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Autore: Jo_The Ripper    18/01/2014    3 recensioni
La storia di come è nato e come è andato evolvendosi il rapporto tra Johanna e Finnick, prima e durante i 74esimi Hunger Games, attraverso una raccolta di one shot. Contiene spoiler per chi non avesse ancora letto "Il canto della rivolta".
1. Narciso e l'Amazzone: "In quel momento decise che mai e poi mai un tipo del genere sarebbe potuto diventare suo amico."
2. Imprevedibilità: "Perché lei era Johanna Mason, ed imprevedibilità era il suo secondo nome."
3. Ottone: "Capitol City…quella città era come un ingannevole bagliore dorato, visto da lontano."
4. Lacrime: "Era selvaggia e terribile come una delle dee della vendetta di cui aveva letto in passato."
5. Nome maledetto: "Per lei gli occhi di Finnick non avevano il colore del mare."
6. E se: "Quindi se fossimo venuti dallo stesso Distretto anche noi saremmo stati degli Sfortunati Innamorati?"
7. Il principio delle cose: "Felici Hunger Games, Johanna Mason." - "E possa la fortuna essere sempre a nostro favore, Finnick Odair."
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Johanna Mason
Note: Movieverse, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Imprevedibilità

Era trascorso un anno da quando Johanna e Finnick si erano incontrati per la prima volta al Distretto 4. In quell’arco di tempo era capitato che si fossero incrociati a quegli inutili ricevimenti che si tenevano a Capitol City e a quelle feste, purtroppo, non si poteva sfuggire in alcun modo.
“Sei la vincitrice degli Hunger Games, rifiutare un invito sarebbe estremamente scortese!” soleva ripeterle la sua accompagnatrice della capitale, una tizia piena di piume e glitter, dalla pelle tinta di un rosa tenue che virava al corallo sulle guance –dandole un’aria più malaticcia che attraente-, che si chiamava Caramel, Connie, Candy o Dio solo sapeva quale nome assurdo.
“Non me ne frega niente di questa roba da deficienti, voglio solo essere lasciata in pace!” esplodeva lei, rabbiosa.
Eppure, alla fine, era costretta ad issarsi su tacchi vertiginosi che la facevano sentire esposta come un trofeo sulla parete di un cacciatore, a coprirsi con quei vestiti pieni di fronzoli e ad impiastricciarsi il viso con tonnellate di cosmetici.
La odiava, odiava quella vita dal più profondo del suo cuore.
Credeva che una volta vinti gli Hunger Games sarebbe finita, ma non immaginava nemmeno quanto fosse in errore.
Uno dei party al quale era stata invitata (o meglio, le era stato ordinato di partecipare) era per festeggiare l’insediamento di un nuovo primo stratega, tale Seneca Crane, fresco fresco della sua prima edizione degli Hunger Games.
L’arena, una distesa di terra brulla bruciata dal sole cocente, si era rivelata un verso successo e tutti non facevano che parlarne ed elogiarla.

Johanna vestiva un abito sirena i cui strati costituivano un complicato intreccio tale da farlo somigliare a rami di un albero, sui quali vi erano applicate delle foglie di paillettes. Era talmente attillato da impedirle di camminare e respirare. I capelli, invece, erano raccolti in uno chignon che le metteva in risalto i lineamenti spigolosi.
“Questo straccio è veramente orrendo.” Borbottò quando misero piede nel giardino della tenuta che ospitava il ricevimento.
“Via via cara, sei davvero bellissima!” trillò la sua chaperon.
“Ma va’ un po’ a quel paese.” Le disse senza troppe cerimonie e la lasciò lì, impietrita per la sua mancanza di rispetto ed i suoi modi rozzi.
Johanna cominciò a camminare più velocemente possibile, e strappò dalle mani di un cameriere un intero vassoio di cocktail. Iniziò a berne uno dopo l’altro, incurante delle occhiate che la gente le rivolgeva, comportandosi nel suo solito modo sfrontato.
“Johanna, da quanto tempo.” Una voce alle sue spalle la riportò indietro dal suo mondo di bollicine. Lei si voltò e, da dietro la patina alcolica del suo cervello, scorse il viso sorridente di Finnick.
“Finnick, mi chiedevo proprio quando avresti fatto la tua comparsa!” esclamò, fingendosi entusiasta.
“Non sai mai chi potresti incontrare dietro l’angolo, vero?” domandò lui.
Johanna non badò alle sue parole, si focalizzò bensì sulle due ragazze che lui teneva a braccetto. Le indicò entrambe e poi disse divertita: “Stasera sei stato chiamato a fare il babysitter?”
Le due donne la guardarono in cagnesco, ma il ragazzo fu pronto. Si esibì in un delicato baciamano e si congedò da loro, dicendo che si sarebbe dovuto recare altrove. Ovviamente venne scusato e si liberò della loro infausta presenza.
Johanna sbuffò.
“Ma come ci riesci? Come fai a sopportarlo?”
“Sono menti semplici e facili da gestire, una volta che hai capito cosa vogliono da te.” Le confessò semplicemente.
“E tu sei bravo a capire cosa passa per la testa della gente, giusto?” sogghignò lei.
Finnick le rivolse un ampio sorriso.
“Sei uno schianto vestita così.”
“Pensi davvero che io sia a caccia di omaggi svenevoli? Ho il gel nei capelli, un quarto d’alcool nel sangue, i tacchi alti ed un vestito aderente che non mi permette di ingozzarmi a dovere. Non provocarmi.” Lo fulminò sdegnata.
“So io quello che ti serve, andiamo.” Le prese la mano e la portò sotto al suo braccio.
Camminarono così per un po’ nell’ampio salone illuminato dal riverbero delle luci dei lampadari di cristallo, nell’opulenza che Capitol City trasmetteva con fierezza. Finnick le indicava con un cenno alcuni invitati e raccontava dettagli di loro così personali che lei cominciò a chiedersi come facesse ad esserne a conoscenza. Quel ragazzo era una vera e propria miniera di informazioni e pettegolezzi su tutte le personalità in vista di Capitol City. Le parlava sottovoce, con un’intonazione così morbida e accattivante che avrebbe fatto cadere qualsiasi donna in una spirale di pensieri poco casti, ma non lei.
Era troppo orgogliosa per cedere al suo fascino.
Durante la passeggiata incapparono in un capannello di persone che rideva e schiamazzava e videro che al centro vi era proprio il loro ospite, Seneca Crane. Johanna, però, scorse anche la sua accompagnatrice e sperò che lei non l’avesse vista. Ovviamente non andò così.
“Johanna, cara, vieni qui!” la chiamò con quella sua voce stridula. “Oh, c’è anche Finnick!” aggiunse nello stesso tono, raggiante come non mai.
“Cazzo…” sibilò lei per nulla contenta.
“Fai un bel respiro e sorridi.” La rassicurò Finnick.
“Cara vorrei presentarti il nuovo primo stratega, Seneca Crane. Seneca lei è…”
“Johanna Mason, incantato.” Si esibì in un inchino ed in un baciamano che risultarono comunque molto più volgari rispetto a quelli di Finnick.
“Piacere mio.” Rispose lei cercando di risultare gentile, cosa che non le riuscì per niente dato il tono lapidario della risposta.
“Finnick, è davvero una gioia poterti rivedere.” La ragazza voltò il capo in direzione del suo compagno, che fece un umile cenno a Seneca e passò la mano sulla vita della ragazza con disinvoltura. “Johanna, devo dire che ho apprezzato davvero molto la tua prestazione, lo scorso anno. Fingerti debole per poi mostrare un talento così…particolare contro gli altri tributi…delizioso.” Continuò lo stratega.
A Johanna venne voglia di assestargli un dritto sugli occhi. Si limitò invece a commentare nel suo solito modo sarcastico.
“Sai, Seneca, ci sono persone che vanno…accettate per quello che sono.”
Finnick le strinse il fianco con la mano, quasi a volerle segnalare di non esagerare. La reazione del pubblico invece fu quella di ridere sguaiatamente.
“Oh Johanna, non avevo idea che nascondessi un lato così divertente!” esclamò Seneca.
“Non hai nemmeno idea di quanti lati nascosti io abbia.” Sottolineò lei, e Finnick lesse la minaccia implicita di quelle parole.
In quel momento il discorso venne riportato sulla faccenda Hunger Games ed in particolare sulla sua vittoria. Trovarsi di fronte a quegli uomini che esaltavano le spietate uccisioni che era stata costretta a fare cominciò a darle il capogiro. Sudava freddo e si sentiva oppressa. Finnick, che la osservava attento, si accorse della situazione ed intervenne prontamente.
“Scusate signori, ma credo che tutte queste lodi le stiano dando un po’ alla testa, non è così Johanna?”
“Decisamente.” Rispose con un filo di voce.
“Se permettete la scorterò fuori a prendere una boccata d’aria, con permesso.” Gentilmente, Finnick la condusse al di là della folla,  fino al giardino. Alle sue orecchie arrivò un commento maligno di uno degli uomini: “Quell’Odair, sempre pronto ad accaparrarsi il meglio.” Ma non gli diede peso.

S’incamminarono attraverso il giardino in direzione di un gazebo isolato, posto accanto ad una fontana zampillante. Johanna si sedette sul bordo e tuffò le mani nell’acqua. Si sentì subito meglio. Prese un respiro profondo e chiuse gli occhi.
Finnick nel frattempo estrasse un fazzoletto e lo immerse nell’acqua, lo strizzò e poi cominciò a tamponare delicatamente la fronte della ragazza.
“Che diavolo stai facendo?” lei aprì gli occhi di scatto e gli colpì la mano, allontanandolo da lei.
“Ti sto aiutando, ora vieni qua e sta’ ferma, non vorrei che ti si rovinasse il trucco.”
“Fottiti.”
Finnick scosse la testa e sorrise quando lei, nonostante fosse recalcitrante, riprese posto sul marmo freddo.
“Va’ meglio adesso?”
Lei annuì ed abbassò il capo. Non voleva farsi vedere da lui in quello stato, ma non era riuscita a frenare il flusso dei ricordi: l’arena, la paura di non sopravvivere e di essere uccisa, il boato dei cannoni ogni notte, i visi dei tributi che aveva eliminato…ogni volta che nel Distretto 7 sollevava la scure sentiva il sangue caldo ed appiccicoso scendere giù dal manico e le veniva voglia di gridare. E poi c’erano gli incubi. Con quelli avrebbe dovuto imparare a convivere. Inconsciamente si chiese se anche Finnick si svegliasse nel cuore della notte con il gelo della paura nelle ossa.
“Non hai niente di cui vergognarti.” Esordì lui, quasi leggendole nel pensiero. “Ti capisco, succede anche a me. Li odio in un modo che non credo sia umanamente concepibile.”
Johanna balzò in piedi, improvvisamente furiosa.
“Secondo te è una specie di scherzo? Si può sapere perché ci tieni così tanto a starmi intorno? Dici che li odi e poi sei sempre qui a Capitol City, ti fai vedere a braccetto con quelle sgualdrine e mi racconti cose di cui non mi frega niente! Non dire di sapere cosa provo, perché non lo sai!” il petto si alzava e si abbassava a causa dell’ira. Finnick non si scompose, si limitò solo a guardarla intensamente con quei suoi penetranti occhi verdi.
“Hai mai pensato che sono qui non per mia scelta? Credo di sì, visto che lo sei anche tu. E poi non sono intorno a te perché voglio raggirarti, ho semplicemente pensato che potessimo essere amici.” Scrollò le spalle con noncuranza.
“E cosa ti fa credere che io abbia bisogno di un amico?”
Stavolta fu il suo turno di inarcare il sopracciglio.
“Ostinata e testarda Johanna Mason…noi due siamo più simili di quello che vogliamo sembrare. Abbiamo bisogno entrambi di qualcuno che veda oltre le nostre maschere di serenità e cinismo. Qualcuno abbastanza sano di mente con il quale parlare dei nostri incubi.”
L’ultima frase la colpì e si costrinse a tornare calma.
Quindi anche l’affascinante e seducente Finnick del Distretto 4, l’incarnazione stessa della bellezza, era in realtà una creatura fragile e ferita.
Johanna tornò a sedersi accanto a lui e lo studiò attentamente. In quel momento di contatto occhi negli occhi prese la sua decisione, probabilmente la più stupida di tutta la sua vita. Sospirò teatralmente.
“Ok, ma non aspettarti che ti tenga la mano mentre frigni come una ragazzina.”
Finnick, che era a disagio sotto lo sguardo guardingo ed indagatore di Johanna, si rilassò e piegò le labbra in un mezzo sorriso.
“Sei ridicola con questo vestito, sembri un arbusto secco e decrepito. Per togliertelo di dosso forse dovrai scuoiarti.”
Vide gli occhi di lei lampeggiare, la battuta era andata a segno.
Johanna però, fece qualcosa che lì per lì lo sorprese: sorrise. Un sorriso che non era la sua solita smorfia di sufficienza, ma qualcosa di più malizioso. Si portò le mani alla lampo dell’abito e la tirò giù. Il vestito, dopo un’iniziale difficoltà, scivolò a terra e lei lo calciò via. Rimase davanti a lui in una lingerie in puro stile Capitol City e ondeggiò nella sua direzione come un felino.
“Caro Finnick, per te è giunto il momento…” gli sussurrò all’orecchio dopo essersi abbassata al suo livello. “…di fare un bel bagno!” lo spinse ed il ragazzo scivolò oltre il bordo della fontana, cadendo nell’acqua fredda.
Quando si tirò su era bagnato fradicio dalla testa ai piedi e Johanna lo guardò trionfante.
“Uno a zero per me, bamboccio.” Raccolse l’abito da terra e lo stracciò in due parti. Si coprì alla bene e meglio con la gonna lunga e se ne andò senza nemmeno salutarlo. Alle sue spalle avvertì solo lo sguardo di Finnick, stupito e preso in contropiede.
Perché lei era Johanna Mason, ed imprevedibilità era il suo secondo nome.

***
Hola gente!
Per cominciare vorrei ringraziare tutti voi che avete letto e recensito il primo capitolo, sono davvero molto entusiasta :D Spero che anche il secondo sia stato di vostro gradimento e vi rinnovo l'appuntamento alla prossima settimana con una shot un po' più angst (mi preparerò per l'eventuale pioggia di zolfo).
Ringrazio ancora la buona darkronin che subisce in anteprima i miei orrori e si dedica con pazienza al betaggio, e Crystaldrop perchè ormai è diventata la vittima destinata a patire i miei deliri su Finnick.
Baci e buon fine settimana!
  
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