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Autore: Chamelion_    03/06/2008    2 recensioni
In fondo, è quello che vogliamo tutti. Trovare una via di fuga. Liberarci del senso di oppressione che tutti proviamo, e del desiderio invincibile di un’emancipazione. Respirare attraverso tutti i silenzi ed emergere dal mare di ipocrisia che ci sovrasta. Non è forse questo lo scopo di ognuno di noi? Non è a questo che miriamo sin dal momento in cui vediamo il mondo per la prima volta?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mescolavo il the con gesto metodico, senza prestarvi attenzione, e intanto guardavo fisso un punto nel vuoto con aria assente. Lui entrò nel bar senza che il suo ingresso mi riscuotesse e, con tutta calma, si sedette di fronte a me. Senza alzare gli occhi, sentivo che mi guardava.
«E così» esordì. «Hai deciso di farlo, alla fine».
«È una decisione che ho rimandato troppo a lungo» replicai. «Ma non è nulla di nuovo, e tantomeno imprevisto».
Mio padre continuò a guardarmi in silenzio: sembrava intenzionato a studiare i lineamenti del mio viso. «Spero che tu non sia venuto qui per convincermi a cambiare idea» aggiunsi con tono piatto. «Sarebbe solo tempo sprecato».
«Me ne rendo conto» dichiarò lui. «Del resto, può un padre non tentare di dissuadere la propria figlia da una simile scelta? Tuttavia so che sarà inutile, e benché di questo mi rammarichi, riconosco che devo rispettare i desideri altrui».
Continuai a rigirare il cucchiaino. «Altrui» ripetei. «Come se la cosa riguardasse soltanto me». E, per la prima volta da quando era entrato nel bar, sembrò non capire cosa volessi dire.
«In fondo, è quello che vogliamo tutti» spiegai. «Trovare una via di fuga. Liberarci del senso di oppressione che tutti proviamo, e del desiderio invincibile di un’emancipazione. Respirare attraverso tutti i silenzi ed emergere dal mare di ipocrisia che ci sovrasta. Non è forse questo lo scopo di ognuno di noi? Non è a questo che miriamo sin dal momento in cui vediamo il mondo per la prima volta?».
Lui accese lo sguardo, pur senza perdere la propria calma. Pareva una conversazione ordinaria, e sembrava, dal tono di voce e la tranquillità di entrambi, che stessimo parlando del tempo, e non del mio imminente suicidio..
«Noi non nasciamo per nostra volontà, ma per desiderio di altri» continuai. «Ci sentiamo tutti attori su un palcoscenico. Del resto è una metafora nota: forse allora non sono l’unica pazza a pensarla così, non ti pare? Credo che tutti ci sentiamo così: abbiamo spazi entro i quali dobbiamo rimanere, una parte da interpretare e un copione da recitare. Non possiamo sgarrare: un piede posto fuori dal palco, una battuta letta con l’intonazione sbagliata, e l’intero spettacolo sarà rovinato. Per tutta la vita mi sono attenuta, come tutti, alla parte che qualcun altro mi aveva assegnato, mentre invece avrei voluto ballare sul palco, gridare quando nel copione avrei dovuto sussurrare, ridere quando avrei dovuto piangere. Ma non ho potuto farlo: cosa mai avrebbe pensato la gente, il pubblico, che mi guardava?».
Mio padre mi guardava ora spaventato: l’uomo più calmo e pacato del mondo vacillava sotto i miei occhi; questo fatto mi innervosì ed io mi accorsi che le mani mi tremavano. Cercai di convincermi che io stavo ferma, ed era il resto del mondo a tremare.
«E infine,» sussurrai. «dopo aver sudato nei panni di un personaggio che non volevo interpretare, giunta, stremata, alla conclusione dello spettacolo… Pretendono ancora che io mi congedi dal pubblico con un sorriso forzato e un inchino? No. Questo non lo permetterò. Se non ho potuto ballare durante lo spettacolo, avrò perlomeno il diritto di concluderlo a modo mio… In un modo che non è approvato dalla critica del pubblico, ma è approvato da me. E conta solo questo».
Stavo ancora tremando; recuperai il mio controllo emotivo e conclusi: «Non è che il riscatto di me stessa. Un salto giù dal palco e il termine del mio spettacolo»..
Afferrai la tazza e ne bevvi il contenuto in un solo sorso: il the che era diventato freddo. Posai la tazza vuota, guardai un’altra volta mio padre, i cui occhi non si smuovevano dal tavolino, mi alzai e uscii dal bar senza una parola di più.


  
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