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Autore: _Pan_    03/06/2008    2 recensioni
STORIA INTERROTTA
Questa fanfiction verrà un po' lunghetta, più o meno una quarantina (facciamo una cinquantina, eh?) di capitoli. Nella prima parte, parliamo della vita di Celiane prima e durante la sua storia con Apollonius (senza tenere conto dell'anime). Nella seconda parte, invece, torniamo alla Daeva, a distanza di parecchio tempo. Questa fanfiction è, in uno strano modo, legata all'altra, ovvero "La profezia della rinascita", nel senso che senza di essa non potrebbe esistere, e, probabilmente, viceversa.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 2 – Una rivelazione

Celiane decise di lasciar perdere, probabilmente con quella domanda l'aveva offeso e tentò di rimediare, cercando di essere più gentile, per quanto lui lo fosse poco, e per niente collaborativo.
“Fammi vedere” gli disse, prendendo posto vicino a lui. Sanguinava parecchio e non voleva che le svenisse davanti, non aveva mai visto nessuno svenire e non avrebbe saputo come comportarsi.
Intanto, Apollonius si chiese se avesse sentito bene. “Come scusa?” cosa voleva quella fastidiosa donna da lui? Doveva ringraziare solamente il fatto che non era abbastanza in forze per ucciderla, altrimenti non le avrebbe permesso di parlargli in quel modo.
Lei sbuffò. Cominciava ad odiarlo seriamente, senza neanche conoscerlo bene. “Fammi vedere la ferita!” ripeté, spazientita. “Quanto sei ottuso!”
“Oh!” disse lui, infastidito, voltandosi dall'altra parte “Lasciami in pace.” Apollonius avrebbe desiderato qualunque cosa, qualsiasi, pur di poterla far stare zitta per sempre. Con tutta quella parlantina, rischiava di fargli venire il mal di testa. O le dava una bella botta tanto forte da farla svenire, o cercava qualcosa per ammazzarla. Delle due, una.
“Bella riconoscenza!” disse lei, stupita. “E io che sono anche venuta a cercarti!” Celiane si chiese per quale motivo si trovasse ancora lì a perdere il proprio tempo, in fondo quello era così scortese!
“Ma se non sai neanche chi sono!” le rispose lui, pensando che se l'avesse saputo, probabilmente, avrebbe cominciato a correre lontano da lui. Si immaginò la scena e si godette per un attimo la pace che avrebbe potuto avere, ma durò poco. Non le rivelò chi era, poiché in quel momento non era in grado di affrontare un combattimento. Se quell'invasata avesse gridato all'intero villaggio che nel bosco c'era un Angelo delle Tenebre, chissà quanta gente sarebbe accorsa.
“Bella scusa!” ribatté lei, facendo una smorfia e accorgendosi che aveva ragione. Però la incuriosiva tanto, era così diverso da lei. Si chiese se quelle ali fossero vere. “Tu puoi volare?”
Lui non rispose alla domanda e lei si spazientì anche di più, la voglia di tirargli un calcio era sempre più forte. L'unica consolazione dell'Angelo delle Tenebre che era vicino a lei era che con l'arrivo dell'alba sarebbe stato più in forze e, probabilmente, avrebbe avuto abbastanza energia per tornare ad Atlandia, liberandosi definitivamente di quella scocciatrice. Sospirò si sollievo al solo pensiero. Lei sbuffò e gli chiese se la stesse ascoltando, ma lui chiuse gli occhi, indifferente, pensando che gli Esseri-Senza-Ali erano stupidi ed inutili.
“Maleducato.” gli disse. “Piuttosto.. vorresti avere la finezza di dirmi almeno il tuo nome? Oppure devo chiamarti con un fischio?” la tentazione di schiaffeggiarlo si stava impossessando di lei, tra qualche minuto era certa che mani e piedi non avrebbero più riposto ai suoi comandi.
“Sai? Non credo proprio che avrai un'altra occasione di chiamarmi, perché, quindi, dirti il mio nome?” Apollonius appoggiò la testa al tronco, sospirando. Ma perché era ancora lì con lui? Non poteva tornarsene a casa come ogni brava bambina? “Le bambine non dovrebbero essere a letto a quest'ora?”
Celiane strabuzzò gli occhi. Aveva capito male o l'aveva appena etichettata come ''bambina''? Strinse i pugni, tutti la consideravano inutile, e questo screanzato anche una bambina! Gli uomini erano tutti così ottusi? Fremeva per la rabbia. “Non sono una bambina!” disse tra i denti. “Sto quasi per compiere diciotto anni!”
“E tuo marito sa delle tue uscite a quest'ora della notte?” Apollonius pregava perché questa domanda la facesse smettere di parlare e, magari, tornarsene a casa. Adesso aveva un motivo in più per catturare e uccidere gli Esseri-Senza-Ali oltre che per il nutrimento: una scocciatura in meno per il mondo! Come facevano a sopportarsi l'un l'altro?
Celiane spalancò gli occhi. Cosa aveva detto quello screanzato? Marito? Marito? Ma quanto la credeva vecchia? Aveva ancora tempo per trovarsi un marito, nonostante suo padre insistesse sul fatto che era da quando aveva dodici anni che era in età da marito.
“Non ho un marito!” disse, poi, come se la cosa fosse ovvia. Aveva paura di ciò che avrebbe detto lui e, soprattutto, aveva paura di arrabbiarsi.
“Una zitella.” constatò, come se lei non ci fosse. “Forse avrei dovuto aspettarmelo.”
Celiane cercò di trattenersi, ci provò con tutta se stessa, ma proprio non ci riuscì, così prese una pietra, piuttosto grande. “Zitella?! Zitella?! Te lo faccio vedere io!” e gliela lanciò addosso. Lui sospirò, alzando gli occhi al cielo e fermò la pietra, prima che potesse anche solo sfiorarlo; la sbriciolò tra le mani e lasciò cadere quello che rimaneva. Quanto era stupida quell'Essere-Senza-Ali? Credeva di avere a che fare col primo umano che passava? Si chiese se, davvero, l'avevano rinchiusa per tutto quel tempo. Se c'era una cosa evidente che lo distingueva da quegli esseri inferiori, erano proprio le sue Ali; erano davvero tutti così poco perspicaci? Beh.. se erano tutti come lei, non ci avrebbero messo molto a tornare in forze.
“Cosa diamine sei tu?” gli chiese, allibita, guardando la fine del povero pezzo di roccia, pensando che quella poteva essere lei, se lui non fosse stato ferito. Lui la ignorò. “Beh? Perché non rispondi a nessuna delle mie domande?”
“Senti,” le disse, adesso aveva davvero perso la pazienza, in un modo o nell'altro sarebbe stato in grado di ucciderla, se solo avesse continuato a parlare. Non aveva ancora le forze, ma ne aveva certamente voglia. “tornatene a casa tua.” quando ci metteva il sole per sorgere?
Celiane si accigliò: come si permetteva di dirle dove doveva stare lei? Non poteva pensare di trattarla in quel modo solo perché era un uomo, e anche piuttosto strano. “Ma chi ti credi di essere?” Celiane si lasciò sfuggire le parole che stava pensando. “Non sei certo tu a decidere dove devo stare io.”
Apollonius sospirò: mai, mai aveva trovato un Essere-Senza-Ali tanto stupido, cocciuto e pedante. Si massaggiò una tempia, con l'intento di farsi passare il mal di testa, erano anni che non lo aveva così forte e quella stupida, in meno di un'ora era riuscita a fargli battere tutti i record. “Hai ragione.” le rispose, lei rimase esterrefatta, si conoscevano da poco, ma le stava dando ragione per la prima volta. “Però posso decidere dove stare io, e penso proprio che sarà un posto lontano da qui e, soprattutto, lontano da te. Tornatene a casa tua.”
“Che maleducato!” esclamò lei, mentre lui si alzava. – Eh no – pensò – Tu non vai da nessuna parte! – così gli afferrò una ciocca di capelli, lunghi abbastanza da poterli afferrare anche da seduta. Non gli avrebbe permesso di andarsene tanto facilmente! Non lei!
Apollonius strinse i pugni, solo per non strozzarla, se si fosse affaticato prima di recuperare energie, non sarebbe stato in grado di volare e di tornare subito ad Atlandia, e chissà quanto avrebbe dovuto vagare per quel bosco. Poi pensò a come sarebbe stato bello se quella donna non fosse mai venuta a cercarlo, e lo pervase un senso di beatitudine, che, però, scomparve all'istante, quando sentì di nuovo la voce di Celiane che lo chiamava. “Scusa..” le disse lui, senza voltarsi “Non è che potresti lasciarmi?”
“Neanche per sogno!” rispose lei, decisa. La sua curiosità non si era per niente affievolita, voleva sapere e avrebbe saputo! Se lui conosceva o aveva mai visto gli Angeli delle Tenebre, doveva saperlo! Ed era anche curiosa di sapere come aveva fatto a ferirsi in quel modo. “Sono venuta qui perché volevo delle risposte. Non me ne andrò, senza.”
Lui sbuffò, scocciato. Possibile che nessun Angelo che si era portato dietro si era preso la briga di cercarlo? Doveva stare con quella scocciatrice ancora per molto? Si chiese se, almeno, avevano detto a qualcuno che non era tornato, quegli idioti! Se non fossero stati in pochi, li avrebbe uccisi tutti e cinque, una volta tornato, sempre ammesso che ce l'avrebbe fatta.
Aveva pensato anche di portarla con sé e di offrirla all'Albero della Vita, ma già avrebbe ringraziato il creato, se fosse riuscito ad andarsene da lì. E se non riusciva a volare da solo, figuriamoci con un peso, e immaginava che non sarebbe stata ferma come un agnellino, sembrava, tra le altre cose, che neanche fosse capace di finirla di aprire la bocca e darle fiato.
“Da dove vengo io, le donne sono abituate a stare zitte!” le disse, mettendola a tacere un attimo. “Non credi di mettere alla prova la mia pazienza?”
“Bella riconoscenza!” disse lei, offesa. Come si permetteva quello.. quello.. screanzato! “E io che sono anche venuta a cercarti! La prossima volta, significa che non verrò se sarai ferito.”
“Non darti pensiero per me.” rispose, acido. “Non mi feriranno un'altra volta, stanne certa.” e le tolse la mano dai capelli.
“Voglio sapere chi e cosa sei tu, e cosa ci fai qui.” gli disse, alzando gli occhi al cielo e riprendendo possesso della ciocca. “E, forse, dopo starò zitta qualche minuto.”
“Non pensi di volere un po' troppo?” le chiese, togliendole, ancora una volta, di mano i suoi capelli. La volta successiva che fosse uscito con gli Angeli, si sarebbe portato qualcosa con cui ferire il primo umano che gli si fosse avvicinato. Non aveva più intenzione di vivere una notte simile. “Non sono la fatina delle favole. E, sinceramente, stai cominciando a scocciarmi, Umana.” sentiva che le forze gli stavano tornando un po' per volta, forse stava per sorgere il sole.
Lei gli tirò un'altra ciocca, più forte, e lui, per farla smettere, si sedette di nuovo. Poteva parlare quanto voleva, ma non doveva toccargli i capelli, era l'unica cosa che lo infastidiva più del resto.
“Perché non rispondi e basta?” gli chiese. Cosa c'era di difficile nella domanda che gli aveva fatto? Voleva solo sapere chi era e per quale ragione era così strano. “Sarebbe tutto molto più semplice, sai?”
“Lo sarebbe altrettanto se tu mi facessi il favore di stare in silenzio.” le rispose lui. Si appoggiò nuovamente contro il tronco dell'albero, la ferita era guarita e, molto probabilmente, l'alba era prossima. Sentiva che le forze gli stavano tornando. “E se proprio devi parlare, puoi smetterla di ripetere sempre le stesse cose?”
Celiane inarcò un sopracciglio, infastidita dalle parole di Apollonius. Si chiese se fosse mai esistito qualcuno che l'avesse fatta arrabbiare più di quanto c'era riuscito lui in nemmeno un'ora. “Te l'hanno mai detto i tuoi genitori di non essere così scontroso con le ragazze? Scommetto che neanche tu hai uno straccio di moglie.”
Lui la guardò storto, un pensiero poco raccomandabile, dal suo punto di vista, cominciava a formarsi nella sua mente “Non sono disponibile”
“Per cosa?” gli chiese lei, non capendo. Disponibile? La ferita gli aveva dato alla testa, per caso?
“Non è da un'ora che cerchi di rimorchiarmi?” le chiese, cercando di creare distanza tra sé e quella donna. Guardò all'orizzonte, sembrava che anche il sole cospirasse contro di lui. Se il sole sorgeva, avrebbe avuto abbastanza forze per aprire un portale.
“Cosa? Tu.. tu devi essere, certamente, impazzito.” gli rispose, esterrefatta. Ma quello che aveva capito? Era più matto di non sapeva neanche lei cosa! “Non mi sognerei mai di rimorchiare un maleducato come te! E poi, diciamolo, sei tu che sei intimidito dalla mia bellezza.”
Apollonius non si diede cura di nascondere quanto assurda gli era sembrata quell'insinuazione, scoppiando a ridere. “Scusami?” le chiese, adesso poteva sicuramente ucciderla, ma non gli sarebbero rimaste abbastanza energie per creare un portale per Atlandia e volare fino a lì. Se fosse dovuto rimanere ancora in quel bosco, sarebbe morto per la disperazione, di questo ne era certo. Se tutti gli Esseri-Senza-Ali erano come quella con cui stava parlando, allora aveva un motivo in più per non cercare una soluzione pacifica. “E comunque, se proprio ti interessa, i miei genitori avevano altri problemi”
“Tranquillizzati.” gli disse, pensando alla sua famiglia e lasciando cadere l'argomento ''rimorchio''. “Neanche i miei mi hanno ricoperta di attenzioni. Specialmente mio padre.”
“I miei non potevano.” le disse, senza un briciolo di malinconia né nella voce, né nello sguardo. “Erano morti.”
“Mi dispiace..” rispose, più triste di lui. Poi si riprese, tentando di trascinare la discussione su qualche altro argomento. “Finalmente abbiamo cominciato a fare conversazione!” Non riusciva ancora a capire quella creatura, però. “Posso sapere il tuo nome, adesso?”
“Perché ti interessa tanto?” chiese, spazientito. “Non ti hanno insegnato che, da brava donna, quale sei, o dovresti essere, farsi gli affari degli uomini non ti compete?”
“Senti, cocco,” disse Celiane, ora decisamente arrabbiata. Le sembrava di sentire suo padre, dannazione! “forse non sono un uomo, ma questo non significa che non sappia pensare e agire bene almeno quanto lui. Se non vuoi dirmi il tuo nome, vai al diavolo, ma non paragonarmi anche tu ai maschi, chiaro? Sono convinta che potrei fare cinquecento volte meglio di loro, qualsiasi cosa, se solo mi lasciassero provare. E tu, in fondo, non sei poi tanto diverso da tutti gli altri!”
Anche Apollonius sembrò infastidito. La afferrò per il collo, rischiando di soffocarla. “Non osare più paragonarmi a voi Esseri-Senza-Ali. Trema, ricordando il mio nome, stupida femmina. Sono Apollonius, uno degli Angeli delle Tenebre.”
La risposta la sorprese e la spaventò. Si trovava con uno di quei sanguinari assassini, come aveva fatto a non capirlo prima? Era davvero uno di quegli Angeli che avevano rapito suo fratello? Cercò di liberarsi, ma la presa dell'Angelo era troppo forte per lei. Cominciò a sentire l'aria che le mancava e tentava di affondare le unghie nella pelle di quel maledetto. Provò a dargli un calcio, ma fu tutto inutile, non riusciva più a fare niente e sentiva che le forze la stavano per abbandonare. Aprì gli occhi, accorgendosi di averli chiusi e lo guardò con odio e sfida, convinta più che mai a non chiedergli pietà. La cosa sorprese Apollonius, poiché solitamente gli Umani, arrivati a quel punto, lo imploravano perché li lasciasse andare. Lei, al contrario, si comportava diversamente, era come se lo incitasse a continuare. Forse fu l'alba a salvarla, perché Apollonius la lasciò cadere a terra e, senza neanche rivolgerle una parola di più, spiccò il volo, sparendo tra le chiome degli alberi e dalla vista di Celiane. La ragazza tossì, più volte, per riprendere fiato. La rabbia per l'umiliazione appena subita le fece ribollire il sangue. “Apollonius..” bisbigliò, adirata, tra i denti. “Mi ricorderò di te, dannato Angelo delle Tenebre, e ti ucciderò. Questa è una promessa!”
Dopodiché decise di tornare indietro. Non fece caso neanche al sentiero che aveva scelto di percorrere, in fondo, una strada valeva l'altra, il villaggio non doveva essere poi così lontano.

Celiane sospirò, prima di imboccare un'altra di quelle strade con quei rami stramaledetti. Non riusciva a smettere di pensare a quanto era stata stupida e a quanto non aveva pensato a difendersi da quello sconosciuto. Come aveva potuto non accorgersi che era un Angelo delle Tenebre? Quelle ali avrebbero dovuto dirle tutto! Perché doveva essere sempre così ingenua? Tutte le storie che raccontavano in giro per il paese portavano il nome di Apollonius, e tutti i rapimenti la sua firma. Era, in assoluto, l'Angelo più temuto tra tutti. Strinse i pugni, pensando a quello che poteva aver fatto a suo fratello. Sicuramente aveva fatto male a lasciarla in vita, perché si sarebbe vendicata. In quel momento era decisa più che mai a prendere parte alla guerra e nessuno l'avrebbe fermata, neanche suo padre con le sue storielle sulle donne incapaci che dovevano rimanere chiuse in casa a badare ai figli, insieme alla servitù. No! Lei si era scelta un destino diverso, e avrebbe fatto ciò che sentiva di fare! Che le importava quello che pensava lui?
“Salverò mio fratello.” disse, a se stessa, ad alta voce. “Andrò anche in quel posto, dove stanno gli Angeli, se necessario. Non permetterò a nessuno di fermarmi.”
Combatté contro qualche rametto odioso che le procurarono nuovi graffi. Si sentiva indolenzita e il collo le doleva più del resto. In più, tutti gli sforzi che aveva fatto per cercare di liberarsi le avevano portato via altre energie, dovette appoggiarsi ad un tronco per rimanere in piedi. Per prima cosa, si disse di dover lavorare sulla resistenza, uno scontro così poco duro l'aveva quasi fatta cadere a terra priva di sensi. Dopo qualche altra strada piena di rami, Celiane riuscì a uscire da quella maledetta foresta. Quando ne fu totalmente fuori, tirò un sospiro di sollievo, contenta di poter tornare a respirare.
Da lì riusciva a vedere casa propria, e si permise un altro sospiro: non era mai stata tanto felice di tornare tra quelle quattro mura. Il sentiero da percorrere le sembrò lunghissimo, il sole era poco più sopra l'orizzonte e si chiese quanto tempo aveva impiegato per raggiungere l'uscita della foresta. In poco tempo rientrò in casa; per sua enorme sfortuna, la sua famiglia era già in piedi, intenta a cercarla per tutta la casa. Celiane sbuffò, adesso la aspettava una gran bella ramanzina, se non fosse tornata, sarebbe stato meglio per tutti, per suo padre soprattutto.
“Che succede?” chiese, per farsi notare. Si disse che era meglio uno strappo secco, insomma, prima cominciava la ramanzina, prima sarebbe finita e lei si sarebbe potuta buttare sul letto e dormire per l'intera settimana.
Tutti gli occhi si puntarono su di lei, tutti quelli dei servi e quelli di sua madre. “Sei viva?” le chiese quest'ultima, quasi non credendo a ciò che vedeva, le andò incontro piano, come se Celiane dovesse sparire da un momento all'altro. Lei si guardò un attimo, per cercare conferma. Si vide un po' malconcia, ma in compenso, stava bene.
“Direi di sì. Tranne qualche graffio.” rispose, appoggiandosi al muro, per cercare sostegno, se fosse caduta, sua madre chissà cosa avrebbe fatto.
“Pensavamo che ti avesse rapita un Angelo delle Tenebre!” esclamò suo padre, dalla cima delle scale che davano sulla sala principale. Era arrabbiato, non preoccupato, ma Celiane non se ne curò più del solito, non lo era mai, se non per se stesso.
“Beh..” balbettò lei, con voce stanca, non aveva alcuna voglia di mettersi a discutere, tanto con lui era totalmente inutile. “Non è del tutto errato.”
“Sei riuscita a fuggire?” le chiese, ancora, dubbioso. Evidentemente, non credeva affatto che lei si potesse salvare.
“Beh.. praticamente..” pensò di cogliere la palla al balzo. Quella era l'unica buona occasione che le fosse mai capitata in vita sua per far capire a suo padre quanto valeva “Direi di sì”
Lui la guardò sempre più perplesso, convinto che Celiane non si sarebbe mai distinta per coraggio o qualche altra qualità. “Come ha fatto a catturarti?”
“La finestra” disse lei, in fretta, forse troppo. Effettivamente, non sapeva che scusa inventarsi, che razza di domanda era? Che gliene importava? Non poteva semplicemente gioire per il fatto che sua figlia era uscita sana e salva da un incontro ravvicinato con un Angelo delle Tenebre? “Era aperta.. tutte le altre no e.. beh.. ecco è venuto lì da me.. e.. mi ha portata via”
“E perché non hai urlato?” le chiese, con sguardo indagatore, per capire se stesse dicendo o meno qualche bugia.
“Beh.. io.. lui.. oh.. mi aveva tappato la bocca..” si stava arrampicando sugli specchi, se ne rendeva conto, ma che altro poteva fare? Mica poteva dirgli che era uscita di casa per ficcarsi nella tana del lupo!
“E perché non l'hai morso?” le chiese, ancora. Celiane cominciava ad arrabbiarsi, e più lo faceva, più perdeva concentrazione nel trovare le risposte più plausibili.
“Non ci riuscivo!” si chiese per quale strano motivo le stesse facendo quel terzo grado. In fondo la storia del rapimento poteva essere possibile, forse la fuga un po' meno ma.. perché no?
“L'hai visto bene?” le domandò, incrociando le braccia. “Sei sicura che fosse un Angelo delle Tenebre?”
“No che non l'ho visto!” mentì lei, tanto non l'avrebbe mai creduta se gli avesse detto che aveva incontrato Apollonius e che era riuscita, addirittura, a scappare. “Gli umani non si arrampicano sui muri, era per forza uno di quei maledetti! Era troppo buio e non l'ho visto.”
“Ma sei tornata ora, è mattina” insisté lui.
“Ci ho messo un'intera nottata a superare la foresta, ecco perché ho tutti questi graffi. In mezzo agli alberi.. non riusciva a vedermi.. sono potuta fuggire.” sperava di dover concludere quella farsa il prima possibile, non aveva molte idee in testa e comunque non vedeva perché continuare a trovare giustificazioni, si era salvata, punto.
“Ora si spiega tutto.” disse l'uomo, come uno che aveva capito ogni cosa. “Pensavo che avessi combattuto. Ma dopotutto, voi donne siete solo capaci di fuggire, in caso di pericolo.”
Celiane si accorse di essersi data, in un certo senso, la zappa sui piedi. Non riusciva proprio a sopportare che le dicesse certe cose! Lei! Scappare! Non era fuggita davanti a quell'Angelo neanche dopo averlo saputo, non che avesse avuto molto tempo.. ma.. scosse la testa e decise di non pensarci più, tanto ormai era fatta, poteva vantarsi di essere una delle poche, se non l'unica, ad essere fuggita dall'Angelo delle Tenebre più temuto della regione. Arrabbiata, salì le scale dirigendosi in camera sua. “Inutile” disse, buttandosi sul suo letto, senza avere neanche la forza di tirare un pugno a qualcosa. “Non mi vedrà mai come un guerriero, solo come una stupida, inutile donna. Gliela farò vedere io, a lui e a quello stupido Angelo! Vedranno tutti di che pasta sono fatta!”
Così, quel giorno, Celiane prese la decisione che fu alla base dei successivi avvenimenti.

  
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