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Autore: dionea    04/06/2008    8 recensioni
Poi nulla.
Sakura si accascia al suolo, sentendo il terreno sotto di sé tremare con forti scossoni, fremendo schiacciata dalla presenza d’un chakra disumanamente potente.
Sente un ringhio, seguito da delle urla che divengono via via sempre più lontane, lontane.
Chiude gli occhi e perde i sensi, annichilita dal tanfo acre del fango che le sporca la guancia.
Questa è la fine.
E' il suo ultimo pensiero.
Perdonami, Naruto.
[3° Classificata al concorso NaruSaku Version indetto da Coco Lee]
Genere: Romantico, Malinconico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sakura Haruno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo degli eroi





L’ANBU corre.
Freccia nel buio della notte, slittando agile da un ramo all’altro. Come un’ombra s’insinua nella fitta boscaglia, muovendosi silenziosa come un fantasma, celando i propri rumori sotto quelli scroscianti della pioggia, che cade impetuosa sulla foresta.
Il suo mantello sferza l’aria, scuotendosi alle sue spalle. E’ zuppo, ormai, e le rallenta i movimenti, aderendo fastidiosamente agli indumenti grigi e neri, che la contraddistinguono fra le truppe di Konoha.
Quasi inconsciamente concentra il chakra sulle suole dei sandali neri, per meglio farli aderire alla superficie scivolosa dei tronchi, ricoperti da sottili strati di muffa e muschio.
Il terreno sotto di lei sta diventando pian piano di tipo pietroso, e le tipiche piantine di timo e d’aconito sono state rapidamente sostituite da sporadici ciuffi d’erba.
Ha chiaramente sorpassato le terre del Fuoco, adesso deve trovarsi sui confini di quelle alleate del Vento.
Questo le fa’ ricordare che sono già otto ore che viaggia senza sosta e – soprattutto – senza meta.
Un lampo improvviso squarcia il cielo, diramandosi come una crepa luminosa sul nero, illuminando per un secondo il buio del bosco. E per un attimo è possibile scorgere la sagoma sottile e slanciata del ninja, immobile sul ramo più alto, coi lunghi capelli scossi freneticamente dal vento della tempesta.
Si china piano, abbassando prudente un ginocchio e facendo scivolare via la maschera bianca, raffigurante i tratti color cremisi di una volpe stilizzata.
Gli occhi di Sakura sono sempre gli stessi, limpidi come quelli d’una bambina e verdi come quelli del mare sotto la pioggia.
Brillano fieri su un volto non più così ingenuo, sotto le ciocche rosa pallido dei capelli, che bagnati le incorniciano il viso, scivolando poi in tutta la loro lunghezza sul mantello.
Scruta l’orizzonte pesto, assottigliando lo sguardo, muovendolo rapido da una parte all’altra.
Impercettibilmente il suo fiato si cristallizza nell’aria, i seni si alzano e si abbassano con ritmo irregolare sotto il tessuto color ghiaccio, seguendo l’andamento affannoso del respiro. Indietreggia con fare esperto sul ramo, fino a che le spalle non toccano la superficie rugosa del fusto dell’albero, solo all’ora – nascosta interamente dal fogliame gocciolante – si lascia cadere seduta. E’ esausta, non avrebbe mai creduto che un viaggio così potesse stancarla fino a tal punto.
Il suo sguardo cade sul marsupio dei kunai, legato al gambale destro, lo fissa senza realmente vederlo, vacua.
Avete visto il modo in cui ha abbassato gli occhi su di esso? Lo ha fatto piano, con risentimento, come se stesse ricordando qualcosa di veramente spiacevole.


L’Hokage fissa i suoi uomini da dietro il grande scrittoio di legno, traboccante d’alte pile di documenti e pratiche da smistare.
I guerrieri stanno sull’attenti al suo cospetto, le spalle dritte e il petto in fuori, disposti in riga attendono disposizioni sul da farsi. Stanno all’interno di un ufficio ampio, tinto dai colori del panna per le pareti e del porpora per i pesanti tendaggi che le arredano. Bastoncini d’incenso bruciano sparsi qua e là per la stanza, profumando l’aria d’un piacevole aroma di gelsomino.
«Suna chiede rinforzi, le ribellioni delle provincie si sono rivelate più problematiche del previsto. Nara e Akimichi, selezionate cinque fra i membri delle squadre d’assalto e portateli con voi, partirete entro sera.»
«Sissignore!» All’unisono due dei jonin presenti annuiscono con vigore, congedandosi rapidi.
«Lo scontro contro Oto è ormai imminente.» Continua l’Hokage.
«Il paese del Suono vanta vaste schiere di ninja pienamente qualificati, la maggior parte dei quali sono qui etichettati come ricercati di livello S. Le nostre squadre lì inviate non ci contattano da settantadue ore, è essenziale che i team di Hinata e Neji Hyuuga le raggiungano partendo immediatamente, seguiti dai team medici disponibili...»
Qualcuno fra i ninja sussulta – attirando su di se gli sguardi di molti – qualcuno con una lunga treccia rosa, per l’esattezza.
«…Yamanaka, te ne occuperai tu. Recupera il tuo equipaggiamento e unisciti alla spedizione. Dovrò rimanere costantemente aggiornato sulla situazione di Oto, per ora potete andare.»
Le righe si sciolgono e con assenso i guerrieri s’incammino verso l’uscita, scambiandosi fra di loro occhiate eloquenti.
Non c’è tempo per i saluti o per gli arrivederci. Si fissano consci che quella potrebbe pure essere l’ultima volta che lo fanno, ma non hanno paura. La guerra li chiama e loro rispondono come gli orgogliosi guerrieri che sono diventati.
Varcano la soglia a mento alto, pronti a partire per la loro prossima missione.
«Sì, Haruno?»
Sakura rimane lì, con le mani serrate in due piccoli pugni tremanti e lo sguardo rivolto ostinatamente dinanzi a se, verso le grandi ante della finestra, occasionalmente sbarrate a causa della violenta tempesta scatenatasi nelle ultime ore.
«Attendo disposizioni, signore.» Afferma.
La sua voce vibra sicura, senza tradire nessuna nota di collera o incertezza, suona limpida all'interno del grande ufficio.
«Le squadre ANBU resteranno di pattuglia ai confini del villaggio, questo è quanto.»
Un cipiglio sorpreso prende forma fra i tratti della giovane, che sgrana gli occhi incredula.
Le labbra le si muovono tremanti: «Pattuglia?» Sussurra.
La sua posizione rigida si scioglie e le spalle si curvano rapide, mentre sbatte con forza le mani sul tavolo color noce.
Alcune fra le pile in bilico su di esso crollano a terra, sul tappeto decorato coi motivi verdi della foglia, altre si riversano sugli scritti dell’Hokage stesso, sbavando l’inchiostro ancora fresco.
«Servono squadre mediche sia a Suna sia ad Oto, perché non posso andare lì?»
Protesta, offesa. Per la quinta volta consecutiva nello stesso mese gli incarichi che le spettano di logica vengono affidati ad altri, mentre lei viene costretta ai semplici pattugliamenti di confine. Uno ad uno i suoi compagni vengono spediti in battaglia, i gruppi ritornano dimezzati e i migliori guerrieri feriti.
E lei non può far altro che aspettarli e sperare, confinata a Konoha da ridicoli e totalmente superflui incarichi. Perché non viene anche lei mandata in missione con loro? Che ne è stato del suo ampiamente riconosciuto grado di ninja medico, nonché capitano delle truppe ANBU?
«Perché ho già mandato chi di dovere.» Le risponde l’Hokage, impassibile.
«E perché non me? Non mi ritieni forse all’altezza?»
Il tono della sua voce aumenta di qualche ottava, lievemente isterico, mentre l’espressione offesa viene sostituita da una familiarmente minacciosa. Il Rokudaime appoggia la fronte sulle mani incrociate davanti a sé, sospirando stancamente: «No, certo che no.»
Sakura fa’ una smorfia, assottigliando lo sguardo:
«Non voglio rimanere qui con le mani in mano mentre fuori si combatte una guerra. E non è una guerra qualsiasi, lo sai.
E’ la nostra guerra e dobbiamo combatterla. Non ti aspetterai mica che io resti qui a fare quello che potrebbe benissimo fare un chunin, vero?»
Lui la scruta attraverso le ciocche scompigliate dei propri capelli, che ricadono ribelli davanti agli occhi, soppesandola da capo a piedi.
Apre la bocca, sentendo improvvisamente la gola arida, per poi richiuderla rapidamente.
Non è incerto sul cosa dire, ma sul come dirlo.
«Sakura…»
Lei lo precede, dandogli le spalle: «Partirò con Ino, che a te piaccia o no.»
«Non lo farai!» L’Hokage si alza di scatto, mosso dall’istinto di fermarla con le proprie mani. «E’ troppo pericoloso.» Si lascia sfuggire.
«Troppo pericoloso?» Ripete Sakura, ruotando il volto verso di lui, impietrita.
Un lampo di collera le illumina lo sguardo, divenuto improvvisamente gelido e distaccato.
Così non la considera abbastanza forte da sapere badare a se stessa e affrontare una missione del genere?
La vede ancora come la bambina quindicenne di tanti anni fa’, quella incapace di difendere addirittura se stessa sul campo di battaglia?
La considera così debole da non permetterle di combattere per la difesa del proprio villaggio?
Questo pensiero le fa’ male, sente una morsa stringerle il petto e gli occhi bruciare.
«Non volevo dire questo.» Le dice, mortificato. «Sakura, io…»
Indugia su di lei, fissandola impensierito e avvertendo un’inedita sensazione di panico invaderlo.
«Sakura, io devo parlarti…»
Le parole impacciate sfumano, scoraggiate dalla nuova e risentita occhiata dell’interlocutrice.
«Io invece no.» Sibila lei, muovendo ampie falcate verso l’uscita.
Indugia con la mano sulle grandi maniglie in mogano, sfiorandole con le dita stranamente tremanti, e lui la sente distintamente prendere fiato, come in procinto di dire qualcosa. Lei chiude gli occhi, lui smette di respirare.
Un silenzio intriso di tensione li separa con prepotenza, asfissiandoli dolorosamente.
Ma Sakura non ci riesce, non può confessarglielo. Non ora, almeno.
«Decisamente non ho nulla da dirti.»
Borbotta con voce strozzata, aprendo la porta e chiudendosela rumorosamente alle spalle.


Lascia cadere la testa all’indietro, contro il tronco, le cui venature sono percorse da rivoli d’acqua che le inzuppano ancor più i capelli. Non le rimane molto d’asciutto addosso, in effetti: la stoffa degli indumenti è bagnata fradicia, e aderisce fastidiosamente sulla pelle, rallentandole i movimenti e appesantendo le protezioni interne.
Persino respirare le risulta difficile dopo quella stremante e ostinata corsa durata quasi otto ore. Sente addirittura il fianco pizzicarle dolorosamente e i muscoli dei polpacci contrarsi dalla stanchezza, non ricordava d’avere una resistenza così breve.
Muove automaticamente le mani sulle cinghie nere del corpetto, lo slaccia con gesti impazienti, rivelando sotto l’indumento grigio una maglia reticolata e un giustacuore nero di cuoio.
Aspira una boccata d’aria nuova, ora che non sente più il torace compresso dalla divisa, spalancando le labbra rosse verso l’alto, come per saggiare il sapore della pioggia che cade imperterrita. L’umidità ha sostituito l’inebriante fragranza che è solita profumarle i capelli e la pelle, e l’odore stagnante della terra bagnata le stuzzica le narici, dandole la nausea.
No, non è la sua resistenza messa alla prova a farla stare così male, e questo lo sa bene.
Strizza gli occhi, increspando vistosamente le palpebre e lasciando andare via l’aria.
Respira, inspira. Respira, inspira. Ripete l’operazione più volte, lentamente, premendosi una mano sull’addome e drizzando la schiena contro il tronco stesso. Non sa perché si è spinta così lontano, oltre i confini del proprio paese, forse solo per mettere la maggior distanza possibile fra sé e Konoha. Sparire anche solo per un giorno, per non dover sopportare oltre l’umiliazione del non essere stata spedita in missione. E proprio per questo nessuno si accorgerà della sua scomparsa, perché tutte le persone che la hanno a cuore sono a combattere per la patria e rischiare la vita negli altri paesi.
Può sentirle, Sakura, le urla della battaglia, anche se a chilometri e chilometri di distanza. Distintamente le grida dei suoi compagni riecheggiano sorde nell’aria, là dove aleggia il profumo frizzante della guerra, con tutte le sue crude e dolorose sfaccettature.
Laghi di sangue e kunai che mietono vite su vite, senza distinzione di sesso o d’età.
Inghiotte saliva, avvertendo sul palato un retrogusto di disperazione al solo pensiero di uno dei suoi compagni morti.
Quanti sono stati e quanti saranno ancora i caduti fra gli eserciti della foglia? Quanti prima di placare l’irruenza e la devastazione, con il quale questa nuova guerra sta prepotentemente distruggendo le nazioni?
E’ un periodo buio e pericoloso quello che si sta affrontando, le guerre civili si accendono come piccole scintille sparse sul paese del Vento e del Fuoco, e le fazioni ribelli acquistano potere contro le capitali.
Economia e commercio sopravvivono stentatamente e, anche se Konoha riesce a mantenere ben salda la rete che la collega alle proprie provincie, lo stesso non si può dire dei paesi alleati come quello della Sabbia.
E’ l’Akatsuki quella che si nasconde dietro ogni attacco nemico, con nuovi membri e nuovi obbiettivi. E’ divenuta più potente – più spietata – e striscia silenziosa fra le crepe delle varie alleanze, insinuandosi a capo di ogni movimento ribelle.
Attaccano irreparabilmente, radendo al suolo villaggi e seminando panico e terrore.
E lei? Dannazione! E’ davvero arrivato il momento di fermarsi, per lei?
Spalanca gli occhi, che scintillano lucidi sotto un nuovo, tagliente lampo.
La mano premuta sull’addome scivola piano, timorosa, sul ventre piatto.
E la pioggia che cade tutt’intorno – così violenta e fitta da sembrare quasi nebbia – si mischia nella sua visuale a calde e salate lacrime. Le rigano il volto, scottando amare sulle guance, sul naso, sul mento.
No, non deve piangere. Non può permettersi di farlo.
Contrae il volto, spalancando la bocca e dando vita ad un urlo disperato.
Non è giusto. Non è giusto!
Troppe volte si è rivelata solo un peso, troppe non è riuscita a mantenere la promessa di proteggere le persone a sé care.
E questa rischia di diventare una delle tante.


«Quegli antidoti non ti serviranno, porta solo quelli base contro le paralisi e gli infusi d’achillea. Oto non perderà tempo ad avvelenarvi, c’è un motivo se lo chiamano villaggio del Suono, sai?»
Ino Yamanaka annuisce con veemenza, spostando rapidamente alcune ampolle dalla sacca color corda e sostituendole con piccoli flaconi rigorosamente sigillati. Sposta rapida spiedi e minuscole siringhe, sistemandole con un certo ordine e una particolare fretta: «Hai ragione.» Borbotta fra i denti, stringendo fra di essi una cinghia particolarmente dura da stringere.
«Lo so che ho ragione: sono il tuo capo, io!» Rimanda furiosa Sakura, accucciata in un angolo della piccola stanzetta, dietro l’armadietto delle erbe medicinali e degli unguenti. Tiene le gambe strette duramente contro il petto e il volto affondato fra le ginocchia, fasciate dalle garze ninja d’allenamento. «Eppure in missione manda te, che sei tornata stamattina da Kiri!»
I rumori secchi della corda contro i ganci metallici le fanno intuire che l’amica ha appena terminato di sistemare il proprio equipaggiamento all’interno dello zaino. Sbuffa rumorosamente, facendosi ancora più piccola contro il muro, accanto ad un’alta pila di spesse enciclopedie e volumi medici.
La bionda si morde le labbra, colpevole: «Di che ti lamenti? Infondo è meglio così, no? Non è prudente che nelle tue condizioni…»
«Non voglio nemmeno sentirlo quello che stai per dire, Ino.» Sakura alza lo sguardo su di lei, irata.
«E’ una questione di principio, lui calpesta il mio orgoglio di ninja lasciandomi qui. Non mi crede alla sua altezza, mi vede solo come la sua donna. Quella che deve restare qui a farsi proteggere, dannazione! E voi…. Beh, voi rischiate la vita per salvare il villaggio. Potresti anche non tornare viva da questa missione, come credi che mi debba sentire io?»
L’altra flette le ginocchia, chinandosi sull’amica e poggiandole una mano sulla spalla.
«Lo sai che lui vuole solo il tuo bene, porta pazienza per il momento…»
Le dice, inclinando le labbra in un sorriso tirato, ben lontano da quelli radiosi e spensierati di anni prima. La guerra ha segnato pure il bel volto di Ino, appesantito dalla stanchezza e da cicatrici, ma nei suoi occhi brilla ancora la stessa ambizione e la stessa sincerità che li animava fin da quando era bambina.
«E poi io non morirò mica così facilmente, cretina.» Ghigna, picchiandole le dita sulla fronte spaziosa.
L’Haruno distoglie lo sguardo, amareggiata, stringendosi ancor più le gambe al petto. Si guadagna un’occhiata truce da parte della compagna, che la richiama severa: «E tieni le gambe stese, altrimenti...»
«Altrimenti?» La interrompe inviperita l’altra. «Non è un problema, ancora.»
«Intendi tenerglielo nascosto in eterno?» Replica Ino, e uno strana luce colora il suo sguardo. «Devi dirglielo.»
Sakura scuote la testa, una smorfia le si dipinge sul volto, appesantendole i tratti delicati del viso e incupendole lo sguardo trasparente.Una ciocca ribelle scivola via dalla rigida e lunga treccia, ricadendo impercettibilmente davanti l’occhio sinistro, là dove una quasi invisibile lacrima ha preso a scivolare silenziosa.
«Tanto è solo questione di tempo, no?» Sussurra. «Prima che io diventi nuovamente un peso per lui, intendo.»


Geme silenziosamente, accusando fitte dolorose alla pancia e sopprimendo l’istinto di vomitare.
Fissa severa il proprio ventre, puntando lo sguardo a mo’ di rimprovero lì dove dovrebbe esserci il suo bambino.
E’ incinta, dentro di se porta una creatura viva e innocente, che – pur non sapendolo – è arrivata al momento sbagliato.
Un momento così sbagliato che persino lei ora stenta a desiderare la sua nascita: il figlio che porta in grembo le impedirà di lottare e proteggere Konoha, la costringerà ad abbandonare le armi e tutte le sue cariche per osservare la guerra evolversi da dietro le quinte. E, nel periodo in cui nessun ninja può permettersi di battere la fiacca, lei tornerà ad essere la stessa ragazzina inutile che è sempre stata.
Vaga con lo sguardo, scrutando il buio della foresta e distinguendo le sagome spettrali dei fusti degli alberi, i cui rami si snodano sinistramente fra la nera vegetazione, bagnata e maleodorante. Il continuo scrosciare della pioggia persiste così come un lamento, sovrastato solamente da tuoni e lampi, che lacerano il buio con improvvise gettate di luce.
Inespressiva osserva il profilo dei tronchi, abbassando più volte le palpebre sugli occhi divenuti vitrei, sui quali ora si rispecchiano gli stessi ricordi che sta rivivendo. Piega le dita sul ventre, accarezzandolo. Ovviamente il padre può essere una persona sola.
Lui, come la prenderà lui? Come può anche solo pensare di dirgli che aspettano un figlio, adesso?
Come può aggiungere questo peso sulle sue spalle, sulle quali già gravano le sorti dell’intero paese?
Preme il palmo della mano contro il tronco umido, ricoperto da un viscido strato di muschio, concentrando una sottile quantità di chakra sui polpastrelli per impedirsi di scivolare.
Si alza a fatica facendo peso sulle braccia, e – una volta in piedi – osserva il territorio fangoso della foresta e lo vede vorticare rapido sotto di se. Si accorge di avere le vertigini e di mantenere l’equilibrio sul tronco a fatica. Male, malissimo.
Il suo è appena il secondo mese di gravidanza, e già è così succube della creatura che porta in grembo da non riuscire a proseguire il suo viaggio.
Lo schianto di un fulmine contro un albero, a pochi metri di distanza, la riporta immediatamente all’erta.
Filoni di fumo si levano dal legno incenerito, sfumando sotto l’acqua e disperdendosi nell’aria notturna. Così come un suggestivo presagio di sventura la luce dei lampi la investe ancora, e i suoi occhi verdi scintillano sotto il cielo nero che tuona.
Accade rapidamente, un kunai fende l’aria a pochi centimetri dal suo viso, e alcuni fili rosa pallido dei suoi capelli svolazzano leggeri in aria, tranciati impercettibilmente dal resto della chioma.
Qualcosa sotto la suola dei suoi sandali sembra friggere con piccole scintille scalpitanti, e flettendo automaticamente le gambe lei balza via. Con un boato il ramo sulla quale prima stava appostata salta in aria, seguito da alcuni lapilli incandescenti, che schizzano in aria freddandosi immediatamente al contatto con la pioggia.
Non le ci vuole molto per accorgersi che l’intera zona è minata da cartebomba, deve essersi inoltrata in un territorio nemico vicino all’accampamento di qualche fazione ribelle. E, a giudicare dai nitidi fruscii provenienti dalle chiome degli alberi, deve essere circondata almeno da cinque avversari, che – evidentemente – le hanno teso proprio una calcolata imboscata.
Chiude gli occhi e respira profondamente, l’esperienza del jonin che è le fa’ avvertire in tempo l’arrivo di altri sette shuriken e dieci kunai, rispettivamente prima da destra e poi da sinistra. Azzera la quantità di chakra manipolata sotto i sandali, sfruttano la superficie bagnata dei tronchi per slittarci sopra e scivolare il più rapidamente possibile verso il basso, schivando una raffica di armi nemiche.
Si muove prima a destra e poi a sinistra, balzando da una parte all’altra e lasciandosi dietro una scia di violente esplosioni.
Combattere nascosta fra alberi tappezzati da cartebomba non è decisamente la scelta migliore, quindi si lascia cadere al suolo, atterrando agilmente su una pozzanghera fangosa.
Alza la testa verso l’alto, scrutando con fare felino oltre l’oscurità della foresta e liberandosi rapidamente dall’intralcio del mantello zuppo. Conscia di essere un bersaglio fin troppo facile recupera tre kunai dal marsupio rigido che tiene legato alla gamba, li inforca dai rispettivi anelli con le dita e li scaglia fulminei in diverse direzioni.
«Se siete ninja uscite allo scoperto. Combatteremo faccia a faccia!»
Urla, fissando truce lì dove ha scorto la figura di qualcuno schivare le sue armi.
Attende diversi istanti, durante i quali la mascella del suo viso rimane contratta e i pugni serrati all’altezza della vita, poi delle ombre si muovono rapide tutt’intorno, balzando giù dagli alberi e circondandola.
I suoi nemici indossano tute nere e maschere del medesimo colore, quasi identici fra di loro se non per pochi dettagli e le diverse armi impugnate. Su ognuno di loro scintilla la lamina in ferro del coprifronte, sulla quale vi è chiaramente inciso il motivo del villaggio della Sabbia, sfregiato da un’intaccatura orizzontale.
Proprio come sospettava: ribelli.
Sakura alza l’indice, puntandolo a turno su ognuno dei ninja, contandoli.
«Sette» Termina, soppesandoli con rapide occhiate. «Sette contro uno, come siete sleali.»
Alza l’angolo destro delle labbra, sorridendo amaramente.
Anche lei indossa un coprifronte – lo sfoggia con orgoglio sulla fronte, sotto la frangia rosa pallido – e loro devono averlo notato, perché quello che con molta probabilità è il capo grida:
«E’ di Konoha, villaggio alleato al Kazekage!»
Gli altri sei con un unico, secco movimento si mettono in guardia, fissandola con ferocia.
Il sibilo dei kunai non tarda a fendere la pioggia, e le armi cominciano a danzare in aria, deviandosi fra di loro con schiocchi stridenti. E la kunoichi sembra volteggiare fra quel continuo incrociarsi di lame, schivando gli attacchi a lunga distanza con facilità, parando gli shuriken e rimandandoli indietro, per evitare di sprecare la propria, ridotta scorta.
Ignora i fastidi che determinati movimenti le provocano all’altezza della pancia, concentrando unicamente l’attenzione alla battaglia e ad ogni singola iniziativa nemica.
Poi vede uno di loro avvicinarsi pericolosamente, armato di daga, ed istintivamente fa’ balzare la mano all’altezza delle spalle, impugnando l’elsa nera della propria katana, riposta nel fodero dietro la schiena. Ma il movimento risulta ostacolato come da un attrito, deve utilizzare più forza del dovuto per estrarre la spada.
Contrattempo che le costa caro, se non fosse stato per il puro istinto di un riflesso condizionato, infatti, ora si ritroverebbe con la lama di una daga conficcata nel petto. Stringe i denti, sentendo l’avversario ritrarre l’arma zuppa di sangue, deluso d’aver affondato semplicemente nella spalla.
Lei impreca silenziosamente, che stupida che è stata! Lo insegnano all’accademia che il freddo fa’ gelare la lama all’interno del fodero, e lei se ne è completamente dimenticata, proprio come un genin novellino!
Muove il braccio destro a fatica, ponendo la lunghezza della sua katana fra se e il suo avversario.
Maneggiarla con la mano sinistra le consente soltanto movimenti lenti e goffi, ma dato che l’arto destro è fuori uso dovrà accontentarsi. Para due colpi ben assestati, cercando una carenza nella guardia nemica, e sarebbe anche riuscita a mandare a segno due o tre colpi, se solo gli altri ninja non si fossero intromessi.
Cade in ginocchio, sentendo due shuriken affondare nel polpaccio sinistro, là dove il gambale non le cinge la gamba.
La spalla brucia, la carne viva pulsa nella ferita sotto la pioggia, e il braccio si contrae involontariamente.
Deve esser stato lacerato qualche tendine, o non le farebbe così male muovere anche solo le dita.
Il dolore le annebbia la vista, tutto intorno prende a ruotare vorticosamente e una forte nausea la invade.
Avverte un conato di vomito farsi strada lungo la gola, vorrebbe premersi una mano sulla bocca per impedirsi di rovesciare, ma non lo fa’ in tempo. Vomita scossa da violenti colpi di tosse, e la sostanza giallastra rigettata – mischiatasi al fango – diviene ai suoi occhi sempre più sfocata.
Non capisce più nulla, distingue solo un sorriso soddisfatto incresparsi sulle labbra del ribelle di fronte a sé, che si prepara a mozzarle la testa col movimento secco dello spadino. Ma qualcosa non va come da lui previsto.
C’è un kunai, proprio conficcato al centro della sua fronte. Arrivato dal nulla proprio in quel momento, sta lì insanguinato, dritto fra due occhi sgranati e increduli. Un rivolo vermiglio fa’ capolino dalle sue labbra, prima che cada a terra senza vita.
Poi nulla. Sakura si accascia al suolo, sentendo il terreno sotto di sé tremare con forti scossoni, fremendo schiacciata dalla presenza d’un chakra disumanamente potente. Sente un ringhio, seguito da delle urla che divengono via via sempre più lontane, lontane.
Chiude gli occhi e perde i sensi, annichilita dal tanfo acre del fango che le sporca la guancia.
Questa è la fine – è il suo ultimo pensiero – perdonami, Naruto.
Perdonami per non averti detto di tuo figlio.

I geta di legno affondano sulle pozzanghere di fango, lentamente avanzano sul terreno, che s’increspa di crepe ad ogni singolo passo. Il suolo trema con violenti scossoni, così come ogni singolo albero della foresta, che scrolla la propria chioma per lasciar svolazzare nella tempesta le foglie ancora verdi.
I sandali di legno si fermano a pochi metri dai sei ninja, che sudano freddo dinanzi all’Hokage, l’uomo che sta a capo del paese del Fuoco. Ed è proprio il fuoco della propria nazione quello che attualmente brucia nei suoi occhi, rossi ardono dell’orgoglio della Foglia, della gloria e del prestigio del proprio villaggio.
Rosso è anche il chakra che sibila scottante sulla sua pelle, avvolgendolo e ribollendo lentamente, carezzandogli le caviglie scoperte dai pantaloni e aleggiando intorno alla chioma bionda, che spettinata si esibisce in lunghe basette e indomabili ciuffi. Il codino biondo si agita in aria, quasi fluttuando in assenza di gravità, picchiando a volte sul collo scoperto e madido di sudore, avvolto solo in parte dal morbido lembo di stoffa del chimono nero. Sotto di questo, proprio lì dove s'intravede una maglia reticolata, spicca lucente un prisma d’acquamarina, nelle cui sfaccettature si specchia il cremisi ardente del chakra. Le guance gli si lacerano lentamente, facendo ingrandire a vista d’occhio i segni che prima suggerivano un nonsochè d’animalesco, rendendoli ancora più selvaggi e felini. Così come i canini, che pian piano sono stati sostituiti da lunghe e candide zanne, di cui solo una bestia mostruosa può essere dotata.
Ma sono loro quelli a far mancare l’aria nei polmoni ai sei shinobi della Sabbia: gli occhi. Lava incandescente che s’agita senza tregua nello sguardo del Rokudaime, incenerisce senza pietà la sicurezza degli uomini di fronte a sé. Le iridi nere, assottigliate longitudinalmente, guizzano fulminee da destra a sinistra, scrutando rabbiose l’intera situazione. Indugiano crudelmente su ognuno dei ninja, scavando con prepotenza nei loro sguardi impauriti e nei loro animi colpevoli. Poi lei.
A terra.
In una pozza di sangue.
Il chakra esplode in aria e il boato è sovrastato da un ringhio feroce, che si ripercuote nell’aria in maniera insostenibilmente potente. La pioggia che cade sembra evaporare per diversi secondi, al contatto col chakra bollente, che ansima nella notte, come indomabili lingue di fuoco. Il Rokudaime avanza con i pugni stretti, le lunghe unghie conficcate nei palmi callosi delle mani. La sua pelle sembra friggere sotto l’asfissiante patina rossa, che piano gli consuma gli indumenti.
S'ingigantisce intorno a lui, modellandosi con delle protuberanze sopra la testa e all’altezza del bacino.
Con forma approssimativamente definita compaiono le orecchie e tre delle code. E’ possibile vederla, ora. La volpe.
Surreale, crudele e vendicativa. Il fantasma di un incubo che prende vita, come un soffio arido in una notte di burrasca, imponendosi con tutta la propria ferocia, mossa da un corpo che invoca disperatamente vendetta.
Due dei ninja s’armano rapidi, scagliandosi contro di lui e sbraitando minacce confuse. Le code di chakra s’agitano impetuose, fungendo da scudo e respingendo i nemici, i cui corpi vengono catapultati diversi metri più il là, privi di sensi giacciono dietro gli alberi.
«Che errore madornale, il vostro.» Scandisce la voce stridente della Volpe, che in un attimo si trova a pochi centimetri dai restanti uomini.
«Quella lì per terra...» Spiega, sussurrando malignamente all'orecchio di uno.
«E' la persona a me più cara.»
La sua mano artigliata si conficca nel petto di uno a caso, che geme con un urlo strozzato dal sangue prima di perdere la vita.
Gli altri stanno impietriti, con le pupille dilatate dal terrore.
«E per aver versato il sangue della mia donna…» Un altro tramortisce a terra, inerte. «… pagherete con la vita
Uno ad uno, gli shinobi nemici si accasciano al suolo, sconfitti da colpi troppo violenti e troppo rapidi per essere schivati.
Sotto la pioggia le loro carcasse vengono lentamente ripulite dal fango e dal sangue della quale sono macchiate, ammucchiate tutte una sopra all’altra, come un bottino di bestiame di poco conto.
E il cielo tuona sopra di loro, fino ad allora rimasto muto, come riprendendo a respirare.
La tunica nera del Rokudaime oscilla al vento, che pare lentamente scuotere via il chakra avviluppatosi intorno al suo corpo.
Il rosso sfuma nell’aria con flebili bisbigli, perdendosi sotto la fitta pioggia come una rabbia che va via via scemando.
Con gli occhi chiusi l’Hokage respira affannosamente. Le zanne bianche si ritirano mansuete sotto le labbra dorate, rimpicciolendosi a canini, e gli squarci all’altezza delle guance si rigenerano rapidamente, tornando alla forma base di semplici segni. Spalanca gli occhi improvvisamente, facendo dardeggiare due zaffiri nel buio della notte.
«Sakura!» Urla disperato, correndo la dove una minuscola figura insanguinata giaceva fin dall’inizio.
La chioma dall’indecifrabile rosa è riversata sul fango, così come la parte destra del volto pallido, ancora contratto in una smorfia di dolore.
«Sakura!» Ripete, piegandosi su di lei e prendendola fra le braccia.
La scuote e la sente gemere. Il sollievo lo invade sapendola priva di sensi e non morta, le imprime un bacio sulla fronte – delicatamente – come per timore di poterle farle male con un semplice gesto.
Le accarezza il volto, pulendo via la sostanza melmosa che lo impastava e rivelandone i familiari tratti.
Lascia scivolare la propria mano, tastandole la spalla ferita e percorrendole il corpo fino alla gamba sanguinante, nella quale stanno ancora conficcate delle stelle di metallo. Le estrae con un movimento secco e preciso, senza distogliere lo sguardo dalle palpebre abbassate della ragazza, che si contraggono impercettibilmente per il dolore.
La stringe al proprio petto, premendole una mano contro schiena. Scruta vigile tutt’intorno, sorvolando sui cadaveri ammucchiati sotto un albero. Lo scintillio d’una lama fra il terriccio fangoso cattura la sua attenzione, e – assottigliando un po’ lo sguardo – può distinguere la katana nera dell’Haruno quasi sommersa dalla melma.
La recupera, riponendola prudente insieme alla sua all’altezza della vita.
Cinge con l’altro braccio le gambe di Sakura, sollevandola e balzando via, prendendo a sfrecciare da un ramo all’altro della foresta, procedendo nella direzione dalla quale era venuto.
Il sangue caldo, che sgorga a gran quantità dalla ferita della ragazza, gli imbratta gli indumenti.
Ha bisogno di immediate cure mediche, la ferita all'altezza della spalla è troppo profonda... e Konoha troppo lontana.
«Non morire, Sakura…» Le soffia all’orecchio lui, supplichevole. «…te lo ricordi? Me lo hai promesso.»
I geta picchiano sui tronchi, legno contro legno, producendo un rumore sordo sotto quello dell’acqua che gorgoglia.
«Mi hai promesso che mi saresti rimasta sempre accanto…»


Rosso porpora e bianco, le vesti dell’Hokage sono sempre le stesse, finemente lavorate e cucite su misura con stoffe pregiate e leggere, poco ingombranti e particolarmente indicate per quel periodo estivo.
Il colletto di cotone bianco sembra, però, un po’ troppo stretto al collo di Naruto e la toga scarlatta decisamente troppo lunga per non finirgli sotto i piedi durante i più semplici movimenti.
Fissa truce le lunghe e larghe maniche, litigando col tessuto per far riemergere le proprie mani oltre l’orlo dettagliatamente elaborato, pungendosi più volte con qualcuno degli spilli ancora appuntati fra la stoffa.
Scuote con foga le braccia, cercando di scrollarsi l’intero vestiario di dosso, dimenandosi esasperato.
«Accidenti!» Ringhia, rischiando d’inciampare su se stesso. «Accidenti!» Ripete.
Lei si preme una mano sulla bocca, soffocando le risate.
«Non ridere di me, Sakura–chan! Mi sento ridicolo!» Naruto lascia cadere le braccia lungo i fianchi, arrendendosi.
Gli angoli delle labbra di Sakura si piegano deliziosamente all’insù, facendole arricciare il naso e dando vita ad una risata cristallina.
Ride piegata in due, strizzando gli occhi e picchiando con i pugni sulle ginocchia.
Il caschetto rosa le oscilla disordinatamente sulle spalle, lucente sotto i raggi del sole che filtrano dalla finestra aperta, e le guance s’accendono d’un vivace color fragola. Com’è bella la sua Sakura–chan, anche quando lo prende in giro.
«Non sai nemmeno vestirti da solo, sei proprio un caso disperato, tu!» Scuote la testa lei, divertita.
Alza vispamente lo sguardo su di lui, fissandolo con quei due spicchi di paradiso che si ritrova come occhi.
Gli si avvicina, sfiorandogli con le dita il colletto dell’abito e ruotandolo dal verso giusto, gli liscia la toga sul petto per poi appuntare due o tre svolte alle ampie maniche. Lo volta afferrandolo saldamente dalla spalle, con movenze non propriamente femminili, chiudendo la zip sul retro e sistemando i bottoni della mantella nella loro asola. Batte forti pacche sulle sue spalle, sistemandogli le spalline e costringendolo a mantenere una posizione composta, per poi passare a lisciare le grinze createsi col precedente trambusto. Lui non si azzarda a protestare, fissando sofferente la parete di fronte a sé e costringendosi a tenere la spalle ben dritte.
D’un tratto se la ritrova a pochi centimetri dal naso, e si sente avvampare quando lei gli sfiora il mento con quel suo sorrisetto eloquente: «Non mi ero mai accorta che ti stesse crescendo la barba, lo sai?»
Naruto sente il sangue affluire alle goti per tingergliele ulteriormente di rosso, e una strana e calda sensazione comincia ad invaderlo prepotentemente. Si sente asfissiare, travolto da un mite profumo alla vaniglia.
Osserva rapito i piccoli dettagli di quel volto, così straordinariamente uguale e diverso allo stesso tempo da quello della bambina di cui si era innamorato all’accademia. La fronte spaziosa, un morbida curva che scende fino al naso, spiritosamente all’insù, quello spruzzo di quasi invisibili lentiggini, mimetizzate sulle goti colorite. E poi quelle fossette sulle guance, che appena accennate compaiono come l’ombra di ogni sorriso, così teneramente irresistibili.
Ma gli occhi turchesi di Naruto stanno sgranati in direzione di quelle morbide e rosee labbra, segnate da piccolissime pieghe, troppo vicine e troppo magnetiche per rimanere ignorate. Allunga goffamente il collo – mosso da una sorta di istinto omicida – premendo le labbra contro quelle di Sakura in una palese imitazione di bacio.
La sente impietrirsi al contatto, ed entrambi trattengono il respiro per diversi secondi, lui speranzoso e lei sconvolta.
Poi il pugno della ragazza vola esperto, mirando spietatamente all’occhio di Naruto, che viene scaraventato pochi metri più in là, contro una libreria che non manca di svuotarsi sopra il malcapitato.
«Idiota che non sei altro!» Sbraita Sakura, stringendo i pugni all’altezza del viso imporporato e digrignando i denti minacciosa. «Hai deciso di morire proprio il giorno della tua nomina? Come ti è saltato in mente, eh?!»
Lui si fa’ piccolo piccolo contro il mobile sulla quale si è andato a schiantare, tenendo una mano premuta sull’occhio dolorante e l’altra stesa in avanti come per implorare pietà. Scalcia fra i libri che lo sommergono, sperando vivamente di nascondercisi sotto. Ma lei gli si avvicina e li raccoglie furiosa da terra, per poi tornare a scagliarglieli contro uno per uno.
«Stupito...» Un volume sulle proprietà mediche delle erbe centra Naruto in pieno naso.
«… piccolo…» Un’enciclopedia sulle antiche scritture lo colpisce sul ginocchio.
«… Idiota!» Un fascicolo illustrato sulle corna di cervo del clan Nara si schianta contro la sua fronte.
Sakura alza e riabbassa le spalle velocemente, respirando affannosamente con le mani strette in due pugni.
«Solo perché oggi diventi Hokage hai creduto che questa fosse la tua giornata fortunata, non è così?
Credevi di baciarmi e passarla liscia, magari speravi pure che avrei accettato di uscire con te! E poi mi sarei subito innamorata, ti avrei chiesto di sposarci e di andare a vivere insieme! Scommetto che avevi già scelto i nomi per i nostri bambini, e scommetto pure che ne volevi tre! Tre! Come ti è saltato in mente, razza di idiota? Viaggi troppo con la fantasia, tu! Ma ti sbagli, tu non mi piaci, capito?! Nemmeno un po’, mettitelo in testa!»
Grida tutto d’un fiato.
Lui la fissa dapprima sconvolto e poi mortificato, l’occhio sinistro un po’ più ammaccato e violaceo rispetto all’altro.
«Perdonami Sakura–chan! Non lo faccio più!» Si fa’ spazio fra i vari libri, indietreggiando impaurito.
Lei chiude gli occhi, premendosi l’indice contro la tempia ed invocando pazienza, il volto ancora rosso.
Agita la mano in aria con noncuranza, sfiorandosi i capelli liberi dal coprifronte e portandoseli indietro:
«Alzati, su!»
Ordina, senza curarsi di porgergli una mano per aiutarlo. Lui ubbidisce all’istante, e la ragazza ride al buffo pensiero di immaginarlo con tutte e nove code fra le gambe e le lunghe orecchie da volpe abbassate, pentito. Ben gli sta!
«Non ho tempo per picchiarti ora, rimanderò a dopo la cerimonia!» Dice schietta, vedendolo impallidire.
Lo tira dal polso, portandolo nuovamente davanti a sé: «E non ci provare più!»
Termina di sistemargli l’abito per l’investitura, portandogli le maniche sopra il polso e la veste sopra le caviglie. Infine affonda le dita nella chioma bionda e irrecuperabilmente scompigliata, frizionando la lunga frangia e i ciuffi vari.
Gli appiattisce i capelli sotto il grande e piramidale copricapo, rosso e bianco, sulla quale sta ben dipinto il kanji del Fuoco. Da questo pendono, ai lati del viso, dei leggeri teli di cotone, che ricadono sulle spalle così come impone la tradizione.
E' Sakura stavolta a ritrovarsi ad osservarlo, analizzando i tratti del suo volto. Si bagna il pollice fra le labbra, passandoglielo poi sulla guancia, là dove i familiari tre segni – così simili a baffi stilizzati – stanno stampati.
Gli pulisce lo sporco del sugo del ramen alla carne precedentemente mangiato, seccatosi sulla pelle abbronzata. La mascella è squadrata, decisamente più virile rispetto a quella del Naruto di tanti anni fa’, più adatta ad un ragazzo diciottenne. E’ ricoperta da una rarefatta peluria bionda, ancora morbida e ben lontana da quella punzecchiante e ispida che un giorno sarebbe diventata. Assorta costata che è proprio cresciuto, e che se dovesse essere lei a baciarlo, stavolta, mettersi in punta di piedi non basterebbe. Scuote la testa, stupendosi dei propri pensieri malsani.
«E così è arrivato il giorno…» Dice, non accorgendosi di sussurrare. «Chi lo avrebbe mai detto? Naruto Uzumaki, il sesto Hokage.»
Sorride, ma la frase sfuma in una nota nostalgica, forse verso il ricordo della defunta Tsunade–sama.
Naruto tace, abbassando lo sguardo sui propri sandali.
E lei nota che lo ha fatto senza allegria, facendo brillare lo sguardo turchino con una vacua tristezza.
«Non sei felice?» Gli fa’, quasi come una constatazione.
«Ho paura.» Risponde Naruto.
Lei lo fissa interdetta, lui continua con un sospiro:
«Paura di non essere all’altezza.» La sua voce trema impercettibilmente. «E’ sciocco, lo so. Fin da quando ero bambino sognavo di stare qui con questo cappello in testa, ma solo ora mi chiedo se riuscirò davvero ad essere all’altezza di tutti i miei valorosi predecessori, se riuscirò a proteggere il mio villaggio e le persone che amo. Ho paura di non essere la persona giusta per onorare questo titolo, specialmente ora che l'Akatsuki si sta muovendo contro Konoha e…»
«Smettila!» Gli prende il mento fra le mani, perplessa. «Questo non è quello che direbbe il Naruto che conosco, lui starebbe qui a saltellare di gioia e a ripromettere a se stesso di diventare il miglior Hokage della storia! Si vanterebbe fino alla nausea e cercherebbe ostinatamente ti strapparmi un invito a cena stasera per festeggiare!»
Lo rimprovera, scrutandolo severa: «Sei il miglior shinobi di tutta Konoha, ami il tuo villaggio e tutti ti stimano e ti rispettano. Hai affrontato l'Akatsuki una volta, e poi farlo ancora, ancora e ancora. Perchè tu sei l'instancabile Naruto Uzumaki della quale tutti si fidano ciecamente!»
Poi piega le labbra, fissandolo indecisa.
«Anche io ho pienamente fiducia in te, e ti starò sempre accanto…»
Rapida si nasconde sotto il copricapo indossato dal ragazzo, appendendosi ai teli di cotone e sfiorandogli le labbra in un bacio appena accennato. «…perciò non avere paura, stupido di un Hokage!»


Le palpebre fremono impercettibilmente, infastidite dalla luce artificiale delle grandi lampade fissate sul tetto della camera.
Piano cercano di aprirsi, ancora appesantite dal sonno e dalla stanchezza, rivelando ad intervalli sprazzi d’iridi verdi orlate da lunghe ciglia color pesca.
Una, due, tre volte. Si aprono e si chiudono con inconscia flemma, offrendo a Sakura una sfocata visione dell’ambiente circostante.
Un intenso profumo di pulito distillato la raggiunge, e l’impeccabile bianco delle lenzuola di lino le occupa la visuale velata dalle ciglia.
E’ stesa su un letto, all’interno di una delle tante camere dell’ospedale di Konoha, ma lei è ancora troppo assorta nella dormiveglia per capirlo. Il suo sguardo vaga confuso – stordito dalla luce – sul candido delle coperte, osservandole spiegazzate davanti a se, distinguendone addirittura la trama non particolarmente elaborata.
Ed eccola lì, una chiazza di seta rosso fuoco, spiccare nitidamente sul lino e facendole sgranare improvvisamente gli occhi.
Sakura sussulta, scattando seduta sul letto, facendo sobbalzare quel qualcosa che poco prima dormiva accanto a lei.
Lui la fissa dapprima straniato, drizzandosi immediatamente sulla sedia accanto al letto, poi improvvisamente sollevato.
Le labbra di Naruto si piegano in un sorriso e le sopracciglia bionde s’inclinano, dando vita ad un’espressione di gioia.
«Sakura?!» Geme in un soffio, chinandosi su di lei e prendendola dalle spalle, facendola scivolare fra le proprie braccia.
La stringe forte – stando ben attento a non urtarle la spalla e il braccio fasciato – come per assicurarsi che lei sia veramente lì con lui – e lascia affondare le proprie dita fra i suoi lunghi capelli, lasciati sciolti sulle spalle, sparpagliati sugli indumenti bianchi che tutti i pazienti indossano.
«Sakura, stai bene…» Le sussurra con voce roca contro il collo, inspirando profondamente l’odore della sua pelle pallida e morbida, in un inconscio bisogno di accertarsi che non fosse cambiato «… stai bene, vero?»
Lei rimane immobile nella sua stretta, con gli occhi spalancati verso una delle pareti della stanza e le labbra schiuse per la sorpresa. Muove incerta le mani, poggiandole debolmente sulla schiena di Naruto, avvertendo la consistenza liscia del suo chimono rosso, quello che poco prima aveva assurdamente scambiato per sangue.
Ma se avesse osservato con più attenzione avrebbe certamente notato quei motivi bianchi e gialli decorare sapientemente il tessuto, mimando candide fiamme divampare sulla seta rossa. Ora ne avverte il forte profumo di gelsomino, lo stesso che impregna il suo ufficio, e una sensazione di familiarità e protezione la invade con una calda morsa al cuore. Non è morta, è a casa.
Si abbandona con un fremito contro di lui, sentendo le proprie gambe tremare per il sollievo sotto le coperte e – non sa il perché – l’irrefrenabile bisogno di piangere. Un nodo le si aggroviglia in gola, impedendole qualsiasi suono che non sia un gemito strozzato, facendole sembrare persino amaro respirare.
Vorrebbe dire qualcosa – vorrebbe dirgli quella cosa – ma anche se muove le labbra nessun suono ne fuori esce.
Naruto le accarezza piano la testa, seguendo sempre lo stesso percorso, lisciando sotto il palmo calloso della mano la consistenza morbida dei suoi capelli, ne segue la lunghezza lungo le spalle, per poi risalire e riscendere.
La culla su di se con fare protettivo, seguendo il ritmo del suo respiro regolare contro il proprio petto, che lo solletica delicatamente. Ma poi la sente fremere fra le proprie braccia, scossa da un singhiozzo malamente trattenuto.
L’allontana piano, sorreggendola dalle spalle come per paura di vederla cadere, osservandola colpito in quel momento d’estrema fragilità. La vede così per com’è, leggendo nei suoi occhi trasparenti come l’acqua tutto il tormento e la disperazione di cui è intriso ogni suo singolo gesto, persino ogni battito di ciglia.
Invisibili lacrime le rigano il volto, lasciando sulle pallide guance scie salate, sgorgando silenziose dagli occhi, che vagano incerti per la camera.
«Sakura…» La chiama Naruto apprensivo, osservandola annegare in un tacito panico.
Lei boccheggia, schiudendo ad intervalli le labbra rosse, fissandolo schiacciata dalla ferrea convinzione di stargli per dare la notizia più brutta che avrebbe potuto dargli. Gli prende il viso fra le mani, carezzando la mascella squadrata, resa crespa dal leggero strato di barba bionda, seguendo i tratti dritti degli zigomi e quelli screpolati delle labbra. Affonda nei suoi occhi, grondanti di cobalto fuso, cercandone all’interno una venatura di comprensione, cercando di comunicargli tutto il suo dispiacere per quello che sta per dirgli.
Ma loro la fissano così come l’hanno sempre fissata, senza esitazione le sorridono, brillando di vita.
«Naruto, io…» Parla con voce impastata, sentendo l’aria nei polmoni farsi meno. «Io…»
Lascia cadere la mani sulle sue, muovendole mortificata verso il proprio ventre, piangendo piano.
«Io…» Singhiozza, abbassando il viso divenuto rosso. «Noi…»
Sente la mano di Naruto farsi improvvisamente più pesante sulla sua, premendole con gentile possessività contro il ventre.
Le si avvicina esperto, cingendole la vita sottile e facendo incontrare le loro labbra in un bacio.
Quello è proprio uno dei loro baci, capaci d’appiccare il fuoco che divampa rapidamente in un incendio, bruciando dolcemente in profondità, scendendo fin nell’anima per ridurre in cenere qualsiasi forma di razionalità.
Le fiamme corrodono calde nel petto, consumando scottanti le labbra, che fra di loro si rincorrono in un gioco, sempre lo stesso, seguendo quei movimenti calcolati che ormai conoscono a memoria. E si perdono, storditi l’un dall’altra, in quel caldo affondare fra le labbra che li unisce, mandandoli lentamente alla deriva di un vorticoso oblio, dove il brusio della pioggia – che batte forte fuori dalla finestra – sembra inesistente.
La peluria bionda sul mento di Naruto gratta insistentemente su quello liscio di Sakura, ma loro s’incontrano ugualmente, ignorando quel piccolo fastidio alla quale già da tempo si sono abituati, e faticano a lasciarsi andare, come ogni volta, conoscono un solo modo per spegnere quel loro fuoco.
Ma non ora, non ora.
Con un’impercettibile schiocco delle labbra, inumidite dalla saliva, lui si stacca per tornare a baciarla ripetutamente sulla fronte, tenendole la testa dalla nuca. «Lo so.» Le soffia fra un bacio e l’altro. «Lo so, amore mio.»
Sakura sgrana gli occhi umidi, premendogli le mani contro il petto nell’inutile tentativo di allontanarlo, una sfumatura interdetta colora il suo sguardo: «Tu… tu lo sapevi?»
Lo sente annuire a pochi centimetri da sé, intento a deporle baci sull’orecchio, sussurrandole:
«Ino me ne ha dato la conferma, ma l’avevo già capito…» Le fa’. «Ecco perché non potevo permetterti di andare in guerra, anche se dovevo aspettarmelo che un mio semplice ordine non ti avrebbe tenuta ferma qui a Konoha.»
Lei rimane in silenzio, rielaborando confusa le ultime informazioni ricevute, trovando un’improvvisa spiegazione allo sguardo colpevole di Ino durante la loro ultima conversazione. Sente la mani sudare freddo e la gola divenire arida.
Non può controllarle le lacrime che scivolano rapide, scottanti sulle guance.
«Naruto perdonami per…»
«Perdonami per aver permesso che ti venisse fatto del male…» La interrompe lui, deponendole baci leggeri sulle goti, saggiandone il sapore salato. «…d’ora in poi vi proteggerò io, sia te…»
Scivola con il viso lungo il suo petto, sentendolo abbassarsi e rialzarsi in preda al pianto, percorrendo la pancia fino al ventre piatto, deponendo un bacio anche lì.
«…sia il nostro bambino.»
Torna su, seguito dal fruscio del proprio kimono, naufragando nello smeraldo liquido dei suoi occhi:
E ora lei lo rivede – in quel volto segnato dalla responsabilità, in quell’uomo che tiene sulle spalle il destino di un intero paese – il ragazzino combina guai sempre pronto a rischiare la vita per lei, determinato a mantenere la propria promessa e divenire il più grande e rispettato fra tutti gli Hokage. Anche a vent’anni gli occhi di Naruto sanno ridere così come quelli di un bambino.
E il suo sorriso è sempre lo stesso, sempre capace di scaldarle il cuore.
«Metteremo la parola fine a questa guerra, quando nostro figlio nascerà tutto questo sarà solo un ricordo lontano, ma prima di allora ti prego di rimanere qui, al sicuro con me, per proteggerlo.»
Naruto si porta le mani all’altezza del collo, scavando fra la seta del colletto e recuperando il gancio della propria collana, quella del primo Hokage, appartenuta a Tsunade. Se la sfila piano, districandola dai lunghi capelli biondi, per metterla al collo di Sakura, che lo fissa confusa.
«Sposami, Sakura–chan.»
Nitide e dirette, le parole del Rokudaime suonano all’interno della stanza d’ospedale, echeggiando incisive sotto il martellante battere della pioggia sul vetro della finestra, aleggiando in aria come l’ombra del desiderio più bello, come l’ardente profumo di una speranza da tempo attesa.
Ed inebria il pensiero di Sakura, che scivola lontano, negli abissi di uno sguardo blu.
Sfiora con le dita tremanti il ciondolo d’acquamarina, sentendolo come ghiaccio sullo sterno nudo, osservandolo incredula.
Forse quel futuro felice che tanto desiderava per loro non era poi così lontano, non era poi così irraggiungibile.
Anche in un momento buio come quello il sole poteva fare breccia fra le nubi nere, illuminandola di speranza.
Doveva solo aver fiducia, fiducia nel proprio sole.
Gli getta le braccia al collo, travolgendolo con la chioma rosa pastello e stringendolo forte a se.
«Naruto!»
Ride il suo nome fra le lacrime, ripetendolo più volte e in maniera sconnessa.
Lui abbandona il capo sulla sua spalla, chiudendo gli occhi:
«Da oggi io e te combatteremo insieme, questa è una promessa.»
Per noi e per questa nuova vita.







Come al solito io, masochista fino al midollo, scrivo sempre e solo cose di lunghezza inaudita!
E se tu, lettore, sei arrivato fin qui... beh, allora sei più masochista di me.
Ci sarebbe tanto da dire su questa one-shot.
Innanzi tutto che è una sorta di spin-off di una mia vecchia fiction che si chiamava, appunto, "Il tempo degli eroi".
Una storia che vedeva Konoha dopo diversi anni dallo Shippuden, Naruto era Hokage ecc ecc... che riguardava in generale diverse coppie, ovvero la ShikaIno, la KibaHinaNeji e, non ridete vi prego (XD), Konohamaru/Hanabi.
Tuttavia, visto che non avrò mai il coraggio di pubblicarla, ho deciso di reciclare solo la parte NaruSaku per il concorso e... che dire?
L'idea che mi venne un'afosa notte della scorsa estate non si è rivelata un vero e proprio fallimento, visto che mi ha permesso di arrivare terza! (... non posso ancora crederci...)
Ci tengo a ringraziare Coco Lee per aver indetto questo magnifico concorso, e insieme a lei HarryHerm.
Non possono mancare i più sentiti complimenti a Kaho_chan e a Mao_chan91, rispettivamente prima e seconda sul podio, che hanno creato delle NaruSaku veramente stupende *_*! Le ho lette tutte d'un fiato, e non vedo l'ora di leggere le altre!
Chiedo perdono per gli errori nella fiction, ma è troppo lunga e io sono troppo pigra per rileggerla. Anche perchè non sono sicura che il mio povero cuoricino resisterà ad una seconda lettura di quel finale, con contenuto altamente smielato e pateticamente romantico da far vomitare. ù_u
Comunque sia si regalano caramelle a chi lascia un sengo del proprio passaggio nell'angolino delle recensioni! <3
Spero di poter tornare presto a postare su EFP, baci.

~dionea

Ps: La storia delle caramelle era falsa, solo biscotti avariati.

  
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