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Autore: Madama Pigna    19/01/2014    1 recensioni
(Storia in fase di revisione) Dal capitolo 42:
E non poté fare a meno di ricordare come non fosse riuscito a fare niente, di fronte alle ferite di Farbauti.
Era un bambino inesperto, all’epoca, ma questo non fece alcuna differenza.
Per alcuni istanti, si bloccò lo stesso.
Temendo di fallire una seconda volta.
Temendo di veder morire suo fratello – e stavolta per davvero.

Piccola nota: il rating arancione si riferisce a singole scene e non all'intera storia. Segnalerò quindi i capitoli un po' più 'forti'.
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Incest, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tre figli di Laufey(e un mucchio di guai)'
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Auuf! Scusate il ritardo. Purtroppo ero convinta che si dovesse aggiornare domenica, poi mi sono ricordata di aver postato il 10, mentre oggi è giorno 20 (credo.. ultimamente sono un po' confusa su questo punto, ho il cervello in pappole ^^'). Si è aggiunta la connessione guasta e quindi eccoci qui. Piccolo appunto su questo capitolo: dato che ho una assurda mania per i flash back, si è allungato al punto che ho dovuto dividerlo. Quindi il prossimo aggiornamento, per non farvi aspettare troppo la famosa 'rivelazione', sarà tra pochissimi giorni (questa, ovviamente, non è una buona scusa per non recensire :P xD). Adesso godetevi il capitolo!








 
Byleistr si sforzò con tutte le sue forze, pur di non perdere i sensi, ma non ce la fece.
Circa una settimana prima era dilagata la malattia a Utgarda. Il giovane non sapeva dare un nome a quel male, ma sapeva che era uno di quelli peggiori, perché aveva già visto quelle macchie nere, alcuni anni prima. Quel modo in cui la gente piano piano si indeboliva, finché non riusciva più ad alzarsi dal letto e, in preda a brividi di gelo uniti alla febbre, moriva.
Nemmeno due giorni dopo, suo padre lo aveva fustigato di fronte a tutti i suoi cortigiani, incolpandolo del fatto che frequentava straccioni e che in tal modo poteva trasmettere il malanno a tutti gli altri.
 
Ogni ferita, dal momento che non gli era concesso il riposo, era un tormento, ma Laufey aveva ordinato a suo fratello di non guarirlo per nessuna ragione al mondo. Se voleva diventare un guerriero, diceva, doveva accettare di soffrire come tale senza stupidi trucchetti. Byleistr non si era ribellato, e adesso, mentre portava sulla schiena una preda più pesante del solito –probabilmente l’unico animale grasso in tutta Jotunheim, pensava lui- la sua schiena, irrigidita dai continui spasmi di dolore, gli implorava di fermarsi a riposare. Il suo corpo era indolenzito dalla troppa fatica, in quei giorni. Non c’era un muscolo in cui non sentiva dolore a ogni minimo movimento. La stanchezza gli intorpidiva i sensi, gli occhi avrebbero voluto tanto chiudersi. E doveva essere svenuto anche prima, quando, attendendo una buona preda, all’improvviso si era ritrovato per terra, senza più la forza di rialzarsi, per almeno mezz’ora. Poi si era ripreso e aveva ucciso quell’animale di passaggio.
Ma non agiva più secondo i bisogni del suo corpo da tempo. Non c’era riposo, per lui, non poteva permetterselo. A fine giornata, forse, avrebbe dormito cinque o sei ore, invece delle solite tre o quattro, tanto quella specie di alce era così grossa che le famiglie che aiutava a sfamare non avrebbero risentito di un paio di ore di sonno in eccesso. Sempre se riusciva ad arrivare a Utgarda, a quel punto.
Solo un altro piccolo sforzo, pensò. Non manca tanto, solo un’ora di camminata. Posso resistere. Ho camminato per quattro ore, per non parlare dell’andata e del tempo perso a cacciare. Cosa sarà mai un’ora?
 
La sua schiena non era dello stesso avviso, ma non poteva certo rimanere lì in mezzo al niente!
 
Ignorò la stanchezza. Tuttavia, i piedi, prima pulsanti, cominciavano a perdere sensibilità. Le ginocchia erano messe a dura prova dal peso del suo carico, come anche la colonna vertebrale, ingobbita, e le spalle, quasi in fiamme. Il giorno dopo, chissà, magari avrebbe avuto un torcicollo.
 
A volte si arrivava a livelli di fatica tali che, per un po’, la sensazione di intorpidimento era opprimente al punto da non sentire più il dolore del corpo. Esisteva solo l’obiettivo, il punto di arrivo da raggiungere al più presto per poter riposare. Non era la prima volta in cui il giovane si sentiva in quel modo, ma avrebbe persistito, come sempre.
 
Ci sto provando, padre, pensò molti minuti dopo, quando, proprio davanti a suo fratello, sentì che non avrebbe potuto reggere un secondo di più in uno stato cosciente. Cadde a terra, in mezzo al ghiaccio, avvertendo su di sé le mani di Helblindi mentre lo soccorreva, forse cercando di sollevarlo per portarlo alla reggia.
Giuro che ci sto provando..
 
 
 









 
 
- Byleistr! Ti prego! Va tutto bene, non.. -.
- PADRE!! -, urlò il più giovane, scostando il braccio del fratello senza rendersene conto, dimenandosi come una animale in trappola. – Padre!! -,urlò ancora, in preda a un delirio a cui Helblindi non sapeva dare una spiegazione.
- La malattia.. sta distruggendo.. tutti! -, continuò il Principe. Si era svegliato in quello stato da ore, ormai, e il più grande non aveva idea di come rimediare. Nessuna delle malattie che aveva visto fino a quel momento provocava vaneggiamenti del genere. Era scoppiata di nuovo l’epidemia, perché Byleistr non era stato più attento?! Perché non gli aveva parlato dei suoi malesseri?! Perché?!
- Non so cosa.. fare.. padre.. padre.. -, mormorò piano Byleistr, e Helblindi capì a malapena le sue parole.
Neppure lui sapeva come agire. Aveva provato di tutto, ma a cosa gli serviva la magia, quando non sapeva nemmeno quale fosse il male che affliggeva suo fratello, ne, tanto meno, in quale modo abbatterlo?
Quasi tutte le conoscenze del suo mondo erano sparite dalla circolazione. I maghi e i guaritori sterminati, i libri bruciati o nascosti. E quella era solo la punta dell’iceberg, in tutta la miseria che Laufey aveva provocato.
 
Preoccupato da quell’improvviso calo di toni, lo Jotun si avvicinò al viso dell’altro. Nessuna malattia lo avrebbe mai scalfito, e questo a causa dei suoi poteri, lo sapeva, e fin’ora suo fratello non era stato colpito da nessun morbo, neanche una volta. Ma allora perché..?
 
 
Sentì la rabbia dentro di lui crescere. A che serviva trasformarsi in qualche animale se poi non sapeva come far evitare la morte ai suoi cari? La sua ignoranza in materia di guarigione lo rendeva inerme.
- Byleistr -, sussurrò, sperando che potesse sentirlo. I suoi occhi erano semichiusi, ed era diventato quasi immobile, come se non fosse del tutto cosciente. – Per favore, resisti. Dammi almeno il tempo di capire come farti stare meglio. Puoi farcela, lo so che puoi. Hai steso tutti quegli stupidi, l’altro giorno, ricordi? Il tuo fisico è forte. Combattilo, lo so che ne sei capace, lo so! -.
 
 
Il giovane non sembrò averlo sentito. – Padre.. -, ansimò. – Ci sto.. ci sto provando.. te lo giuro.. -.
Helblindi non sapeva cosa Byleistr volesse dire, ma non ci rimuginò, pensando fosse solo la febbre,  ormai altissima. Appoggiando il  palmo gelido sulla fronte del fratello, comprese che non si era abbassata di un solo grado. Un istante di concentrazione, e un rettangolo di ghiaccio si creò dal nulla sotto la sua mano. Helblindi sperava, in questo modo, almeno di alleviare un po’ le sofferenze di Byleistr. Non fu così.
- Te l’ho promesso.. TE L’HO PROMESSO!! -, urlò il principe secondogenito, ricominciando ad agitarsi.
- Che cosa, Byleistr?! Che cosa hai promesso?! -, chiese il fratello, a cui ormai mancava poco per piangere.
- Ma non ci riesco.. NON CI RIESCO! -.
- Sì che ci riesci, Byleistr! Puoi farcela! -, lo incoraggiò l’altro, stringendogli la mano.
Ma suo fratello non sembrava in grado di sentirlo. Le sue labbra continuavano a muoversi, imperterrite e indifferenti a tutto, formulando frasi che per Helblindi non avevano alcun senso.
 
 
 
 
 
- E’ inutile che ti affanni tanto. Probabilmente morirà nel giro di pochi giorni, se non prima -.
 
 
Helblindi si girò, e, con rabbia, vide Laufey sull’uscio della porta, che lo guardava sprezzante.
- Nessuno ha chiesto il tuo parere! -, disse, infischiandosene del fatto che lo Jotun davanti a lui non solo era suo padre, ma anche e soprattutto il Re. Si alzò, stringendo le mani a pugno. – E nessuno qui gradisce la tua presenza! -, continuò. Non gli importava che Laufey fosse anche il suo sovrano, non meritava il rispetto che si doveva a un Re di Jotunheim, quindi non si sentiva in dovere di trattarlo come tale.
- Bada a come parli, ragazzino! -.
- Sai benissimo che ho ragione! Perché non hai lasciato che io guarissi le sue ferite prima? Forse adesso starebbe meglio! -, ribatté il più giovane.
- Se tuo fratello pretende di poter infastidire i miei uomini giocando a fare il soldato, che si comporti come tale! I veri guerrieri non hanno bisogno di trucchetti come i tuoi -.
- Hai ragione, sono solo trucchetti, visto che non ho la possibilità di migliorare! Ma cosa ti costa lasciarmeli fare?! La nostra vita è sempre stata così insignificante, ai tuoi occhi? -.
- Sì, visto che non sapete sopravvivere a un po’ di febbre! Che razza di eredi siete se non.. -.
- UN PO’ DI FEBBRE??! HAI APPENA DETTO ‘’UN PO’ DI FEBBRE’’? QUESTA NON E’ FEBBRE, E’ MORTE! -.
- Non farla tanto lunga, Helblindi.. In ogni caso, non puoi fare niente per lui, è un dato di fatto. E, anche se lo volessi, nemmeno io. Smettila di perdere tempo in questa squallida stanza e lascia che muoia, invece di allungare la sua agonia -.
Il primogenito del Re sentì lo stomaco stringersi dalla furia. Un paio di oggetti, nella stanza,esplosero con gran baccano, e le pareti gelarono istantaneamente. Avrebbe voluto attaccarlo. Avrebbe voluto rifargli tutti i connotati, avrebbe voluto mandare ad Helheim tutti i principi morali che legavano padre e figlio, avrebbe voluto..
Non poté attuare nessuno dei suoi propositi. Avvertì una fredda mano, grossa e con le dita rozzamente curve, afferrargli il braccio; e anche se la stretta era debolissima, fu abbastanza per fermarlo. Voltandosi, vide Byleistr che lo guardava. Non capì se fosse del tutto cosciente o meno, i suoi occhi parevano distanti, come se stesse cercando di metterlo a fuoco senza riuscirci. Ma il suo gesto era un messaggio chiaro.
 
Non lo fare. Non metterti in pericolo per me.
 
Osservò per alcuni istanti il fratello, cercando di capire se la sua impressione fosse giusta o meno.
Alla fine, pur se riluttante, decise di dargli retta. Tornò a sedere, dando di spalle a Laufey.
- Non mi importa come la pensi. E’ mio fratello, e gli starò vicino finché non guarirà -.
 
- Fai come vuoi -, sibilò il Re, iroso.
 – Ma non sarò io a seppellirlo, quando creperà davanti ai tuoi occhi! -, continuò, andandosene sbattendo la porta.
 
 
 
- Helblindi! Helblindi! -.
Lo Jotun si svegliò si soprassalto, facendo un piccolo sobbalzo. – Eh? Cosa? -.
Sif lo squadrò con occhio critico. – Ti eri addormentato -.
- Mh -.
La valchiria alzò gli occhi al cielo, credendo che il mago fosse rincretinito dal sonno. In realtà il Gigante, che si era ritrovato con le mani di Sif ad agitargli ostinatamente le spalle, si era svegliato abbastanza prontamente, ma lei non poteva saperlo.
La donna, prima china su di lui, si voltò, ravvivando le braci del fuoco, ormai sul punto di spegnersi se non fosse stato per la sua guardia. – E meno male che non dovevi dormire -, affermò, sarcastica.
- Scusa, ma restare svegli per ore senza far niente è un passatempo che non ha niente di ludico -, rispose. Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato.
L’Asgardiana scosse il capo. – Lascia perdere, è una tortura anche per me. Almeno possiamo tenerci vigili e svegli a vicenda -.
- Non dormi? -.
- No. Troppe cose per la testa -.
 
 
 

 
I due rimasero così in silenzio, ognuno con i proprio pensieri.
 
Helblindi era confuso dal sogno che aveva appena fatto.
In realtà, non era proprio un sogno, lo sapeva anche lui. Era un ricordo.
 
Un ricordo risalente a tanti, tanti anni prima, quando ancora non aveva rotto i rapporti con suo fratello, e Jotunheim non era altro che il pallido spettro di quello che era stata al tempo in cui era un bambino in fasce. Helblindi ricordava quegli anni felici meglio di Byleistr, essendo più anziano, e forse proprio per questo non era mai riuscito del tutto ad accettare di vedere tutta quella miseria davanti agli occhi.
 
Quella fu l’unica volta in cui Byleistr prese una delle malattie che circolavano per il Regno. Adesso che era un esperto in materia, poteva ben capire il perché: nonostante il fisico robusto, suo fratello, in specie in quel periodo, dove alle pestilenze si aggiungeva la carestia, aveva sempre sforzato il suo corpo fino allo stremo, a volte in modo quasi autolesionistico, indebolendosi troppo e permettendo così ai morbi di colpirlo maggiormente.
 
Almeno, questa era la causa medica.
 
Ma la vera ragione di tutto quello era un’altra, e Helblindi, dopo secoli di auto-esilio, non riusciva a capirlo molto meglio di allora.
 
Perché suo fratello faceva sempre tutti quegli sforzi?
 
 
 
Era sempre scorbutico, pessimista e asociale con tutti, franco nelle conversazioni e diffidente nei rapporti sociali. Malgrado ciò faceva sempre il possibile per aiutare il prossimo.
 
E se da un lato Helblindi capiva il senso del dovere, dall’altro stentava a comprendere quella irreprensibile capacità di consumarsi fino all’osso, se lo si vedeva come una cosa necessaria. Forse non era abbastanza altruista o empatico per saperlo.
 
Inoltre, come se quel quesito di per sé non fosse già abbastanza, c’era un’altra domanda che gli ronzava in testa.
 
 
Come diavolo aveva fatto a sognare anche un ricordo di Byleistr?
 
Non era mai entrato nella sua mente. Perciò come era possibile aver visto con i suoi occhi e con i suoi sensi quello che aveva vissuto lui in prima persona? Non riusciva a darsi una risposta concreta.
 
 








 
 
 
Nel frattempo, la valchiria osservava il mago con discrezione. Come aveva detto lui stesso, era molto più sicuro per tutti se lui restava in uno stato vigile. Quindi era meglio tenerlo sott’occhio, se l’incantesimo gli toglieva tante energie. Fortunatamente, lo Jotun non sembrava in vena di riaddormentarsi. Anzi, sembrava piuttosto crucciato, come se si stesse scervellando su un problema molto grave. Fissava il fuoco con intensità, quasi in trance, sfiorandosi le labbra con le dita in un chiaro gesto di riflessione.
 
 
Incredibile che uno così fosse capace di trasformarsi in animali giganteschi fin dalla giovane età..
 
 
 
Sif, dopo aver rischiato di morire nella caduta del Ginnungagap, si era ritrovata a pensare spesso a quei ricordi che le erano stati involontariamente trasmessi dal mago. Non avevano neppure sfiorato l’argomento, loro due; non con Thor, Hogun, Volstagg e Frandal a sentire parlare di memorie così intime.
Ma a dispetto di quello che poteva sembrare ad alcuni, Lady Sif era una donna intelligente. Con i suoi difetti, naturalmente, ma intelligente. Non ci voleva molto intuito per capire di che cosa trattassero quelle reminescenze nella sua mente. Aveva anche riconosciuto suo padre, Ullr, nella mischia, pur se non rimembrava il momento preciso in cui gli era stata staccata la gamba. Tanto meglio, perché sarebbe stato un tormento.
 
Eppure, quelle sensazioni non volevano scivolare via. La paura, gli odori, le urla.
Aveva sempre pensato che, se mai avesse incontrato la bestia che aveva reso suo padre storpio, avrebbe certo fatto di tutto per ucciderla. Ma le cose non erano andate come aveva sempre immaginato. Fenrir, il demone del Vàn era un mago Jotun, un metamorfo, che, a quanto pare, diventava pericoloso quando non controllava più le sue emozioni. Inoltre era uno dei fratelli naturali di Loki, e questo la diceva lunga sul suo atteggiamento inizialmente un po’ cinico.
 
Ma vedere quei ricordi aveva cambiato i suoi punti di vista. Adesso non poteva certo pensare che Helblindi fosse una sorta di animale assetato di sangue! Almeno non di solito, per quel poco che aveva visto.
 
 
- Mi dispiace per quello che ho detto quando eravamo a casa tua -, disse.
 
Il Gigante si riscosse dai suoi pensieri, perplesso.
 
- Non potevo sapere nei dettagli cosa era successo a mio padre e il tuo atteggiamento mi aveva subito messo in guardia. In ogni caso sarei dovuta essere più.. diplomatica, ecco -.
 
- E io immagino che avrei potuto evitare di provocarti: quella su tuo padre è stata una delle affermazioni più..meschine che io abbia mai pronunciato -, ammise lo Jotun, passandosi una mano sui capelli castani. – Sono sempre stato poco incline alla comprensione, e quando le nostre menti si sono incontrate..-.
 
- Hai visto anche tu ricordi che non sono tuoi? -, domandò Sif, sorpresa. Il mago annuì.
- E.. che cosa hai visto? -, chiese, sperando che non fosse nulla di imbarazzante, o troppo intimo, come i momenti passati con Thor o in generale i periodi meno felici della sua vita.
 
- Ho visto il giorno in cui Ullr è tornato da Jotunheim. E il giorno in cui sei diventata una guerriera a tutti gli effetti. Capisco perché tu sia così affezionata a quell’arma -.
 
 
Istintivamente, Lady Sif abbassò lo sguardo sulla sua spada, come per assicurarsi che fosse ancora lì. – Volstagg non era del tutto in torto, quando mi ha rimproverato di averci fatto rischiare la pelle -.
- Forse, ma non credo di poterti giudicare. Al posto tuo avrei fatto la stessa cosa -.
L’Asgardiana alzò un sopracciglio. – Davvero? -.
Helblindi annuì. – Anche io amavo molto mio padre. E del resto è una delle ragioni per cui non ho mai avuto simpatie per il tuo popolo, visto che è morto proprio il giorno in cui è finita la guerra -.
- Mi dispiace.. -.
Lo Jotun scrollò le spalle. - E’ passato molto tempo. Ormai cerco di non esagerare con le emozioni negative -.
- Cosa intendi dire? -.
- Alcuni mi definiscono come una persona molto.. passionale. Il mio miglior pregio e il mio peggior difetto, credo. E quando non controllo le mie emozioni non controllo nemmeno i miei poteri, soprattutto la metamorfosi -.
- Come quando siamo andati ad Helheim -.
- Esatto. Thor (ma anche tu, ad essere sinceri), mi aveva fatto infuriare parecchio -.
Sif stette un momento in silenzio.
- E come quando tu e tuo fratello avevate incontrato Lord Tyr? -.
Helblindi la guardò sorpreso. – E’ questo quello che hai visto tu? -.
- Sì -.
Il mago volse lo sguardo al fuoco, fattosi cupo.
- Ero un bambino spaventato. Ho fatto quello che i miei istinti più nascosti mi dicevano di fare. Volevo solo salvarmi la vita. Non avevo idea di quello che facevo. Quando poi io e Byleistr siamo rimasti soli, all’improvviso mi sono reso conto di essere sporco di sangue, ovunque. Aveva un odore talmente intenso che ne sono rimasto impregnato per giorni, e da quei tempi non è più riuscito a infastidirmi più di tanto -.
 
-.. Sapevo che il generale era un conservatore estremista, ma non avrei mai immaginato fino a questo punto. Alla fine è colpa sua se mio padre è rimasto storpio -, disse, trattenendo un ringhio a quello rivelazione. Tyr non le era mai piaciuto. Oltre a tutto quello, era espressamente contrario alla carriera militare femminile.
- Allora questa è una tregua, Lady Sif? -.
La valchiria fissò il mago, che a sua volta la guardava interessato.
- ..Sì. A questo punto direi di sì -.
 
 
 
 
 
 
 














Rimasero nuovamente in silenzio, mentre Helblindi ritornava a pensare al misterioso sogno che aveva fatto. Ideò diverse teorie, una più improbabile dell’altra, ma, quando ne concepì una plausibile, rimuginò a lungo su quello che doveva fare. Era rischioso, certo, ma lui era sempre stato poco incline a percepire il pericolo.
 
Forse il contatto tra menti mi ha reso più aperto a questo genere di incantesimi, o forse vedere mio fratello in sogno è stato solo un caso, ma.. Se adesso guardassi nel passato, potrei scoprire cose della mia famiglia finora a me sconosciute. Negli ultimi secoli, ripensando alla mia vita prima di andarmene da Jotunheim, mi sono venuti dei dubbi che non sono mai riuscito a risolvere e questa potrebbe essere l’unica occasione per capire.
 
Con il senno di poi, capì di essere stato molto impulsivo. In quel momento, però, quella consapevolezza lo aveva solo sfiorato. Ma se il Ginnungagap era l’incontro/scontro dei due opposti, il tessuto dell’universo e, beh, tutto il resto del sermone, allora forse lo si poteva usare per guardare in quello che era cessato di essere.
 
Cosa che fece.
  
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