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Autore: mikchan    19/01/2014    3 recensioni
*SEQUEL DI LIKE A PHOENIX*
Il tempo passa, la vita continua e i brutti ricordi diventano passato. Per tutti è così, anche per Amanda, giornalista in carriera, sfruttata dal suo capo, in crisi con se stessa e con i sentimenti che prova per il suo ragazzo e in cura da uno psicologo. Tutto questo, e Amanda lo sa, è dovuto proprio a quel passato che non l'ha abbandonata, alla perdita delle cose più importanti che avesse al mondo. Ma il passato ritorna, sempre, e per Amanda si ripresenta in una piovosa giornata invernale.
Saprà il suo passato darle un'altra opportunità, oppure è davvero tutto finito?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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19- FEARS AND GUILT FEELINGS

"Amanda. Amanda! Dai, Mandy svegliati. Mandy. Amanda. Lupacchiotta, esci dal mondo dei sogni!".
Mugugnai qualcosa, probabilmente un insulto, a chiunque mi stesse squotendo in quel modo, interrompendo la dormita peggiore del secolo.
Non volevo assolutamente alzarmi e, per sottolineare la mia decisione, mi voltai dall'altra parte, sentendo improvvisamente mancare l'appoggio sotto la schiena e ruzzolando addosso a qualcuno.
Giusto, il divano.
Lentamente stavo riprendendo l'appiglio sulla realtà e mi ricordai di essere rimasta a casa quel giorno a causa dell'influenza e della nausea che non mi avevano abbandonato tutta notte. Nel pomeriggio avrei avuto la prima vera ecografia e, per riprendermi un po' e non presentarmi davanti al medico come uno zombie ambulante, avevo deciso di provare a dormire e avevo detto ad Adam di svegliarmi quando fosse arrivato il momento di andare.
Il suddetto ragazzo si trovava, in quel momento, sotto di me e ridacchiava divertito davanti alla mia faccia assonnata. "Finalmente", disse, prendendomi per i fianchi e sollevandomi.
"Scusa", borbottai, passandomi una mano sugli occhi. Dovevo avere delle occhiate mostruose e dei capelli che avrebbero fatto invidia a Medusa. Inoltre l'influenza che avevo beccato mi rendeva il naso chiuso e mi aveva portato un raffreddore orribile, fortunatamente senza la febbre, che sarebbe stata solo l'ennesima disgrazia in quella disastrosa settimana.
"Devi prepararti", disse Adam, facendomi sedere sul divano e scostandomi i capelli dalla fronte. "Ha chiamato tua madre: arriva tra dieci minuti". Sbadigliai. "Vado a farmi una doccia", dissi alzandomi e trascinandomi in camera per prendere i vestiti. Non ero ancora del tutto sveglia e non sapevo come facevo a restare in piedi senza crollare a terra: avevo dormito veramente malissimo, tra la scomodità del divano e il naso chiuso. Tra l'altro ero davvero impaziente di fare la prima ecografia e vedere il mio bambino. Sapevo che, essendo appena entrata nell'ottava settimana, non sarebbe stato molto quello da vedere, ma sarebbe stato ugualmente emozionante, ne ero certa.
Mi feci una doccia veloce e mi vestii in fretta, raggiungendo mia madre e Adam che parlavano tranquilli in cucina, davanti a una tazza di caffé.
Ecco, quello era uno degli aspetti positivi della gravidanza: se isolavo la nausea, la stanchezza e la paura di perdere mio figlio potevo vedere quanto le persone intorno a me si stessero impegnando per rendere tutto fantastico. Loro due ne erano un esempio lampante: discutevano sempre, per ogni stupidata, ma si vedeva che mia madre stava iniziando ad accettare Adam come padre e fidanzato. Adam, dal canto suo, era perfetto: sopportava i miei scleri con un sorriso, era sempre presente e, negli ultimi giorni, aveva incominciato a sistemare le varie faccende che precedevano il mio trasferimento da lui. Faceva di tutto, dallo svuotare il mio armadio, a riordinare il disastro che trovava in casa senza che io gli chiedessi nulla. Spesso mi perdevo a guardarlo mentre preparava la cena, abitudine che aveva preso negli ultimi tempi, e mi convincevo sempre di più che tutto sarebbe andato per il verso giusto: io, Adam e il nostro bambino, o bambina, come una vera famiglia.
Il viaggio verso la clinica fu silenzioso, almeno da parte mia. Adam e mia madre continuarono il loro discorso, ma non m'impegnai nemmeno a capire di cosa stessero parlando. In quel momento stavo solo cercando di calmarmi, alle prese con un nervosismo mai visto, che aveva cancellato l'eccitazione per quel momento, trasformandola in paura. E se il mio bambino avesse avuto qualche problema? E se ci fosse stato il rischio di un altro aborto? Come avrei reagito se avessi ricevuto qualche brutta notizia?
Quando arrivammo avevo il fiato corto e la testa in palla. Sapevo di dovere rimanere tranquilla, ma ero completamente terrorizzata da quella visita. La cosa era quasi comica, visto che nemmeno di un'ora prima non vedevo l'ora di quel momento e invece, una volta che questo era diventato reale non avevo saputo affrontarlo.
Appena Adam incontrò il mio sguardo si rese conto dell'uragano che era scoppiato dentro di me e corse ad abbracciarmi, davanti a mia madre che ci guardò confusa.
"Andrà tutto bene", mi sussurrò all'orecchio, accarezzandomi la schiena. Eravamo in mezzo al marciapiede, davanti all'entrata della clinica, ma in quel momento non m'importava. Come potevo entrare in quel posto con la paura di vedere distrutto di nuovo tutto quello per cui avevo combattuto? Mi aggrappai alle sue spalle, stringendo tra le dita la sua maglia.
"Andrà tutto bene", ripeté Adam.
Presi un respiro profondo. Dovevo convincermene anch'io. Sarebbe andato tutto per il verso giusto, non poteva essere diversamente. Altrimenti perché avevo avuto quella seconda possibilità? Se pensavo che le cose sarebbero andate male, allora c'erano maggiori possibilità che questo accadesse. Dovevo pensare positivo, per Adam, che per l'ennesima volta mi stava stringendo a sé con forza e per il mio bambino, che amavo già da impazzire e che mai avrei voluto perdere.
"Va meglio?", mi chiese Adam allontanandomi dal suo petto per guardari negli occhi.
Annuii. "Scusami, io er...".
"Piantala di scusarti", sbottò fulminandomi con lo sguardo. "Non c'è niente di cui tu ti debba scusare".
"Ma io...".
"Niente ma", m'interruppe di nuovo, abbassandosi per darmi un bacio sulla guancia e prendendomi la mano. "Ora andiamo a conoscere nostro figlio".
Annuii confusa, ma sollevata. Non avevo bisogno di essere consolata, ma di appoggiarmi alla forza di qualcuno e usarla come sostegno e trampolino. E chi meglio di Adam poteva aiutarmi?
Mia madre ci squadrò un attimo, chiedendomi con lo sguardo cosa cavolo era appena accaduto sotto il suo sguardo, ma mi limitai a scrollare le spalle e seguire Adam oltre la pesante porta di vetro.
La sala d'aspetto in cui ci trovammo poco dopo non era molto piena, ma la trovai comunque claustrofobica. Ci ero già stata cinque anni prima, prima e dopo l'aborto spontaneo che avevo avuto e non ne avevo un buon ricordo.
In ogni caso, cercai di non farmi prendere dal panico di nuovo. Non sarebbe servito a nulla, se non a farmi stare peggio. Almeno, quelli erano i pensieri razionali che cercavo di costruire, ma più i minuti passavano, più mi sentivo nervosa.
Quasi mezz'ora dopo il nostro arrivo, la porta dello studio si aprì e ne uscì una donna, con un sorriso stratosferico e gli occhi luccicanti. Salutò il medico con adorazione e per un attimo mi chiesi che fine avesse fatto la mia ginecologa: non volevo quel tipo che non conoscevo. Ero una bambina capricciosa, lo sapevo, ma in quel momento avevo bisogno di certezze. Fortunatamente dietro di lui comparve subito la dottoressa Sylmir, la mia ginecologa, e tirai un sospiro di solievo.
Prima di me c'era un'altra ragazza, che entrò titubante nello studio e mi ritrovai a dover aspettare ancora prima del mio turno. Ero sempre più agitata, nonostante sapessi che ci sarebbe stata la mia dottoressa e non uno sconosciuto al mio fianco. Neppure i tentativi di convincimento servivano più.
Fortunatamente ero troppo distratta per accorgermi del tempo che passava e presto fu il mio turno.
Sia mia madre che Adam mi seguirono all'interno dello studio: li volevo entrambi al mio fianco. Mia madre perché era lei, perché mi era sempre stata accanto, a modo suo e perché la volevo rendere partecipe del momento più bello della mia vita. Adam semplicemente meritava di essere lì: quello che portavo in grembo era il nostro piccolo miracolo e, potevo giurarci, non si sarebbe perso nulla della sua vita, nemmeno prima della sua nascita.
Fortunatamente, l'altro medico non entrò con noi e mi ritrovai a tirare un sospiro di solievo.
"Allora, come procede? Vedo che stai iniziando a mettere su peso", disse la dottoressa mentre mi sdraiavo sul lettino e mi alzavo la maglietta. Effettivamente, negli ultimi tempi il seno si era ingrossato, per la gioia di Adam e la pancia stava iniziando a farsi vedere.
Il cuore mi batteva a mille, tra paura e eccitazione.
"Bene", risposi trasalendo quando cosparse il mio ventre del gel freddo. "A parte la nausea e la stanchezza".
Lei annuì. "Tra qualche settimana dovresti iniziare a stare meglio", mi spiegò iniziando a passare la sonda. "Però devi stare sempre più attenta alla tua alimentazione: mangia poco, ma di frequente e in modo salutare, in modo da evitare l'acidità di stomaco e la nausea mattutina ".
"Lo so", dissi sicura. "Non mangio schifezze da quando ho scoperto di essere incinta".
La dottoressa sorrise. "Perfetto. Allora", mormorò poi, tornando a guardare lo schermo. "Il vostro piccolo sta bene", disse lanciandomi un'occhiata veloce.
"È un maschio?", chiese Adam curioso, stringendomi la mano.
"È ancora presto per sapere il sesso", spiegò la dottoressa. "Però sta iniziando a svilupparsi: se fate attenzione potete già sentire il suo cuore battere".
Nella sala scese il silenzio e, dopo qualche secondo, iniziai a sentire un rumore sordo e leggero, come quello di un taburo in lontananza e le lacrime iniziarono a scendermi, silenziose. Mi voltai verso Adam e incontrai il suo sguardo commosso. Lui si allungò per darmi un bacio sulla fronte e sorrise.
"Bene", continuò la dottoressa, spezzando il silenzio e spegnendo il monitor. "Ora vorrei farti qualche domanda, Amanda", disse passandomi un asciugamano per pulirmi la pancia. "Voi potete aspettarla fuori", disse poi rivolta ad Adam e a mia madre, che annuirono incerti.
Quando furono usciti scesi dal lettino e mi trasferii sulla sedia davanti alla scrivania della dottoressa, dove lei si era già accomodata e stava trascrivendo alcuni dati al computer.
"Allora, Amanda", disse dopo qualche minuto. "Hai qualcosa in particolare da chiedermi?"
Io mi morsi un labbro, incerta. "In effetti", mormorai. "Vorrei sapere se c'è ancora il rischio di un aborto".
"Sei riuscita a passare i due mesi tranquillamente, Amanda e le possibilità di un aborto spontaneo sono diminuite notevolmente", mi spiegò.
"Anche se mi è già successo?", insistetti.
Lei annuì. "Devi capire che la gravidanza non è una cosa a se: è strettamente legata alla donna. I tuoi sentimenti, le tue preoccupazioni, le tue paure, tutto influisce sul bambino. Quando sei venuta da me cinque anni fa eri spaventata e sola: certo, fisicamente eri perfettamente in grado di portare avanti la tua gravidanza, ma il tuo corpo ha deciso che era meglio interromperla", cercò di spiegarmi, "Ora, invece, sei raggiante e in perfetta salute. Le nausee e la stanchezza sono sintomi normali e in alcune donne sono più pronunciati che in altre, quindi non devi preoccuparti se a volte stai male: nel giro di qualche settiamana ti assicuro che scompariranno quando il tuo corpo si sarà abituato alla nuova presenza e ai nuovi ormoni che sono entrati in circolo".
Io sospirai, sollevata. "Ero terrorizzata, prima di entrare", le rivelai.
"Lo credo bene, ogni donna lo sarebbe stata. Ma sono certa che supererai questo momento con facilità".
Io annuii, sorridendo felice. Il mio cuore era più leggero e mi sentivo sollevata da quelle parole: ora avevo la certezza che tutto sarebbe andato bene.
Nella mezz'ora seguente la dottoressa mi fece domande più specifiche riguardo tutta la mia vita clinica, dalle malattie, alle allergie, mi prescrisse alcune medicine per il raffreddore che non avrebbero interferito con il bambino e, dopo altri esami, mi consigliò degli esercizi da compiere per rimanere in salute e scongiurare definitivamente l'aborto e mi prescrisse una dieta generale da seguire.
Quando uscii dallo studio, quasi un'ora dopo, non riuscivo a trattenere il sorriso. Tra le braccia stringevo la mia cartella clinica con tutti gli esami e le cose che mi sarebbero servite e, mentre raggiungevo mia madre ed Adam, seduti su alcune poltrone, non potei fare a meno di sospirare, sollevata. Tutto era andato per il meglio e sarebbe continuato così, ne ero certa.
La dottoressa aveva ragione: c'era un enorme divario tra la gravidanza che avevo dovuto affrontare cinque anni prima e quella che mi si poneva davanti in quel momento. La più grande differenza era la presenza di Adam al mio fianco: senza di lui non sarei mai riuscita a superare le mie paure e i miei dubbi e solo con lui sarei riuscita a costruirmi un futuro degno di questo nome.
Ero entrata in quella clinica terrorizzata e tremante, temendo quello che sarebbe potuto succedere e ne uscivo come una persona nuova, con una nuova consapevolezza di avere la forza di andare avanti.
Adam mi prese una mano e mi sorrise. Lui era il mio salvagente, ma dovevo imparare a nuotare da sola, sempre con lui al mio fianco. Saremmo stati dei bravi genitori, ne ero certa.


"Sono davvero contento per lei, Amanda".
Io annuii, incapace di smettere di sorridere. Era da giorni che non riuscivo a togliermi quell'aria ebete dalla faccia. Adam mi prendeva continuamente in giro, ma io non potevo farci nulla. Ero felice, come non lo ero mai stata. "Grazie", mormorai.
"È davvero una gioia vederla sorridere in quel modo: le brillano gli occhi".
"Me l'ha detto anche l'ultima volta che sono venuta. E quella precedente", gli feci presente.
Lui annuì. "Perché è la verità. Lei è raggiante", disse, usando lo stesso termine della dottoressa. "E lo è da quando ha rincominciato a frequentare Adam. O mi sbaglio?".
"No, non si sbaglia", risposi certa. "Adam ha decisamente rivoltato la mia vita. È tutto così perfetto: ieri mi sono trasferita definitivamente da lui e mi sembra già di abitarci da anni in quella casa. E lui è sempre così dolce con me, che a volte non sembra nemmeno lui. Poi però viene fuori con una delle sue solite battute e mi rendo conto di quanto lo ami anche per quel suo lato da idiota. Lui mi fa ridere, mi fa sentire bene, accettata e desiderata. Non dico che con Austin queste cose non accadessero", precisai, continuando il mio monologo guardandomi le mani. "Però con Adam è come se fosse tutto estremamente amplificato. Quello che con Austin era dieci, con Adam è cento, in ogni campo. E un po' mi dispiace, perché quando ci penso mi sento una stronza approfittatrice, ma credo che il mio amore per Adam sia il colpevole di tutto questo".
"Perché li paragona?".
Scossi le spalle. "Mi viene naturale. Li ho amati entrambi, anche se in modi diversi. E poi non riesco a non sentirmi in colpa nei confronti di Austin", spiegai.
"Ma non aveva detto che vi eravate parlati?".
Annuii. "Sì, e lui ha anche ammesso di essere ancora un po' geloso. Ed è per questo che, nonostante mi abbia rassicurato di essere felice e di stare iniziando una nuova relazione, mi sento responsabile della sua tristezza. Insomma, l'ho abbandonato per il mio ex, dopo avere impiegato mesi a riuscire ad aprirmi: non mi sarei sorpresa se mi avesse cacciata a calci nel sedere, anzi, me lo sarei meritato. Invece è stato dolce come sempre, anteponendo di nuovo la mia felicità alla sua".
"È stato un bel gesto", commentò Mr Klant.
"Lo so", sbuffai. "Ma sarebbe stato tutto più facile se si fosse arrabbiato".
"Sarebbe stato più facile perché non avrebbe avuto a che fare con i sensi di colpa?".
Alzai le spalle. "In un certo senso. Ma anche perché credo che avrebbe sofferto di meno".
"Penso che glielo abbia già detto lui stesso, ma deve smetterla di prendersi sulle spalle la colpa di tutto".
"Lo so", borbottai di nuovo. "Eppure non riesco a farne a meno. Ed è per questo che voglio aiutarlo".
"In che modo?".
Sorrisi. "Voglio che sia felice. Che sia con Alex, o un'altra donna, voglio che si tolga dalla mente di avermi amata".
"Un po' improbabile, non crede?".
Scossi la testa. "Io credo che da qualche parte, nel mondo, ci sia la persona giusta per noi. Non sarà mai perfetta, in fondo nemmeno noi stessi lo siamo, ma sarà l'unica in grado di capirti con uno sguardo, proteggerti e amarti per sempre. Lo so che sembra una favola", dissi precedendo le parole di Mr Klant. "Eppure a me è successo, dottore, e lei ne è stato spettatore. Quindi perché non può succedere anche per Austin?".
"Perché è una cosa che non si può controllare, Amanda. Come pensa di fare per trovare la persona adatta a lui?".
Feci una smorfia. Cavolo, non avevo pensato a quel particolare! "Effettivamente è un po' impossibile", mormorai, passandomi una mano tra i capelli. "Però non posso rimanere con le mani in mano. Mi capisce?".
Lui annuì. "Capisco, ma allo stesso tempo mi rendo conto anche che non sarebbe giusto interferire con la sua vita sentimentale, non crede?".
"Non voglio interferire, voglio solo che sia felice".
"E allora gli stia accanto, come amica e lo aiuti a cercare la felicità".
"Ma non soffrirà di più ad avermi vicina ogni momento?", dissi incerta.
"Lasci a lui la scelta", ripose semplicemente.
Io annuii. Volevo con tutto il cuore aiutare Austin ad essere felice, ma Mr Klant aveva ragione: non avre risolto nulla cercando di fare le cose al suo posto. Era lui che doveva cercare la sua anima gemella e innamorarsene, non io. Io dovevo solo rimanegli vicina, come amica, e gioire per le sue conquiste.
In quel momento qualcuno bussò alla porta e, pochi secondi dopo, Adam entrò nell'ufficio di Mr Klant.
"Salve Adam", lo salutò questo.
"Scusate per il disturbo", rispose lui, lanciandomi una veloce occhiata. "Devo solo prendere dei documenti".
"Faccia pure", disse Mr Klant, indicandogli gli scaffali alle sue spalle e ritornando poi a rivolgersi a me. "Allora, dove eravamo rimasti?".
Ma io non lo stavo ascoltando, persa nell'osservare Adam che si era chinato per cercare quello che gli serviva, mettendo in risalto il suo sedere perfetto stretto nei pantaloni eleganti. Mi umettai le labbra, sentendomi avvampare. Era un Dio Greco, vestito in quel modo, e spesso mi chiedevo come fosse possibile per un uomo non avere nemmeno un difetto fisico. Poi mi ricordavo dei suoi mille altri difetti, come il disordine cronico, la schiettezza a volte esagerata e la fissazione per il mio seno e mi rendevo conto che Adam non era affatto perfetto, ma lo era per me. Mentre lo guardavo rapita, incapace di distogliere lo sguardo dal suo corpo, pensai anche che era da quando avevo fatto la prima ecografia che non facevamo l'amore e che mi mancava tantissimo sentirmi stringere da lui e perdermi nel suo profumo.
Adam sfilò alcuni fogli da una cartella e la richiuse, ringraziando Mr Klant che, dopo averlo guardato in silenzio per un attimo, lo invitò a sedersi accanto a me e a farmi compagnia in quei ultimi dieci minuti di seduta.
Lui mi guardò incerto, aspettando una mia risposta e io mi limitai ad alzare le spalle. Non sapevo se era un bene o un male avere Adam presente mentre parlavo con Mr Klant e lasciai a lui l'onere di scegliere per entrambi. Dopo averci pensato un attimo, sospirò e con due grandi falcate si ritrovò davanti alla scrivania del dottore e si sedette sulla poltrona accanto alla mia.
"Di cosa stavamo parlando, Amanda?", ripeté Mr Klant, intrecciando le dita sotto il mento e guardandomi negli occhi.
"Di Austin", ammisi, sapendo che era inutile mentire, oltre che stupido e voltandomi verso Adam per sondare la sua reazione, che si limitò a una stretta di labbra e a un sopracciglio inarcato.
Mr Klant annuì. "Quindi cos'ha deciso di fare?".
Presi un respiro profondo. "Non intralcerò la sua vita", ammisi. "Però gli voglio bene e lo aiuterò se avrà bisogno di me".
"Perfetto. E lei, Adam?", chiese, rivolgendosi al mio ragazzo che lo guardò confuso. "Cosa ne pensa?".
"Riguardo a cosa?".
"Ad Austin", rispose solo il mio dottore, limitandosi a quello invece di rivelare tutta la faccenda, lasciando a me quell'ingrato compito.
"È l'ex della mia fidanzata, cosa dovrei pensare?".
"Gliel'ho fatta io questa domanda".
Adam esitò un attimo. "Sono geloso", ammise, evitando bene di guardarmi in faccia. "Sono geloso marcio perché ha aiutato Amanda quando io non c'ero e se ne è innamorato. Però", aggiunse. "l'ho conosciuto ed è un bravo ragazzo, sul serio".
"Non mi avevi mai detto che eri geloso", sussurrai.
Lui scosse le spalle, afferrandomi una mano. "Non era importante".
"Lo era per me. Vi sto facendo soffrire entrambi, accidenti", sbottai.
Adam alzò gli occhi al cielo. "Smettila di incolparti sempre di tutto, stupida. Io sono l'uomo più felice del mondo, non lo capisci?".
Sospirai. "Ho creato comunque un gran casino".
"Gran casino che vedi solo tu, Amanda. Credimi se ti dico che sono felice, diamine".
"Non c'è bisogno che tu ti arrabbi", sbottai.
"E, come ti ho ripetuto all'infinito, non c'è bisogno che tu ti senta in colpa per ogni cosa".
Sbuffai. "Non lo faccio per hobby, sai?".
"Non l'ho mai detto", esclamò lui.
"Se mi sento in colpa è perché so di avere sbagliato".
"Tutti sbagliano, Amanda. Ma stare male ogni volta non serve a nulla".
"Mi stai dicendo che non ti sei pentito di quello che è successo?", esclamai.
"Ma la pianti di travisare le mie parole?", sbottò arrabbiato. "Le cose stanno così e te lo dico per l'ultima volta: io sono stato malissimo senza di te e per questo sto cercando di rimediare. Ti voglio al mio fianco, dannazione, e non solo perché sei la madre di mio figlio. Il fatto di avere commesso uno sbaglio, però, non mi ha impedito di rimboccarmi le maniche e faticare per riavere quello che volevo. Per questo mi fanno infuriare questi continui piagnistei: hai sbagliato, hai fatto soffrire delle persone? Bene, fai qualcosa per cambiare".
Dopo il suo monologo, quasi urlato, Adam uscì dallo studio a passo di marcia, senza dire nient'altro.
Rielaborai le sue parole e appoggiai la testa sulla scrivania, sbattendo piano la fronte. "Sono una cogliona".




Salve gente!
Finalmente sono riuscita a far partire internet sul computer e ad aggiornare! 
Tornando al capitolo. Non so se mi piaccia o meno. Come sempre, l'idea generale era un po' diversa e mi sono lasciata trascinare dalle parole. Comunque credo -spero- di aver centrato il punto, sottolineato anche dal titolo: Amanda è piena di paure e sensi di colpa, ma deve imparare a lasciarli da parte se vuole vivere serena.
Ringrazio di cuore Ali_13 e Minelli, che come sempre commentano ogni capitolo e anche tutti quelli che leggono in silenzio.
Ne approfitto per farmi un po' di pubblicità: ho pubblicato una one shot romantica, che partecipa al concorso "Ritorno all'infanzia" di Fantasy 1994. Se vi va, dateci un'occhiata -->
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2394510&i=1 E, se vi piace Lovely Complex, ho pubblicato anche una song su Risa e Otani -->
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2394405&i=1 Oggi niente spoiler, mi dispiace, ma non ho ancora finito di scrivere il capitolo, quindi vi lascio con un po' di suspence in più.
Ah, un'ultima cosa: non so se la vostra scuola ve l'ha proposto, ma c'è in ballo un concorso letterario indetto dall'associazione Lettelariamente, in cui bisogna scrivere una storia partendo da un incipit dello scrittore Andrea Vitali. Fateci un salto, se vi va.
A presto
mikchan
  
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