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Autore: Memi J    18/01/2014    1 recensioni
Nel penitenziario di Magnolia sono detenuti coloro che vengono ritenuti, per motivi diversi, gli individui più pericolosi della regione di Fiore. Gray Fullbuster ha quasi finito di scontare la sua pena quando Natsu Dragneel, rinchiuso ingiustamente, diventa il suo compagno di cella. Lucy Heartfilia è una giovane violinista dal futuro spianato, figlia di uno degli uomini più potenti del penitenziario ed è lì considerata una sorta di dea in terra.
In che modo si intrecceranno le vite dei protagonisti? Riusciranno a riguadagnarsi la bramata libertà?
Dal prologo: "Raven Tail era un teatro in cui nessuno dettava regole perché, tanto, nessuno le rispettava. I secondini là fuori facevano un gran casino e ci prendevano a manganellate per intimidirci e farci stare buoni ma, si sapeva, se la facevano sotto. Tuttavia non li biasimavo: eravamo animali feroci da tenere chiusi in gabbia perché pericolosi, e fino a prova contraria i galeotti non fanno di certo parte di quella breve schiera di migliori amici che uno tenta di tenersi appresso."
Rating arancione per l'uso di un linguaggio volgare - soprattutto all'inizio.
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray Fullbuster, Lucy Heartphilia, Natsu, Natsu/Lucy, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Lockheart Prison, Part Two.
Natsu Dragneel


Richiusi la porta dietro di me, i ciuffi di capelli neri che facevano ombra sui miei occhi bassi a fissare il pavimento. Ero già tornato “nell'altro mondo”, quello governato dai pilastri della depravazione. Era incredibile come semplicemente solcando un confine invisibile rappresentato da una porta si potesse passare da un universo ad un altro. Infatti, prima che realizzassi – un po' come quando mi spogliavo – mi ritrovai i polsi stretti in una morsa d'acciaio. Ma quando quello stronzo traviato mi strattonò con angheria non riuscii a trattenere la voce.
«Ahi! Fa' piano, razza di gorilla!» gli intimai guardandolo di taglio, mentre il primate dai capelloni lunghi e neri come la pece continuava a trascinarmi verso il settore B, dove stavo consumando la mia prigionia.
«Cagasotto!» protestò lui, arricciando le labbra come si fa con i neonati. Era così disgustoso che nel mio stomaco infuriava la Rivoluzione dei Succhi Gastrici. «Il vecchio ti ha rammollito? Eh? Fa' vedere i lacrimoni!»
«Ch... Che razza di scimmione bastardo! Hai sentito tutto?!»
«Ho un udito finissimo. Non l'ho fatto apposta.»
«Sei proprio uno stronzo ficcanaso.»
«Ehi, ci metto due secondi a rispedire il tuo culo in isolamento!» tuonò puntandomi l'indice a un centimetro dal naso. Riuscì a zittirmi, e mi morsi il labbro fino a fargli perdere colore. Non fu la minaccia a mettermi a tacere, e nemmeno i suoi toni scorbutici. Solo che, diavolo, ancora qualche tempo e sarei stato fuori da quell'inferno merdoso.
Immaginavo che l'aver trascorso tre giorni in isolamento nel braccio della morte, di per sé, avrebbe sollevato un gran polverone tra gli altri detenuti, e io non volevo attirare l'attenzione più di quanto non avessi già fatto. Nella mia testa era già partito il conto alla rovescia e l'idea che si arrestasse per qualche puttanata non mi andava particolarmente a genio. Rivolevo indietro la mia bramata libertà, in quel momento più che mai.
Attraversammo il cortile centrale passando di fronte all'edificio dell'infermeria. Riflettendoci, erano tre giorni che non respiravo “aria buona”: ne approfittai per trarre un profondo respiro, gonfiando al massimo i polmoni ora carichi di nuovo ossigeno. La brezza primaverile mi accarezzò i capelli guidando la loro danza ribelle e sregolata e mi giunse alle narici il profumo dei lontani ciliegi in fiore che guarnivano le sponde dei viali di Magnolia.
Mi parevano secoli dall'ultima volta che avevo assistito ad un tale spettacolo gratuito e privo di alcun sipario, i petali dalle sfumature perlate a volteggiare liberi nel caos come un'orchestra senza la guida di un direttore. Mai un tale disordine mi era parso incantevole e sinonimo di meraviglia.
Non l'avevo mai rivelato a nessuno – non che qualcuno me l'avesse esplicitamente chiesto – ma i ciliegi in fiore erano uno dei motivi che mi stimolavano ad andare a scuola a piedi, a costo di sembrare egoista nei confronti dei miei occhi che reclamavano, la mattina, quell'oretta in più di meritato sonno cullati dall'angelica stretta di Morfeo.
Una strattonata decisa mi fece ritornare con i piedi per terra. Distratto da quel venticello di aprile dovevo aver rallentato il passo, perché ora Gajeel dava più l'impressione che mi stesse trainando – e non solo in quel senso: stava nuovamente trascinandomi in quel baratro nero come una pozza di inchiostro.
Gajeel di Ferro spalancò con vigore il portone del settore B, e il mio sguardo scivolò sui suoi possenti bicipiti che sembrarono gonfiarsi sotto il carico dello sforzo. Ancora fermo sull'ingresso, la mia sagoma illuminata dal sole alle mie spalle come se l'astro celeste avesse voluto vivificare il mio ritorno in scena, ero già assordato dagli strepiti e dai trambusti provenienti dall'interno, un vero e proprio bailamme a cui avrei preferito non unirmi. Un lungo corridoio, largo una decina di metri, mi si parò davanti, e dopo pochi passi mi ritrovai già assediato su tre lati da un esercito immobile di gabbie di animali burrascosi. Il settore B era una struttura rettangolare molto ampia; si componeva di un totale di sei file di celle, disposte su due piani, due per ogni spigolo della figura geometrica. L'effetto prospettico che percepivano i miei occhi dalla mia ubicazione concorreva ad elargire a quel luogo un'impressione ancora più agghiacciante.
«Ehi, è tornato Fullbuster!» annunciò un'ombra sconosciuta con un grido, scaturito all'improvviso da un punto imprecisato alla mia sinistra; riconobbi però, dall'eco che seguì, che l'idiota pettegolo doveva trovarsi in una cella sul ponte del secondo piano. Neanche due secondi più tardi si alzò un vociferare chiassoso e decisamente molesto; un misto di urla, fischi, risatine perverse e ululati indiscreti. Ma perché non potevano farsi i cazzi loro?
Mentre Caronte sceso in terra mi conduceva al mio girone d'inferno, potevo distinguere alcuni esprimere i propri commenti: “Com'è stato l'isolamento, Fullbuster?”, oppure “Non fare lo spaccone, nudista!”, o ancora “Gray è tornato e vi aprirà il culo!”.
Non me ne fregava proprio niente. Le loro parole contavano meno di zero, ma non nascondo che avrei voluto fargliele ingoiare quelle ciance insulse. Sopporta ancora un po', Gray, sopporta, cercavo di ripetermi, come fosse l'algoritmo basilare da reiterare, l'insieme di informazioni fondamentali da mettere in loop per codificare il programma “non-cedere-alle-provocazioni”.
Perché sì, quelle altro non erano che mere provocazioni sputate con l'intento di infiammare gli animi e sobillarli all'ennesima rissa; ma la mia unica risposta sarebbe stata il silenzio. Non mi sarei giocato anche l'ora d'aria di quel pomeriggio, e sopra ogni cosa non avrei più scommesso la mia libertà solo per reagire alle loro minacce e guadagnarmi il rispetto di un gruppetto di imbecilli inebetiti.
Non sapevo se fosse colpa – anzi, oserei dire merito – dell'effetto che le parole di Makarov avevano sortito su di me, ma era giunto il momento di urlare basta. Avrei passato i miei ultimi giorni di baratro nella più totale imperturbabilità e nel completo disinteresse; lontano dai casini insomma, senza troppi mezzi termini. Ancora non immaginavo di essere diventato il giocattolo preferito del Destino e quella stronza della dea bendata non ne voleva proprio sapere di sorridermi.
Nel frattempo eravamo già arrivati davanti alla mia cella. Notai con una punta di deplorazione che il mio letto, quello più in alto di un letto a castello, era ancora sfatto, come lo avevo lasciato tre giorni prima – e di cosa mi sorprendevo? Non era mica un albergo, maledizione!
Gajeel infilò nevrastenico la chiave, facendo scattare la serratura. Avevo già letto una briciola di nervosismo nei suoi movimenti poco prima, ma non ero così curioso di approfondirne le ragioni; finché non mi spinse in gabbia con un calcio e mi richiuse le sbarre davanti alla faccia senza...
«E fa' piano, razza di chiavarda arrugginita!»
...sganciarmi le manette. Me ne accorsi quando tentai di sollevare a mezz'aria un braccio in gesto di protesta contro i suoi rozzi metodi, perché si sollevò anche l'altro e giurai di aver sentito i polsi gridare e implorare pietà.
«E sta' un po' zitto, femminuccia!» ghignò il burbero, girando i tacchi. Doveva avere fretta perché, che diavolo, non ci aveva messo il solito impeto in quell'insulto!
«Ohi, almeno toglimi le manette! Sono in gabbia adesso!» sbraitai avvinghiandomi alle sbarre, gli avambracci costretti a rimanere serrati. Era uno scherzo? Quale animale vive con una catena al collo, già rinchiuso nella sua gabbia?!
«Non ho tempo, te le levo dopo! Se avrò voglia» si lamentò quello, al sicuro dall'altra parte, lanciandomi un'occhiata dall'alto del suo volto nascosto per metà.
«Non inventarti palle, che quelle dovresti già avercele là sotto! Toglimi le manette!» strepitai fino a spolmonarmi, sbracciandomi come un indemoniato.
«Stammi a sentire stronzo spogliarellista, ora che ho riportato il tuo culo in cella ho un altro lavoro da fare, è chiaro?» tuonò, anche più imperioso del solito. Era nervoso solo perché aveva un lavoretto in più? Fanculo, io ero rinchiuso in cella! E ammanettato!
«Cosa dovrebbe fare di tanto importante uno come te?» chiesi, ma non c'era alcuna curiosità nel mio gesto.
«Non sono cazzi tuoi!» inveì, facendo per allontanarsi; dopo un paio di passi, però, arrestò la sua corsa: ancora voltato dalla parte opposta, lo scorsi portare due dita sul mento, come a riflettere per un istante – aspettate, Gajeel rifletteva?
«Anzi, pensandoci...» iniziò, completando l'operazione “sconvolgere le convinzioni di Gray Fullbuster” – d'accordo, per il prossimo livello cosa c'era in programma? Perché diamine, Gajeel pensava! Erano appena crollate tutte le mie convinzioni. «...sono anche cazzi tuoi» concluse ghignando, e questa volta le ragioni del mio stupore erano ben altre. Sentii i suoi passi farsi sempre più lontani, prima di fare ordine nella testa: cosa aveva voluto dire? In che cosa consistevano quelle faccende che doveva sbrigare? E cosa c'entravano con me?
«Dannazione, Gajeel! Le manette!» gli ricordai tra le urla, stavolta letteralmente appeso alle alte sbarre d'acciaio, ma l'unica risposta che ottenni fu un'altra delle sue detestabili sogghignate a denti stretti.
Se quell'arcigno psicopatico avesse avuto la facoltà di leggermi il pensiero credo che non gli avrebbe fatto molto piacere, perché lo maledissi in qualsiasi modo possibile.
Perfetto: non solo ero tornato in cella, ero pure ammanettato.
Con i polsi che ancora scongiuravano libertà, appoggiai la schiena contro il muro gelido della parete laterale, ad una scarsa manciata di passi dietro di me, fino ad abbandonarmi sul pavimento, ginocchia alla gola. Fissavo un punto imprecisato di quello spazio tanto ostile con uno sguardo privo di ogni dinamismo, la mente già altrove. Anche le risate e i gridolini degli altri detenuti, prima così nitidi da pungermi nelle orecchie, cominciavano ad ovattarsi. Magari avessi potuto addormentarmi e ritrovarmi poi, al risveglio, da un'altra parte, lontano da quella giungla selvatica, lontano dai versi di quelle bestie umanoidi e, soprattutto, lontano dal me stesso che ero diventato.
Ormai avevo perso il conto dei momenti in cui, da solo e affogato nel buio, il mio pensiero cominciava a correre a zonzo trovando rifugio nei miei ricordi di libertà; ma sapevo che erano solo fantasie lontane, avevo già smesso di illudermi che, anche una volta uscito di lì, sarei potuto tornare a condurre la vita di prima.
Vidi alla mia destra la luce naturale del sole infiltrarsi tra le sbarre della cella creando insoliti giochi ed effetti chiaroscuri, accompagnata da un cigolio grave e pigro che riconobbi essere quello particolare del grande ingresso principale del settore B. Ed ecco che ricominciava il consueto vociare curioso, ma con mia sorpresa una voce, per altro dal timbro singolare e sconosciuto, sovrastava le altre.
«E lasciami, ferraglia! So camminare da solo!»
Era incredibile come l'eco giungesse sino alle mie orecchie così limpida e incontenibile, specie se si metteva in chiaro che mi trovavo sul ponte del secondo piano. Non nascondo di aver nutrito fin da subito un certo interesse, ma per quanto mi schiacciassi contro le sbarre non riuscii a vedere null'altro se non delle ombre improntate sul pavimento che avanzavano.
«Lasciami ho detto, capellone!»
«Se non chiudi quella fogna ti apro un buco da un'altra parte, novellino!»
L'inconfondibile voce di Gajeel sembrava volesse perforarmi i timpani, malgrado le distanze che doveva percorrere. La persona con cui stava discutendo così animatamente, calcolai, doveva essere un nuovo detenuto: primo per come lo aveva etichettato quella guardia energumena, secondo per il tono incosciente con cui insultava chiunque incrociasse lo sguardo con il suo – ed erano parecchi, considerando tutti quegli occhi curiosi che in quelle circostanze erano puntati su di lui, i miei compresi.
Inchiodai le iridi a terra ripensando alle parole di Gajeel di una decina di minuti prima. Avevo già collegato il suo “lavoretto” a ciò che stava succedendo, ma il perché c'entrassi io era ancora un'incognita che, per quanto indagata, rimaneva a me ermetica. Una certezza almeno l'avevo: adesso che quell'ammasso di ferraglia era tornato lo avrei obbligato a liberarmi dalle manette, a costo di saltargli addosso. Non avrei tollerato di portare anche i segni di quegli arnesi sui polsi, bastavano i lividi a ricordarmi ogni giorno l'inferno che avevo passato e che mi aveva trasformato radicalmente negli ultimi due anni.
All'udire i trilli familiari di chiavi che sbattevano contro chiavi, la mia testa si mosse da sola sollevandosi verso la direzione stimata subconsciamente dal cervello, di fronte a me. Ero ancora immobile, ritto in piedi davanti alle sbarre quando Gajeel di Ferro mi fece cenno con un solerte movimento del viso per indicarmi di indietreggiare perché avrebbe aperto la cella. Fu in quel momento che i dubbi mi travolsero, all'unisono, e per quella che mi parve interminabile manciata di secondi il mio sguardo ricadde sul letto spoglio che giaceva sotto il mio.
No, pensai. Non era possibile. Una goccia ribelle di sudore scivolò gelida dall'alto della mia tempia fino alla fine della guancia, laddove incontrava il mento. Senza accorgermene, i miei occhi si erano spalancati in un istintivo sospetto, e Gajeel sembrò aver decodificato la mia espressione perché lo sentii ghignare.
«Muoviti, fragolino! Non ho tempo da perdere qui» intimò lo stregone dei catenacci, evidentemente non rivolgendosi al sottoscritto poiché il suo viso sgraziato guardava da un'altra parte.
«Fragolino a chi, scimmione?» ringhiò l'altro, che portandosi davanti alla cella si rese visibile anche ai miei occhi, finalmente.
Era un ragazzo piuttosto slanciato dalla pelle leggermente abbronzata, gli occhi grandi e curiosi in quel momento stracolmi di irritazione che, se avessero potuto, si sarebbero infiammati; un fisico scolpito e tonico quasi quanto il mio, verificai in quel tanto che la divisa da carcerato lasciava vedere. Ciò che di lui mi colpì di più fu la sua zazzera ribelle dall'originale – ma quale originale, era semplicemente assurdo! – colore... rosa.
Vidi Gajeel strattonare il poverino per scaraventarlo a forza dentro la cella, la mia cella, e fu più che sufficiente per risvegliarmi, tant'è che scossi leggermente il capo. Uno scomodo presentimento cominciava a troneggiare in maniera spaventosa sui miei poveri neuroni ormai ridotti a bollicine di sodio in una bottiglia d'acqua Lete, e la cosa non mi piaceva per niente.
«Oggi dev'essere il tuo giorno fortunato, Fullbuster.» Fu ripugnante il modo in cui, in quell'istante, le labbra di Gajeel si allargarono in un ghigno malizioso a scoprire quei canini aguzzi, e allora ne ebbi la conferma.
«Questa merda rosa è Natsu Dragneel» lo presentò, fine come solo quel barbaro sapeva essere.
«...il tuo compagno di cella.»
Ignorai completamente gli insulti che cominciarono a lanciarsi immediatamente dopo quei due, l'uno di rimando all'altro, perché l'unica cosa che riuscii a sentire fu il mondo crollarmi addosso.









Author's BIG Corner :D

Rieccomi con il secondo capitolo! Non sarà successo molto, ma finalmente ecco comparire Natsu!
Il prossimo capitolo si intitolerà "Le leggende di Raven Tail": infatti ci addentreremo di più in questo mondo conoscendo nuovi personaggi e approfondendo un po' le relazioni tra loro, ma non solo: scopriremo qualcosa in più sul passato di Gray e sulle ragioni per cui è finito lì (se tutto va come prevedo XD). Anche di Natsu si saprà qualcosa, ma per scoprire la verità sul suo caso bisognerà aspettare un altro po'.
Per il momento è tutto quindi, sperando che il capitolo vi sia piaciuto e ringraziando immensamente chi ha già messo questa storia tra le seguite/preferite/ricordate, mi dileguo!
Al prossimo aggiornamento! <3

   
 
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