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Autore: Water_wolf    19/01/2014    13 recensioni
Tutti conoscono Percy Jackson e Annabeth Chase. Tutti sanno chi sono. Ma ancora nessuno sa chi sono Alex Dahl e Astrid Jensen, semidei nordici che passano l'estate a sventrare giganti al Campo Nord.
Che cos'hanno in comune questi ragazzi? Be', nulla, finché il martello di Thor viene rubato e l'ultimo luogo di avvistamento sono gli States.
Chi è stato? No, sbagliato, non Miley Cyrus. Ma sarà quando gli yankees incontreranno il sangue del nord che la nostra storia ha inizio.
Scritta a quattro mani e un koala, cosa riusciranno a combinare due autori non proprio normali?
Non so bene quando mi svegliai, quella mattina: so solo che quel giorno iniziò normale e finì nel casino. || Promemoria: non fare arrabbiare Percy Jackson.
// Percy si diede una sistemata ai capelli e domandò: «E da dove spunta un arcobaleno su cui si può camminare?» Scrollai le spalle. «L’avrà vomitato un unicorno.» «Dolcezza, questo è il Bifrost» mi apostrofò Einar. «Un unicorno non può vomitare Bifrost.»
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Di suicidi e tentati omicidi
♣Annabeth♣

Anche dopo la separazione, la rivelazione dell’orco continuava a pesarmi come la Signora O’Leary sul petto. Einar aveva convinto un tassista ad accompagnarci fino alla Collina Mezzosangue, grazie ai suoi poteri di figlio di Loki, perché Astrid sembrava incapace di reggersi a lungo sulle sue gambe, figuriamoci orientarsi a New York.
Lì, in quel taxi che puzzava d’incenso e con i coprisedili leopardati, la statuina di una ragazza hawaiana che ballava la hula sul cruscotto, l’unico suono presente era quello della radio. Mi stavo morsicando l’interno della guancia, incapace di stare ferma. Ero preoccupata per Sally Jackson, certo, ma non avevo dubbi che Percy sarebbe riuscito a tenerla al sicuro.
Ciò di cui non per niente sicura, era la figlia di Hell. Più pensavo a come poteva aver introdotto il GPS al Campo, più immaginavo a quanti momenti avrebbe potuto sfruttare per farlo. Aveva avuto sufficiente tempo, la prima sera, per studiarci e l’intera notte per andare e tornare dagli orchi con un viaggio d’ombra. Aveva persino un movente: la vendetta per conto di sua madre contro le divinità Norrene e, già che c’era, uno scontro con quelle greche.
Eppure, a guardarla, era così debole e fragile. Ma anche Nico era poco più che un ragazzino, però possedeva un enorme potere, in quanto figlio di Ade. Non ci voleva molto a fingersi qualcun’altra, dato la fama che si portava dietro, e con la scenata della “ragazza sola che ha tanto bisogno d’aiuto” stava piazzando trappole sotto il naso di Alex. Di certo, non aveva avuto bisogno di una mano per baciare Percy.
Se stava tradendo – e non mi era difficile crederlo-, lo stava facendo utilizzando tutti i sotterfugi possibili. Luke, che per primo se n’era andato dal Campo per unirsi a Crono, almeno, non si era mai fatto problemi a dichiarare che non andava pazzo per Ermes. La osservai, mentre impersonava alla perfezione la sua parte di “ragazza confusa cui il mondo sta cadendo addosso”.
Per un attimo, mi sembrò di sentire il presentatore, alla radio, annunciare: «E l’Oscar per la miglior recitazione va a… Astrid Jensen! Signori radioascoltatori, un caloroso applauso!»
C’era una parte della mia mente che mi spingeva a eliminarla, radendola al suolo nel momento di maggiore debolezza e smascherandola. Avrei fatto un favore a tutti, rendendomi conto del pericolo che incarnava.
«Sai che c’è, Astrid?» feci, con aria annoiata. «Volevamo informazioni, e ne abbiamo ricevute in abbondanza.»
Mi lanciò un’occhiataccia, sospirò e tornò a guardare fuori dal finestrino. Einar continuava a farsi i fatti suoi, anche se, dalla tensione delle sue spalle, intuii che stava aspettando una risposta.
«Tuo padre è stato sibillino, Einar» continuai. «E, nonostante la puzza, gli orchi si sono rivelati utili. Abbiamo la testa del traditore su un piatto d’argento. Anzi» mi corressi, dando enfasi alla frase che seguiva, «la traditrice
Notai come Astrid si tese a quell’ultima sentenza. Sentii un piacere maligno invadermi il petto.
«Sai che c’è, Einar?» mi fece il verso, rivolgendosi al compagno, che stava in mezzo a noi due. «Non posso più venire a vedere le stelle con te, domani sera. Percy mi ha detto che vuole approfondire l’esperienza di oggi.»
Avvertii un forte calore al collo, ma mi costrinsi a ignorare la provocazione gratuita. Una figlia di Atena non avrebbe mai abboccato a quei trucchi.
«Forse non te l’ho ancora detto, ma era entusiasta di provare quella cosa ancora. Mi ha confidato che non aveva ancora trovato una ragazza che valesse la pena baciare seriamente.» Alzò le spalle. «Dopotutto, basta vedere la compagnia che si porta dietro…» Lasciò la frase in sospeso.
«Uhm, non sembrava di questo parere, quando l’ho baciato» replicai, stancamente, mentre un incendio stava bruciando dentro di me.
«Oh, allora la storia del vulcano esploso dopo che avete limonato è vera» si intromise Einar.
Astrid fece una risata amara e palesemente finta. «Dubitavi?» chiese tra le risa. «Anche io avrei tentato il suicidio, al posto suo!»
«Come no» ribattei, acida. «Stava esplodendo dalla felicità.»
Nella testa, rimbombò la voce di mia madre che mi rimbrottava: «Che stai facendo, Annabeth? È questo che chiami “ragionare”?»
La immaginai scuotere il capo, infinitamente delusa. Per una volta, non badai alla sua opinione, e mi lasciai trascinare dell’istinto che mi sussurrava suadente di alleggerire il collo di Astrid dal peso della sua testa. Adottai la nuova strategia “colpisci e affonda”.
«Se vogliamo parlare di cose che esplodono» riprese la figlia di Hell, «tutte le cazzate che escono dalla tua bocca mi stanno facendo scoppiare il cervello.»
«Una povera perdita» commentai. «Stai certa che sopravvivrai anche senza, riprodursi è uno dei bisogni primari, ti serve solo qualche neurone funzionante.»
Avrebbe ribattuto di sicuro, se il taxi non avesse inchiodato all’improvviso, fermandosi ai piedi della collina. Scendemmo dall’automobile, attendendo che Einar ingannasse il guidatore sul prezzo di quella corsa. Piantai i piedi nel terreno e risalii il lieve pendio a grandi falcate, marciando furiosa. Non avrei dovuto farmi dominare dalla rabbia in quel modo, ma era una sensazione così nuova e profonda che non riuscivo a rifiutare, soprattutto se a provocarla era Astrid.
Vidi Talia corrermi incontro e, quando contò il nostro numero, si preoccupò immediatamente. Le spiegai ciò che avevamo scoperto, senza tralasciare alcun particolare. Alla notizia della figlia di Hell, la mia amica impallidì per un secondo, prima di riprendere il colorito naturale.
«Tu la credi capace di farlo?» le domandai in un sussurro.
I suoi occhi elettrici si adombrarono.
«Sono stata un pino per anni, Annabeth. Tutto è possibile, anche questo.»
«Vai ad avvisare Chirone, intanto io cerco questa Runa GPS.»
«Okay» acconsentì, tagliando per la Casa Grande.
La osservai allontanarsi, poi mi voltai verso i due norreni, soffermandomi su Astrid.
«Se qualcuno ci vuole illuminare, risparmiandoci un po’ di fatica, gliene sarei grata» esordii.
«Se vuoi luce, comprati una lampada» borbottò la ragazza, dando un calcio ad un sasso.
Le rivolsi un sorriso glaciale.
«Partiamo dalle Cabine» decisi, per poi girarmi nuovamente.
I figli di Ermes, per la maggior parte fuori dalla casa, ci accolsero senza troppi problemi. C’erano maree di oggetti sparsi, cuccette sfatte e coperte che cadevano dai letti a castello come ragnatele. Qualcuno si scusò per il disordine, ma non sembrava molto convinto. Mi misi a frugare in giro, e i ricordi mi colpirono a tradimento.
Quando Luke era il capogruppo e manteneva i fratelli in riga, per quanto possibile; le magliette arancioni del Campo sporche abbandonate sul materasso; le foto di quando eravamo piccoli attaccate alla parete. Il mio cuore si strinse in una morsa dolorosa, mentre la sua mancanza mi trafiggeva impietosa. Mi accorsi di stare ferma innanzi a quello che era il suo letto da troppo tempo, così mi riscossi e mi riportai indietro i capelli.
Ce la potevo fare, ce la dovevo fare. Ero abbastanza forte per affrontare i ricordi, ma cercare in quel modo, permettere ad Astrid di entrare nella Cabina di Luke, mi appariva come un tradimento nei suoi confronti. Ispezionai in fretta, impaziente di cambiare aria. Quando uscimmo, potei respirare più tranquillamente. Connor e Travis ci accompagnarono, sostenendo che chi, meglio del dio dei ladri, conosceva i nascondigli perfetti?
Le Case ci aprirono la porta più o meno volentieri, ma non potevano impedirci di entrare, sapendo che Chirone non avrebbe approvato il loro comportamento. Talia e tre delle sue Cacciatrici si unirono a noi, terminata l’ispezione infruttuosa tra i figli di Apollo. All’appello, mancava solo Ares e Poseidone. Evitando accortamente il filo spinato e le varie mine poste a difesa della prima, bussai un paio di volte.
Mi aprì Clarisse in persona, i capelli castani raccolti in una coda. Si appoggiò allo stipite, fermando la porta con un piede, impedendomi di entrare. Cercai di aggirarla, invano.
«Clarisse» la richiamai, il tono controllato ma inflessibile.
«Sì, è il mio nome» si schermì lei, scoccando un’occhiataccia a Talia, quando mi si affiancò.
«C’è un’ispezione in corso, non puoi sbatterci la porta in faccia.»
Alzò un sopracciglio.
«Per quale motivo?» domandò, presa in contropiede.
Le raccontai brevemente quello che stava accadendo, senza giri di parole o frasi circospette. Non era il momento per prendere il suo carattere con le pinze. La ragazza si piazzò davanti a me, staccandosi dallo stipite, formando un muro umano.
«Oh, quindi la piccoletta è una traditrice» constatò.
Fischiò, e due suoi fratelli la spalleggiarono all’istante.
«Sarà una coincidenza, però ne passano spesso sul tuo cammino, Annabeth.»
«Non azzardarti» ringhiai, assottigliando lo sguardo.
I sentimenti che provavo per Luke emersero prepotenti, facendomi raddrizzare le spalle e controllare che il pugnale fosse legato al mio fianco. Talia mi strinse la spalla, non abbastanza forte per farmi male, ma in modo da impedirmi di fare alcunché.
«Fai spazio, Clarisse. Non vogliamo risse» intimò, asciutta.
«Nessuna traditrice violerà il terreno di Ares» replicò lei, supportata dai compagni, che si affacciavano sempre più numerosi alle sue spalle.
«Va bene, lei resta fuori» acconsentii, e Astrid annuì in segno di approvazione, già allontanandosi.
Feci per entrare, ma Clarisse me lo impedì. Le scoccai un’occhiata di traverso. Che cos’aveva in mente?
«Nemmeno chi sta con la figlia di Hell, entra. Siete stati stupidi a fidarvi di loro e non di noi, quindi, per voi, la nostra Cabina è off limits
«Chirone non ne sarà contento» ricordò Talia.
«Chirone non è mio padre, non può impedirmi di fare ciò che voglio» replicò.
Cercai una soluzione diplomatica, che faticai a trovare.
«Basta una persona che supervisioni l’ispezione. Di chi ti fidi? Chi vuoi che entri? » domandai.
La ragazza ci rifletté su, scrutando il gruppo che mi seguiva. Poi, si udì un trambusto improvviso provenire dall’interno e alcune grida di protesta o allarme. Clarisse si scostò quel che bastava per permettere a me e Talia di vedere, mentre un ruggito le usciva dal profondo della gola. Mi venne un infarto, ma il mio cuore riprese presto a pompare sangue, che mi fece pulsare una vena sulla fronte per la rabbia.
Sul viso di Talia si dipinse un sorrisetto divertito, accantonando lo sconcerto o il timore di ciò che quell’azione poteva provocare. Mi domandai quale impulso celebrare avesse fatto venire in mente ad Astrid di infilarsi nella Casa tramite un viaggio d’ombra, proprio quando la diplomazia stava vincendo.
C’erano troppi dèi della guerra tra i norreni e troppi pochi della sapienza.
 
♦Astrid♦
 
Ben presto, si scatenò il caos. Essere l’artefice di un tale casino mi faceva ribollire il sangue nelle vene, mentre sgusciavo dietro ai figli di Ares nella Cabina e li coglievo alle spalle, di sorpresa. Stringevo loro il collo nell’angolo formato dal gomito finché non perdevano i sensi, incapaci di inalare abbastanza aria.
Nessuno aveva tirato fuori le armi, ad eccezione dell’egida di Talia, la quale la usava come scudo antisommossa. Intercettai uno sguardo a mio indirizzo, poi mi fece l’occhiolino. Ricambiai con un sorriso, consapevole che Annabeth non sarebbe mai stata dalla mia parte, dopo quello che avevo fatto. Non credevo molto nelle soluzioni diplomatiche, soprattutto se venivano proposte a un manipolo di figli consacrati alla guerra.
Poi, non c’era niente di meglio di un po’ di azione per distrarmi dai miei pensieri. Sentii un grido battagliero contro di me e, prima che un ragazzo bruno mi colpisse in pieno con un pugno, mi lasciai ricadere con la schiena su un letto.
Rotolai sul materasso, evitando l’attacco successivo, e bloccai a mezz’aria il sinistro successivo. Il figlio di Ares impresse così tanta forza nell’attacco che sentii il muscolo del braccio cedere. Prima che mollassi, mi diedi un colpo di reni, in modo tale da potergli sferrare un calcio alla gola. Il ragazzo si strinse il collo con un rantolo strozzato, crollando a terra.
Mi rimisi in piedi, alzando le braccia a protezione del petto, come un pugile. Solo che l’attacco arrivò lateralmente, troppo veloce perché potessi scansarmi. Dal fianco sinistro si sprigionò un dolore improvviso, che mi fece barcollare.
Anche volendo, non avrei potuto cadere, perché delle braccia robuste mi afferrarono il busto e mi sollevarono di peso, incornandomi come un toro fa col torero. Voltai la testa indietro, osservando con disperazione la soglia della porta farsi sempre più vicina.
Pronta per il volo, Astrid?, mi domandai, sarcastica.
Fui scaraventata fuori e l’aria mi colpì forte la schiena, congelando il sudore e ghiacciandomi la maglietta sulla pelle. Finii tra le braccia di Connor Stoll, il quale barcollò all’indietro e, quando notò che non riusciva a reggermi, mi fece cadere a terra con un tonfo. Il mio coccige protestò, mentre Einar ridacchiava. I figli di
Ares si riorganizzarono, buttarono fuori Talia e Annabeth e Clarisse si mise a protezione della porta. Espirava e inspira velocissima, un livido color porpora sullo zigomo. Così, sembrava il triplo più grossa del normale, come un enorme bue incavolato.
«Non-mettete-piede-in-questa-casa» sillabò, furiosa. «Chiaro?» ringhiò, e alzò il labbro, come un pittbull prima di attaccare.
Non mi sarei stupita se avesse iniziato ad abbaiare e latrare ordini.
Annabeth alzò le mani in segno di resa, voltò le spalle e si allontanò spedita. Mi stavo rialzando, quando lei mi afferrò il braccio e mi trascinò verso la Cabina 3. Stringeva talmente forte che il sangue non poteva circolare, e probabilmente le cellule del mio avambraccio sarebbero morte. Non mi opposi, preparandomi psicologicamente alla ramanzina coi fiocchi che mi avrebbe fatto.
Be’, almeno, ora, aveva un motivo per avercela con me. Talia ci seguì, cercando di stare al passo, e richiuse la porta della Casa di Poseidone. Potei osservare per qualche secondo una montagnetta di calzini sporchi di Percy, prima che Annabeth mi incollasse al muro e mi trapanasse il petto con il suo indice.
«Tu sei completamente fuori» sentenziò, e notai che stava per perdere le staffe. «Grazie alla tua grande idea, ora tutti i figli di Ares ci odiano. E cos’abbiamo concluso? Assolutamente nulla!»
Talia si schiarì la voce, tentando di mitigare la sfuriata della sua amica, che non la considerò minimamente.
«Siete in guerra, no? Considerala un’esercitazione militare live» dissi, rivolgendole un sorriso che sapevo essere odioso.
Annabeth era sul punto di usare il suo pugno come pestacarne sulla mia faccia, facendola diventare un  hamburger. Intanto, il suo dito mi stava incidendo un solco nella pelle. Sbuffò sonoramente, rinunciando ai suoi progetti assassini.
«Va bene, non pretendo che col poco sale in zucca che ti ritrovi tu possa capire. Basta che te ne stai qui, ferma e zitta, mentre noi controlliamo la stanza. Tu capire me?» scimmiottò.
Le rivolsi un insulto in norvegese. Se l’inglese era lingua adatta per comunicare con il mondo, erano in pochi a conoscere la mia. Storse il naso, prendendo le mie parole come un “sì”. Talia alzò le spalle, dispiaciuta per quella situazione e, allo stesso tempo, sollevata che Annabeth non mi avesse affondato il suo pugnale tra gli occhi.
Mi misi a canticchiare American Idiot, facendola sorridere, mentre la bionda si sforzava di non guardarmi in faccia. Con quel sottofondo improvvisato, le due ragazze frugarono tra gli oggetti di Percy. Alla fine, la figlia di Zeus affrontò la montagnetta di calzini puzzolenti, scostandoli con le scarpe. Ne rotolò fuori uno rosa fluo, che tintinnò sul pavimento.
Pensai che si trattasse di parte del guardaroba delle figlie di Afrodite, magari si era impigliata una cavigliera, ma quando Talia lo raccolse – trattandolo come se fosse una barra di uranio-, riconobbi la forma di una runa. La ragazza gettò via il calzino rosa, avvicinandosi a me.
Presi in mano la runa, rigirandomela tra le dita, leggendo una minuscola incisione che riportava l’appartenenza a Thor. Corrucciai la fronte.
«E il martello?»
«Li avranno separati, così che pensassimo che il ladro fosse tra i semidei del Campo» intuì Annabeth, già lavorando a possibili teorie cospiratorie. «È possibile capire dove si trovi, partendo dal GPS?»
«Mmm. Forse Alex potrebbe riuscirci, ma io non sono pratica di rune» risposi.
La bionda mi regalò un’occhiata che voleva dire “già, sei pratica solo di darmi fastidio”. Uscimmo dalla Casa di Poseidone, dirette da Chirone, quando un ruggito potente scosse l’aria tranquilla. Non ci fu bisogno di consulte, perché corremmo tutte e tre in quella direzione. Versi animaleschi, tonfi e vari schiocchi di mascelle animavano la Collina Mezzosangue.
Ne scoprimmo presto il motivo. Vesa – la viverna di Alex- stava giocando con il drago che si trovava a difesa di un pino, cui era appeso un lungo vello dorato. Immaginai si scambiassero saluti affettuosi, che avrebbero trasformato il terreno in una forma di groviera, dato che l’impatto era simile a quello di una meteora.
Mi domandai cosa ci facesse Vesa lì. Era venuta dal Campo Nord solo per stare col suo amato compagno?
Percy, Nico e Alex comparvero poco dopo, stanchi ma sorridenti, così da spiegarci la situazione. Talia guardava con aria inorridita la viverna, come se potesse azzannarla da qualunque momento. Attirato dal rumore, arrivò Chirone al trotto, il manto bianco lucente.
Ci condusse alla Casa Grande, dove discutemmo della questione della runa GPS. Mentre ne parlavo, guardavo i miei piedi, incapace di affrontare gli occhi di chi mi guardava. Sapevo cosa vi avrei letto: diffidenza, odio e rifiuto; il Cocktail D, perfetto quando avevi bisogno di sentirti amata come una zanzara d’estate. Un po’ di depressione era proprio quello che mi serviva.
Consegnai la runa ad Alex, cosicché potesse interpretarne i segni. La sua mano si strinse sulla mia, provocandomi una scossa, ma durò così poco che pensai di essermelo immaginato. Era assurdo come il mio desiderio d’indipendenza premesse per uscire, quando un’accusa mi buttava giù in quel modo.
Non mi consideravo forse forte, determinata e risoluta? Non erano queste le virtù che mi avevano permesso di sopravvivere in quegli anni? Mi resi conto, però, che non c’era nulla di eroico nel sopravvivere, dato che non era abbastanza per considerarsi una vita vera.
Mi serviva una roccia a cui aggrapparmi, ma sapevo che l’unica su cui potevo fare affidamento ero io stessa. Non avrei trascinato nessuno nel mio mondo, mi sarei opposta con tutte il mio essere purché qualcun altro non sperimentasse la mia vita.
Alex emise un brontolio di disappunto, al mio fianco.
«Mjiolnir non è qui» dichiarò.
«E dove, allora? Non può essere tanto lontano, il GPS è qui» osservò Percy.
Avevo un brutto presentimento, decisamente poco carino.
«In Norvegia» lo contraddisse Alex. «Nell’Hellheim.»
Desiderai urlare. Mi alzai, sbuffando.
«Scusate, ho bisogno di una boccata d’aria» mi congedai, racimolando la calma rimasta.
«Così puoi dire a tua madre che il suo piano per metterci in scacco tutti sta funzionando?»
Mi voltai verso Annabeth così in fretta che i miei capelli compirono un arco. La fissai, desiderando ardentemente che dell’acido piovesse dal cielo e la dissolvesse. Le avrei riversato addosso una badilata di insulti, ma non le avrei dato la soddisfazione di avermi battuta. Così, alzai il mento e me ne andai.
Dietro di me, sentii la voce di Alex dire: «Potresti smetterla con queste domande? Astrid non c’entra nulla.»
Sbattei la porta, camminando verso il bosco. L’aria fresca mi aiutò a calmarmi, rilassandomi i muscoli. Trovai una zona appartata poco lontano, dove gli alberi regnavano sovrani. Allora, sfogai la mia rabbia contro un pino: ne scalfii la corteccia a furia di calci e, quando questo non mi bastò più, passai ai pugni.
Le nocche mi facevano un male immenso, ma non mi fermai finché da un taglio non incominciò a sgorgare sangue. Mi lasciai ricadere tra le radici del sempreverde, nascondendo la testa tra le ginocchia, come uno struzzo. Sentii le lacrime salirmi agli occhi.
Non piangere, stupida, mi ordinai, asciugandomi gli occhi furiosamente. Una striscia di sangue si disegnò sul mio volto. Sei una guerriera e le guerriere non piangono.
Tracciai con le dita la parola sul terreno, autoconvincendomi di quel fatto. Nessuno mi aveva detto che sarebbe stato facile, ma nessuno mi aveva detto che sarebbe stato così difficile.
Il martello di Thor era nell’Hellheim, l’orco aveva parlato di una figlia di Hell, che motivi c’erano per fidarsi di me? Perché qualcuno si sarebbe dovuto dimenticare di quelle prove, per credere alla mia parola? In questo, Annabeth aveva ragione.
«Astrid.»
Mi riscossi e levai lievemente il capo. Tutto ciò che mi premeva dire, era: «Non sto piangendo. Non pensarlo nemmeno.»
Alex si accovacciò accanto a me, gli occhi puntati verso il cielo; il giorno stava lasciando lentamente il passo alla notte. Rimanemmo così per un po’, finché non si accorse della scritta “guerriera” sul terreno e di come ero riuscita a ferirmi combattendo con un albero.
«Questo povero pino non ti aveva fatto nulla» esordì, mantenendo un tono allegro.
«Agli orsi non importa, ci si strusciano contro comunque» ribattei, spenta.
Rise. «Tu non sei un orso, sei una guerriera.»
Alzai lo sguardo, sentendomi colpita intimamente.
«Non prendermi in giro» sibilai, stringendomi al petto le ginocchia.
«No, è vero» si difese. «Sei venuta con me, in questa impresa, perché sei una mia guerriera, e io il tuo comandante. E sappi che, qualunque nuova informazione riceveremo, chiunque mi dica che tu sei colpevole, io sarò dalla tua parte.»
Mi si strinse lo stomaco in una morsa dolorosa, annodandosi su se stesso. Deglutii a fatica.
«Sempre?»
«Sempre» confermò Alex.
Guerriera. Sei una guerriera. Non azzardarti a piangere.
Il ragazzo si alzò, spazzolandosi il terriccio dai pantaloni, e mi porse una mano. La osservai, scettica.
«Forza, si parte. Percy, Nico e Annabeth stanno già preparando la loro roba.»
«Nico… Percy e… Annabeth?» ripetei, incredula.
«Esatto» fece lui. «Aggiungeranno un’altra avventura alla loro lista.»
Accettai la mano, e Alex mi tirò su. Recuperai un po’ di compostezza. «Viene anche la musona. Meraviglioso.»
«Dovete per forza odiarvi?» chiese, affiancandosi a me, mentre uscivamo dalla foresta.
«Io non la odio» risposi. «La amo diversamente» lo corressi.
Alex annuì più volte. «Certo, come no. La ami diversamente.»
Mi venne da ridere. La mia affermazione non aveva né capo né coda. Mi lasciai andare, seguita a ruota da Alex. I suoi ricci neri catturarono la luce, dandogli i riflessi dell’ossidiana: verde, argento, violetto.
Mi sarei dovuta sorbire Annabeth, le accuse e tanto altro, ma c’era qualcuno che sarebbe stato con me, e questo mi bastava.
 
 
«No. No, no, no, no. Non ci salgo.»
«È solo Vesa, è molto meglio dell’aereo» cercò di convincermi Alex. La viverna emise un verso compiaciuto al complimento.
«Non ha neanche la cintura di sicurezza» replicai. «Mi rifiuto di salirle in groppa.»
Vesa soffiò, e io le feci una linguaccia, ma tremai quando mi rispose con un ringhio. Indietreggiai.
«Preferisci i cavalli?» fece Alex.
«Pegasi» lo corresse Percy, dando una manciata di zollette di zucchero al suo stallone, Blackjack.
Lo osservai, trovandolo il mezzo di trasporto bio più spaventoso al mondo. Niente pegasi.
«No» ammisi.
Einar interruppe il dramma della mia scelta, domandando ai due greci: «Ci si monta senza sella?»
«Come no» lo prese in giro Annabeth.
Il figlio di Loki fece una smorfia, provando a salire sul pegaso. «Un ottimo modo per sverginarsi, direi.»
Ero troppo tesa per ridere. Supplicai Alex con lo sguardo.
«Vuoi che ti ci metta su io?» chiese, sospirando.
Desiderai avere affianco qualcuno che comprendesse la mia paura. Alla fine, recuperai la mia dignità e mi avvicinai a Vesa. Le sue squame luccicavano, formando sfumature sensazionali, impossibili da riprodurre con le tempere.
Alex montò su di lei agilmente, sfruttando la zampa anteriore, e mi aiutò a salire. Chiusi gli occhi e regolarizzai il respiro. Non potevo essere talmente spaventata, non ero così in alto!
Il ragazzo assicurò per bene gli zaini a Vesa, in modo che non cadessero, e io mi strinsi nel giaccone da aviatore. Salendo di quota, la temperatura si sarebbe abbassata, ed era quasi l’ora del tramonto. Controllammo che ci fossero tutti, nessuno mancava all’appello.
«Seguite me» ordinò Alex.
Spronò Vesa, che tese i muscoli, pronti a scattare come una molla, e si lanciò in cielo dopo una breve rincorsa. Avvertii nitidamente lo strappo allo stomaco, che si rivoltò, e ogni battito d’ala era una fitta. Mi azzardai a guardare in basso, dove numerosi semidei ci salutavano da terra, fischiando, gridando e alzando le mani.
Mi venne un capogiro, distolsi lo sguardo e mi aggrappai come un micino spaventato ad Alex. Vesa virò all’improvviso, catturando una corrente d’aria, e io gridai. Mi era sembrato di essere sul punto di cadere e, se fosse accaduto, mi sarei spiaccicata a terra sicuramente.
«Come mai tutta questa paura di volare?» mi chiese Alex, alzando la voce per farsi sentire al di sopra del vento.
«A ognuno la propria paura» mi schermii.
«Dovranno pur scrivere qualcosa, sul referto della mia morte, quando mi ucciderai stringendo così forte» incalzò.
Arrossii ci colpo, e fui grata che fosse di spalle.
«Ehm… scusa.» Allentai la presa, sentendomi scivolare all’indietro. «Riesci a respirare?»
«Grazie.»
Il vento occupò il vuoto nella conversazione per qualche minuto, prima che Alex riprendesse: «Davvero, sarebbe utile scoprire il perché delle vertigini, ti aiuterebbe a sconfiggerle.»
«Tutto ciò che mi aiuterebbe a sconfiggerle sarebbe la terra sotto le mie scarpe» brontolai. Sospirai, e il mio fiato si perse tra l’aria.
«Forse» riflettei ad alta volte, «è per colpa dell’attacco del gigante di ghiaccio, prima che arrivassi al Campo. La sensazione di vuoto sotto i piedi, precipitare per qualche secondo, il fiato che si mozza… e l’impatto duro con l’acqua.»
Mi accorsi che, rievocando il ricordo, le mie mani avevano iniziato a tremare leggermente.
«Un buon punto di partenza» considerò Alex. Immaginai un sorriso sulle sue labbra. «Credo di sapere come distruggere questa paura.»
Prima che potessi dire alcunché, Vesa si inclinò pericolosamente in avanti. Avvicinò le ali al corpo, assumendo un assetto aereodinamico, e precipitò verso il basso. Spalancai gli occhi, aggrappandomi ad Alex anche con le unghie.
I miei capelli erano sprazzi corvini nel vento e, quando mi ripresi dallo spavento iniziale e mi resi conto che Alex aveva intenzione di suicidarsi, strillai. Urlai con quanto fiato avevo in corpo, la voce che tremava forse più del mio corpo. L’acqua scura e profonda dell’oceano comparve sotto uno strato di nuvole.
Ti prego, supplicai, non in acqua. Sono troppo giovane per morire.
Ma un mezzosangue non è mai troppo giovane per morire, né troppo stupido per suicidarsi, sfidando il proverbio: “cadere dall’alto in acqua è come cadere sul cemento”.
La superficie liquida si avvicinava sempre più, e il mio cuore aveva trovato una sistemazione più comoda in gola. A neanche un metro di distanza, Vesa spalancò le ali, facendole gonfiare come un paracadute, e cullò la caduta. Passò rasente all’acqua, sprigionando spuma quando le sue squame infrangevano l’oceano.
«Astrid, guarda!» esclamò Alex, indicando il cielo.
Il Sole si stava tuffando in mare, assumendo tinte arancio scuro e viola, sfumate di rosso. Rifletteva la sua immagine sull’acqua, che la riproduceva, estendendola di parecchio. La mia bocca si spalancò per la meraviglia e, all’improvviso, non feci più caso all’oceano sotto di me, al fatto che ero in equilibrio precario su una viverna o che ero appena scampata alla morte.
Vesa si alzò un po’, sfruttando una corrente, e sfrecciò velocemente in avanti. Ma non avevo più paura. Staccai le braccia dal corpo di Alex e le alzai al cielo, godendo di quei raggi del sole. Una risata trovò la via tra le mie labbra. Sorrisi, lanciando un urletto di gioia. La viverna ci riportò su, dove la visuale del tramonto era quasi più spettacolare.
«Che figata!» esclamai, incapace di contenermi.
Sentii Alex ridere contro il mio petto. «Non avevi paura, scusa?» fece lui, conoscendo già la risposta.
«Non più!» esultai. Mi strinsi a lui, sistemandomi meglio su Vesa. Poi, gli tirai un pugno.
«Ahia!» si lamentò lui. «Perché?»
«Perché mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo ci volessi uccidere entrambi!»
Scoppiammo a ridere quasi all’unisono. Con un dipinto davanti agli occhi, aria condizionata gratis e piena di gioia, mi feci un appunto mentale: per quanto il giorno potesse essere duro e faticoso, alla fine, ci sarebbe stata una sera capace di renderti felice. Sempre.

 
koala's corner.
Allora, c'è tanto da dire su questo capitolo, quindi meglio cominciare.
Partiamo dalla canzone, "American Idiot", dei Green Day, che dovete ascoltare, okay? Okay. Capirete perché l'ho scelta u.u Annabeth e Astrid si prendono a pesci in faccia, e io mi sono divertita troppo a scrivere quella parte hahah
Io a leggerla, invece hahah
Anyway, c'è mooooolta Alrid. Mi scuso se vi ho fatto venire il diabete >w< C'è anche un po' di Lukabeth perché, essendo la storia ambientata tra il 4° e 5° libro, Annabeth non sa bene cosa prova per Luke. Mi sembrava giusto inserirla, nonostante ami la Percabeth *-*
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate dirci cosa ne pensate, un abbraccio e tanto frumento!

 
  
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