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Autore: Charly_Baby    17/01/2014    2 recensioni
Dicevano che era troppo giovane per affrontare la vita. Ma loro non sapevano. Non potevano capire.
E forse il fatto di aver trovato suo padre appeso ad un cappio nella sua stanza vale abbastanza per capire le cose essenziali di questa fottuta vita. Per questo era diventato ciò che è ora. Un Serial Killer.
**
Solo uno ci era riuscito. Solo uno sapeva tutta la verità.
**
"Harry..." Lo disse più piano di un sussurro che se non ci fosse stato tutto quel silenzio, non lo avrebbe neanche sentito.
[...]
E li, ci vide qualche sfumatura di verde, e subito pensò che quando da piccoli si guardavamo intensamente negli occhi lui ci lasciò un po' di lui li dentro... Lasciandoci qualche sfumatura sua. Riempiendo i suoi con con quelli di Harry.
[//Larry Stylinson\]
Genere: Fluff, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Start together.




 
È questo ciò che fà e nessuno lo può più giudicare ne lui, ne il suo lavoro, ormai. È strano il modo in cui si è ridotto.
Ma è successo e basta. Senza una risposta adeguata, e se c'è troppo problematica da capire. 

E nessuno può comprendere ciò che ha voluto fare. Nessuno può capire il suo dolore, per quel ragazzo. Nessuno può capire il disprezzo e tristezza verso i suoi genitori. 

Tutti lo definiscono troppo giovane - anche con i suoi venti anni compiuti - e inesperto per vedere cosa gli riserva il mondo. Cosa potrebbe accadere. 

Troppo piccolo per capire la tristezza. 

Gli dicevano che era troppo giovane per sapere cosa era la vita. Troppo piccolo per sapere la verità che si nasconde dietro a dei volti affaticati e tristi, di genitori tornati a casa. I loro problemi. 

Forse avevano ragione. Era troppo giovane per capire cose della vita... O forse. E forse il fatto di aver trovato suo padre appeso ad un cappio nella sua stanza vale abbastanza per capire le cose essenziali di questa fottuta vita. 

Aveva solo otto anni. Suo padre e sua madre significavano tutto per lui. Erano il suo respiro. La sua direzione verso una vita felice. Loro erano la sua felicità. Non aveva amici, troppo occupato a stare con suo padre... O così voleva credere. Sapeva che non aveva più amici dopo che Louis, se ne era andato. Era rimasto solo. 

Passava ogni pomeriggio con suo padre, mentre sua sorella se ne stava con le sue amiche o con sua madre. Sembrava andare tutto bene, sembrava essere tutto perfetto finchè con sua madre quella sera non rientrarono in casa. 

Quella sera aveva tante cose da raccontare a suo padre; il modo in cui aveva fatto tacere il bulletto della scuola, che lo aveva preso di mira, con un cazzotto dritto sul naso, come lui lo aveva consigliato; il nove ricevuto e meritato di matematica. Il tempo che gli aveva regalato, invece di andare a lavoro, era da vero padre. E lui lo amavo per questo. 

Ma quella notte, invece di correre in casa e andare nel suo ufficio, sedersi sulle sue gambe e raccontargli tutta la giornata di scuola... Lo trovò nella camera del piccolo, mentre era intento a posare il suo piccolo zaino. 

Era li, i piedi a penzolare, una fune intorno al collo, il viso viola ed una lettera sul letto. 

Sua madre rimase immobile. Pietrificata. 

Provò a chiamarla, a smuovere suo padre, perché per Harry, lui.. Gli aveva solo fatto uno scherzo. Rise e pianse allo stesso momento. D'altronde non avrebbe potuto abbandonarlo, lui lo amava più di qualunque altra cosa al mondo, glielo ripeteva sempre e gli diceva anche che non lo avrebbe lasciato mai più eppure l'aveva fatto.

Cambiò scuola, sua madre cambiò del tutto e sua sorella mise su una maschera.

Nessuno avrebbe dovuto sapere la verità, suo padre non si era suicidato perché in debito di soldi dovuti al gioco d'azzardo e problemi d'alcolismo, suo padre era morto in un incidente, per tutti suo padre se ne era andato in quel modo.

Il cuore era stato rimpiazzato da una massa di ferro, ormai arrugginito. In una gabbia. E da quando Louis se ne era andato, suo padre era morto, e sua madre era scappata con sua sorella, il mio mondo se ne era andato. 

E ora tra quelle strade e fredde di Londra, era solo. Il suo cammino perso e le gambe lo portavano dove il destino gli permetteva di far spazio ai suoi pensieri... Da solo. 

Mentre la sua mente vagava tra i pensieri più oscuri. I momenti cattivi, buoni e felici. 

In questo momento si sentiva solo un errore, un errore di ortografia. Una doppia dove non ci va, un "fà" con l'accento. Un colpo di bianchetto e lui sparisce, come tutti gli errori. Il foglio resta bianco, pulito, e nessuno vede il dolore nascosto dietro quello strano bianco.

Nessuno aveva mai visto il dolore che cercava di nascondere. Nessuno... Tranne Louis. Era stato il migliore amico perfetto, il fratello maggiore mai avuto. Un amore indefinito. 

Era stato un amore nascosto, sofferto e... Non ricambiato. La notizia della sua bisessualità non lo aveva fatto allontanare da lui. Solo qualche mese dopo, quando gli disse l'errore della sua vita. 

Un errore fin troppo bello. 

Quando gli disse, davanti alla sua porta di casa mentre l'acqua lo bagnava e il fiato corto per la corsa appena fatta, che lo amava gli aveva chiuso la porta in faccia. Lo aveva cacciato dalla sua vita. 

E aveva ridotto il suo cuore in un mucchio di frammenti di vetro rotti sul pavimento, che nessuno che poteva aggiustarli. 

Lui sapeva tutta la sua vita, tutta la verità. L'unico di cui poté mai fidarsi ciecamente. Si fidava di lui. 

Ed era troppo annebbiato dall'amore e dalla tristezza per rendersi conto di ciò che fece dopo. 

Il Serial killer non è un bellissimo lavoro, ma sapeva che nessun altro lavoro andava bene per se. Dopotutto rispettava il suo carattere; essere freddo con la gente, con scelte difficili. Non provare debolezza verso gli altri, o pena. Non provare nessuna emozione. 

Ma non sapevano che era ancora innamorato di Louis Tomlinson, e poi perché dovrebbero sapere? Ormai doveva ritenersi bravo a mantenere segreti... Ma dopo tutto non lo avrebbe più incontrato. Mai più, era una promessa fatta a se stesso. 

La cosa che non seppe mai, è il rumore di singhiozzi che uscivano da delle labbra sottili. Gli occhi troppo rossi per abbinarsi a quel colore così puro. L'azzurro; un pezzo di cielo che si era posizionato nei suoi occhi. 

Harry non seppe mai del pianto di Louis. Mai. 
  


 
***



I giorni erano passati miseramente dall'ultima volta che fece una lunga passeggiata per l'innevata strada Londinese. 

I suoi pensieri erano sempre rimasti su quella via. Non voltando pagina, non leggendo un altro capitolo. E non trovando un nuovo libro su cui contare. 

Voleva rileggere la sua vita fino alla fine, cercando il minimo errore che aveva potuto fare per meritarsi ciò che aveva subito. Ma non trovandolo. In ogni occasione. 

Mai. 

E ora si ritrovavo tra quelle piccole mura di color del verde pistacchio troppo moderno per un antiquato come lui. Il piccolo tavolino in vetro al centro della stanza posava sopra un grande porqué in legno chiaro. 

Una grande libreria appoggiava il muro ricoprendolo quasi per metà. Mentre nel muro di sinistra c'erano dei quadri di paesaggi di campagna e marini. 

La grande scrivania in mogano era in fondo alla sala, mentre la poltrona in pelle era girata di spalle. Presuppose ci fosse il suo capo che lo aveva gentilmente convocato qualche minuto prima dalla sua bassa assistente, Kimberly. 

"Harry, mio piccolo ma grande Harry, grazie per esserti scomodato ed essere venuto qui, in mia presenza!" 

La roca voce dell'uomo riempi la stanza buia, e una volta chiusa la porta, sedendosi sulla piccola sedia che era proprio davanti alla scrivania, lui si girò. 

La barba bianca gli ricopriva l'intera mascella, e gli occhi così azzurri gelidi che in confronto ai suoi del color dello smeraldo, sembrava ghiacciarli. 

Non rispose, non era di tante parole. Se ne fotteva il cazzo di rispondere, voleva solo sapere cosa voleva dirgli questo vecchio, così da ritornarsene nella sua dimora a guardarsi la televisione e bere una birra. 

La sua espressione cambio in un istanze, ora gli occhi erano più scuri, più cupi. Le mani appoggiate sul banco in un intreccio. La testa alta, e fiera di se stesso; di cosa era diventato. Gli faceva quasi paura. 

"Abbiamo un colpo grosso. Dovrai occupartene tu!" 

Harry, confuso, alzò un sopracciglio. Mentre il vecchio faceva un sorriso. Uno di quelli che somigliava tanto ad un ghigno. 

"Ha detto che ti darà un bel grosso malloppo." 

Il denaro non gli mancava affatto, e non si invidiava di nessuno con la sua villa a quattro piani. Troppo grande per vivere da solo. Troppo piccola, per quei troppi pensieri rinchiusi in quelle stanze.

Lui, annuì soltanto.

"Qui ci sono i moduli della persona che dovrai uccidere, Harry. Buona fortuna!" 

Annui nuovamente, distratto e confuso. Dei fogli sparsi erano sopra la scrivania appena depositati dal mio capo. 

E una volta stretta la mano al vecchio, uscì da quella stanza appena possibile che sembrava essere senza ossigeno,  e con i fogli in mano si diresse finalmente a casa sua. 

Di certo non voleva uccidere persone a pagamento, non era nei suoi piani da bambino. E seguire il sogno di suo padre era troppo da sopportare. Seguire le sue ombre non gli era mai piaciuto. Diventare un giornalaio pagato a malapena, non era per lui. 

E non lo aveva fatto solo per non ricordarsi di lui tutti i santissimi giorni. Ricordarsi della delusione di sua madre e sua sorella quando si oppose di andare con loro... e anche con i suoi undici anni lo avevano lasciato, era peggio. 

Un macigno sul cuore, a non farlo respirare. Non poter aggiustare gli ultimi frammenti di cuore che non erano stati ricomposti; proprio quei ricordi più dolorosi. 

Abbandonato ad una vita difficile e macabra. 

Lo avevano spinti loro a fare questo. 

E una volta rientrato in quella casa che gli trasmetteva tanta di quella tristezza, si buttò letteralmente sul divano. 

Sospirò a lungo, e chiuse gli occhi cercando di scacciare brutti presentimenti che gli avevano riempito lo stomaco, chiudendolo. 

Non mangiava da due interi e lunghissimi giorni. E sembravano non finire mai. Sempre pieni di pioggia e solitudine. E si era chiesto se rappresentassero i suoi umori. Poi ci aveva ripensato, andando alla conclusione che erano solo pensieri da bambini, e che questo succedeva solo nelle favole. 

E quella, purtroppo, era la vita reale. 

Vedeva il mondo solo pieno di solitudine e tristezza, e quando vedeva una coppia innamorata passeggiare per il parco, tenersi per mani e rubarsi qualche bacio, rigirava la testa, e andava in qualche bar... A bere. 

Perché Harry, risolveva così i propri problemi, bevendo. E ora capiva suo padre e io suoi problemi di alcolismo. Ti rilassava e non ti faceva pensare per quella che sembrava qualche minuto. E lui, era contento così. 

Buttò la testa in dietro, poggiandola sul divano come se gli pesasse, riempita da troppi pensieri.  E buttò le braccia ai suoi fianchi, rilassando i muscoli. 

Non voleva quella vita. 

E dopo passati minuti di silenzio insopportabile, e grandi sospiri lunghi e rilassanti si mise seduto massaggiandosi con una mano la fronte. E con gli occhi chiusi e le mani sul viso a ricoprirlo sospirò di nuovo. 

Rassegnato. 

E si ricordò dei fogli solo dopo aver alzato la testa e aver aperto un occhio verso il tavolino basso di legno scuro. 

Alzò gli occhi verde smeraldo al cielo stravolto da questa situazione. Aprì la busta da sopra, e dopo aver infilato una mano dentro e tirato fuori dei fogli, lesse. Lesse ciò che fu la sua fine. Ciò che lesse è stato un'altro macigno a riempirgli lo stomaco. Le labbra si erano dischiuse per lo stupore. E gli occhi...

Harry non aveva mai abbassato le difese. Non era mai crollato, non aveva mai pianto, non si era mai lamentato ad alta voce. Era sempre rimasto lì, impassibile, al suo posto fisso senza dire niente. Senza esprimere nulla, senza ispirare niente di niente. Ma quella volta - per la prima volta - crollò la muraglia che aveva attorno. Quel muro di cemento armato crollò pezzo dopo pezzo, prima lentamente e poi sempre più velocemente. 

E pianse.

Per la prima volta in dodici anni, e dopo la morte di suo padre, Harry Styles si accasciò e pianse.
Silenziosamente e poco, ma erano pur sempre lacrime. 


Louis Tomlinson ( Louis Troy Austin ).
Nato a Doncaster. Data di nascita il 24 / 12 / 1991.
Località a Doncaster.
Hall Cross Strett, N* 25 B.
Alto 1.75
Capelli mori. Occhi azzurri. 

Uccidere entro i dieci giorni. 
£ 2.300.000 


 
***


Ha paura. 
Questa volta ha paura. 

Il problema di questa sensazione lo conosce, e anche fin troppo bene. La sensazione all'altezza dello stomaco, così forte da non farti respirare. 

La mente è troppo affollata di pensieri per pensare chiaramente, a ciò che sta facendo. 

Il vento invernale gli frizza sul viso, mentre cammina tra le piccole e tranquille case di Doncaster. 

Il gelo gli trapassa le ossa anche attraverso al suo giubbotto, mentre a testa bassa guarda le sue scarpe trovandole interessanti, per qualche minuto. 

La Calibro 38 è poggiata all'interno del giubbotto di pelle marrone che fascia le sue grandi spalle, mentre alcuni proiettili sono stati infilati nella tasca inferiore dei Jeans neri. 

Il motivo di questa scelta se lo era dato prima di partire. Si era ripromesso che se una volta avesse ucciso Louis... Anche lui avrebbe fatto quella fine. 

Ma questa era solo un'ipotesi.

I fiocchi di neve cadevano spensierati verso il suolo, posandocisi sopra delicatamente creando una enorme coperta bianca. Alberi spogli ricoperti solo dalla sostanza gelata, e le strade deserte era il paesaggio della bellissima cittadina, mentre cammina verso quella casa. 

E la paura lo invadeva. Non per il motivo di uccidere un'altra persona. Ma di rivederlo. E uccidere colui che gli ha fatto battere il cuore, per poi ridurlo in cenere. 

E dopo svoltato una decine di case per stradine buie - anche se il sole stava appena tramontando creando un'intensità di colore così bello e delicato da farlo sorridere; e aver attraversato un paio di parchi, facendosi guidare dai suoi piedi; sapeva a memoria quella strada. 

Se la ricordava ancora. 

E dopo attraversato una lunga stradina piena di case, e aver salito tre scalini; sembravano esser passati anni. Suono il campanello con il cuore in gola; se lo sentiva battere da tutto il corpo. E sperava che non lo potesse sentire al di fuori di lui. 

Diede colpa al freddo per una piccola lacrima che uscì dal suo occhio destro. 
Solo il freddo. 

E quando la porta di casa si apri, il suo cuore fece un balzo. 

Troppe emozioni in una volta sola per uno che non le aveva avute per ben dodici anni. 
Non doveva venire qui. 
Forse poteva fare la fine di suo padre. Doveva solamente uccidermi, e farla finita. Non poteva fare questo a lui. 

"Harry..." Lo disse più piano di un sussurro che se non ci fosse stato tutto quel silenzio, non lo avrebbe neanche sentito. 

Il suo nome detto da quelle labbra così tanto dolci, gli fece chiudere gli occhi per non piangere. Per non ricominciare a fare il bambino. 

Le sottili labbra erano schiuse per lo stupore, e gli occhi che tanto amava erano più azzurri del solito. 

E li, ci vide qualche sfumatura di verde, e subito pensò che quando da piccoli si guardavamo, sempre, intensamente negli occhi lui ci lasciò un po' di lui li dentro... Lasciandoci qualche sfumatura sua. Riempiendo i suoi con con quelli di Harry. L'azzurro con delle striature di verde. E a lui piaceva.

Scosse la testa rassegnato a quel dolore che aveva riempito il suo petto. 

E il silenzio del giovane Louis, ne fu la prova. Fu la conferma che non lo voleva, non lo accettava. 

"Scusa, me ne vado." 

E finalmente parlò. La sua voce era stata più roca del solito a causa di non riversare una parola da ieri l'altro. 

Non amava le parole, bisognava parlare con gli occhi. Ci riusciva meglio. 

E li, lasciò che i suoi piedi camminarono più velocemente del solito, per attraversare quel viale contornato da fiori di tutti i colori. 

Sapeva che adorava il giardinaggio, lui sapeva tutto di Louis e lui tutto di Harry. Si ricordò di quando lo trovò in giardino con il viso pieno di terra e dei guanti il stoffa. 

Si ricordò che Louis gli disse che amava le rose rosse. Glielo aveva detto la stessa sera, in camera dell'altro. Gli disse che il colore rosso, era il colore dell'amore. Il colore del sangue di chi ami. E non te lo scordi. Non scordi quella chiazza di rosso. Quelle, erano state le sue parole. E di certo il giorno dopo, Louis non si aspettò che un ragazzo riccio alle due di notte era venuto sotto casa sua, dandogli una rosa rossa tra le mani. Non se lo aspettava. Ma quelli erano tempi passati. 

Tempi persi. 

Harry sorrise a quel ricordo, ormai perso. 

E non si voltò quando senti una mano stringergli il gomito. Sospirò, invece. 

E si accontentò di quella presa che sembrava bruciargli la pelle, invece di un piccolo bacio. 

Perché Harry si accontentava. Non voleva mai qualcosa in cambio e non si lamentava mai. 
Per questo si era lasciato sfuggire Louis. Per colpa sua.

E lo sapeva. 

Si girò solo dopo quando non senti più la presa bollente di Louis sulla sue pelle, e si convinse all'idea che era di nuovo scappato. Scappato da lui. Ancora.

Ma quando si voltò, lo vide. Era li, in lacrime davanti a lui. E non sa per quale motivo, ma pianse con lui. Senza parlare. 

Loro si capivano così. Con sguardi piedi di parole non dette e desiderate. Anche perché, loro, non si erano parlati da molto tempo. E non c'erano altre parole. Forse anche perchè c'erano troppe cose da dire. E non c'era tempo. 

Non c'è mai tempo. 

"Sono un coglione. E mi dispiace. Quando mi sento triste penso a noi, Harry. A quando eravamo bambini, senza pensieri. Penso a quando tu mi donasti quella rosa. Penso che ti eri alzato alle due di notte per andarmela a prendere. Penso a quanto sono stato fortunato a incontrarti. Penso che senza di te la mia vita non avrebbe più senso. I tuoi occhi sono così belli, così profondi che potrei perdermi a guardarli per ore e ore. Sai? Quando parlavi con me non riuscivo proprio ad ascoltarti. Le tue labbra erano troppo invitanti, volevo saltarti addosso e baciarti di continuo.
Mi chiedevo solo quando potevo riuscire a dirti tutto questo... e se tu non provassi lo stesso? Ma quando mi dissi che eri innamorato di me, Harry, avevo paura. Ho fatto l'errore più brutto della mia vita. E non mi aspetto che ti scusi con me subito. Ma ti prego cerca perdonarmi."

Ma non sapeva che Harry lo aveva già perdonato. Da quando lo aveva fermato per un braccio, lo aveva perdonato per tutti i suoi guai. Perché quel tocco, anche se non lo voleva ammettere, lo aveva fatto andare in Paradiso. 

E con quel tocco, aveva fatto scattare qualcosa nel suo cuore. E quel ferro che aveva ricoperto il suo cuore, si era aperto. La sua gabbia. 

E Louis era la sua chiave. 

Lo aveva scoperto in quel momento. E quando sentì dirsi quelle parole, non riuscì a non baciare quelle labbra. A non farle scontrare. 

Il bisogno di entrambi era quello. Avevano aspettato tutta la vita per fare ciò che stavano facendo adesso, e nessuno poteva fermarli adesso. 

Il salato delle lacrime di ognuno si era mescolato al sapore delle loro labbra. E senza chiede alcun permesso, le lingue di entrambi adesso si incontravano. Crearono una serie di sapori. Mescolandosi. 

E dentro di loro, miliardi e miliardi di farfalle.


 
***


Quello che, invece, fece piangere la signora Tomlinson, appena tornata a casa con le sue tre figlie, era stato vederli li. 

Era uno stridulo, uno di quello che fa eco e suona in ogni angolo della casa, in ogni corridoio, in ogni stanza. Era l'urlo della madre di Louis  che era appena tornata a casa dopo aver preso le tre figlie da scuola e aveva trovato l'impensabile. 

Suo figlio giaceva in salotto, proprio accanto ad un altro ragazzo riccio, privo di vita proprio come il suo amante, con una pistola al loro fianco e del sangue ad uscirgli dal petto... attraverso il cuore. 

La loro fine aveva potuto dare inizio ad una altra vita. E li, morti abbracciati, lo aveva confermato.

 
  
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