Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Maya98    17/01/2014    2 recensioni
SPOILER 3x02 (non esclude gli eventi della 3x03).
Tutti si sono chiesti cosa fa Sherlock dopo il matrimonio.
TripOnMind!fic One-sided!love
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Il loro giro di valzer

 

 

 

 

Chiuse la porta dietro di sé con un tonfo, mentre l’odore acre dell’ultimo esperimento abbandonato sul tavolo raggiungeva le sue narici.

Forte, struggente, profumo di tè. Casa, per quanto poco significato avesse quella parola per lui: un luogo come un altro, si era detto per due anni: nulla definisce l’appartenenza di una persona ad una delimitata area specifica in cui essa abita, vive, cambia: nulla se non schemi logici di pensiero, abitudini e inutili convenzioni sociali.

A cui lui non aveva mai prestato attenzione

prima di allora

Prima di allora.

Già aver accettato di essere il suo testimone era una prova inconfutabile su quanto lui fosse cambiato. L’elemento stonato in una sinfonia perfetta, la cui esecuzione era proceduta senza intoppi per anni e anni, con ogni violino al suo posto, ogni croma perfettamente in tempo, mentre lui agitava la bacchetta come un grande direttore, giostrando a suo piacere quell’eterno vortice di perfezione. Una volta non lo avrebbe fatto. Una volta aveva registrato un video per saltare una stupida festa di compleanno (già il fatto che avesse accettato di fare tale scempiaggine la diceva lunga su quanto il tempo — o meglio, gli eventi — cambino le persone. Senza che queste riescano mai veramente ad accorgersene). Adesso, invece, era stato esemplare: aveva fatto quanto gli si era stato chiesto, si era messo in bocca pensieri che non avrebbe mai espresso ad alta voce (ma che non poteva negare di aver sempre idealizzato, su questo grande concetto che erano loro due). Negarlo sarebbe stato gettare fango e inchiostro sull’evidenza, e lui lavorava con prove ed evidenze.
Oh, il limite di una mente razionale: la capacità di negare l’ovvio a sé stessi.

 

Ma la sua stava acquisendo disturbi,

granelli a inceppare una macchina ben oliata

 

Esprimeva. Ciò che sempre aveva celato nei più reconditi e ampi spazi di sé, ciò che vigeva, la legge del sentimento, chiusa a chiave nelle stanze del suo Palazzo Mentale, chissà quali, in un piano dimenticato: tutto quello stava venendo alla luce.

Due anni di solitudine, di caccia, di frode — qualcuno che non lo conosceva abbastanza bene avrebbe potuto dirlo — lo avevano cambiato. Sembrava che avesse imparato una certa lezione di vita. D’altronde, gettarsi giù da un tetto per salvare il suo migliore amico non era una cosa che avrebbe fatto in passato.

Non avrebbe mai nemmeno creduto di essere il migliore amico di nessuno (1).

 

Mi ha salvato così tante volte...

in così tanti modi

 

Chiuse la porta di scatto, ancora al buio. Poi stette lì, fermo. Immobile, nell’oscurità. Lo divorava, ad ogni passo. Faticosamente.
Come se ogni respiro fosse un supplizio tremendo da infliggere all’ultima delle creature. Avanzava. Lo sfiorava. Gli sussurrava all’orecchio, mentre lui taceva. Irresistibile. Ritto, in mezzo alla stanza, nella sua cocente immobilità.

Null’altro aveva moto in quella stanza, se non il frullio delicato dei suoi pensieri, che si rincorrevano lungo fili senza senso. Svanendo, entravano a far parte del blocco temporale in cui era momentaneamente avvolta la stanza. Chiusa. Umida. Silenziosa e buia.

Poi scattò.

Si mosse come una belva braccata, ferita, artigliando la porta appena chiusasi alle sue spalle. Il suo movimento fulmineo fu strascicato, impedito, e disperato come sull’orlo del precipizio. Si sentiva circondato, nelle ombre, da figure insormontabili che incombevano sul suo spazio, offuscandogli la vista, annebbiandogli la mente. Per quanto questo fosse del tutto, terribilmente, irrazionale. L’urto dei polpastrelli contro la superficie del legno, mentre le dita scavavano fessure tra le sue unghie piuttosto che tra le venature della porta, mentre le prime gocce di sangue iniziavano a spillare lente e a rigare il cammino, come briciole di pane. Picchiò i pugni sulla superficie, abbattendosi contro con la spalla, a fronte bassa, con le mani strette allo spasmo, lasciando la gola vibrare in un ringhio di natura profonda, quasi selvatica: poi si volse, repentino, come un fulmine, e si abbatté contro il tavolino, rovesciandolo con i piedi, schiacciandocisi contro di peso, e lasciando che tutta quella rabbia che proveniva dalla voragine nel suo petto traboccasse oltre l’otre della sua mente per abbattersi come le onde violente di una tempesta su una scogliera. Vedeva gli schizzi, gli spruzzi, mentre le sue mani lavoravano febbrilmente per distruggere ogni frammento di carta, per ridurre a brandelli la stoffa, e in cocci di vetro e metallo ogni oggetto che gli capitasse sotto mano: ma era metodico nel farlo, brutale ma preciso, senza la minima gentilezza, senza ombra di indugio: la sua perfezione era questa, e sfiorava il bordo dell’abisso, dove l’errore perdeva i suoi confini e l’efficienza superava la possibilità. Valeva la pena sporgersi, per quella volta, mentre si abbatteva con la sua calma furia su ogni cosa nella quale si imbattesse, rompendo, disintegrando, riducendo in polvere ciò che era già cenere. Un fuoco oscuro divorava quell’oscurità balsamica, che lui usava come rifugio dai bracconieri, seguito, fiutato da forze che si ostinava a negare, riparandosi sotto la sua ala ferita.

Non era mai stato il suo vizio, quello di non provare empatia. Era stata la maschera dietro la quale si nascondeva un uomo che ne coglieva fin troppa.

Poi si bloccò, ansimante, nel mezzo della devastazione. Ogni torre annientava, ogni nemico inesistente lasciato morire ai suoi piedi, mentre il suo cuore soffocato agonizzava in una luce morta in partenza. Il suo cervello, febbrile, cercava di recuperare le redini di quel treno lanciato lungo un dirupo ad una velocità folle. Le Termopili del ventunesimo secolo.

-Così ti riduci, fratello caro?

Sobbalzare, con il sangue che gli fischiava nelle orecchie, fu insieme un sollievo e una maledizione. Nel buio, i suoi occhi voraci cercarono l’origine unica di quella voce, disgustato al solo pensiero di aver avuto uno spettatore di quel pietoso spettacolo nel quale l’eleganza aveva perso il suo fascino e la teatralità aveva intriso ogni gesto di un significato spoglio e crudo.

-Tutta questa fatica...così tanta indisciplina...a che pro?

Non riusciva ad individuare l’esatta collocazione di Mycroft all’interno della stanza, che aveva battuto palmo a palmo nella sua autodistruzione metodica, centimetro per centimetro. Sembrava che essa rieccheggiasse attorno a sé in un muto sussurro prolungato, un lamento, quasi, o un ammonimento.

-Sei sempre stato così banale...una volta di più lo dimostri. Il piccolo, sciocco e sentimentale Sherlock Holmes.

-Taci.-sibilò nell’ombra, rivolto a quel qualcuno che era impossibile vedere, tantomeno localizzare. Riuscì a comprendere, in uno sprazzo di lucidità — una macchia di sangue su un foglio intonso, leggero come la carta velina e soprattutto così fragile — che essa doveva venire dalla sua propria testa. 

-Mi sono sempre chiesto se ne valesse davvero la pena, come tutti argomentavano infervorati. Ma i ciechi non possono vedere i danni che la loro fiducia nella stessa cecità provocherà ai posteri. E forse, anche a loro stessi.

Una pausa della sua coscienza, che aleggiava tra sé e lo specchio di sé come fumo, una presenza fastidiosa in un sentiero davanti ad un vicolo cieco, una montagna insormontabile, un oceano invalicabile. Era così fastidioso che fosse costretto ad aprire gli occhi anche quando la luce era troppo accecante per essere ignorata, anche se le sue pupille venivano divorate vive dal bagliore dei raggi solari: Mycroft era sempre stato la lente che posta sotto la luce, innescava l’incendio.

-Io non sono innamorato di John Watson.-disse con voce ferma, stringendo spasmodicamente le mani chiuse a pugno, e sedendosi su quel che rimaneva della sua poltrona, sfibrata, senza più imbottitura, e lasciata come unica spettatrice alla contemplazione di quello sfacelo. Se chiudeva gli occhi, poteva percepire ogni fibra del suo corpo tremare, davanti alla reliquia, santuario, unico oggetto rimasto immune alla sua spropositata e improvvisa violenza. La poltrona di John sembrava un oggetto sacro, degno di venerazione, in mezzo a quel deserto di annientamento fisico e non.

-Se così fosse, la stanza sarebbe forse in questo stato?-chiese la voce di Mycroft con qualcosa che sembrava compassione o pietà. Nulla di questo era ciò che a Sherlock serviva. Strinse le ginocchia al petto, nascondendo la fronte tra quegli angoli spigolosi, pregando facessero da argine alla diga che era scoppiata nella sua testa, straripata, travolgendolo come un fiume in piena bloccato da milioni e milioni di anni nella sua stessa gabbia. 

Nella sua mente, gattonava sperduto su pavimenti infiniti, alla ricerca di un gemello perduto chissà quando e chissà come nel corso di più di trent’anni della sua stessa vita, strizzando gli occhi, girando per corridoi sbagliati, perdendosi, smarrendosi.

-È questo avere un cuore spezzato?-chiese infine, trovando un filo di voce da qualche parte seppellito nel suo petto, nel bel mezzo di un mondo crollato.

Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di suo fratello, della proiezione mentale di suo fratello. Gli stessi occhi di suo padre: scosse la testa, abbassando nuovamente la fronte e trovando chissà dove nella stanza l’aria per parlare (fino a qualche secondo prima sembrava non essercene abbastanza):-È per questo che le mogli uccidono i mariti fedifraghi, o le amanti di questi, o tentano il suicidio quando vedono la felicità brillare nei loro occhi per qualcun altro? È per questo che anche il più mite degli uomini è in grado di sfregiare una persona con l’acido per garantirsene il possesso? È questo ciò che li spinge, ciò che marcisce nei loro cuori, ciò che divora le loro menti impedendogli di ragionare? È amore?-sembrava un singhiozzo, quell’anfratto d’aria che gli sfuggì dalle labbra, trattenuto a stento, soffocato immediatamente. Ma non lo era: semplicemente la morte di un sospiro. Gli occhi rimanevano asciutti, come lo erano sempre stati, come mai si erano traditi: almeno quelli, intoccabili, inafferrabili e irraggiungibili, di ghiaccio quanto il loro stesso colore:-È questo ciò che gli esseri umani ritengono un dono, ciò che loro provano?

-Nello specchio distorto della loro realtà, sì.-confermò Mycroft.

-ALLORA NON VOGLIO. ESSERE. UMANO! (2)

L’urlo che proruppe fu quello di una bestia devastata, ridotta alle origini, scorticata nell’anima e ferita più a fondo di quanto in realtà pensasse. Fu involontario, impossibile da trattenere: durò un’eternità. Per quanto sembrasse un solo secondo, o un secolo, la voce graffiò con forza inaudita la sua gola, raschiando le pareti della stanze e piegando le orecchie a quella sorda tortura, penetrante, prolungata e inafferrabile.

Sherlock alzò lo sguardo sul fratello, con l’espressione di un uomo perso, disertato, svuotato. I capelli ricci appiccicati alla fronte dal sudore, il viso ceruleo e gli occhi incavati: il suo pallore sfidava quello di un cadavere, mentre gocce di sudore freddo colavano dalle tempie verso le labbra schiuse e massacrate a sangue da denti impietosi. Il dipinto di un uomo distrutto. Il dipinto di una strage compiuta:-Voglio tornare quello di prima. Aiutami a tornare quello di prima.

-Quello che si nutriva di cocaina e casi, intervallando la disperazione isterica alle crisi di noia? Sei sempre stato un uomo facile al melodramma, Sherlock, e il tuo malinconico struggimento per l’oggetto del tuo desiderio non corrisposto è sempre stato solo il successivo gradino della scala. Da quando ha iniziato a importarti è stata una discesa verso l’abisso.

Non ti importa di loro?
Curarmene mi aiuterà a salvarli?

No.

Allora non continuerò a rischiare di fare errori.

E lo trovi facile?
Sì, molto.

 

Da quando il soggetto del pericolo si era spostato su John, con la forma di un mirino e un bollino rosso che vagava disperso tra la sua fronte e il suo torace, non curarsi delle vittime esposte al rischio era stato semplicemente impossibile. E lì la macchina si era inceppata, perché tutti gli errori che aveva fatto erano stati dettati semplicemente dalla paura di perderlo: una paura con la quale mai si era trovato a fare i conti.

Doloroso, oh!, quanto era doloroso...

-Hai visto come la guarda.

-No.

Risposta secca, severa, lapidare. Una lastra di ghiaccio che abbandona la montagna e precipita al suolo, causando la valanga. Ma quante volte aveva espresso lui stesso che le risposte rapide non erano veritiere? Come scappare al suo stesso io, che gli stava infliggendo una prova di tal portata? Se non poteva concedersi neanche il lusso di negare, di rifuggire, di fare il codardo: perché, dopo averlo strenuamente negato, si imponeva una volta di più di fare l’eroe?

Non lo era mai stato. Non lui. L’eroe del Reichanbach, dicevano. L’eroe della Caduta. L’eroe, l’eroe, l’eroe...non era mai stato lui: quello era John. John che dava la vita per gli altri, che uccideva per te un solo giorno dopo averti conosciuto, che si proponeva per farsi saltare in aria insieme ad un criminale solo per annientarlo, che ti salva da te stesso e dagli altri più di una volta, che ti sorride felice, guardandoti negli occhi illuminati, senza rimorso perché è così cieco, così cieco, così cieco!

Il vero eroe, senza saperlo, era sempre stato John Watson. Per lui che non credeva in dio, quando sé stesso era già crollato, era l’unica entità in cui potesse fare fiducia. Ma quando anche questa veniva a mancare, cosa gli restava da fare se non affondare con la nave, crollare con la roccaforte, relitto di ciò che era stato un tempo? Colpito, ferito, annullato. Aggrappato una scialuppa che era il bordo del suo burrone, con il vento contro in burrasca.

Ma come poteva non rispondere a quei sorrisi che irradiavano gioia a scintille? Come poteva, quando tutto ciò che alla fine desiderava era vederlo felice, al punto di mettersi da parte come non aveva mai fatto per nessuno, anziché reclamarlo come propria proprietà, proprio diritto. John Watson non era di nessuno, men che meno suo, e tanto valeva. Ogni volta che riusciva a vederlo era una ferita nuova, così bella, ma così bruciante. E in risposta, per ogni stilettata lui regalava un sorriso.

-Sì.-ammise poi, a bassa voce:-Cancella ogni speranza, per quanto non sia mai stato tipo da speranza.

-Solo perché non notavi come guardava te, anni fa.

La sua testa fece uno scatto verso l’alto, mentre lui balzava in piedi, senza equilibrio, con il mondo inclinato verso la parte sbagliata, sbilanciato, starato, disperso nel vuoto. Si sentiva come un ubriaco, a barcollare per la stanza, con la droga nella testa senza che neanche avesse sfiorato il pensiero con la mente.

Ora però lo aveva fatto

E gli sembrava una soluzione così luminosa...

 

-Cosa vuoi dire?-urlò, con voce rauca, soffocata. Per un istante, gli venne il dubbio che quello in fronte a lui non fosse altro che il vero Mycroft, in carne e ossa, lì ad aspettarlo e ad assistere. Ma suo fratello non se ne era mai curato abbastanza per fare qualcosa di simile.

-Solo perché ora guarda lei come se fosse tutto il suo mondo, e rivolge a te uno sguardo felice di una felicità riflessa e non causativa, non esclude che una volta non fosse diverso.-una pausa, in un respiro gelido, impietoso:-Non hai mai saputo vedere abbastanza, Sherlock, come John Watson riusciva a guardare te.

Il mondo che era in bilico. Improvviso. Che crolla. Che si accartoccia su sé stesso, in fiamme, portando una corona infuocata a stringere la testa in una morsa arroventata, dolorosa, pesantissima. Un flagello impossibile da portare, così gelido e al tempo stesso così caldo, così bollente, a temperatura d’ebollizione...

-Sei solo un’ombra nella mia testa.-disse amaramente Sherlock, con un disprezzo e una commiserazione che non sapeva a chi dirigere, se il mondo, sé stesso, Mycroft o addirittura John stesso. Anche se lei mai: lei era perfetta, lei era diversa, lei era la scelta migliore e lo era sempre stata, per quanto avesse una natura distorta e complicata nel suo genere. Non potendola davvero odiare, non poteva nemmeno addossargli la colpa di tutto quello.

-E tu non vuoi accettare la realtà. Non ne sei mai stato capace.

Quello era un affronto, per qualcuno che come lui cercava la verità ogni giorni, in ogni più misero dettaglio, in ogni più piccola cosa. Un granello di polvere che infetta la ferita, e di nuovo il fuoco che divampa e lo divora come la fiamma con la pergamena, mentre l’inchiostro sbiadisce, e le parole, e i pensieri.

-E quale sarebbe la verità?

-Hai perso il tuo giro di valzer, Sherlock.

Lo aveva perso davvero, il loro giro di valzer. Ne aveva concesso uno soltanto e lo aveva speso ad insegnargli come danzare con qualcun altro. Troppo preso nella ricerca di una perfezione inesistente per riuscire a cogliere l’unico, raro attimo di imperfezione e custodirlo. Aveva perso il loro giro di valzer. Era sempre stata la loro tragedia.

 

 

 

 

 

 

 

 

~ Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolina della Skizzata devastata dalla 3a stagione per nulla spoiler-free:

Eh già. Sono tornata.

Permettetemi di scusarmi l’assenza di un mese intero, sia come scrittrice che come lettrice e recensitrice. Il mio computer era cordialmente andato all’inferno quindi non ho potuto accedere al mio account per un bel po’ (ho letto tutto, comunque, ho amato tutto ciò che avete scritto e un giorno forse riuscirò a recensire tutto). 

Ora sono tornata distrutta dai feelings della 3x03 (riuscirò a scriverci. Ci riuscirò. Ci sto già lavorando).

Lo so, OOC. Sherlock mi è sfuggito di mano. Ad un certo punto me lo sono sentito scivolare via, ma...ma...ma niente, è OOC punto e basta. È un disastro di figure retoriche e Sherlock al confronto con sé stesso in un trip senza senso nella sua mente, e non doveva essere neanche così drammatico come sembra, semplicemente è...uscito così alla fine.

Certo che dopo aver visto John e Mary ho pensato ‘no’. Come si fa a shippare Johnlock quando lui la guarda così così...e lei è fortissima (la amo, anche se non la perdonerò mai per aver sparato a Sherlock). Quindi, o mi do allo one-sided (come se non l’avessi già fatto prima) o ai triangoli. (Nope, non posso. Non posso. ...o forse sì?). Al momento ho scelto l’one-sided.

Sì, guardate — la 3x01 mi ha ispirato completezza da dire ‘non ci scriverò sopra’, la 3x02 mi ha ispirato angst, la 3x03 mi ha ispirato angst quindi...bé, non aspettatevi fluff da parte mia :) Avvisati.

Le dedico alla mia bradipina perché Sherlock rimarrà incinto di Mary e alla mia soulmate che si deve dare una mossa a finire di vedere HLV Ah, in modo inaspettato ringrazio la mia prof. di inglese per avermi promptato involontariamente questa massa di OOC! Detto questo ringrazio tutti e dico ‘a presto’! Comunquemì, LE NOTE (1) Citazione dalla 3x2, anche se in realtà nel testo ce ne sono infinite da tutte le puntate, quindi non sto a specificarle tutte (2) Citazione da Harry Potter, L'Ordine della Fenice

  
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