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Autore: Pencil_Lady    17/01/2014    1 recensioni
Un governo spietato, dei ragazzi pronti a tutto per la loro libertà.
Si concentreranno solo sulla loro battaglia o ci sarà spazio anche per alcune storie d'amore?
Ce la faranno a sconfiggere definitivamente il male?
O saranno brutalmente uccisi solo per aver espresso la loro opinione?
Spoiler di un personaggio della 5^ stagione.
Genere: Guerra, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Alejandro/Heather, Bridgette/Geoff, Duncan/Courtney, Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza | Contesto: Contesto generale
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“Era lì che combatteva. Era lì che affrontava gli ibridi sganciati dagli ultimi Asgrad che avevano perlustrato la città, anche se quasi deserta.
Ormai era abitata solo da alcune famiglie, compresa la sua.
Lottava con un’audacia mai vista prima, faceva invidia persino all’uomo più valoroso della casa.
Era lì, lei così bella, così coraggiosa, così arrabbiata…
Ma lui la vedeva sotto una luce diversa, lo rassicurava anche solo vederla davanti ai propri occhi.
Era stata sempre un’ancora di salvataggio per lui.
Ella aveva il volto sfregiato. Proprio sotto l’attaccatura dei capelli aurei vi era un taglio profondo. Chi l’avesse provocato era ormai ovvio, uno di quegli stupidi cani geneticamente modificati. I loro artigli erano affilati come rasoi, letali, ed era stata solo fortuna che non fosse morta sul colpo.
Sapeva che sarebbe successo qualcosa di disastroso prima o poi, andava tutto fin troppo bene.
Il sudore le imperlava la fronte mescolandosi con il sangue che non smetteva di scendere, quasi le oscurava la vista. Cercava con fatica di asciugarsi il liquido vermiglio utilizzando la manica della camicetta ormai rovinata e bucata ovunque per tutti quegli scontri che non avevano mai avuto un buon fine, e che non lo avrebbero mai avuto.
Sembrava quasi un angelo in incognito, scesa dal cielo per venire a salvare quei poveri mortali.
Ma diversamente da una creatura divina alata, lei era stanca, era stufa voleva mollare tutto, voleva puntarsi la pistola alla tempia e farla finita, ma non poteva. Doveva combattere.
Lui lo sapeva, almeno credeva che fosse questa la ragione per cui la donna non cadeva stremata a terra esalando l’ultimo respiro e gettando via la pistola
Anche l’uomo che le stava accanto provava le stesse sensazioni. Emergeva all’interno della sua anima un senso di morte imminente. Poteva essere ritardata, ma non evitata.
Pure l’uomo aveva il volto rovinato, pieno di graffi e polvere.
Anche se la sua corporatura non lo dava a vedere, egli aveva la forza di un leone capace di abbattere centinaia di quei cani maledetti. Come la sua compagna teneva in mano una pistola, l’unica arma tecnologicamente evoluta per i ribelli.
Quell’arma, quanto la odiava.
Quel nero così lucido, così seducente, così ammaliante ma così mortale. Gli faceva uno strano effetto, come se volesse possederla, toccarla, provare a tirare almeno un colpo. ma allo stesso tempo voleva assolutamente liberarsene. Era un arma pericolosa e lo sapeva
Quei pensieri appartenevano a due occhi acqua marina, che sbirciavano dal buco della serratura di minuscolo armadio d’acciaio infondo alla stanza.
-Che succede? Che succede?- chiese una piccola bimba accanto a lui.
-Stai calma! Aspetta un attimo!- l’ennesima risposta che le riproponeva da più di dieci minuti.
La bambina, letteralmente appiccicata al fratello, si stava seccando delle sue risposte così sfrontate, che le confondevano solo le idee  facendola  pensare al peggio.
-La mamma? E il papà?- chiese ancora una volta impaziente la piccolina.
-Stai zitta cavolo!- rispose irritato l’altro.
-Dai Duncan! Dimmi cosa succede! Voglio saperlo!-
-Gwenny aspetto solo…-
-Basta Duncan sono stanca! Dimmelo-
La bambina, seppur avesse solo otto anni, dimostrava la stessa forza d’animo della madre. Era decisa a sapere che cosa succedesse fuori da quella scatola di latta.
-Se non vuoi dirmelo fammi almeno vedere- protestò Gwen.
Il fratello aveva una faccia preoccupata, così cupa.
La piccola non lo aveva mai visto così.
-Gwen, io non voglio spaventarti. Ti dico solo che non è successo nulla di grave…- disse il bambino tutto d’un fiato –per ora- sussurrò infine.
-Ehm…va bene- rispose flebilmente Gwen stringendo il suo orsacchiotto, ridotto ormai a un pezzo di stoffa e gomma piuma che fuoriusciva da ogni dove.
-Dunky… ho tanta paura-
La piccola stava ormai per crollare in un pianto esasperato quando gli spari cessarono.
Ci furono alcuni minuti di silenzio fino a quando la serratura dell’armadio cigolò.
I due bimbi trattennero il respiro per alcuni secondi.
Il sangue gli si raggelò all’istante mentre il cuore gli batteva così forte che rischiava di scoppiare nel loro piccolo sterno.
Vi erano due uniche possibilità: o i loro genitori erano morti o erano ancora vivi.
Se fossero veramente caduti in battaglia gli Asgrad, forse, sarebbero tornati, avrebbero trovato la chiave e…
Una figura nera aprì l’anta dell’armadio ed esclamò: - Bene bene. Ma chi abbiamo qui? Due piccoli sopravvissuti eh? Beh mi spiace… ma non lo sarete per molto-
Dietro il corpo del soldato Duncan scorse la figura della madre, distesa sul pavimento, attorniata da un liquido scarlatto. Vide poco più in là la testa del padre. Solo la testa.
Era sconvolto. Perché proprio a lui doveva capitare una cosa del genere? Perché erano morti?
Gli girava la testa, cavolo se gli faceva male.
Si riprese solo quando il soldato caricò l’arma e la puntò proprio davanti ai suoi occhi.
La bimba diede un ultimo urlo strozzato tra le lacrime :-DUNCAN!-“
 
Il punk si svegliò improvvisamente immerso in  un bagno di sudore.
-Merda- imprecò – Un’altra volta…-
Quel sogno lo faceva di frequente nelle ultime settimane, ma non capiva il perché.
Era al sicuro lì non c’era niente da temere, anche se quell’incubo lo faceva rabbrividire sempre di più.
“E’ solo un sogno!” pensò cercando di rilassarsi.
Il marcio ripercorse mentalmente la sua infanzia massaggiandosi le tempie, per convincersi che una parte del sogno fosse scorretta. Per l’appunto lo era, ma voleva esserne sicuro. Era un rituale ormai.
 
Quando scoppiò la guerra fra il governo e i ribelli, i suoi genitori decisero di trasferirsi in una piccola città vicino a Toronto. Erano stati di informati da alcuni amici che questa era fornita di qualsiasi genere di necessità.
A loro serviva primariamente una casa visto che il loro condominio, situato nel cuore di Toronto, era stato distrutto per far spazio ad un Centro di Controllo ASGD, pronto per ospitare decine di migliaia di Asgrad. Questi edifici sarebbero dovuti sorgere in quasi tutte le città più grandi del Canada, ma a causa delle continue rivolte delle popolazioni locali  ne esistevano ben pochi. Per questo i soldati viaggiavano per lo più a bordo degli hovercraft che li portavano rapidamente nelle zone desiderate.
In questa città Duncan e la sua famiglia trovarono finalmente un rifugio ribelle.
Poche famiglie abitavano in quell’edificio diroccato, forse perché era il più soggetto ad attacchi da parte degli ibridi e degli Asgrad, ma ormai erano abituati. E poi i genitori di Duncan avevano bisogno in un posto in cui stare e assicurarsi di avere sufficienti viveri per i loro figli. Non potevano rinunciare a un’occasione del genere.
Quella città non aveva un nome. Nessuno sapeva il perché, tutti gli abitanti lo avevano improvvisamente dimenticato. Così Duncan e Gwen la soprannominarono “Dogcity” perché gli unici ibridi che la attaccavano erano per l’appunto cani.
Erano un nome molto buffo per questa vecchia metropoli, ma in un periodo così disastroso i bambini si divertivano con poco, anche solo con delle parole.
I cani OGM, come li chiamava il papà di Duncan per scherzare, erano grossi e con la pelliccia nera, lucidissima. Duncan li paragonava alle pistole. Anche loro erano affascinanti, eccezionali ma micidiali.
Oltre ad avere dei denti e degli artigli affilatissimi, dalla coda lanciavano delle specie di aghi avvelenati.
Quando questi aghi colpivano una persona, iniettavano all’interno del corpo dell’individuo un liquido acido che bloccava il sistema nervoso. Il soggetto dopo la puntura, si accasciava a terra in preda a delle convulsioni, iniziava a sbavare come un animale affetto dalla rabbia. Dopo di che moriva dolorosamente e lentamente.
 Purtroppo Duncan e Gwen avevano assisto varie volte a questo tipo di scene, e per essere dei bimbi di appena otto e dieci anni, ne avevano visto di sangue.
Questa era la fine peggiore che Duncan potesse mai immaginare. Ogni volta temeva che potesse succedere tutto questo ai suoi genitori. Al solo pensiero rabbrividiva.
 
Si alzò lentamente dal letto e si diresse verso la cucina.
Le 05.40. Era così presto?
Sarebbero partiti non prima delle 07.30. Non poteva tornare a dormire. Non doveva.
Non sarebbe riuscito a sopportare un’altra volta qualcosa del genere. Non voleva essere immerso ancora una volta nel rosso sangue.
Decise di prendersi una sigaretta e di gustarsela in tutta pace. Aspirava lentamente dal filtro mentre ritornò a pensare alla sua ( se così si può definire) infanzia “felice”.
Le sue riflessioni furono interrotte dallo scricchiolio della porta.
La fissò con perplessità per alcuni secondi, mentre lei lo squadrava da cima a fondo.
A rompere il silenzio fu proprio il punk.
-Le principesse non dovrebbero dormire almeno fino alle 06.00? Sai ho sentito che altrimenti vi vengono le rughe. Quindi… mi scusi se ho interrotto il suo sonno di bellezza-
-Ah! Che sfacciato! E tu perché sei già in piedi?- disse lei con tono altezzoso.
-Non riuscivo più a dormire- mentì – E tu invece?-
-Volevo…Controllare…Se fosse tutto a posto- rispose concisa Courtney.
Duncan assunse uno sguardo quasi interrogativo e le chiese semplicemente:-Ma era già tutto preparato ieri sera, perché non dovrebbe esserlo anche adesso?-
-Io, ehm…Non si sa mai- disse con uno sguardo un po’ perso.
Senza farsi sopraffare da quel momento così imbarazzante, Courtney intervenne nuovamente: -Vuoi ucciderti prima del dovuto?-
Lui rispose seccamente:-No, cerco solo di rilassarmi-
Seguirono alcuni minuti di silenzio in cui Duncan continuava a fumarsi la sua amata sigaretta e Courtney giocherellava con alcune ciocche dei propri capelli.
-Preoccupata?- disse lui ad un tratto.
-Cosa? Io? Ma scherziamo!?- sbuffò lei riprendendosi da uno stato di trance.
Il punk la guardo con un sorriso malizioso come per dire: “E questa sarebbe la verità?”.
-Va bene…Lo sono un po’- quasi lo sussurrò, come se qualcuno la potesse sentire.
-Ce la farai. Ne sono più che sicuro.- dichiarò lui sereno.
Courtney si sentì quasi un’estranea a parlare con quel tipo di Duncan. Non era mai stato così premuroso e gentile verso di lei.
Tra una parola e l’altra aveva ormai finito la sigaretta. Così la gettò a terra e la pestò.
-Duncan!- lo ammonì l’ispanica.
-Che c’è? Tanto tra un po’ di ore non sarà più casa nostra-
Lei abbassò lo sguardo e disse debolmente –Già… Hai ragione-
Anche il marcio d’altra parte non l’aveva mai vista così turbata.
-Hey dai! Non sarà così male cambiare un po’ d’aria no?- disse lui cercando di rassicurarla.
Courtney sospirò e disse:-Lo so ma… Ho paura di non farcela. E’ un viaggio lungo. Magari vi sto portando tutti a morire…-
Il suo sguardo era triste e spento. Sembrava quasi che tutta la forza che aveva in corpo la sera prima, se la fosse portata via la notte, in un unico colpo.
Duncan era preoccupato. In lei vedeva tutta l’audacia e il coraggio di sua madre, ormai andati perduti. Odiava vederla star male in quel modo.
-Senti Courtney- prese una boccata d’aria per continuare-Io lo so come sei veramente. Tu non sei così. Tira fuori il leone che è in te. Fallo ruggire. Ci condurrai sicuramente alla vittoria. Non è così? Io mi fido di te-
Queste parole rimbalzarono nella testa della ragazza. “Io mi fido di te”. Si sentiva così speciale in quel momento. Lui si fidava di lei.
-Anche io mi fido di te Duncan-
Lui fece un gesto inaspettato. Tese le braccia verso di l’ispanica.
Courtney sembrava un po’ spiazzata all’inizio, ma poi allungò anch’essa le braccia verso quel ragazzo così dolce (stranamente). Si fece accogliere in quelle braccia così possenti e protettive. Si sentiva al sicuro vicino a lui, come se tutti i suoi problemi fossero svaniti in quell’abbraccio caloroso.
 Poi realizzò quello che stava realmente facendo e si scansò subito. Si pentì di quello che aveva appena fatto.
-Io- disse scossa –Vado a controllare le provviste-
Ma prima che sparisse dalla sua vista Duncan le disse:-Incubo-
-Cosa?- chiese la ragazza più spaesata di prima.
-Sono sveglio perché ho fatto un incubo atroce- disse lui secco.
-Mi-mi spiace…-
-Anche a me- concluse lui per poi tornarsene in camera.
 
“E…
-Eccoli qua i miei piccoli eroi- disse l’uomo con sguardo amorevole.
Si vedeva che era sfinito.
-Papà!- strillò la piccola Gwen.
-Eccolo qui il mio ometto tutto speciale!- disse la donna  prendendo in braccio Duncan.
-Paura?- concluse infine.
-Mai- disse lui con gli occhi colmi di gioia nel rivederla.”
Così era andata veramente.
Quel giorno.
 
 
Angolo Autrice
Eccomi tornata! Scusate se sono stata assente così a lungo ma sono piena di cose da fare ( e come una stupida inizio a leggere 4 saghe contemporaneamente).
Ciancio alle bande! Nei capitoli che seguiranno parleremo moooolto dell'infanzia che ha segnato Duncan,e che influirà sul resto della storia.
Alla prossima!
Pecil <3

 


  
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