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Autore: R e d_V a m p i r e     19/01/2014    2 recensioni
La schiena del Cacciatore era l'unica cosa che vedeva. Gli era sempre sembrato che quelle spalle ampie, formate dai duri allenamenti e le incessanti battaglie, dovessero sostenere un peso troppo grande per loro. Un po' come Atlante, costretto a tenere su di sè l'incombenza del Cielo per evitare che schiacciasse la terra, Alec si faceva carico dei problemi degli altri e non pensava a se stesso.
Beh, la differenza era che il Nephilim aveva deciso da sè di prendere quel fardello e nessuno l'aveva mai costretto a farlo. Questo rendeva la cosa ancor più odiosa, ai suoi occhi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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»Nowhere




La schiena del Cacciatore era l'unica cosa che vedeva. Gli era sempre sembrato che quelle spalle ampie, formate dai duri allenamenti e le incessanti battaglie, dovessero sostenere un peso troppo grande per loro. Un po' come Atlante, costretto a tenere su di sè l'incombenza del Cielo per evitare che schiacciasse la terra, Alec si faceva carico dei problemi degli altri e non pensava a se stesso.
Beh, la differenza era che il Nephilim aveva deciso da sè di prendere quel fardello e nessuno l'aveva mai costretto a farlo. Questo rendeva la cosa ancor più odiosa, ai suoi occhi.
Aveva cercato di farglielo capire ma si era presto rassegnato all'evidenza che quello fosse parte del suo ragazzo al pari degli incredibili occhi azzurri che lo avevano stregato.
Aveva accettato tante cose di Alec, tutti i suoi pregi così come i difetti, tutte le domande e tutti i problemi e le incertezze. Aveva accettato di aspettarlo, e di consolarlo e tenerlo stretto a sè. Aveva accettato di lottare per lui e per i suoi amici, pur avendo giurato anni prima che non avrebbe mai e poi mai interferito di nuovo con le faccende dei Nephilim.
Eppure non era bastato, perchè davanti ai suoi occhi quella schiena si faceva sempre più piccola, la sua figura sempre più lontana e distante.
Si chiedeva perchè, ma quelle parole non riuscivano a prendere forma che nella sua mente.
Provò a pronunciarle, ma si ritrovò senza voce. Provò a chiamare il suo nome, ma si sorprese ad udire solo un fioco mormorio che stentò a riconoscere come proveniente da se stesso.
Sentiva le gambe pesanti, un'immensa stanchezza. Aveva voglia di correre, raggiungerlo, eppure qualcosa gli sussurrava che non ne valeva la pena. Era una voce crudele, all'orecchio o forse solo nella sua mente.
Non la valeva?
Rimase a guardare il maggiore dei figli dei Lightwood sparire fra la nebbia, sentendo solo il battito del proprio cuore nel petto. E solo in quel momento, solo quando si rese conto che lui non si sarebbe voltato indietro, che non sarebbe tornato, la voce che lo aveva tradito ed abbandonato parve tornare.


«Alec... Alec...»
Il mormorio insistente era arrivato alle orecchie del Cacciatore nel momento in cui aveva varcato la soglia della camera da letto, di ritorno dalla doccia con i capelli corvini ancora umidi e un asciugamano miracolosamente bianco - aveva evitato quello viola a pois - stretto intorno alla vita, l'aria più riposata nonostante non avesse preso sonno che alle prime luci dell'alba.
Doveva essere mezzogiorno, giudicò criticamente guardando fuori dallo spiraglio delle veneziane alla finestra; dettagli che queste fossero di un osceno fuxia e che avessero sostituito da qualche giorno le tende color malva che c'erano prima, apparentemente seguendo le sfumature di quel nuovo colore in tutto l'appartamento secondo l'umore del padrone di casa, probabilmente
Nonostante la camera fosse ancora immersa nella semi oscurità, però, le lame di luce riuscivano comunque a mostrargli uno scorcio del letto (che a chiamarlo così si era gentili, considerato come si trattasse di un materasso gettato per terra) e le variopinte coperte ametista e ciliegia che ricadevano scomposte sulla figura addormentata, segno inconfondibile di una battaglia perpretata fino a non molto tempo prima.
E di certo non a causa sua, valutò criticamente muovendo qualche passo in avanti a piedi nudi sul legno freddo del parquet. Quando si era alzato per andare a darsi una lavata si era premurato di rimboccare le coperte allo stregone, nemmeno fosse una mammina ansiosa come così tante volte l'aveva apostrofato con uno dei suoi ghignetti strafottenti Jace - il pensiero del biondo gli causò una fitta al petto che si costrinse ad ignorare.
Ma non era certo del suo parabatai che si stava preoccupando, al momento.
Lo stregone si agitava nel sonno, i capelli scuri sparpagliati sul cuscino e stranamente privi del solito gel glitterato («Almeno quando andiamo a letto, Magnus! Mi ritrovo anche ad ingoiarli quei dannati brillantini...»), l'espressione sofferente e le sopracciglia corrucciate a distorcere i bei lineamenti orientali. Sembrava un uomo tormentato, in quel momento.
Al Nephilim si strinse il cuore a vederlo così, chiedendosi che razza di incubo stesse affliggendo in quel modo l'uomo che amava. Chissà, magari era a causa dello scontro contro Lilith di qualche settimana prima; anche se lui non si era effettivamente battuto contro la Madre di tutti i Demoni ma solo contro il suo esercito di uomini e donne disperate, Magnus non si era perdonato l'averlo lasciato solo per andare a cercare Camille.
Fu per quel motivo che si chinò, appoggiando un ginocchio sul materasso e posizionando le mani ai lati del corpo del Figlio di Lilith per non cadergli addosso, osservando per qualche istante quel viso amato e poi sfiorandogli la fronte con le labbra, non senza un barlume di imbarazzo dovuto al gesto.


«Alec
Era una sensazione strana e piacevole al contempo. Un calore dolce, un tocco morbido e conosciuto. Le palpebre fremettero, pur senza rivelare quello sguardo felino.
Il nome gli sfuggì come una domanda ed un sospiro dalle labbra, sentendo la morsa del sonno allentarsi e lasciarlo libero di riemergere dall'incoscenza del riposo.
Quando si decise ad aprire gli occhi lo fece lentamente, quasi per abituarsi al buio della camera si sarebbe detto se non avesse avuto quelle iridi da gatto, rimanendo in silenzio a contemplare la figura che lo sovrastava. La prima cosa che vide furono i marchi scuri contro la pelle chiara, e l'ombra impalpabile delle vecchie rune sotto di essi. Ce n'era una che contornava l'ombellico, simile ad un merletto, e che amava seguire con la lingua per strappare sospiri al Cacciatore. Poi fu il turno delle labbra, atteggiate in quello che sembrava indeciso se essere un sorriso o un broncio preoccupato. Il colorito roseo delle guance ed, infine, l'azzurro puro di quegli occhi che lo guardavano con amore e preoccupazione.
Ed era lì, davanti a lui. Incredibilmente bello e reale come non era mai stato - questo pensiero, registrò distrattamente, era probabilmente conseguenza del sogno.
Ma, pur avendolo lì, quella paura irrazionale che aveva percepito sulla pelle e dentro, fino al cuore, non sembrava ancora intenzionata ad andare via.
Le braccia ebbero un fremito, ma si trattenne dal sollevarle per passarle attorno alle spalle del suo ragazzo e stringerselo contro. Quello che non riuscì a fare con le parole.
«Dove stai andando?»


Se la domanda lasciò perplesso il Cacciatore, questi non lo diede a vedere. Avvertiva solamente che ci fosse qualcosa di strano, nello stregone sotto di lui. Qualcosa che gli urlava prepotentemente di doverlo rassicurare come quello aveva, d'altronde, tante volte fatto con lui.
Si chinò di nuovo, appoggiando la fronte contro quella del suo ragazzo questa volta, e appoggiò le labbra su quelle morbide e leggermente socchiuse dal timore dell'attesa dello stregone.
«Da nessuna parte»
E poco importava se quella fosse una mezza bugia, perchè lo aspettavano già da un pezzo all'Istituto per riprendere le ricerche di Jace. Sapeva che era sbagliato e che doveva mettercela tutta per ritrovare il suo parabatai, suo fratello, ma non gli importava. Non in quel momento.
Sarebbe andato dopo, più tardi, quando le braccia di Magnus che lo stringevano forte avrebbero smesso di tremare in quel modo e il suo cuore che sentiva battere furiosamente contro il suo petto avrebbe ripreso i soliti battiti lenti e confortanti a cui era abituato.
«Da nessuna parte», ripetè.


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»L'angolino di Red«

Per prima cosa ci tengo a specificare che questa one short è nata grazie (o per colpa, decidete voi) di questa fantastica fanart http://31.media.tumblr.com/d8b3e55bb8cf6352397793fee0944389/tumblr_mzg6y782eO1qck31zo1_1280.jpg di Cassandra Jean.
Seconda cosa, questa è la prima Malec che scrivo e la prima storia che mi vede approdare su questo fandom. Se ci resterò o meno, lo scopriremo solo vivendo (?).
Terza cosa, il tutto è ambientato post Città degli Angeli Caduti. L'incubo di Magnus lo vedo un po' come premonizione di ciò che accade in Città delle Anime Perdute, anche se ovviamente non ripercorre per filo e per segno ciò che succede. E' solo una paura del Sommo. Detto questo, non sono del tutto convinta di come sia venuta nè dell'IC dei personaggi. Ma oh, quel che è fatto è fatto. Non potevo non scrivere sulla mia coppia preferita.
Quindi... quindi alla prossima. Forse.
   
 
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