Colle
La prima volta avevano lui 14 anni, lei 13.
Erano saliti a fatica su quell’enorme colle, alle quattro della mattina, per andare alla coppa del mondo. Il colle dell’Ermellino gli era sembrato troppo alto, troppo scivoloso, troppo verde, troppo silenzioso e troppo lontano dal suo letto alla Tana dei Weasley. Quella prima volta lo aveva odiato. Poi, per tre anni non ci aveva più pensato, con la mente non era più tornato a quel colle, a quella mattina, a quel verde e a quel silenzio.
Tre
anni dopo c’era tornato con Ginny. Si frequentavano da un paio di mesi, quando
la signora Weasley, decisa a non lasciarli più di 30 secondi in una stanza da
soli, aveva deciso di interromperli sempre. Allora Ginny lo prese per mano e
maliziosamente lo fece correre al di là del colle. Verso il laghetto naturale.
Anche quella volta lo aveva odiato. Troppo alto, troppo faticoso, lo teneva
lontano dalla sua meta, almeno questa volta aveva Ginny…
Sei mesi dopo quella seconda volta Harry ci portò Ginny di peso, in braccio.
Quella volta aveva amato quei sassi, l’erba. Da lassù si vedeva tutta la
campagna londinese. Avevano corso, quella volta. Tutta la discesa correndo. Lei
era bellissima, la più bella creatura sulla faccia della terra. Queai capelli
rossi che con il vento le si tiravano su, il vestito un po’ troppo largo con le
vecchie stampe a fiori, e quel sorriso. Quel sorriso capace di farlo sorridere,
anche lui, su quel maledetto colle dell’Ermellino. Le si illuminano gli occhi
quando sorride, sempre. Avevano raggiunto il laghetto e sotto il tiglio lei si
era spogliata. Avevano fatto il bagno, ridendo. Il primo bagno insieme. Quei
pesciolini bastardi che si infilavano tra loro, come se fossero stati mandati
dalla signora Weasley. La quarta volta che ci era tornato era da solo, e
nevicava. Sentiva la mancanza di Sirus più che in altri momenti, lei lo aveva
capito, e lo aveva raggiunto. Aveva pianto davanti a lei, su quel maledetto
colle, e aveva sciolto la neve con le sue lacrime. Lei lo aveva riaccompagnato
a casa, davanti al fuoco, e lo aveva baciato per tutta le sera. Sirius avrebbe
approvato. La settimana dopo citornarono con Teddy, per pattinare sul laghetto
ghiacciato. Quanto si erano divertiti. Quella risata, quella favolosa risata,
l’unica cosa contagiosa di cui fa piacere essere contagiati. L’aveva
abbracciata sotto quel capotto gonfio e lucido sui gomiti, mentre Teddy li
tirava per la manica. Giustamente, veniva palesemente ignorato. La volta dopo
fu Ginny a scappare di casa. Per l’anniversario della morte di Fred. Harry le
era corso dietro e l’aveva stretta forte forte. Lei aveva urlato e pianto, ma
forse alla fine stava meglio. Fred avrebbe preferito che la baciasse.
L’influenza di Sirius…
La volta dopo fecero l’amore per la prima volta sotto il tiglio. Emanava un
profumo dolciastro, quello che a Hogwarts ricorda gli esami. Non seppe
resistere. Lei aveva ancora quel vecchio vestito a stampe, e i capelli sciolti.
Il ricordo più dolce di tutta sua vita. Lei sapeva di gelato, e di fragole.
Quel colle gli piaceva sempre di più.
La volta dopo che ci tornarono montarono una corda al tiglio, per prendere la
rincorsa e tuffarsi nel laghetto. E che vi basti maledetti pesci!
Quanto è bella in costume. Non lo aveva mai notato, è bella. Non finta, ma
bella.
Ci tornarono tanto quell’estate. Era diventato il loro posto. Quando a casa
vedevano che uscivano e andavano sul colle e poi sul lago, nessuno osava
seguirli. Solo Teddy, ma dopo un poco capì anche lui.
Il loro magnifico posto segreto.
L’anno dopo fu di nuovo lei a portarcelo. Aveva voglia di urlare e di ballare,
e per puro orgolio personale lo faceva solo con lui. Saltava su un piede, con
un braccio in alto, a tempo di una musica immaginaria. E Harry rideva, rideva
tanto…
Alla sessantesima volta che ci andarono lui le chiese di sposarlo. E lei
accetò. Sorriso incluso.
La sessantunesima volta è stato dopo il viaggio di nozze quando le disse che
era incinta. Con la bacchetta avevano inciso le loro iniziali su quel benedetto
tiglio… non dentro in cuore, che banalità, dentro un boccino enorme. Lo aveva
disegnato lei, sapeva fare a non ferire l’albero. La amava. Ogni volta che si
sedeva su quel tappeto d’erba con lei e le accarezzava il pancione le diceva
che l’amava e lei sorrideva. Il primo bagno di James non fu come quello dei
maghi nomali dentro la gamella della cucina. I suoi genitori lo portarono al
laghetto. E un pesce voleva stargli sul pancino. Ecco perché oggi è così
irritabile. Maledetti bastardi.
Quando
James dormiva loro sgattaiolavano fuori, sul loro colle, sulla loto erba, nella
loro acqua. Si baciavano, si abbracciavano, facevano l’amore, senza curarsi dei
gufi curiosi o dei grilli irruenti. Erano solo loro, e il boccino.
La loro pelle toccava il manto verde e i loro capelli ci si infiltravano. Amava
quel colle, definitivamente.
Quando Ginny, una mattina a colazione gli si avvicinò e gli morse l’orecchio,
facendogli segno di seguirla, lui capì subito. La raggiunse al lago e ancora
prima di augurarle il buon giorno la abbracciò forte. Albus, lo avrebbero
chiamato Albus. La seconda fu una gravidanza difficile. La passò quasi
interamente a letto, lui ogni tanto, faceva la scarpinata e le portava le
margherite del loro laghetto. E lei sorrideva. Cominciò a tenere un album, le
metteva tra le pagine, e ogni tanto lo sfogliava, lo avrebbe fatto sempre. Con
Lily fu tutto più semplice. Glielo chiese Harry. Di punto in bianco. Voleva una
bambina. E la bimba arrivò. Quando impararono a scrivere, uno alla volta
andarono a incidere il loro nome dentro al boccino. Ed è oggi quello che
accarezzo. Lily Luna Potter. Non ci stava tutto in una riga, sono andata un po’
fuori, e ho rovinato la bella simmetria del disegno.
È stato 23 anni fa. Mamma e papà erano usciti per andare al loro tiglio. Lei
aveva il vestito a stampe. Con un cestino per il pic nic. C’era dentro di
tutto, un sacco di cose che piacevano anche a noi, ma erano solo per loro, e
noi lo sapevamo. Nel cesto di vimini c’era anche il suo album, quello della
mamma, con una margherita per ogni giorno della loro vita insieme. Un petalo
per ogni ti amo detto, e steli per ogni sentimento non espresso. Dolci e succo
di zucca. Si sono detti ti amo, perché ce li avevano negli occhi. È andato a
cercarli Teddy.
La mamma aveva rimesso a posto il cesto, ma aveva lasciato
l’album sulla grande coperta. Era aperto, ma le marghrite erano rimaste
attaccate tutte, una a una, su quelle pagine logore e gialle. Come due anime
inseparabili, che si muovono soltanto abbracciate.
C’era scritto James
sul suo album, e Albus, e Lily. Con affetto, mamma e papà. Per
sempre con voi