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Autore: Saerith    04/06/2008    7 recensioni
Sanae sta cercando di dimenticare Tsubasa, ma sarà poi così facile? E che cosa succederebbe se si ritrovasse di fronte il suo unico grande amore? Intanto la famiglia Hiyuga si ritroverà riunita dopo tanti anni. Incontri e separazioni che aiuteranno i cuori dei nostri amici a sbocciare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 25

Un grido dal cuore

Il corridoio sembrava interminabile, come un tunnel di cui non poteva vedere l’uscita. Il ronzio nelle sue orecchie gli permetteva solo di sentire il proprio cuore battere al ritmo dell’angoscia e i tonfi che le sue falcate provocavano sul pavimento di linoleum. Gli sguardi affranti di Yayoi e Sanae che attendevano in corridoio, gli confermarono di essere giunto a destinazione.

Le due ragazze lo videro prendere un lungo respiro prima di entrare nella stanza di ospedale. Si mosse lentamente come se dietro la porta fosse ad attenderlo una bestia feroce, ma quando nella penombra riuscì a distinguere il profilo della ragazza sdraiata sul letto, un dolore più acuto di quanto potesse provare gli artigliò il cuore.

Intontito da quella dura emozione, si avvicinò lentamente al capezzale. Il tubo soffiava aria nei polmoni immobili, producendo un rumore agghiacciante, cui si accompagnava il suono metallico e ripetitivo dell’elettroencefalogramma. Hikaru alzò lo sguardo timoroso ad incontrare il volto cereo della sua ragazza, fasciato dalle bende e deturpato dai graffi provocati dal colpo sull’asfalto della strada. Sembrava che la vita stesse meditando di abbandonare il suo corpo e il ragazzo crollò disperato ad abbracciarla per evitare che la morte se la portasse via.

- Yoshiko, amore mio, che ti è successo…- esclamò in un grido soffocato e si accasciò su di lei scosso dalle lacrime.

Sbatté un pugno sull’ampio guanciale, irato contro il destino che aveva ridotto la sua ragazza in quello stato. C’era sempre qualcosa che voleva portargliela via: prima il trasferimento negli Stati Uniti ed ora quel brutto incidente. Sapeva che era irrazionale, ma odiava l’autista che l’aveva investita e se lei fosse morta, si sarebbe vendicato. Sì, questo aveva pensato durante la folle corsa all’ospedale, ma adesso che la sua ragazza era tra le sue braccia lottando tra la vita e la morte riusciva solo a pensare che lei non doveva lasciarlo, non poteva andarsene dove lui non avrebbe potuto più averla.

Alzò il volto rigato dalle lacrime e con la mano le accarezzò il volto pallido.

- Tesoro mio, io cosa devo fare? Cosa posso fare?- domandò disperato, sperando che lei si svegliasse e con il suo sguardo rassicurante lo sostenesse come sempre, ma Yoshiko era in coma e non poteva rispondergli in quel momento.

Sanae seduta in corridoio si accarezzava la pancia ormai cresciuta e ogni tanto posava una mano sulla spalla di Yayoi che piangeva silenziosamente. Non riusciva nemmeno a capacitarsi di quanto era successo: si era sentita con la sua amica poco prima per darsi appuntamento, ma non vedendola arrivare aveva provato a telefonare all’albergo dove alloggiava e lì l’avevano informata che la signorina Fujisawa era uscita da più di un’ora. Lo stupore, la paura e poi il dolore, quando dall’ospedale l’avevano chiamata per comunicarle che la sua amica era stata investita da un camionista distratto ed era in pericolo di vita. Con una forza d’animo che nemmeno sospettava aveva preso il telefono per chiamare il J- Village e avvertire Matsuyama di quanto era successo. La reazione di lui fu come una coltellata in pieno petto, non avrebbe mai voluto avere quel ruolo così ingrato, ma nonostante tutto non riusciva a piangere.

- Non morirà, vero Sanae?- chiese Yayoi. La sua voce era quasi un bisbiglio e per un attimo la riportò alla loro infanzia al primo giorno in cui la vide all’asilo.

Era una bimba graziosa con il suo grembiulino rosa e le treccine legate da due nastrini che le ricadevano morbide sulle piccole spalle. L’aveva notata entrare alla mano di un bella signora che si congedò dandole un bacio, poi la vide sedersi su un seggiolino dell’aula da disegno e piangere con le gambe raccolte al petto.

- Perché piangi?- le aveva chiesto.

- La mia mamma non mi vuole più, mi ha lasciato qui.-

Scoppiò nella sua risata cristallina di bimba e, estraendo dalla tasca il suo fazzolettino di Doraemon, lo porse alla piccolina perché si asciugasse le lacrime.

- La tua mamma tornerà a prenderti nel pomeriggio.- le spiegò e dopo che l’ebbe calmata, la portò sul dondolo nel cortile e giocò con lei tutto il giorno.

Yayoi si era così divertita con la sua nuova amica che, quando il signor Aoba si presentò all’asilo per riaccompagnarla a casa, dovette prometterle almeno una decina di volte che l’avrebbe riportata il giorno seguente per riuscire a convincerla a separarsi da Sanae.

Sanae sorrise bonariamente e circondandole le spalle col braccio la strinse a sé, come aveva sempre fatto nei loro momenti di sconforto. Facendo leva sulle braccia si alzò e andò a raggiungere Matsuyama che era dentro ormai da più di due ore.

Il ragazzo non si mosse, tanto era concentrato sul volto di Yoshiko, sperando di poter captare qualche movimento. La sera si stava avvicinando e lui non si era mai allontanato da quel letto, non voleva lasciarla, non finché lei non avesse riaperto gli occhi.

Avvertì il tocco gentile di una mano sulla spalla.

- Matsuyama non hai nemmeno mangiato, perché non vai a prenderti qualcosa al bar al piano terra, resto io con lei.- disse gentilmente, ma fu inutile perché il ragazzo si limitò a scuotere la testa e stringere con entrambe le mani quella piccola e delicata di Yoshiko. Sanae riaprì la porta e chiese a Yayoi di andare a comprare qualcosa, aveva deciso che in ogni caso Hikaru doveva almeno metter qualcosa nello stomaco. Prese una sedia e con calma si sedette dall’altra parte del letto proprio di fronte a lui.

- Non è digiunando che la farai risvegliare.- lo ammonì dolcemente.

Matsuyama abbassò lo sguardo imbarazzato, rendendosi conto di essere stato un po’ scortese a rifiutare la proposta di Sanae.

- Ti spiace se resto qui?- chiese timidamente.

- No, assolutamente.- rispose finalmente, rendendosi conto che aveva bisogno di un sostegno e forse Sanae era la persona più adatta. Yoshiko parlava sempre di lei e della loro amicizia, non che non volesse bene a Yayoi, ma la moglie del suo capitano era speciale.

La ragazza rimase in silenzio a rimirare quel volto scosso dal dolore e dall’impotenza.

- Dov’ero io, quando è successo?- spezzò il silenzio con quella domanda retorica. Sanae poteva percepire il suo stato d’animo piagato dal senso di colpa per qualcosa di cui si sentiva in parte responsabile.

- Stavi facendo ciò che più ami al mondo.- gli disse semplicemente.

Due lacrime scesero silenziose dalle sue guance.

- Ed è questo che mi fa stare male: io amo il calcio, ma soprattutto perché è tramite questo sport che ho potuto incontrare Yoshiko. Lei è tutto per me e io non le ho dato niente in cambio.-

- Non dire così…- lo interruppe.

- E’ la verità!- esclamò affranto.- Mi sono accorto di amarla, quando se n’è dovuta andare e anche adesso non sono in grado di darle tutto ciò che si merita.-

Sanae allungo la mano per posarla sulle sue. Quel ragazzo stava soffrendo terribilmente. Alzò lo sguardo incontrando quello gentile e comprensivo di lei.

- Da quando Tsubasa ci ha annunciato il vostro matrimonio, ho iniziato a sentirmi un fallito. Vedo voi e soffro per quello che vorrei dare a Yoshiko. Quando è tornata ho dovuto limitarmi a chiederle di convivere, ma solo Dio sa quanto avrei voluto sposarla subito.- sospirò guardando la sua ragazza ancora inerme. – Ma cosa potrei darle io? - chiese disperato.

Non riuscì più a trattenere le lacrime e con la voce rotta cercò come poté di consolarlo.

- Non sentirti in colpa Matsuyama. Da quando conosco Yoshiko, non posso dire di averla mai vista più felice di adesso che può stare con te. Sa che vorresti darle di più, lo ha capito.- vedendo lo sguardo interrogativo del ragazzo, sorrise.- Me lo ha confidato dopo il matrimonio. Lei ti aspetterà. Credo che tu lo sappia già, ma è la persona più buona e sensibile che io conosca.- disse rivolgendo lo sguardo all’amica dormiente e carezzandole il viso con la punta delle dita.

- Sai quando ho conosciuto Yoshiko, sembrava un cucciolo smarrito. Si era appena trasferita dagli Stati Uniti e capiva poco il giapponese, quindi i nostri compagni d’asilo l’avevano praticamente emarginata, ma io e Yayoi volevamo essere sue amiche e dopo poco tempo siamo diventate inseparabili. Io ero un diavolo, Yayoi era la piccolina del gruppo e Yoshiko era la bimba buona che mi teneva a bada.- raccontò sorridendo con gli occhi lucidi al ricordo della loro infanzia.

Matsuyama l’ascoltava attentamente, trovando un po’ di conforto in quei semplici ricordi. Pensare alla sua Yoshiko bambina lo fece sorridere, in quella giornata che lasciava poco spazio alla serenità.

- Ricordo che una volta, Yayoi portò all’asilo la sua bambola preferita per mostrarcela. C’era una bambino molto dispettoso: Kintaro Nakamura, che non perdeva mai occasione di fare brutti scherzi agli altri bimbi, ma non dava mai fastidio a noi, perché mi temeva.- riuscì a strappargli una risata.

- Bè, te l’ho detto che ero un diavolo.- gli sorrise.- Quel giorno mia mamma mi aveva portato più tardi, perché dovevo vaccinarmi e quando ho raggiunto il cortile ho visto Yayoi che piangeva e Yoshiko che cercava di calmarla, mentre Kintaro correva via con la sua bambola. L’ho rincorso e dopo averlo raggiunto l’ho fatto cadere e ho riportato la bambola a Yayoi.-

Matsuyama sorrise immaginando la scena.

- La maestra si arrabbiò molto e stava per mettermi in punizione, se non fosse intervenuta Yoshiko a prendere le mie difese.- Rivolse uno sguardo dolce alla sua amica, pregando dentro di sé che di lei non le rimanessero solo quei bei ricordi.

Vedendola passarsi una mano sul ventre, Matsuyama si preoccupò.

- Sanae, forse è meglio che vai a riposarti, nelle tue condizioni non dovresti strapazzarti troppo.- le disse in ansia. – Vai pure, non preoccuparti.- insistette vedendola titubante.

Annuì e fece per alzarsi, ma improvvisamente si bloccò e prese la mano di Yoshiko per accostarsela al ventre.

- Lo senti, Yoshi. Si sta muovendo.- disse emozionata. – Ha sempre desiderato sentire il bambino muoversi.- spiegò.

- Credi che lo abbia sentito?- chiese sconsolato.

Sanae sorrise.

- Penso proprio di sì. Parlale Matsuyama, falle sentire la tua presenza, vedrai che l’aiuterà a tornare da te.- gli carezzò la testa come ad un bambino e uscì.

Si appoggiò al muro, sentendo le lacrime scendere dalle sue guance e si accarezzò il ventre prominente, percependo nuovamente i movimenti della piccola vita dentro di lei. Sorrise grata a quella creatura che la stava inconsapevolmente sostenendo in quel momento terribile.

Sospirò chiudendo gli occhi per qualche secondo. Era enormemente provato e fisicamente distrutto. L’indomani il Giappone avrebbe dovuto disputare l’incontro contro la Svezia, una delle squadre più temute del torneo, ma lui non riusciva minimamente a pensare al calcio in quel momento.

Spense la luce e si sdraiò accanto a lei, circondandola col braccio. Rimirò la dolcezza dei suoi tratti come era solito fare la notte nei momenti d’insonnia. Chiuse gli occhi ripensando all’ultima volta passata insieme, quando lui l’aveva svegliata per cercare i suoi baci e le sue carezze prima di dover tornare in ritiro. Le posò un bacio sulla guancia scostandole i capelli dal viso.

- Amore mio, non ti lascerò andare. Io ho bisogno di te e di tutto quello che solo tu sai darmi.- sussurrò. Dalla tasca estrasse la sua preziosa hachimaki e iniziò a passarsela tra le dita. La scritta I love you sfilò di fronte ai suoi occhi, stringendogli il cuore.

- Ti ricordi quando me l’hai regalata, amore. Eravamo talmente timidi e impacciati allora. Non ti ho mai detto quanto sia stato felice di trovare questa scritta. In quel momento ho capito che non volevo perderti: è per questo che ho rincorso quel taxi, pur sapendo che non lo avrei mai raggiunto.- con la mano accarezzava delicatamente i tratti del suo viso, sforzandosi di non cedere nuovamente alle lacrime.

- Quando sei partita ho giurato che se mai fossi tornata da me, non ti avrei mai più lasciata andare via.- strinse la mano tra le sue e la baciò.

- Lotta con me amore non ti arrendere, ti prego.- la supplicò stringendosi al suo corpo immobile, mentre cedeva alle lacrime. I singhiozzi echeggiarono nella stanza, finché non crollò addormentato, sfinito da quella giornata da incubo.

L’entrata del dottore nella stanza lo fece sussultare e guardandosi attorno ricordò come una doccia fredda, dove si trovava e il motivo per cui era sdraiato su un letto d’ospedale. Imbarazzato, chiese scusa per essere stato colto in quel modo poco decoroso, ma il dottore si limitò a sorridere bonariamente.

- La comprendo benissimo, signor Matsuyama. La prego vada a rinfrescarsi, mentre visito la signorina Fujisawa.- lo invitò.

Non voleva andarsene, ma l’infermiera che lo trascinava via gentilmente riuscì a convincerlo ad uscire. Fissò attraverso il vetro il medico che con gli strumenti testava le reazioni di Yoshiko. Chinò la testa vedendo l’uomo scuotere il capo e lentamente si trascinò ai servizi igienici.

Lo specchio restituiva l’immagine di un volto stravolto, gli occhi cerchiati dal sonno travagliato e rossi per il pianto, la pelle che portava le tracce della barba leggermente incolta. Non era possibile che quel ragazzo vinto dal dolore fosse lui, la Wild Eagle che non si arrende di fronte agli ostacoli. Aprì il rubinetto e si spruzzò l’acqua addosso. Si rispecchiò, il volto bagnato e gli occhi che fiammeggiavano: non avrebbe perso quella sfida.

Tsubasa giocava nervosamente col cellulare seduto nel sedile posteriore del taxi. Sapeva benissimo che il suo viaggio sarebbe andato a vuoto, ma almeno avrebbe parlato di persona con Matsuyama per sentire dalle sue labbra la decisione presa in merito alla partita contro la Svezia.

Sanae alzò lo sguardo ad incontrare quello del marito, che dolcemente si chinò su di lei per baciarla.

- Come sta?- chiese con lo sguardo rivolto alla porta sigillata.

- Non si è mai mosso di lì, ha dormito e mangiato poco.- spiegò lei.

- E tu come stai?- domandò notando la tristezza nei suoi occhi.

- Cerco di essere forte.- rispose semplicemente.

Tsubasa l’abbracciò affettuosamente e prima di entrare, le accarezzò la pancia.

Dentro la stanza il silenzio regnava sovrano, spezzato solo dalle parole di Matsuyama sul cui volto era visibile una determinazione pari a quella che aveva sempre mostrato in campo. Tsubasa comprendeva quanto fosse difficile dirle, ma la decisione era presa e non era certo andato da lui convinto di fargli cambiare idea.

L’espressione di Tsubasa era sufficientemente eloquente per farle capire che Matsuyama non avrebbe partecipato alla partita. Il capitano guardò sua moglie e pensò che anche lui avrebbe agito allo stesso modo, se la splendida creatura che aveva di fronte fosse stata nelle condizioni di Yoshiko. Delicatamente le cinse la vita stringendola a sé.

- Vorrei che non fosse successo.- sussurrò con la voce rotta dall’emozione.

- Yoshiko ce la farà.- la rassicurò baciandole il capo.

I suoi occhi neri la guardavano con infinita dolcezza e Sanae si alzò sulle punte per sfiorare delicatamente le sue labbra. Tsubasa sorrise e si chinò per baciare il ventre di lei, che gli accarezzò la testa commossa da quel gesto semplice e dolcissimo.

Dentro la stanza Matsuyama ripensò a quanto aveva appena dichiarato al capitano: parole che dolevano, ma che sentiva con tutto se stesso. Yoshiko era la sua priorità in quel momento e la squadra doveva fare a meno di lui.

- Yoshiko- prese ad accarezzarle la mano.- Resto con te, non posso andare a giocare, non voglio lasciarti così.-

Con la mano libera le sistemò i capelli della frangetta e le accarezzò la guancia, con il dito indice indugiò sulle labbra e sentì nuovamente l’impulso di piangere. Sospirò trattenendole, perché non voleva più cedere allo sconforto: se voleva che Yoshiko si risvegliasse lui doveva essere il primo a crederci.

- Amore mio, apri gli occhi. Torna da me, Yoshiko.-

Rimirò la sua mano sinistra focalizzando lo sguardo sul suo anulare affusolato.

- Tesoro, voglio essere felice con te. Voglio darti tutto ciò che meriti, ma tu aiutami. Svegliati amore!- implorò.

La televisione sintonizzata sulla partita mostrava a turno i singoli giocatori che cantavano sulle note dell’inno nazionale giapponese. Matsuyama concentrò la sua attenzione sul numero 23, che lo sostituiva. Mentalmente pregò, perché i suoi compagni non soffrissero troppo per la sua assenza e col cuore in gola udì il fischio che diede il via alla partita.

Seguiva il gioco attentamente, per quanto possibile, dato che il suo sguardo rimbalzava da Yoshiko allo schermo e rammaricato vide i compagni uscire per la fine di un primo tempo che aveva visto la Svezia dominare.

La ripresa non migliorò certo la situazione, perché gli avversari sfoderarono una nuova tattica che lasciò spiazzati i difensori nipponici. Akai cercò di contenere le incursioni di Levin, ma, a suo discapito, il capitano svedese lo bombardò letteralmente con il suo tiro micidiale. Matsuyama dovette assistere impotente a quel massacro in diretta che mostrò al Mondo, perché Stephan Levin fosse soprannominato il distruttore del campo. Irato per quel comportamento altamente scorretto imprecò contro l’immagine del capitano dallo sguardo di ghiaccio, che guardava impassibile la sua vittima sbattuta a terra dall’ennesima bordata.

Ad un tratto un movimento tra le sue mani lo fece trasalire: Yoshiko stava muovendo piano piano le dita. Strizzò le palpebre prima di aprire delicatamente gli occhi e incontrare l’espressione stupita del suo ragazzo. Con un ennesimo sforzò allargò le labbra in un sorriso, poi tentò di chiamarlo per nome, ma la voce sembrava non uscirle dalla gola.

Hikaru cedette alle lacrime e chiamò a gran voce il dottore e la amiche per annunciargli la buona notizia. Il medico si precipitò con le infermiere per verificare lo stato della paziente, mentre Yayoi e Sanae abbracciate sfogavano la gioia per il risveglio della loro amica.

Quando finalmente furono di nuovo da soli, Hikaru si sedette sul letto e si chinò per baciarla. Felice di averla di nuovo.

- Non mi scappi più adesso.- scherzò con la voce ancora rotta dall’emozione.

Yoshiko sorrise, ma un boato dalla televisione rimasta accesa attirò la sua attenzione. Vide il risultato sul tabellone e per quanto possibile riuscì a focalizzare la situazione. Rivolse uno sguardo significativo al suo ragazzo, che capendo si congedò dandole un ultimo bacio e si diresse allo stadio.

Il numero 23 fu trasportato fuori del campo sulla barella, mentre terminava il secondo tempo della partita. I giocatori raggiunsero gli spogliatoi, stanchi e sfiduciati. Tsubasa cercò di ridar loro la carica, ma anche lui capiva che solo un miracolo avrebbe potuto cambiare le sorti della partita. Aprendo la porta un sorriso si allargò sul volto del capitano.

- Andiamo a vincere questa partita!- esclamò Matsuyama stringendo il nodo dell’hachimaki.

Al fischio gli svedesi si fecero subito avanti, ma Levin fu bloccato immediatamente dal numero 12 che come una furia scatenata dribblò Lazon e Brolin che gli si facevano incontro. Federicks gli si parò davanti, ma Matsuyama passò a Tsubasa che smarcato andò in progressione verso la porta. Al limite dell’area, il capitano schivò un tackle, rispedendo la sfera al compagno che con precisione sfoderò il suo radente Eagle Shot. Il portiere si tuffò, ma invano, perché la palla schizzò veloce oltre la linea prima che lui potesse afferrarla.

Lo stadio esplose inneggiando ai due giocatori che avevano reso possibile il Golden Goal che regalava l’accesso alla semifinale, un passo in più verso l’agognata Coppa del Mondo. Matsuyama corse verso le telecamere togliendosi l’hachimaki e sventolandola come una bandiera. Arrivato di fronte all’obiettivo, gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.

- Yoshikoooooooo ti amooooooooo.- la voce di Matsuyama attraverso il televisore echeggiò nella stanza dell’ospedale, facendola trasalire. Sorrise col cuore in gola, mentre due lacrime di commozione le rigavano il volto.

Premetto che ho volutamente tratto spunto dall’episodio che successe anni fa e che vide protagonista Gabriel Omar Batistuta, giocatore che stimo moltissimo e con quell’episodio fece sognare tante ragazzine. Ho preferito ridare spazio alla mia coppia preferita rivisitando l’episodio dell’incidente, cercando di analizzarlo nel suo lato più umano e spero proprio di esserci riuscita.

Ringrazio tutte le persone che hanno avuto la pazienza di leggermi e vi annuncio che il prossimo sarà l’ultimo capitolo della storia.

Un caro saluto a Dolce Barbara, Rossy ed Eos e un abbraccio a tutti.

  
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