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Autore: CurlyOrFree    17/01/2014    0 recensioni
Questa è la storia di Alessandro e Camille. Si conoscono e si incontrano nella stanza 312 dell'ospedale per quattro mesi, due settimane e un giorno. La storia non ha un lieto fine, a meno che tu non riesca a capire che per Camille quello era l'unico lieto fine.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Camille. Odio questo stupido nome, i miei me l'hanno affibbiato solo per dare "un tocco esotico", come dice mia madre. Esotico? Camilla ti faceva schifo come nome? Ma non è importante. Passiamo al mio aspetto. Sono alta, con i capelli castano scuro, e gli occhi grigi. Mi piace il mio aspetto. Davvero. Ho 22 anni, sono specializzanda in medicina. Mi piace il mio lavoro. Aiuto le persone, e mi sento meglio sapendo che quello che faccio ha un senso. Vorrei scrivere qualcosa di decente, come gli scrittori che leggo tanto volentieri, ma non ne sono capace. Vorrei solo che quello che sto scrivendo rendesse giustizia alla mia storia, che si è intrecciata con la sua, cambiandomi la vita. Avevo, ho e avrò 22 anni, e questa è la storia di Alessandro e Camille. La nostra storia. Lo vidi per la prima volta nella stanza 312, in ospedale. L'ospedale. Ci passo le giornate, eppure non l'avevo mai visto! Aveva dei bellissimi occhi verdi, e i capelli biondo scuro. Colpo di fulmine? Chi lo sa. 《Ciao. Sei nuovo qui?》 Avevo un tono freddo, distaccato. Da medico. 《No, purtroppo no.》 Sorrideva, e aveva una bella voce. 《Capisco. Beh, come ti chiami?》 《Alessandro. Tu?》 Che bel nome. 《Camille.》 Sorrisi mentre lo dicevo, forse per far sembrare che avessi dei sentimenti. 《Ah, sei francese. Vorrei andare a Parigi, ci sei mai stata?》 《No, mai messo piede fuori dall'Italia. E non sono francese, i miei mi hanno messo questo nome ridicolo.》 Torno a essere acida. Mi odio. 《Sei carina, Camille. Mi piacciono i tuoi occhi.》 《Grazie. Scusami, ma devo andare. Il paziente della 208 è in coma vegetativo, e sono arrivati i parenti.》 《Certo. Staccherai i tubi, e morirà.》 《Non è detto, i parenti decidono. Ma è in coma da mesi, con poche possibilità.》 Esco dalla stanza, e corro alla 208. Stacchiamo i tubi, no, è mio marito, non voglio, signora, non si riprenderà, ma magari ce la fa, insomma, solite scenate. Mi rendo conto che a veder morire persone ogni giorno, non mi fa più nessun effetto. Morirà, si, e quindi? Moriremo tutti. Mi sento vuota. Torno nella 208, e chiedo scusa per il mio pessimismo. La moglie del comatoso ringrazia, e mi chiede scusa per avermi chiamato "troia con il camice". Faccio gli auguri di pronta guarigione, ma non ci credo molto. Il giorno dopo rivedo Alessandro. Lo vedo nella 312, e quando lo vedo entro con il mio camice bianco e lui mi sorride. 《Buongiorno Camille.》 Mi dice sorridendo imitando uno strano accento francese. 《Buongiorno.》 Sorrido anche io. 《Scusa, puoi toglierti il camice? Vedo solo dottori e infermiere con il camice per tutto il giorno... vorrei smettere di vedere camici per un pò.》 Questa richiesta mi colpisce, ma me lo tolgo subito. 《Visto? E poi, senza camice posso vedere il tuo fisico. Con il camice sembri un rettangolo bianco. Impersonale. Fredda. Apatica.》 Mi ha descritto, e non mi conosce neppure. 《Invece, guarda che colori sotto il camice! Jeans chiari, azzurri, con una maglia azzurro elettrico: sprizzi allegria da tutti i pori!》 Fingo un sorriso. Sono allegra? No. Come cazzo si può essere allegri? Ti giri e vedi una bambina in coma. Una anziana con un arresto cardiaco. Un ragazzino costretto a letto con la leucemia. Una ragazza della mia età attaccata all'ossigeno dopo un'incidente, con un bisogno urgente di un polmone nuovo. Brave persone che soffrono e muoiono. Non puoi affezionarti. Come puoi fare una cura dolorosa ma necessaria a un paziente, se lo conosci bene? Non vorresti farlo soffrire il meno possibile? Allora fai una cura meno invasiva, più sopportabile. E il paziente muore, e la colpa è solo tua. Non puoi affezionarti. Non devi affezionarti. 《Camille? Tutto bene?》 《Si , scusa, pensavo a quanto sia terribile questo posto.》 E all'improvviso mi sento soffocare, esco di corsa. 《Camille! Ho detto qualcosa di male?》 Continuo a correre, quasi vado addosso a un'infermiera. 《Camille! Ho delle siringhe in mano!》 《Scusa Angela!》 Apro la porta e respiro. Lentamente. Mi siedo sulle scale e stò già meglio. Aspetto 10 minuti, e torno dentro. Alessandro è ancora nella 312. 《Scusa se sono corsa via. Mi sentivo soffocare.》 《Tranquilla, non fa niente.》 《È solo che pensavo a quella bambina in coma, e alla ragazza, quanti anni avrà, 22? Attaccata a un respiratore. E il ragazzo, quello con la leucemia. E a quante persone muoiono ogni giorno. E alla vecchietta in arresto e...》 Quella sensazione mi torna dentro, comincio a respirare velocemente, ma invece di correre via mi siedo. Guardo la maglia azzurra, e mi sento già meglio. È tutto troppo bianco, negli ospedali. 《Sicura di stare bene?》 Ha la voce preoccupata. Caccio indietro le lacrime che mi bagnano gli occhi e annuisco. 《Attacco di panico, penso. Capita.》 Alessandro annuisce lentamente. Suona il cercapersone. 《Dio, scusami, devo andare. A domani?》 《A domani.》 E mi sento già meglio. "A domani" è una promessa, in un certo senso. Sorrido, mi metto il camice e esco. 《Sei bellissima oggi!》 Mi grida mentre esco. 《Anche tu.》 Mimo con le labbra, guardando i suoi occhi verdi. Continuiamo a vederci per qualche mese, ogni giorno, all'ospedale. Nelle mie pause, andavo alla 312 e ero sicura di trovarlo lì. Ci siamo baciati, qualche volta, ma niente di più. Non siamo mai usciti fuori dalla 312, ci siamo visti sempre e solo lì. 《A domani.》 Mi diceva ogni giorno, e io ci credevo. Credevo che lo avrei visto il giorno dopo, che lui ci sarebbe stato, mi avrebbe fatto dei complimenti e io non sarei più corsa via in preda al panico. Quattro mesi, due settimane e un giorno dopo il nostro primo incontro, entro nella 312 e per la prima volta non lo vedo. -Una settimana dopo- Cammino sul prato, e mi avvicino al gruppo di persone che circonda la tomba. Vedo il nome e la foto sulla lapide, e vedo un bel ragazzo con i capelli biondo scuro e gli occhi verdi. Si chiama Alessandro. Vedo i genitori che piangono, e una ragazzina con i suoi stessi occhi verdi che fissa la bara che viene calata nella buca. Osservo il tutto da lontano. Da quel giorno, ogni giorno torno nella 312, che sia vuota o occupata da un altro paziente, e mi tolgo il camice. Questa è la nostra storia, la storia di Alessandro e Camille. Ero innamorata di Alessandro, ma non potevo portarlo con me fuori dall'ospedale. Aveva un cancro al fegato, e quando l'ho conosciuto aveva sette mesi di vita. Sette mesi. È morto tre mesi prima del dovuto. Non poteva uscire dalla 312, a causa della chemioterapia. Ma sorrideva quando mi vedeva. Mi chiamo Camille. Alessandro è morto. Io sono ancora viva. Fisicamente, sono viva. Mentalmente, no. Ho attacchi di panico molto più spesso. Ma tutto questo durerà ancora per poco. Ho preso quindici sonniferi. Una pasticca per Alessandro. Una per il mio stupido nome. Una per il camice bianco che toglievo. Una per gli attacchi di panico. Una per la maglia azzurra. Una per i suoi occhi. Una per i baci che ci siamo dati. Una per i baci che dovevamo ancora darci. Una per i complimenti che mi faceva. Una per l'ospedale. Una per tutto quel bianco. Una per la bambina in coma. Una per i pazienti che ho salvato. Una per i pazienti che avevo ancora da salvare. Una per la vita, che ti trascina via qualunque cosa. Sto arrivando, Alessandro. Promettimi che ci sarai, quando arriverò da te. Mi sento stanca, sarà meglio andare a dormire. Domani non andrò all'ospedale. Il mio corpo sarà freddo quando lo troveranno. E sapete una cosa? Non fate il mio stesso errore. La vita continua, nonostante le perdite. Vaffanculo. Io vado a dormire. -Camille non si è più risvegliata.-
  
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