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Autore: lightblueTommo    19/01/2014    5 recensioni
La rabbia e la tristezza molte volte portano a compiere azioni le quali nel tempo verranno rimpiante. Perdere l’amore della propria vita ha reso tutto più difficile per Liam, che pur di rimediare all’errore madornale quale ha commesso è disposto a fare qualunque cosa.
Genere: Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liam Payne
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa OS partecipa al concorso redatto dal gruppo Facebook  “EFP - Storie sugli One Direction”
 




MY SON




“I need you like a heart needs a beat.”
-Apologize, One Republic ft Timbaland



 
 
C’eravamo quasi, il momento era arrivato. Io e Valerie avevamo deciso di non conoscere prima del previsto il sesso del bambino, volevamo avere la sorpresa. Le stringevo la mano,  non voleva che la lasciassi. In quel freddo venti dicembre stava nascendo nostro figlio.
Ci siamo Valerie, un’altra spinta e questa creatura verrà alla luce.” Le disse l’ostetrica. Fece come le era stato detto, un’ultima spinta e il bambino nacque. Sentii il suo pianto. Era il suono più bello che fosse mai arrivato alle mie orecchie. Era il suono della voce del mio bambino: era un maschietto.
E’ Jonathan!” esclamai guardandola con gli occhi pieni di lacrime di gioia. Era sorridente la mia Val, era contenta, ma pian piano la stretta della sua mano si affievolì e i suoi occhi si chiusero.
Che succede.” Chiesi secco. Non mi diedero risposta, mi fecero uscire dalla sala. Pensai subito al peggio. Domandai all’infermiera cosa non andasse ma non proferì parola e impassibile chiuse le porte. Ero agitato, le mie gambe non trovavano un attimo di quiete, più guardavo nella direzione della sala più non usciva nessuno, ma ecco che la dottoressa aprì la porta. Si slacciò la mascherina e piano avanzò verso di me. Le corsi incontro nella speranza che si fosse risolto tutto ma la sua espressione face presagire la fine. Scosse la testa abbassando lo sguardo. Le mie gambe cedettero e il mio cuore smise di battere. La mia Val era morta. E con lei era andata via anche una parte di me.
Liam, il bambino sta bene.” Disse poggiando una mano sulla mia spalla.
Non voglio vederlo.” Per colpa sua l’amore della mia vita aveva smesso di vivere. Non avevo intenzione di guardare la causa della sua morte.
Valerie era malata di cuore, sapevamo a cosa saremmo potuti andare incontro ma i medici ci avevano assicurato che sarebbe andato tutto per il verso giusto.
E’ tuo figlio.” Sussurrò con aria spaventata.
Lui l’ha uccisa.” Trattenni a stento le lacrime pur sapendo che da un momento all’altro avrei ceduto. Sarei caduto in balia di quel turbine di emozioni devastanti che mi circondavano. Quello non era mio figlio. Aveva ucciso l’unica persona che io amassi veramente. “Non m’importa di lui.” La dottoressa lasciò uscire un sospiro turbato dopo le mie parole.
Mi sedetti e lasciai scivolare fuori tutte le emozioni che avevo in corpo. Tristezza, frustrazione, rabbia. Non saremmo più potuti essere una coppia, la mia Val non esisteva più.
Sentii le ante della porta alla mia destra aprirsi e da lì uscire un’infermiere con la culla del bambino. Contro la mia volontà la seguii, fino ad arrivare al nido. La guardai dal vetro mentre sistemava la sua culla accanto a quella di due gemelli.
Sei sicuro della tua decisione?” mi chiese la dottoressa arrivando alle mie spalle. “L’adozione è un fatto serio, non si può tornare indietro.” Continuò, intuendo le mie volontà. Non le risposi, rimasi in silenzio a guardare aldilà del vetro. “Vuoi tenerlo tra le braccia almeno una volta?” mi domandò  pacata. Io annuii e insieme entrammo nella sala del nido. Mi portò alla sua culla e con cautela lo adagiò nelle mie braccia. Non seppi descrivere quel momento, tutte le emozioni che stavano popolando la mia mente e il mio corpo. Fu come se mi sentissi felice e triste nello stesso momento. Jonathan permetteva tutto questo? Dopo poco mi girai verso la dottoressa. “Non ce la faccio, non posso tenerlo.” Lo prese in braccio ed io uscii. Lasciai che quelle emozioni uscissero fuori, sottoforma di lacrime. Non potevo. Non avrei potuto, non ce l’avrei fatta. Poco dopo raggiunsi la dottoressa nel suo studio, entrambi ci accomodammo alle nostre rispettive postazioni e lei mi porse un foglio incrociando poi le mani. “E’ per l’adozione, firma qui e il bambino sarà messo in lista.” Le rivolsi uno sguardo privo di emozioni, le avevo terminate tutte. Non mi restava più niente, eppure qualcosa mi frenava dal toccare quella penna. Avrei potuto rifiutarmi, avrei potuto strappare quel foglio in mille pezzi, prendere Jonathan e tornare a casa, ma non lo feci. Firmai.
 
Un paio di giorni dopo celebrammo il funerale di Valerie. Ricevetti le condoglianze da ogni persona che vi partecipò; voltando le spalle per tornare alla macchina sentii due amiche di Val che bisbigliavano: dicevano che lasciare il proprio figlio in ospedale fosse stata la cosa più orribile che un padre avesse potuto fare. Ovviamente la notizia si era già diffusa. In quel momento lo stomaco mi si restrinse. Avevo abbandonato mio figlio. Mi sentii stupido e incosciente, lui era tutto ciò che mi era rimasto di Val e io lo avevo dato via come se fosse stato un giocattolo vecchio. Mi sentii morire. Corsi in macchina e mi diressi nell’immediato verso la clinica.
 
Dottoressa la prego mi deve aiutare.” Feci irruzione nel suo studio. Lei mi rivolse un cenno di assenso e disperato iniziai a parlare. “Ho sbagliato a firmare, la prego strappi quel foglio. Jonathan non deve assolutamente essere adottato, è mio figlio e deve stare con me.” Esclamai tutto d’un fiato. Con estrema calma lei si tolse gli occhiali e prendendomi per una mano mi guardò compassionevole.
Liam, Jonathan è già stato adottato.” Il mio cuore smise di battere, una seconda volta. Non potevo perdere anche lui, no. Fu tutta colpa mia. Dai miei occhi cominciarono ad uscire lacrime come fiumi in piena, e mi accasciai disperato sulla scrivania. “Ma per tua fortuna i genitori adottivi hanno scelto di non rimanere nell’anonimato. Sai cosa vuol dire?” non le diedi ascolto, ma stringendomi la mano mi richiamò all’attenzione. Scossi la testa. “Potrai conoscerli e far parte della vita di Jonathan se lo vorrai.” Qualcuno lassù mi voleva bene. Era Val, ne ero più che convinto. Mi porse un foglio con tutti i dati della famiglia adottiva: Derek e Fanny erano ora i suoi genitori. Insieme a lei digitai il numero che avevano lasciato e premetti il tasto della chiamata. Più squillava e più temevo che non mi avrebbe risposto nessuno, quando finalmente una voce femminile disse ‘pronto’. Esitai all’inizio, ma poi riuscì a dirle tutto quanto, tutto. Desideravo far parte della vita di Jonathan, di mio figlio. Entrambi accettarono questa mia richiesta, contenti che non lo avessi ignorato. Quella loro reazione colmò il mio cuore di gioia, credetti davvero di aver perso anche lui. Avendo ascoltato l’intera conversazione, la dottoressa mi abbracciò, felice del fatto che non avessi rinunciato al bambino.
 
Passarono così diversi anni e anche se come zio Liam, Jonathan mi conosceva. Fui felice di partecipare a tutti i suoi compleanni, era sempre contento di vedermi. C’era una sintonia che ci legava, quella sintonia che riesce a crearsi solo tra padre e figlio, tuttavia non sapeva nulla dell’adozione, per lui Derek e Fanny erano i suoi genitori naturali. Quella sera mi avevano invitato a cena a casa loro, avevo portato un regalo a Jonathan visto che ricorreva il suo dodicesimo compleanno; da tempo diceva di desiderare i biglietti per andare a vedere una partita dei Lakers. Feci i salti mortali per riuscire a trovarli e ne approfittai prendendo i posti a bordo campo. Ero sicuro che ne sarebbe stato felice.
Non dimenticherò mai il momento in cui aprì la busta e li vide: ne rimase entusiasta. Mi abbracciò quasi con le lacrima agli occhi urlando “Grazie mille zio Liam!” poi corse dai suoi genitori per mostrarglieli, felici anche loro del regalo che aveva ricevuto. Derek annuì contento. Li raggiunsi in cucina, mentre il piccolo Jonathan andò nella sua stanza a riporre i biglietti come delle reliquie. “Sei un bravo padre.” Disse Derek  poggiandomi una mano sulla spalla sinistra. Fanny ci chiamò per la cena e in un batter d’occhio ci ritrovammo seduti intorno al tavolo tutti e quattro insieme, come di consuetudine. All’improvviso durante la seconda portata, Jonathan fece un’osservazione che ci lasciò tutti senza parole.
Papà hai notato come io e lo zio Liam ci somigliamo?” quelle parole mi fecero andare il vino di traverso. “Guarda, abbiamo anche la stessa voglia sul collo.” Spostò il colletto della polo verde per indicargliela. Tutti e tre stavamo cercando di non dare nell’occhio ma in realtà ci stava mettendo a dura prova.
E’ fantastico.” Disse Derek portando il tovagliolo alle labbra.
Già.” Esclamò contento Jonathan. Era felice di assomigliare a me, quindi in qualche modo era fiero di me, proprio come io lo ero di lui.
 
Terminammo il resto della cena in silenzio, non sapevamo cosa dire noi, mentre lui probabilmente vagava in chissà quale mondo parallelo con la sua fantasia. Era un bambino veramente speciale il mio Jonathan. Arrivò poi il momento della torta: si posizionò a capotavola e dopo aver espresso un desiderio ad occhi chiusi, soffiò sulle candeline, rimanendo con quel dolce sorriso sulle labbra che lo accompagnava dalla nascita. Aveva lo stesso sorriso di Valerie. Ogni cosa in lui la ricordava, persino i suoi occhi ghiaccio. Verso le 23pm Fanny gli disse di andare a letto, il giorno seguente si sarebbe dovuto svegliare presto per andare a scuola, e noi rimanemmo soli approfittandone per parlare un po’.
Se ne sta accorgendo giorno dopo giorno..” sussurrò Fanny. “Presto lo verrà a sapere.
Non è ancora il momento.” Derek era preoccupato, non glielo avrei mai e poi mai portato via, solo... doveva sapere.
Voglio che sappia. Ho sbagliato nel darlo in adozione, ero frustrato, Valerie era appena morta partorendolo... cosa potevo fare? Ero ancora un ragazzino.
Fanny cercò di calmarmi ma invano, mi alzai dalla sedia portando le mani sul viso.
Io amo Jonathan, è mio figlio.” E lì successe tutto.
Sentimmo un forte sospiro provenire dal retro della porta, l’aprimmo e lo trovammo lì, nascosto ad origliare la nostra discussione. Aveva gli occhi pieni di lacrime e il mento tremolante. Non ci pensò due volte ad aprire la porta di casa e fuggire senza dare alcuna spiegazione. Dannazione, non avrebbe dovuto saperlo in quel modo! Lo seguii ma non appena uscì di casa lo persi di vista. Feci il giro dell’edificio nella speranza che non fosse corso in strada, e fortunatamente lo trovai rannicchiato dietro un albero, con la testa tra le ginocchia cinte dalle braccia, mentre piangeva. Avanzai verso di lui lentamente, incerto se stessi facendo la cosa giusta. “Vattene!” urlò. Era più che comprensibile che non volesse vedermi. “Mi avete raccontato bugie per tutto questo tempo.” Continuò.
Volevamo proteggerti...”sussurrai.
Dalla verità? ...per me sei sempre stato un eroe.” A quelle parole non dissi niente, non fui in grado di pronunciare nulla. Non esistevano parole giuste, semplicemente avevo sbagliato e dovevo pagarne le conseguenze, anche se fossero state quelle peggiori. Anche se Jonathan non mi avesse più voluto vedere.
Mi odiavi?” mi chiese all’improvviso alzando il viso e guardandomi. Mi spiazzò.
Abbassai lo sguardo. “Non ti odiavo, ma credevo fossi il responsabile della morte di tua madre.” Non avevo più intenzione di mentirgli, dovevo raccontargli la verità, ormai era grande e avrebbe compreso ogni cosa. O almeno speravo.
Mi dispiace piccolo...” sussurrai chinando la testa. Una lacrima pian piano cominciò a farsi strada sul mio viso. Guardò dritto davanti a sé, in un secondo momento rivolse a me la sua attenzione. Piano mi avvicinai a lui, sperando che non mi respingesse; mi inginocchiai guardandolo. “Non sono il padre migliore del mondo, e probabilmente nemmeno mi vorrai più vedere, ma Jonathan” feci una pausa lasciando uscire altre lacrime che stavano invadendo i miei occhi. “Posso garantirti che ti amo più della mia stessa vita.” Conclusi, accasciandomi ormai. Mi sentivo uno stupido, dopo la morte di Valerie non ero più lo stesso, mi sarei meritato un rifiuto da parte sua ma invece inaspettatamente mi si avvinghiò al collo piangendo. Istintivamente lo strinsi a me.  
Sei ancora il mio eroe... papà.
Jonathan mi aveva perdonato.
 In quello stesso istante il mio cuore riprese a battere.
Guarda, una stella cadente!” indicò sbalordito.
E’ la mamma che ci sta guardando.” Sorrise asciugando a me le lacrime. “E’ felice ora.” Dissi abbracciandolo nuovamente.
 
Da quell’istante cominciò una nuova vita per me, per noi. Diventammo una vera e propria famiglia, il mio bambino aveva deciso di venire a vivere con me e prendere il mio cognome, certo non dimenticando Derek e Fanny che anche se a malincuore accettarono quella sua decisione, sapevano quanto fosse importante per noi stabilire un vero e proprio legame tra padre e figlio.  Sarei sempre stato grato a loro due, per averlo cresciuto e per essere stati in grado di donargli ciò di cui aveva bisogno.
Eravamo ora  Liam e Jonathan Payne, mio figlio.
 

 
 
 
 
 
 
 
THE END




SALVE!
Per cominciare vorrei ringraziare emotjon  per il bellissimo banner, tutto merito suo c: 
Come avrete letto in alto, questa storia partecipa al concorso di questo gruppo su facebook; 
personalmente mi riterrei abbastanza soddisfatta, credo sia una tematica alquanto contemporanea, l'adozione e ciò che ne consegue. 
Spero di avervi trasmesso qualcosa, e che la storia vi sia piaciuta. 
Mi piacerebbe molto sapere cosa vi ha colpito in particolare, e cosa non vi è piaciuto. 
In pratica questa è la seconda One Shot che scrivo e credo, anzi so di aver bisogno di consigli per migliorare, perciò ogni tipo di critica è ben accetta. 
Grazie mille per aver letto c: 
Baci x


 
                          

 
 
 
  
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