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Autore: Sar_    18/01/2014    5 recensioni
Emma e Stiles sono finalmente una coppia. Anche se la ragazza non riesce mai a portare a termine la trasformazione, ha acquisito le qualità soprannaturali dei membri del branco. La città è scesa in una calma inquietante, dopo la fuga di Gerard, e tutto va relativamente bene. Ma è soltanto la quiete prima della tempesta: chi attendeva nell'oscurità ha ottenuto ciò che voleva, usando gli abitanti di Beacon Hills come pedine, ed è pronto a scatenare finalmente la guerra sanguinosa che da tempo stava cercando di far scoppiare. Tra passione, violenti scontri e amicizie tradite, cosa ne sarà del lato umano e fragile della ragazza che, come un funambolo, si tiene a malapena in equilibrio sopra un baratro di oscurità e crollo sia fisico che mentale?
«Non posso combatterlo, non sono abbastanza forte!»
«Sei molto più forte di quanto tu creda, Emma.»
----------------
«Scaverò in profondità, tra le tue peggiori paure. Troverò ciò che più ti terrorizza, e te lo regalerò. Come si chiama, quel ragazzo...»

Seguito di "Fly."
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Emma's Chronicles'
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Chapter thirteen: Make love.

 

 

Everybody told me love was blind
Then I saw your face and you blew my mind
Finally, you and me are the lucky ones this time

 

Tutti mi hanno detto che l'amore è cieco,

Poi ho visto il tuo viso e mi hai fatta impazzire.

Finalmente tu ed io siamo i fortunati, questa volta.

 

Lana del rey – Lucky Ones

 

 

 

 

 

 

 

La bistecca succosa mi fissava dal piatto con sguardo languido, invitandomi a mangiarla. Avevo una fame dannata, il mio stomaco era vuoto completamente da ore ormai e non facevo un pasto decente da giorni. Sapevo anche senza provarci che, se avessi provato a spiegare le ali, non ci sarei riuscita.

Unii le mani in grembo ed aspettai che Stiles si sedesse, tornando dai fornelli. Sapevo che da quando la madre era morta era lui ad occuparsi della maggioranza delle faccende di casa, dalla cucina al bucato. Non immaginavo però che la carne gli riuscisse così fantasticamente bene. Il mio stomaco gorgogliò e lottai per non cominciare a strappare la bistecca con i denti e poi andare a caccia di topi vivi, come il mio rapace interiore mi urlava di fare.

«Come ti sembra?» chiese, e anche se era di spalle e non potevo vedere la sua espressione sentii chiaramente una nota speranzosa nel suo tono di voce.

Indossava un paio di jeans ed una camicia, lasciata fuori dagli stessi, ma non era delle sue solite camicie plaid: era una camicia vera. E aveva pure la cravatta. Una mescolanza perfetta tra elegante e casual, un tocco che avevo apprezzato parecchio. Si era messo in tiro per me, con tanto di capelli spazzolati alla perfezione e acqua di colonia.

«Se non ti sbrighi la divoro subito.» risposi, inebriata dalla mescolanza del profumo del cibo mescolato al suo. Era agitato, lo capivo dal battito del cuore accelerato e dal suo odore lievemente cambiato.

Si sedette con il suo piatto davanti a sé, e finalmente potei cominciare a mangiare.

«Dimmi tutto. Qualsiasi cosa tu non volevi dirmi perché avevi paura della mia reazione, o quello che non ti ho lasciato spiegare, o quello che hai fatto in questi giorni. Dimmi tutto e ti giuro che non ti giudicherò.» il tono era più serio di una pietra tombale.

Mandai giù un grosso boccone e bevvi un sorso d'acqua «Allora, da dove cominciare.» Ho ucciso un uomo ma non ne sento il rimorso. Ho litigato con tutti, se non avvertiamo al più presto i druidi moriremo e invece siamo qua a mangiare e chiacchierare... ah, ti ho parlato del fatto che voglio trascinarti per le orecchie via da questa città e lontano da me?

Tossicchiai fingendo di avere qualcosa di traverso, ma in realtà erano le parole a minacciare di soffocarmi.

Alzai lo sguardo su quegli occhi color cioccolato, e non ce la feci a confessargli di aver preso una vita innocente. Così decisi di lasciarla per ultima, quella notizia, e di parlargli prima di tutto del tradimento di Irima. Gli confessai i miei pensieri e le mie preoccupazioni, gli parlai di tutto e di più.

Quando ebbi finito, la bistecca lui l'aveva appena toccata.

«Merda.» mormorò, passandosi una mano tra i capelli. Mi sentivo in colpa per avergli rovinato la serata, ma me l'aveva chiesto lui...

«Eh già.» dissi soltanto, tornando al mio cibo. Restammo in silenzio per un po', con in sottofondo soltanto il suono delle posate contro i piatti. A stomaco pieno mi sentivo già meglio, ma mi serviva altro cibo. Mi sentivo ancora troppo debole per i miei gusti.

Come se mi avesse letto nel pensiero, portò in tavola una torta al cioccolato fuso.

«Oh Dei!» esclamai appena la vidi, e ridemmo entrambi della mia reazione.

«Mi ricordavo... mi avevi detto che era la tua preferita.»

Con tutti i disastri che stavano accadendo, lui si era ricordato la mia torta preferita.

Ti amo.

Quelle parole erano lì, in fondo alla mia gola, pronte ad uscire. Perché non uscivano?

Mi servii una fetta che era il doppio della sua, usando il tovagliolo ad ogni morso per paura di sporcarmi tutta la faccia di cioccolato, come facevo sempre.

«Mi mancavi da morire.» mormorai, mentre lo guardavo grattarsi via dalla camicia una macchia di cioccolato, a labbra strette come sempre quando era frustrato.

Lui alzò lo sguardo, sorpreso quanto me di sentire delle parole tanto intime. Un conto era scriverle, ma dirle... non ero mai stata in grado di farlo, a parte per qualche eccezione.

Provai un fortissimo istinto di saltare sul tavolo e baciarlo per ore ed ore, ma conficcai le unghie nella mano e restai ferma. Dovevamo ancora affrontare un argomento, delicatissimo, e poi si sarebbe visto.

«Allora Neir...» cominciò, e la tensione era palpabile. Si schiarì la voce e si alzò di scatto, prendendo piatti e tovaglioli e portandoli sul bancone della cucina, per poi farmi segno di seguirlo in salotto. Ci sedemmo uno accanto all'altra sul divano, e solo allora parlò di nuovo. «Mi assicuri che non c'è niente.»

«Te lo giuro.» risposi, all'istante. Io ero sicura di non vederlo in quel modo. Certo, era un bravo ragazzo almeno relativamente, ed era molto bello... il punto era che non era Stiles.

«E lui non...» lo bloccai, prendendogli le mani «Stiles. Anche se fosse un dio, anche se mi facesse tutte le avances possibili ed immaginabili... io sceglierei sempre te. E se non l'hai ancora capito, allora ha ragione a dire che sei un idiota.» lo dissi in tono dolce, ma vidi un lampo di rabbia nei suoi occhi quando in pratica gli confermai che Neir stesso gli aveva dato dell'idiota. Ma poi quello sparì, e finalmente fui libera di baciarlo. M'inclinai verso di lui, e sfiorai le sue labbra con le mie, ma poi l'urgente bisogno di contatto spinse entrambi ad approfondire il bacio. Non ero esattamente leggera come una piuma, ma mi prese per i fianchi e mi sistemò velocemente a sedere sulle sue gambe. Dovetti utilizzare tutto l'autocontrollo che mi era rimasto per non impazzire, visto il modo in cui eravamo intrecciati e tutti quei baci che mi annebbiavano la mente, uno dopo l'altro. Combaciavamo come due pezzi di un puzzle. Tutti quei buoni propositi sul lasciarlo andare, la convinzione che lontano da me sarebbe stato meglio... avevo accantonato tutto. Avevo troppo bisogno di lui in quel momento, fisico e psicologico.

«Emma.» mi allontanò di poco, tanto da lasciarlo parlare. Tenni gli occhi fissi nei suoi, i battiti cardiaci che sgarravano il ritmo continuamente, pronta a qualunque cosa. «In questi giorni ci ho pensato su. Non m'importa che tu sia wolverine, come non mi è importato per Scott.» sorrisi, giocherellando con un ciuffo dei suoi capelli, e sembrò pensarci su per poi riprendere in tono più urgente «Cioè mi è importato, e a volte ero anche invidioso, e avete entrambi tentato di uccidermi, ma...» sospirò e mi avvolse con le braccia, facendo sciogliere dentro di me anche l'ultimo briciolo di tensione che mi rimaneva «per quanto faccia male lasciarsi, stare da soli è molto peggio. Io-»

Lo bloccai velocemente, appoggiando di nuovo le labbra sulle sue. Non mi serviva sentire altro, sapevo tutto. Lui era sempre stato migliore di me.

«Ti amo.» dissi, così vicina che mi sembrò di riuscire a vedere l'universo nei suoi occhi.

Il tempo sembrò fermarsi. Quelle parole erano strane, dolci ed amare allo stesso tempo, ma sembravano fatte apposta per essere pronunciate.

Eravamo sempre più intrecciati, secondo dopo secondo sembravo più vicina a farmi esplodere il cuore dal petto. Era il paradiso, né più né meno. Anzi, di più se si poteva fare.

Il respiro di entrambi era un po' affannato mentre cercavo il contatto con la sua pelle bollente, tenendo una mano sul suo collo e una sul suo viso. Mi teneva così stretta che credevo ci saremmo fusi, e quasi ci speravo.

«Non respiro più» mormorò a due millimetri dalle mie labbra, e ridemmo tutti e due. Armeggiò con la cravatta con le dita che gli tremavano, e dovetti aiutarlo io a sfilarla. Quel gesto portò entrambi allo stesso pensiero, e vidi le sue guance avvampare.

«Io...» lo zitti di nuovo, con un altro bacio. «Lo so.»

Poi lo sentii. Il pizzico alle scapole, il formicolio dei polpastrelli. Mi fermai e lo allontanai tornando a sedere sul divano per calmarmi più facilmente, cercando di fare dei respiri profondi.

«Oh! Ti ho fatto male?» chiese, e quella domanda mi fece sorridere. Lui, l'umano con la pelle pallida e le ossa fragili, quello che si riempiva di lividi a lacrosse e le cui labbra sanguinavano quando arrivava il gelo, chiedeva a me, la mutaforma semi-indistruttibile, se mi avesse fatto male.

Scossi la testa e risi, unendo le mani per nascondere gli artigli semi-formati. La cosa non gli sfuggì.

«Ah.» mise le mani sopra le mie e ne accarezzò il dorso con i pollici, piano.

«Scott ha detto che succede. Adesso... adesso lo sistemo.» borbottai, a occhi chiusi.

Lui continuò a coccolarmi con quel gesto in silenzio, per un paio di minuti.

«Scott ti ha detto altro? Insomma, se mentre-»

«Stiles, così non mi aiuti.» lo zittii, e lui si schiarì la voce. Non potevo vederlo, ma sapevo che era teso e stava trattenendo una risata nervosa.

I secondi passavano, e il processo inverso avveniva lentamente. Dopo un'altra manciata di minuti avevo ripreso il controllo.

Aprii gli occhi e trovai i suoi, ansiosi.

«Fatto?» chiese, liberando le mie mani dalle sue cercando conferma nelle mie unghie tornate normali.

«Fatto.»

Mi prese per i fianchi e con un balzo tornai a sedermi in braccio a lui. Stetti più attenta quella volta, e né artigli né zanne si fecero vedere.

«Ti va di andare di so-» «Subito.»

Mi prese per mano e salimmo le scale più veloci che potemmo, inciampando e aggrappandoci l'uno all'altra con sorrisi larghi da un orecchio all'altro.

Spegnemmo le luci del corridoio ma nella fretta mancammo l'interruttore di camera sua, finendo sul letto nel buio quasi totale. Ci volle un poco per abituare gli occhi all'ombra, e i raggi lunari che filtravano dalla finestra aiutarono a intercettare le sue pupille ora color cioccolato. Un velo d'imbarazzo calò sulla situazione, quando ci rendemmo conto di ciò che stava realmente accadendo. L'unico rumore era quello dei nostri respiri, i corpi immobili e tesi.

«Sei sicura che-» «Sì.» «Ma vuoi lasciarmi parlare?»

La tensione fu spezzata da una risata.

Sì, era lui.

Ed era mio.

Si avvicinò lentamente, lasciando passare i secondi con tutta tranquillità. Avevamo tutto il tempo del mondo. Ogni fibra del mio corpo si tendeva contro di lui, ma mi costrinsi a rimanere ferma.

Mi baciò sulle labbra, dolcemente, poi si spostò sullo zigomo, sfiorò il profilo della mascella, il lobo dell'orecchio.

«Come vado?» sussurrò, e l'unica risposta che riuscii a dare fu una risatina agitata.

Scese ancora con le labbra lungo il collo, accarezzò le clavicole e arrivò al colletto della felpa. Socchiusi gli occhi e buttai la testa all'indietro, inebriata da tutte quelle sensazioni.

«Posso?» mormorò ancora, prendendo il lembo inferiore della felpa. Annuii, e quella volò via. Scese ancora con le labbra, sfiorò il ferretto del reggiseno ma passò oltre. Ombelico, poi il bordo dei leggings. Ormai non respiravo più.

Si fermò, alzò lo sguardo e io abbassai il mio. Questa volta nessuno parlò. Bastarono gli occhi.

Per il resto della notte, non ci fu una parola che non fosse sussurrata o soffocata, mentre tutto il resto esplodeva. Curiosi l'uno del corpo dell'altra, esplorammo, ridemmo, ci dicemmo talmente tanti “ti amo” che persi il conto. Sembrava così perfetto, così... giusto. Ci appartenevamo come mai, ci amavamo come mai prima.

Le mie mani fredde contro la sua pelle bollente sembravano scatenare reale energia elettrica, pura e incontrollabile. Fu la nostra notte, e tutti i cocci tornarono a posto.

Poi il pizzicore tornò, mancando di poco il momento peggiore possibile per comparire.

Era dolore fisico all'altezza delle scapole che mi fece aprire gli occhi e allontanare dalle labbra di Stiles, restando seduta in braccio a lui.

«Wow.» sussurrò, prendendomi le mani e intrecciando le dita con le mie. Si lasciò cadere la schiena sul letto, senza però smettere di fissarmi. Solo in quel momento si accorse della mia bocca stretta e la fronte aggrottata.

«Che succede? Ho fatto qualche...» balzò a sedere di nuovo e mi accarezzò la guancia con il pollice.

«No, è...» mi fermai e gli appoggiai le mani sulle spalle, cercando di fermare le ali.

Non ora, al chiuso poi, dannazione...

«Posso fare qualcosa?» chiese, con quel suo tono preoccupato. Mi scostai da lui velocemente e arrancai fino al centro della stanza. Non ce l'avrei fatta a raggiungere la finestra, quindi era meglio limitare i danni. Il corridoio era troppo stretto, e il salotto lontano. Colpii qualcosa con il piede e caddi, imprecando per il dolore all'alluce. Che ore erano? Le tre?

Lo sentii litigare con le coperte e tentare di avvicinarsi.

«Aspetta! Stai... stai lì.» il letto cigolò rumorosamente, e seppi che era tornato a sedersi.

Uscirono lentamente. Cercai di distenderle negli angoli della stanza, ma erano troppo ampie e dovetti piegarle. Occupavano quasi tutta la camera, e le sentivo spiegarsi con quei meravigliosi fruscii... poi qualcosa cadde. Dal suono ne dedussi che era un portamatite. A quell'oggetto ne seguirono altri, ma non ci detti troppo peso: ero troppo concentrata sulle ali. Inarcai la schiena e con un sospiro spiegai anche gli ultimi centimetri.

«Sono quello che penso?» la sua voce era agitata, ansiosa, come quella di un bambino in viaggio per Disneyland.

«A-ha. Accendi la luce.» risposi, con il sorriso sulle labbra. Avvicinai le ginocchia al petto e appoggiai il mento a un ginocchio, aspettando che lui fosse in grado di vederle.

La luce mi colpì come uno schiaffo, ma i miei occhi si abituarono subito. Si era infilato i pantaloni del pigiama, e le sue labbra erano ancora rosse e gonfie di baci. Lo stesso le guance, rosate. Vidi le pupille luccicanti di Stiles dilatarsi e la sua bocca spalancarsi: gli cadde letteralmente la mascella.

Alzai un sopracciglio, ansiosa. Volevo sapere. Le trovava belle? Troppo grandi, troppo piccole? Come se le immaginava, tutte bianche come quelle di angelo o nere come quelle di un demone?

Spalancò le braccia «Sono vere!» saltò in aria e slanciò il pugno verso l'alto «La mia ragazza ha le ali!» esclamò, senza staccarne gli occhi di dosso.

Risi e misi un dito davanti alle labbra «Shht! Non vogliamo farlo sapere ai vicini!»

Si fermò e giunse le mani «Ah, hai ragione.» Si leccò le labbra e accennò con la testa alle due “nuove arrivate”.

«Posso toccarle?» sussurrò quella richiesta con la brama negli occhi.

«Certo. Ti mancano solo quelle da toccare..» risposi, e la reazione che ottenni fu quella che speravo: sembrò strozzarsi con la sua stessa saliva, sorpreso dalla frecciatina, poi scoppiò a ridere.

Si sedette davanti a me e allungò la mano verso l'ala sinistra. L'accarezzò dolcemente, come se fosse di cristallo.

«Non sono un uccellino, non si rompono.» mormorai, e il suo sorriso si ampliò ancora. Passò la mano su tutta la superficie che riuscì a raggiungere, guardandole con la meraviglia negli occhi.

«Sono bellissime, e... soffici. Sembrano fragilissime, eppure mi hanno distrutto la stanza. Hey, quanto riesci a sollevare in volo? E compaiono dal nulla o sono estese in tutto il tuo corpo? Puoi stare in aria quanto vuoi o c'è un limite di tempo? Sono più scure alla fine perché ti piacciono così o...» incrociò il mio sguardo divertito e si zittì. «Okay, te lo... te lo chiederò dopo.»

Gli presi il viso tra le mani e gli stampai un altro bacio sulle labbra. «Dopo.»

Le ritirai lentamente, in modo da mostrargliele tutte. Aveva i muscoli paralizzati, tanto era attento. L'ultima parte faceva sempre un po' male e solitamente acceleravo, ma stavolta era speciale e avrei sopportato.

«Emma?» «Sì?» «Voglio rimandare ancora un po' le domande.» mi prese per mano, spense la luce scandagliando con la mano sul muro e mi riaccompagnò al letto. «A molto dopo.» 


 




 

All you need is love, love, love *w*

 

Scusate il ritardo, ma il ritorno a scuola si sta rivelando più tosto del previsto >.<

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, l'ho riscritto un paio di vlte perché non mi piaceva mai... poi mi sono arresa e ho partorito l'ultima stesura.

Non sono un'amante delle scene pucci pucci / bow chica bow wow (????) ma per una volta ci voleva. Insomma, ve la devo no? Vi avevo promesso più Stemma, ed eccolo qua!

Grazie mille per le recensioni, il prossimo arriverà tra due settimane circa, alle 4 recensioni come il capitolo scorso.

Spero che stiate bene e che non abbiate insufficienze in tante materie / lavoro in sospeso / problemi di qualsiasi tipo. Se vi serve qualsiasi cosa, sono qui :) Ah, ho anche tumblr, quindi mi trovate anche là. Basta mandarmi un messaggio e vi darò il mio blog -non ricordo se ho aggiornato la scheda umh.-

Spero abbiate passato delle buone vacanze, comunque! 

 ... E se ve lo state chiedendo sì, sono in vena di romanticherie. Sì, c'entra un ragazzo. Sì, non ho speranze. Per cambiare, ugh. Parlatemi della vostra situazione amorosa, magari mi sentirò meglio cwc

 Un abbraccio,

 Sara <3

  
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