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Autore: __Sayuri__    17/01/2014    4 recensioni
[Post The Avengers] [tiene conto marginalmente di Thor:TDW]
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Una battaglia è stata vinta, ma l'equilibrio dei mondi è ormai appeso ad un filo. Persino la lungimiranza di Odino fatica ad intravedere l'ordito di un Fato sempre più intessuto di ombre e minacce. Chi sono i nemici di Asgard? I mostri di un passato quasi dimenticato, o i suoi stessi figli?
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[Per una migliore comprensione delle dinamiche narrate in questa storia si consiglia la lettura del prequel "Rinascita"]
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AGGIORNAMENTI LENTI
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Loki, Sigyn, Thor
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 - La caduta di un dio

Capitolo 10 – Pensieri egoisti, azioni sbagliate





Asgard, cortili reali




Le ginocchia raccolte al petto, una mano a terra e una sulla guancia, a sfiorare pelle e capelli, Sigyn attende.

Che finisca il silenzio.
Che l'alba spazzi via il ricordo di una notte che sa di proibito e di sbagliato.
Che arrivi, finalmente, la voglia di muoversi, di alzarsi.

Il muretto di pietra del pozzo - unico specchio dei suoi pensieri da sempre - è freddo e le punge la schiena, ma è un piccolo dolore utile, che la distrae da un desiderio che non dovrebbe avere.

Fensalir chiama, una nenia costante che insiste e rimbalza nell'ultima eco di ogni suono, insinuandosi tra il ronzio basso degli insetti e il chiassoso risvegliarsi di una città in festa.

Torna, figlia perduta. Torna e ritrova ciò che è andato smarrito. Ciò che ti appartiene.

Scuote la testa e si ravviva la chioma dorata, sorridendo con amarezza. Ci sono cose che è meglio non desiderare, né cercare, perché illudersi di avere meriti e diritti riaprirebbe una ferita ancora slabbrata, e allora sì, perderebbe davvero ogni cosa. Eppure...

Un improvviso squillo di trombe taglia l'aria e irrompe in ogni angolo di Asgard, diffondendo note di festa e di gloria, annunciando la Grande Caccia.

Di colpo nei cortili rimbombano voci e suoni metallici, passi pesanti e risa ancora impastate dal sonno: i guerrieri di Corte sono già pronti a sellare i destrieri e a presentarsi davanti al trono di Odino per prendere parte ad una sfida senza tempo, che accoglie tutti i figli di Asgard quasi come una giostra. Un gioco di guerra antichissimo che premia forza, valore e risultati.
Sigyn si alza, scuotendo via la polvere e il terriccio dalla gonna umida – un osservatore attento la vedrebbe, l'ombra del sangue che ha lavato via dalla stoffa grigia e quella fasciatura stretta che le imprigiona un palmo – e osserva in silenzio il via vai concitato dei soldati.

“Siete già in piedi, Lady Sigyn?”

Lør non è poi tanto più giovane di lei, eppure la onora sempre di un titolo che a conti fatti non le spetta. Ha la pelle ambrata di chi è nato nelle terre più settentrionali, labbra sottili e occhi bellissimi, grigi e svegli, ora seminascosti da palpebre ancora sonnecchianti.

“Non riuscivo a dormire”, le risponde con un sorriso appena accennato.

La ragazza si tormenta una treccia rossiccia e si stira come un gatto, soffocando uno sbadiglio dietro il palmo. È una delle poche ancelle a cercare la sua compagnia, forse l'unica che si accorge sempre di lei nonostante i suoi sforzi di passare il più possibile inosservata. Parla poco e mai a sproposito, conosce e apprezza il silenzio, e porta negli occhi, in fondo ad uno sguardo che pare leggero, il suo stesso dolore, impercettibile eppure pesantissimo. Sono tutte orfane, le ancelle di palazzo, nate già senza radici dopo l'ultima Grande Guerra, salvate eppure condannate ad un Fato senza gloria né infamia.

“Siete sempre così silenziosa...”

Sigyn stringe le labbra abbozzando un sorriso, scrutando il cielo da sotto le ciglia. A differenza di molte altre, lei ricorda. È stata una guerra diversa a portarle via madre e padre, una guerra di cui nessuno parla mai, un capitolo rimosso da ogni tomo di cronache asgardiane. Era solo una bambina, ma già troppo grande per dimenticare, e quello che ha visto – la lama, il sangue, le lacrime, la vita che lasciava gli occhi dei suoi cari – la rincorre dietro le palpebre ogni notte. Doveva morire, eppure è stata risparmiata. La misericordia della nuova Asgard, aveva detto una voce di donna, ferma e gentile, mentre il pianto le annebbiava gli occhi chiari e stringeva tra le piccole dita una mano morbida ma sempre più fredda.

“È anche per questo che l'ho scelta”, afferma una nuova voce, maschile e vibrante, spezzando di colpo il ricordo.

Le ancelle si voltano di scatto, incontrando lo sguardo divertito e sicuro di un guerriero dall'armatura cremisi. Si assicura la lunga lancia dietro le spalle e dà un altro morso al frutto che stringe in una mano, prima di avvicinarsi. Lør lo riconosce subito e arrossisce, poi china la testa in segno di rispetto, lanciando un'occhiata furtiva e maliziosa a Sigyn, che annuisce impercettibilmente, congedandola.
La giovane corre via, voltandosi di tanto in tanto, le labbra sottili piegate in un sorriso allegro e curioso.

“Lord Theoric, sono lieta di...” mormora Sigyn, ma lo voce si smorza in un soffio quando lui ne reclama le labbra con decisione. Sente la stretta ferma delle sue dita calde e indurite dalle armi sul collo e tra i capelli. Le accarezza appena una guancia con il pollice, poi interrompe un bacio asciutto con la stessa prepotenza da guerriero con cui l'ha rubato, fissandola negli occhi.
Sigyn fugge lo sguardo ridente delle sue iridi scure e piega il collo come un cigno, pudica, premendo la pelle contro la sua mano e tentando inutilmente di scacciare l'imbarazzo.

“Spero che fra due mesi mi chiamerai finalmente solo Theoric, Sigyn.”

La ragazza si irrigidisce involontariamente e il guerriero le solleva il mento, lentamente. Lo osserva in silenzio, inspirando piano: occhi scuri e penetranti, capelli castani che gli sfiorano le spalle e riflettono il rosso sangue dell'imponente armatura dei soldati scelti di Odino. È bello, di una bellezza fiera, selvaggia, che pare indomabile. Pur essendo più vecchio di lei di parecchie stagioni, è il più giovane capitano dei Falchi Rossi da che si abbia memoria, e l'Allfather lo considera quasi come un figlio. Per questo la sua decisione di prendere in sposa un'umile ancella è apparsa ai più inspiegabile, quasi un vezzo di prepotenza. Avrebbe potuto avere chiunque – e in molte l'avrebbero desiderato - tuttavia ha scelto proprio chi preferiva l'ombra, il silenzio e l'anonimato di un ruolo di sfondo. Sigyn aveva sempre cercato di passare il più possibile inosservata, accettando anche i compiti più umili; eppure, in qualche modo, lui l'aveva notata. Non era il tipo d'uomo abituato a domandare consensi né a chiedere permessi, perciò l'aveva  avvicinata e, stringendole la mano dopo averne baciato il palmo, aveva detto semplicemente: 'Vi ho scelta.'

Ricordava bene la sensazione di completo smarrimento, la bocca dello stomaco che si chiudeva, il terrore che le aveva appesantito i pensieri. Lo sentiva anche adesso, ma aveva capito subito che non avrebbe mai potuto opporsi. Avrebbe imparato ad amarlo davvero, un giorno, così come aveva già imparato a rispettarlo, e a guardarlo negli occhi senza tremare.

Lo accetto.

Theoric sorride e si allontana di un passo, scagliando il torsolo smangiucchiato tra l'erba alta dietro il pozzo e fissando il cielo per un istante.

“Spero anche che quando sarai la mia sposa mi permetterai di capire cosa ti passa per la testa.”

“Non datevi pena, i miei non sono certo pensieri interessanti.”

Il guerriero riporta lo sguardo su di lei, trattenendo una risata.

“Immagino sia così, sei solo un'ancella, dopotutto...” le si avvicina di nuovo, prendendole una mano, “...oltre al tuo bizzarro interesse per piante e arbusti non hai altro.”

Sigyn sussulta; non c'è cattiveria nella voce di Theoric, eppure la ferisce così a fondo da bloccarle il respiro. O forse è solo l'orgoglio che punge dietro gli occhi.

“Ma non temere, dopo le nozze non sarai più costretta a rifugiarti in cose tanto futili e sconvenienti” - un'altra piccola pugnalata al cuore - “ti insegnerò per cosa vale la pena vivere e a conoscere il mondo.”

La ragazza deglutisce a fatica e sente quasi il bisogno di piangere. Stupida, non sai apprezzare la fortuna che il Fato ti concede. Si costringere a sorridere e a stringere più forte la mano di Theoric.

“Sarà così di certo” mormora, “e mi duole pensare di dover aspettare ancora due mesi.” Bugiarda.

Il guerriero ride e le stampa un rapido bacio sulla fronte. Poi le lascia la mano ed estrae dalla bisaccia che porta a tracolla un grosso elmo color rame. Quando lo indossa, Sigyn pensa che sia davvero spaventoso.

“Per ora pensa solo al dono che vorresti. Stasera il vincitore della prima giornata di Caccia può chiedere qualsiasi cosa tra le offerte preparate dagli Æsir.”

“E programmate di essere voi, quel vincitore?”

“Diciamo che le probabilità sono a mio favore. Io vinco sempre.” Theoric sgancia la lunga alabarda assicurata alle spalle e ne poggia con fierezza un'estremità al suolo, facendo schizzare qualche sassolino in ogni direzione. “Ebbene, cosa desideri?”

Sigyn riflette un istante. Dovrebbe chiedere un abito costoso, o un gioiello, come ogni promessa sposa che si rispetti. Ma non saprebbe che farsene. Se le rimangono solo questi due mesi, vuole illudersi di avere ancora il potere di decidere per sé, un barlume fatuo di libertà, la possibilità di  scegliere, sbagliare. Vivere.

Torna, figlia perduta. Torna e ritrova ciò che è andato smarrito. Ciò che ti appartiene.

La voce di Fensalir si fa più forte e le parole escono da sole.

“Un cavallo.”

Theoric non riesce a trattenere una risata stupita, e la guarda quasi con ammirazione.
“Non mi deludi mai, Sigyn. E stanotte, al tramontare della terza stella, avrai il tuo dono.”

L'ancella lo guarda allontanarsi, sentendo uno strano vuoto riempirle il petto. Dovrebbe essere felice, grata, serena. Eppure quando stringe le labbra, oltre al sapore fruttato e dolciastro che Theoric le ha lasciato sulla pelle, avverte chiaramente anche il gusto salato di una lacrima che non riesce a impedirsi di versare.




Sala del Trono,  Asgard




La sala del trono è gremita e pare un mare tumultuoso di corazze e armi. I soldati scherzano e ridono a voce alta, impazienti, perché la Grande Caccia è solo un altro modo di fare guerra - senza veri nemici e senza troppe perdite - e ad Asgard gli uomini nascono già con la voglia di combattere nel sangue.
Le leggende narrano di un tempo lontano in cui persino le donne prendevano parte ai conflitti, spesso con più impeto e successo dei loro compagni maschi. Valchirie, si chiamavano, ma anche questo, come tanti, è un nome maledetto e collegato al tradimento.

Sif non crede più a queste storie, ma quando era una ragazzina scontrosa e i suoi compagni la schernivano, lasciandola indietro o gettandola nel fango, si convinceva di essere l'ultima delle valchirie, e continuava a combattere. Aveva scelto la via del soldato col cuore e con la mente – un'eccezione vista dai più come un'innaturale eresia – e per questo non avrebbe ceduto, mai.
Poi il principe Thor aveva deciso che la sua audacia andava premiata, e non disprezzata. Amava andare contro le regole, fin da bambino. Erano diventati amici e le cose erano diventate più facili, all'inizio. Poi, sempre più complicate. Almeno per lei.

La guerriera rinfodera la spada con un gesto secco e lo cerca tra la folla. Sono giorni che non si fa vedere a palazzo, se non quando è obbligato dall'etichetta di corte. Appare ai banchetti – tutti dati in suo onore - con lo sguardo pesante e triste, e prima che vino e idromele annebbino i sensi di tutti sparisce.
In molti mormorano.
Una donna? Un'amante? Un passatempo segreto imparato su Midgard?
Sif sa che si reca ogni notte sulla sponda tranciata del Bifröst, e vorrebbe non essere così perspicace da capirne il perché.

“Questa volta ho intenzione di vincere”, afferma Volstagg agganciandosi a fatica la corazza sul voluminoso addome, “dicono che il banchetto preparato per la squadra trionfante sia così sublime da far impallidire persino le tavole del Valhalla.”

“La nobiltà dei tuoi motivi mi commuove sempre...”, replica Fandral con un sorrisetto divertito. “...Devo ricordarti il tuo prezioso contributo all'ultima Caccia?”

“Eravamo bambini suvvia, non avevamo i mezzi né l'esperienza per...”

“...Caduto da cavallo dopo nemmeno un'ora, l'indomabile leoncino di Asgard.”

“Non ti permetto di prendermi in giro, ero già il doppio di te allora...”

“...forse anche il triplo. È in quel periodo che hai ottenuto il tuo più nobile titolo: Volstagg il Volum...”

“Taci, seduttore dei miei stivali!”

Sif si scansa di lato per non finire nell'amichevole zuffa, e alza gli occhi al cielo. In realtà si sente già più leggera.

“Smettetela. Volstagg ha ragione, eravamo solo dei ragazzini.”

“Esatto!”, grida il guerriero spingendo la faccia di Fandral in un barile colmo d'acqua. Lo spadaccino comincia a divincolarsi convulsamente, provocando l'ilarità condivisa degli altri soldati che assistono alla scena. Dopo pochi secondi lo lascia tornare in superficie e recuperare rumorosamente fiato. “Te lo ricordi anche tu, vero Hogun?”

Il Fosco si appunta l'ultimo pugnale nella fibbia sotto il polso e li squadra senza espressione.

“Ricordo che ti abbiamo dovuto portare di peso all'accampamento, e che piangevi come una ragazzina.”

“Cosa?!”

Fandral ricomincia a ridere sguaiatamente e si porta indietro i capelli fradici con una mano, dando una pacca sulle spalle al corpulento amico.

“Andiamo, anche con te siamo la squadra più forte. Ma stavolta ci seguirai a piedi, non vorrei vedere qualche cavallo stramazzare al suolo dopo pochi passi per la tua mole tanto leggiadra.”

“Ti darei un pugno sul naso se non rischiassi di migliorare il brutto muso che ti ritrovi.”

Sif si inserisce tra i due guardandoli negli occhi, seria.

“Le squadre per essere valide devono avere cinque membri, noi siamo solo in quattro.”

Cala uno strano silenzio, Fandral abbassa lo sguardo e si porta di fianco a Hogun, strizzando il mantello e lasciandosi dietro una scia di piccole gocce. Sif stringe le labbra e e incrocia le braccia con forza. Volstagg prova a stemperare la tensione con una risata che appare comunque troppo stridula e forzata.

“Potremmo chiedere a qualcun altr...”

“No”, replica secco Hogun.

“Magari lui verrà...”

“Non lo farà, e non possiamo chiederglielo”, mormora Sif, appoggiandosi a una panca ricolma di armi. Dalle sue spalle giunge un rumore di passi che dovrebbe riconoscere, eppure non ci fa caso.

“Lo avete visto anche voi, quel che è successo...” prosegue mestamente, fissando negli occhi i compagni uno alla volta. Perché hanno quella strana espressione sollevata, quasi felice? “Non possiamo domandargli nulla.”

“E se mi offrissi volontario?”

Sif si volta di scatto e si ritrova davanti gli occhi azzurri e l'ampio sorriso di Thor. Sembra quasi tornato quello di un tempo. Per il sollievo non riesce a parlare e si irrigidisce non appena le sfiora la schiena.

“Amici, ho preferito la solitudine in questi giorni perché sentivo il bisogno di pensare e di schiarire la mente, ma ci vuole ben altro per abbattermi, lo sapete. Ci siamo già passati.”

Sif ricorda bene i funerali solenni di Loki, il cordoglio durato mesi, quell'ombra scura che non aveva mai visto prima nello sguardo di Thor e che da allora non è più andata via. Ora sanno che è stato tutto per nulla. Sente una rabbia molto simile all'odio riempirle il petto, la stessa che prova da sempre quando pensa al dio dell'Inganno.

“Thor combatterà con noi!”, urla Volstagg, e i guerrieri che li circondano fanno eco al suo grido e sollevano le armi in segno di rispetto, sbattendole sugli scudi.

“Con Mjolnir dalla nostra parte, non avremo rivali!” esclama Fandral entusiasta.

Il del del Tuono sorride e abbassa lo sguardo, fissando le dita strette sull'impugnatura del martello.

“Non ti sarà concesso portarlo.”

Quando rialza gli occhi incontra il viso contratto e segnato di suo padre, appena entrato dal portone che conduce alle stanze più interne del palazzo. È affiancato dalla Regina. Alle loro spalle si fanno strada Tyr, Balder e il capitano dei Falchi Rossi. Nella sala il chiacchiericcio sfuma in brusio e tutti chinano la testa.

“Nessun'arma può essere di vantaggio, nella Grande Caccia. Vinceranno il coraggio, l'onore e la forza dell'uomo.” Sif irrigidisce la mascella e osserva l'Allfather portarsi di fronte a Thor, imponente nelle sua armatura nera e oro, e fissarlo con severità. Si chiede se si siano più parlati, dal processo di Loki. “Sarà un problema per te?”

“No, Padre”, replica Thor a bassa voce.

“Bene”, commenta Odino dopo aver fissato con attenzione il figlio qualche istante. Non appena riceve il martello dalle sue mani, il manufatto produce un basso sfrigolio elettrico. Quindi si volta e fa un cenno ai due Æsir che lo accompagnano, che annuiscono solenni, poi muove qualche passo e si dirige verso il trono.

“Cerca di dimostrarmi che mi è rimasto almeno un figlio degno.”

Lo sussurra così piano, quando gli passa accanto, che solo Thor è in grado di sentirlo, e gli ci vuole un notevole sforzo per non replicare. Sicuramente in questo ha già dimostrato il suo progresso.
Balder gli rivolge un sorriso pieno e incoraggiante e poi lo supera, subito imitato da Tyr, che invece gli lancia uno sguardo truce, alzando un sopracciglio.

“Hai bisogno di un'altra arma” afferma Frigga, sfiorando la spalla di Thor e riportando il sereno nel suo sguardo, “quale desideri?”

Il dio del Tuono si fissa i palmi vuoti con aria confusa. Da troppo tempo sono abituati a reggere solo Mjolnir.

“Non ci ho pensato, madre.”

“Per fortuna l'ho fatto io per te.”

La Regina allarga il sorriso e richiama con un gesto il capitano dei Falchi Rossi, che si avvicina e porge a Thor una spada splendidamente decorata. Il dio la accetta e la soppesa tra le dita. È pesante, ma il suo polso è abituato a ben altro.

“Ti ricordi ancora come si usa?”, lo schernisce bonariamente Theoric.

“Vuoi darmi lezioni?”, replica Thor sorridendo e stringendogli fraternamente il braccio che gli porge.

“Ci ho provato quando eri solo un marmocchio, ma non sei mai stato il mio miglior allievo. Lei, invece...” prosegue il capitano, indicando Sif, “era più brava di te già dal primo giorno.”

“Vi ringrazio, Lord Theoric” afferma la guerriera, assottigliando le palpebre, “ma la vostre lusinghe non dissuaderanno la nostra squadra dal battere la vostra.”

Il capitano dei Falchi Rossi le rivolge uno sguardo sicuro.

“Vedremo se riuscirete ad essere i primi a riuscire nell'impresa. Ma quest'anno ho una motivazione in più per vincere, vi avverto.”

I soldati intorno a loro serrano i ranghi e Odino, in piedi davanti al trono, inizia il suo discorso d'apertura della Grande Caccia. Thor non si volta ma ascolta ogni sua parola, in silenzio. Frigga lascia scorrere lo sguardo sul suo profilo qualche istante, l'amore e l'orgoglio le riempiono gli occhi senza intaccarne il contegno regale, poi si congeda con un lieve inchino.

Quando si è assicurato che tutti i guerrieri siano troppo concentrati sul discorso dell'Allfather per badare alle sue parole, Theoric affianca Thor e, abbassando lo sguardo, bisbiglia:

“Mi dispiace.”

Il principe si riscuote e aggrotta le sopracciglia, sorpreso dal suo tono serio.

“Per cosa?”

Il capitano dei Falchi Rossi deglutisce e abbozza un sorriso nervoso, ma quando lo fissa negli occhi non c'è traccia di leggerezza nelle sue iridi scure.

“Per tuo fratello. Al processo... ero presente.”

Thor contrae di riflesso ogni muscolo del corpo, e riavvolge i ricordi fino a quella notte funesta. Ricorda, sì, i due Falchi Rossi a guardia del portone che ha condotto lui e suo fratello al cospetto di Odino. Uno di loro era Theoric, ovviamente. Il ricordo gli proietta sulla pelle una sensazione fastidiosa. Freddo. Come le catene di Loki, come i suoi occhi, come il dolore che gli ha invaso mente e cuore. Si obbliga a cancellare tanta debolezza e si passa rapidamente una mano sul viso, poi incrocia le braccia possenti.

“Ti ringrazio. Non posso dimenticare quel che mio fratello ha fatto, nel bene e nel male, e non so perdere la speranza, ma...” alza gli occhi al cielo, il dio del Tuono, ed è uno sguardo senza nuvole, “... sebbene il Fato mi abbia posto davanti questo duro cammino, non ho intenzione di tirarmi indietro.”

“Sono proprio le parole di un Re,” afferma Theoric posandogli una mano sulla spalla. Poi assottiglia lo sguardo, ironico, allentando la tensione. “Ma non credere che mi lascerò impietosire.”

“Non te lo perdonerei. Ma oggi non ho intenzione di perdere.”

“Come nessuno”, ridacchia il capitano, allargando le braccia, “vedremo a chi arriderà la vittoria al sorgere delle prime stelle.” Poi gli rifila un 'amichevole' colpo sull'addome, facendo stridere l'armatura, e si allontana a passo sicuro.




Quando Odino termina il discorso, i guerrieri rompono le righe e si riversano all'esterno euforici, pronti a dare il via alla prima giornata della Grande Caccia. Il resto del popolo si starà già ammassando su tetti e parapetti improvvisati, in attesa di salutare i guerrieri in marcia. Chi a fine giornata avrà mietuto più fiere riceverà in premio qualsiasi bene richiesto. Poi le squadre migliori potranno avventurarsi verso le terre a est della capitale e proseguire nella Grande Caccia per alcune settimane. Balder lascia scorrere lo sguardo sulla folla di uomini armati. Nelle ultime tre edizioni ha trionfato Lord Theoric, ma per la prima volta il principe Thor avrà l'età giusta per contrastarlo. Sarà una sfida interessante.

“Come hanno preso la notizia che sarai tu stavolta a guidarli nelle terre orientali?”, domanda Tyr avvicinandosi e ammirando a sua volta il mare concitato dei soldati.

“Bene, stranamente.”

“Strano, indubbio. Non si era mai visto prima il dio della Pace accompagnare una spedizione armata, seppur di una guerra fittizia.” Il dio appoggia la mano sull'elsa della spada, in un riflesso ormai automatico. “Evidentemente considerano la tua presenza di buon auspicio, in qualche modo.”

Balder sorride divertito.

“O magari erano stufi della tua?”

Tyr ridacchia e non risponde all'innocua provocazione, perché conosce bene l'animo del dio più amato di Asgard e sa quanto sia luminoso, persino quando cerca di porsi in ombra.
Odino scende i pochi gradini del trono dorato e impone la sua presenza sbattendo a terra Gungnir.

“È tutto pronto?”, domanda il Re fissando il dio della Guerra, che annuisce.

“I nani collaborano, poche ore e la fucina sarà pronta. Malekith è una serpe e comunica con loro in una lingua che non capisco, ma non può nuocere da dentro la cella. Ho già predisposto che una decina dei miei più fidati e discreti soldati fingano un infortunio, oggi, così da non prendere parte al resto della Caccia.”

“Perfetto. Noi sceglieremo in quali zone cominciare a smantellare l'uru. Tu, Balder, eviterai che nascano mormorii o sospetti.”

I tre Æsir si scambiano uno sguardo solenne a avvertono uno strano peso sul petto. Stanno decidendo la storia e le sorti di Asgard, ancora una volta, e sanno di non poter fallire.




Osservatorio Geofisico di Tromsø (Norvegia)




Quando Darcy riapre gli occhi, infastidita, la luce che filtra dalla finestra è accecante. Che novità. Stira le braccia sul tavolo – mi verrà il torcicollo, minimo - e strizza gli occhi, mentre alle sue spalle Selvig si muove sul divano e sbadiglia con la grazia di un orso. Buongiorno a te.

Jane è da qualche parte in cucina e sta facendo un baccano infernale. A quanto pare lo shock per le rivelazioni delle ultime ore le ha causato un'improvvisa ispirazione culinaria – come se sapesse cucinare – o l'irrefrenabile voglia di distruggere stoviglie. Più probabile.

La stagista emette un sospiro e si decide ad alzarsi, strisciando rumorosamente la sedia sul pavimento. Selvig protesta con grugnito ma apre finalmente gli occhi.

“Che ore sono?”

“Quasi mezzogiorno...” risponde la ragazza portandosi di fronte alla portafinestra, le mani sui fianchi e gli occhi a fissare un cielo di un azzurro sbiadito, quasi bianco. “...credo.”

“Che cos'è questo baccano?”, chiede Erik portandosi faticosamente a sedere, la testa tra le mani e i capelli sparati in ogni direzione.

“Questa è una bella domanda. JANE!” Nessuna risposta dalla cucina, solo ulteriori tonfi e rumori simili a... martellate?

“Dio, la mia testa...”

“Non si preoccupi, vado a prenderle un po' d'acqua e un'aspirina.” Se Jane ha lasciato almeno un bicchiere integro...

Nella spaziosa cucina pare esplosa una bomba, ma l'astrofisica non sta distruggendo proprio nulla. Anzi. L'isola in legno chiaro è diventata un laboratorio in miniatura, e Jane è impegnata a costruire... qualcosa. Una specie di dispositivo portatile.

“Buongiorno.”

“Mmh-mh.”

“Cosa stai facendo?”, chiede Darcy alzandosi sulle punte e recuperando un bicchiere dal ripiano sopra al lavandino.

“Bene, bene.”

La stagista rotea gli occhi e poggia il bicchiere senza troppa grazia di fianco all'amica.

“Pronto? Terra chiama Jane?”

La donna si riscuote e poggia il cacciavite e quella specie di grosso telecomando, che emette un ronzio basso e costante. Sullo schermo lampeggia l'immagine di una sfera verdognola, forse ad indicare il globo terrestre.

“Che c'è?”

“A Selvig serve un'aspirina. Tu che combini?”

“Lavoro. Gli appunti di Erik sono sensazionali. Il progetto Pegasus, gli studi sull'energia oscura, il Tesseract... Mai vista tanta precisione nel rilevare i raggi gamma, e poi... tutti i dati sul portale! E combaciano con la nostra teoria del Ponte di Einstein-Rosen! Tutto questo è...”

“Incredibile?”

“Esatto!”

“Sì, certo.”

Jane rifila alla stagista un'occhiata obliqua, dimostrando di non gradire il suo sarcasmo.

“Che cosa sarebbe incredibile?”, biascica Selvig entrando nella stanza a passo malfermo, la camicia mezza fuori dai pantaloni.

“Erik!”, grida Jane balzando in piedi, provocando una nuova fitta di mal di testa al dottore, “i tuoi resoconti sono illuminanti! La possiamo trovare, è qui!”

Darcy porge all'uomo un bicchiere pieno per metà, e lui si incanta a osservare la pasticca che frizza e si scioglie nell'acqua, come ipnotizzato. La sua voce è un flebile sussurro, come sempre quando quella che ha in testa ricomincia a confonderlo.

“Trovare... cosa?”

“La Fonte!”, Jane afferra un foglio scribacchiato e raggiunge Erik, che quasi si soffoca trangugiando la medicina, e glielo sventola davanti agli occhi, “è così che l'hai chiamata, no? Vediamo, 'un punto sulla superficie terrestre che rilascia la stessa firma gamma del nucleo del Tesseract', ed è qui Erik, in Norvegia!”

Selvig impallidisce e sforza l'ultima sorsata, poi poggia il bicchiere sul tavolo e una mano sulla spalla dell'astrofisica, con fare paterno.

“Jane, quegli studi non hanno più importanza, devi lasciar perdere.”

“Ma...”

“È pericoloso, Jane.”

“L'ultima volta che me l'hai detto, non è bastato a fermarmi.”

Selvig trattiene una mezza risata e incassa il colpo.

“Vero.”

“Erik, ti prego, siamo di fronte ad un'altra scoperta straordinaria. Sulla base delle tue istruzioni ho costruito un fasometro portatile, ha già circoscritto la zona interessata ad un'area di poco più di venti chilometri, con il tuo aiuto posso fare di meglio. Ti prego.”

Selvig chiude gli occhi e sospira, ma è già quasi una resa.

“Dobbiamo farlo per la ricerca, ricordi?”

“D'accordo, d'accordo.” Chissà se mi aiuterà a liberarmi la testa o a sconvolgerla ancora di più?

Erik torna in salotto, subito seguito da Jane e a ruota da Darcy, che lo guardano allibite indossare il cappotto.

“Che fai? Non hai detto che volevi aiutarmi?”

“È così.” Purtroppo.

“E allora, te ne vai? Il mio portatile è di là, ho già settato i parametri, se utilizzassimo il magnetometro dell'Osservatorio potremmo velocizzare...”

“Quello che ci serve non è qui, Jane.”

La donna arretra istintivamente il collo, senza capire.

“E dove, allora?”

Selvig si stringe la sciarpa sul collo e si cala un berretto di lana sugli occhi. Poi fa per poggiare la mano sulla maniglia della porta, quindi si blocca e si volta.

“In biblioteca. Sapete dove possiamo trovarne una, da queste parti?”

 






   
 
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