fu catturato da una scena inusuale: appoggiata ad un muretto, che volgeva la schiena alla piazzetta antistante la stazione, c'era una ragazza minuta, con i capelli castani dolcemente baciati dal sole avvolta in un cappotto nero e il capo appoggiato alle braccia conserte sul muretto. A catturare la mia attenzione era stato però un giovane uomo con una rosa in mano che, silenzioso e col passo lieve, stava sopraggiungendo verso di lei, che sembrava non averlo sentito: con molta delicatezza, lui appoggiò la testa sulla spalla sinistra di lei, in silenzio.

«Vattene via.»
Rimasi comunque immobile, aspettando una sua reazione di qualunque tipo: la mia voce era calma, pacata e bassa, ma gelida; lui non tentò nemmeno di scostarsi da me, rimanendo zitto e immobile come una statua di cera.
«Alex, vai via.» ripetei, con il medesimo tono freddo, senza alzare la voce: ormai era finito il tempo delle scenate, dei piatti rotti e delle serate passate a piangere ingurgitando pane e Nutella: avevo finalmente raggiunto una nuova maturità, digerendo stoicamente l'accaduto e rendendomi conto di chi avevo avuto accanto durante quei due anni, e tenermi la testa incollata addosso per dieci giorni ininterrotti con un mazzo di rose non sarebbe servito a nulla. Se lui voleva perseverare, non era un problema mio.
«Se speri di farmi urlare e che io faccia una scenata qui in mezzo a tutti arrivi tardi.» puntualizzai, comunque seccata da quell'atteggiamento apatico, senza neppure voltarmi per guardarlo di sbieco e mantenendo il solito tono pacato.
«Io non lo voglio.» mi rispose finalmente, con voce monocorde e triste, quasi pietosa, forse tentando di fare leva sui miei sentimenti e sul cosidetto “spirito da crocerossina” che alberga in molte donne, come del resto aveva fatto durante tutto quel tempo.
«Vedo che non ti hanno tagliato la lingua.» ribattei dura e aspra «Senti, facciamola finita: dimmi cosa vuoi, poi torniamo ognuno per la sua strada e ciao ciao.»
Lo sentii sospirare nel mio orecchio: non era un sospiro sbuffato di esasperazione così come non era uno di quelli che precedono una dichiarazione che mette ansia, ma piuttosto suonava come un tentativo di ingoiare un nodo che gli si era formato in gola. Quando parlò, mi stupii del fatto che la sua voce fosse calma e ferma.
«Mi dispiace.» disse infine, portandomi la sua mano destra davanti al mio volto, che reggeva una rosa rossa.
«Ti ricordi? “A volte si creano incomprensioni, momenti di gelo, liti e conflitti: in quei momenti parole come scusa o mi dispiace faticano ad uscire dalle nostre labbra. In quei momenti, laddove le parole non possono arrivare, regalatevi una rosa per dirvi mi dispiace e migliaia di altri discorsi taciuti”.» disse, citando un passo di una cerimonia nuziale di amici comuni che avevo apprezzato molto, durante il quale l'avevo fissato con occhi sognanti, stringendolo a me. In quel momento, però, mi venne solo da ridere nervosamente.
«Senti, mi fa piacere che hai tutta questa memoria da elefante, davvero.» dissi, arraffando la rosa con veemenza «Ma qui non basterebbe nemmeno una serra, ci arrivi? Potresti anche incatenarti sotto casa mia per quanto mi riguarda, che tanto quello sei e quello rimani.» conclusi.
«Un verme?» domandò lui in tono rassegnato, come se conoscesse già il copione che gli stavo proponendo.
«Peggio.» rincarai «Tu sei meno di un verme, sei un...» cercai le parole, passando in rassegna qualsiasi animale ripugnante che conoscessi per trovare un paragone sufficientemente scioccante; non feci in tempo a trovarlo che sentii il suo corpo separarsi dal mio e un brivido di improvviso freddo cogliermi la schiena: mi voltai, vedendolo ormai andare via con le spalle ricurve e la testa bassa, il ritratto di un uomo sconfitto.
«Dove vai?» non riuscii a evitare di chiedergli: lui neppure si voltò.
«Via.» rispose con tono laconico, andando imperterrito dritto per la sua strada.
Io contemplai brevemente la rosa, dal gambo piuttosto lungo e con pochi sparuti petali: con ogni probabilità l'aveva acquistata poco prima da un ragazzo di passaggio che era facile vedere nei ristoranti, pronto ad avventarsi sui tavoli delle coppie.
La gettai con violenza in un cestino della spazzatura mentre mi dirigevo verso casa, riservandole lo stesso destino che in futuro avrei attribuito al pacciame regalatomi da Alex. Non volevo nulla in casa che mi ricordasse, anche solo in modo vago, un rifiuto umano simile.
“Anzi” mi dissi in quell'istante “ora arrivo a casa e do fuoco a tutto.”
E il mio passo ritrovò un nuovo slancio, così come il mio volto uno sguardo e un sorriso colmi di selvaggia fierezza.

Non mi voltai.
Spesso, durante quel mezzo chilometro che mi separava dallo svincolo verso casa, provai il desiderio di girare la testa o almeno osservare indietro con la coda dell'occhio, ma feci violenza sul mio istinto e continuai a mantenere la testa bassa, certo che quello che speravo di vedere con tutto me stesso e i miei sentimenti non ci sarebbe mai stato, rendendo il tutto più doloroso: volgendo lo sguardo all'indietro non avrei mai visto Ilaria corrermi incontro come in una commediola americana, mentre urtava i passanti nella sua folle corsa verso di me, pronta ad accettare le mie scuse e desiderosa di ascoltare la mia versione dei fatti. Solo qualche tizio ingrugnito e forse, chissà, coppie felici che mi avrebbero depresso.
Del resto se fossi stato in lei neanche io, con ogni probabilità, non avrei voluto sentire scuse o bislacche versioni di fatti che apparivano chiari: del resto cosa si può pensare quando si entra in casa del partner di sorpresa e lo si trova a letto nudo e sovrastato da una ragazza piuttosto piacente, anche lei integralmente svestita? Men che meno quando il partner ti osserva atterrito, in contrasto con l'espressione curiosa e un po' scocciata di lei, dicendoti esitante “Non è come sembra.”
Peccato che nulla fosse davvero come sembrava.
Avevo un passato da fidanzato inaffidabile, deliziato dal genere femminile nella sua totalità e grande cultore dell'edonismo: ero incapace di legarmi sentimentalmente in modo stabile ad una sola ragazza, continuando a trovare affascinanti e attraenti tutte le altre. L'una aveva il seno più grosso, l'altra la bocca più sensuale, l'altra ancora la fortuna più soda e pronunciata della mia partner momentanea: magari erano stupide, ma a me interessava solamente la loro fisicità e la possibilità di farle mie con una penetrazione, per vantarmi con gli amici successivamente; non avevo bisogno di tessere trame di menzogne e inganni, le mie relazioni duravano pochissimo.
Poi, un giorno, conobbi Ilaria: non era una ragazza che incontrava i canoni di bellezza del momento, ma la trovavo comunque molto carina e interessante; era intelligente, frizzante e simpatica e, in un modo o nell'altro, riuscimmo a iniziare una storia in cui fui completamente fedele, fino a quel giorno.
Quando ormai la mia relazione con Ilaria era ben consolidata conobbi Sara: avevamo molti interessi  in comune, gusti artistici affini e hobby simili, ma non considerai mai l'ipotesi di chiudere la mia storia con Ilaria e tentare di iniziarne una con Sara, finalmente innamorato; eravamo amici e nulla più.
Un giorno, però, ci ritrovammo alla festa di compleanno di un amico comune in un pub locale, dove lei iniziò a bere parecchi superalcolici, ritrovandosi molto presto in pessime condizioni: preoccupato decisi di portarla a casa mia e prendermene temporaneamente cura, sapendo come trattare le persone ubriache essendo astemio e spesso autista e “infermiere” degli amici.
Sara vacillava e sembrava non riuscirsi a reggere in piedi, e si appoggiava a peso morto su di me, stringendomi per mantenere un fuggevole equilibrio: riuscii a caricarla sulla mia auto e trascinarla in casa mia, dove iniziò a vaneggiare e a borbottare cose senza senso; la feci sdraiare sul divano, da cui si tirò su tremando e continuando a borbottare, intimandomi con un gesto della mano di avvicinarmi.
«Ti svelo un segreto.» mi disse sbiascicando «Sono perdutamente innamorata di te.» disse infine con aria seria, spingendo l'indice contro il mio petto con forza. Le sorrisi affabile, incoraggiandola a stare a riposo e andando verso la mia stanza, ma lei scrollò la testa come un cane bagnato e riprese a parlare, stavolta con tono fermo e gli occhi brillanti di lucidità mentale.
«Forse tu non hai capito.» mi disse veemente «Io ti amo. Non ne posso più di vederti con quella cosa che ti ostini a chiamare fidanzata. Tu sei mio!» aggiunse rabbiosa, incombendo minacciosa verso di me. Stupidamente decisi di assecondarla, pensando che una dichiarazione del genere fosse a causa dell'ebbrezza, utilizzando un tono condiscendente che si adotta con i folli, ma lei decise di spingersi oltre, iniziando a spogliarmi e a denudarsi a sua volta.
«Sara, dai, forse stai esagerando.» tentai allora, sempre col medesimo modo di parlare, ma lei non volle sentire ragioni: con una forza che non immaginavo potesse avere mi denudò interamente, spingendomi verso il mio letto e saltandomi letteralmente addosso.
«Ti ho detto che sei mio.» ringhiò «E infatti ti farò mio.»
Dopo pochi secondi, durante i quali ero troppo perplesso per reagire, entrò Ilaria con una scatola di cioccolatini e vide la scena, probabilmente scambiando la mia espressione sconvolta per colpevole.
Volarono i cioccolatini stessi, soprammobili e insulti: verme, maiale, schifoso, mostro, vile... la lista della cacofonia è eterna. Sara fuggì seccata, non so neppure come tornò a casa, e io feci quell'ultimo tentativo con la rosa per riconquistare la mia amata Ilaria, senza successo. Oramai per lei sarei sempre stato un vile omicida dei sentimenti e della fiducia, senza mai sospettare della mostruosa sbronza di Sara.

«È una checca.» pensava Sara accendendosi una sigaretta.
«È un bastardo.» pensava Ilaria, dando in pasto alle fiamme le lettere dell'ex.
«Sono una vittima.» pensava Alex, versandosi un bicchiere di Jack Daniel's.

«Come sono carini.» pensai io, rivedendo la foto dei due amanti della stazione sullo schermo del PC.


  
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