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Autore: DulceVoz    20/01/2014    12 recensioni
Un’ ex truffatrice che vuole cambiare totalmente vita, una ragazza ambiziosa ma dall'animo troppo fragile per realizzare le sue aspirazioni, un uomo che vive in un doloroso passato non riuscendo a superarlo e suo figlio, erede viziato e sicuro di sé che fugge dalle sue sofferenze con una vita fin troppo sregolata. Quattro cuori, quattro menti, quattro destini molto diversi… cosa accadrebbe se le vite di questi quattro personaggi si incrociassero? Cosa celerà villa Galindo? E se, una nota di sovrannaturale sconvolgesse ancor di più il tutto, proponendosi sotto forma di sogni più o meno inquietanti? Misteri, amore, inganni, passioni e segreti. E una donna che, in fondo, c’è sempre stata.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il campanello suonò ripetutamente ma lei non sembrò essersene accorta, ancora completamente coperta dal suo piumone bianco fino alla cima della testa. Si rigirò stizzita da quel trillo così insistente e, solo dopo un minuto abbondante, aprì un occhio, sbadigliando rumorosamente. Ancora un’altra scampanellata a darle fastidio. La donna sbuffò sonoramente e, nervosa, si mise a sedere sul letto, massaggiandosi le tempie con aria distrutta. Din Don! “- ARRIVO!” urlò Angie, stiracchiandosi e infilandosi con tutta calma le pantofole.
“- Ma chi diavolo rompe a quest’ora?” borbottò tra sé e sé, scendendo le scale della sua enorme villa a due piani. Si precipitò alla porta e, aprendola, si ritrovò di fronte alcuni uomini, uno elegante in un abito nero ed altri tre con tute blu da lavoro… no, non poteva essere vero. “- Salve, lei è la signora Caldez?” chiese quello vestito bene, sistemandosi distrattamente il nodo alla cravatta. “- Signorina Saramego. Non ho mai sposato il defunto signor Caldez, deceduto da circa un mese, ormai.” Disse, come se nulla fosse, la bionda, studiando l’espressione per nulla sorpresa dei suoi ospiti. “- Lo so bene, volevo solo che me lo confermasse… sono desolato per la sua situazione, ma vede, siamo gli espropriatori mandati dal tribunale. Lei ha ricevuto l’istanza, vero?” chiese quel moro, varcando la soglia e facendo sgranare gli occhi alla donna: stava succedendo tutto così in fretta che le sembrò di stare ancora sognando… “- Che cosa? No! Cosa diamine volete? Secondo il testamento tutto spetta a me, o sbaglio?” urlò la Saramego, tentando di fermare gli uomini che stavano già afferrando mobili e soprammobili dal salone principale ed avevano intenzione di caricarseli nel camion parcheggiato nell’enorme giardino. “- Troppo tardi, lei è nei guai fino al collo, bella signorina! Non paga le bollette, in teoria dovrebbe soldi a fin troppi creditori di Caldez, stanchi di stare ai suoi comodi, e la casa è sotto sequestro perché il signore non ha mai detto in alcun testamento che le spettasse di diritto, né l’ha mai sposata! Se ne deve andare subito da qui!” urlò serissimo l’uomo, consegnandole un foglio dalla sua cartelletta blu scuro. “- Che cosa? Lei non puo’ farmi questo! Ero sicuramente nel testamento, è certo! Caldez me lo aveva promesso, e l’ho letto io stessa! Ero l’unica erede di tutto il patrimonio!” urlò Angie, scioccata. Era un piano perfetto il suo: si era intrufolata come dipendente in quella enorme villa entrando in amicizia con quell’uomo, era riuscita a farsi firmare gli atti per dimostrare a tutti che l’uomo le avesse lasciato la casa e tutto il resto ma, purtroppo era stata sfortunata… e, a quanto sembrava, era stato il vecchio stesso ad aver fregato lei! “- Sì che posso, è il mio lavoro! Il signor Caldez a quanto pare, ha ritratto tutto prima della sua dipartita! A lei non spetta nulla, ha lasciato tutto ad un ente benefico. Ne parli con il notaio se non mi crede! Se vuole, al massimo, utilizzeremo una cifra per toglierle i debiti in cui quella vecchia volpe l’ha lasciata!” ribatté l’uomo, osservandola andare avanti e indietro per il salotto, come una trottola impazzita. Aveva cambiato il tutto in punto di morte, che disdetta! E che astuzia per un ultranovantenne! “- Certo, risolvetela così ma almeno lei mi dia un po’ di tempo in più per andar via! Come faccio a sfrattare in meno di 10 minuti?” si lamentò la donna, leggendo di fretta quell’atto ufficiale che l’uomo le aveva consegnato tra le mani. “- A quanto pare non le spetta proprio nulla, signorina, nemmeno tempo! Ma siccome mi sento buono, posso darle un solo giorno, uno solo in più… entro domani deve lasciare la casa, mi dispiace. E si ritenga fortunata! Sta volta si è evitata un’altra denuncia e mi pare di aver letto in qualche fascicolo che una l’avesse già… e lei sa cosa scatterebbe con una sola in più…” Sentenziò l’uomo in abito elegante alludendo al carcere, salutandola con un cenno della mano e facendo segno ai due operai di lasciare tutto com’era… sarebbero tornati il giorno successivo per prendere tutto il resto della roba di valore che era in bella mostra in quella reggia. “- Non ci posso credere! Quell’infame di Caldez!” balbettò la donna, portandosi le mani al viso e correndo di sopra, in camera, per gettarsi di nuovo a peso morto sul letto e prendere a fissare il soffitto, iniziando a riflettere. Pensava di averla fatta franca, che quel riccone, avesse perso la testa per lei, che le avesse lasciato la casa e tutto il resto senza neanche doverlo sposare, cosa a cui non era per nulla disposta ma, a quanto pareva si sbagliava… ed ora? Come avrebbe fatto per vivere e soprattutto dove lo avrebbe fatto? Era rovinata! Doveva trovare una soluzione in fretta per quella situazione inaspettata, doveva inventarsi qualcosa e alla svelta per sperare di continuare a sperperare soldi altrui e ad essere la ricca di turno… amava troppo quello stile di vita per lasciarlo perdere, una volta avendolo conosciuto. Per quanto ancora avrebbe potuto truffare? Sarebbe stata beccata ancora come allora e la volta precedente? Non ne aveva idea ma una cosa era certa: doveva trovare un minimo alloggio in meno di 24 ore per potersi trasferire dalla casa di Caldez. Dove poteva andare a chiedere aiuto? Era orfana fin da ragazzina e non aveva alcun parente e conosceva poche persone a parte le vittime alle quali aveva tentato di rubare tanti soldi e beni con raggiri vari. La polizia la conosceva già e, con una sola denuncia alle spalle, era riuscita a farla franca ma voleva continuare in quella sua “carriera”? Avrebbe rischiato davvero tanto? Non aveva mai voluto sposare un uomo dell’alta società e probabilmente quello era stato il suo vero, grande errore: con un matrimonio, forse, avrebbe ottenuto legalmente tutti i beni del suo marito benestante e avrebbe potuto continuare a fare la vita da nababbo che sognava. Doveva trovare un altro uomo ricco e abbastanza rimbambito per riprovarci o sarebbe stato meglio lasciar perdere? Angie scosse il capo come per allontanare quel pensiero, mettendosi a sedere sul letto in posizione seduta: no, in quel momento la vera questione era un’altra: doveva fare le valige e andarsene via da quella casa che non le apparteneva e, con un lampo di genio, realizzò subito cosa dovesse fare. Afferrò un trolley da sotto al grande letto matrimoniale e lo aprì velocemente, non aveva tempo da perdere: abiti, effetti personali e tanti suoi oggetti finirono nella valigia che dovette richiudere sedendosi sopra di essa. Riguardò per l’ultima volta quella stanza e, stizzita, si avviò per le scale che portavano al piano inferiore. “- Maledetto Caldez! Pensavo sul serio di essere riuscita a imbrogliarti, ma mi sbagliavo!” sibilò tra sé e sé, aprendo la porta d’ingresso e, dopo aver fissato quell’enorme salone, uscì per andare via da lì, sbattendola con foga.
 
 
“- Leon! Sto parlando con te, mi stai ascoltando?” Pablo Galindo era nel suo elegantissimo ufficio e aveva convocato il figlio per parlargli di alcuni problemi che lo affliggevano da un bel po’: il ragazzo stava degenerando davvero troppo e più cresceva e più peggiorava con i suoi atteggiamenti discoli e irresponsabili. “- Papà la smetti di lamentarti? Si puo’ sapere cosa vuoi da me?” borbottò un giovane con tono seccato, ben vestito e molto bello ma dall’aria spenta e annoiata. “- Voglio che non fai più fuggire tutte le tue istitutrici, che ti renda conto che non si puo’ andare avanti così e voglio anche che quanto ti parlo mi presti attenzione!” elencò il padre, esasperato da tutta quella situazione. Il ragazzo stava tenendo uno stile di vita inammissibile: feste, locali, bevute, cattive compagnie, ragazze come se piovesse e al tutto doveva aggiungersi la totale mancanza di disciplina che sembrava essere scomparsa da qualche anno a quella parte in particolare. Leon Galindo, da bambino era diverso… ma con il passare degli anni il giovane era cresciuto e voleva condurre la vita che gli sarebbe, secondo lui, spettata di diritto. Era ricco e viziato e non aveva intenzione di fare altro se non divertirsi in tutte le maniere possibili e immaginabili.
“- E cosa vuoi che faccia? Sentiamo!” ghignò il ragazzo al moro che scosse il capo, appoggiando con rassegnazione la schiena alla sua poltrona in velluto nero. “- Voglio che studi, che ti costruisca un futuro e che la smetta di comportarti in questa maniera assurda! 382349,3712 pesos, Leon! 382349,3712. E non aggiungo altro!” urlò Pablo, scrivendo un assegno e firmandolo con un rapido gesto della mano. “- Cosa vuoi che siano per te, papà!” ridacchiò il giovane dagli occhi verdi e intensi, prendendo a fissare Galindo che gli consegnava il denaro. “- Non è per i soldi! Non è quello il problema e lo sai! Ma stiamo parlando di un atto di vandalismo, Leon! Capisci? Ti rendi conto della gravità della situazione?” domandò l’uomo, fissandolo con decisione. Il figlio era identico alla sua amata Clara, morta quando lui aveva solo 5 anni: gliela ricordava tantissimo, avevano lo stesso sguardo magnetico, gli stessi lineamenti, i capelli… il carattere no, per nulla ed era certo che quello non lo avesse ereditato neppure da lui, fin troppo calmo e serioso per potersi anche solo paragonare al ragazzo e d’altronde, come poteva essere l’architetto e imprenditore più importante di Buenos Aries se non una persona rispettabile e dall’aspetto severo? “- Papà allora per la festa di compleanno allora è confermato, vero?” chiese, senza peli sulla lingua nonostante l’ultima malefatta, Leon. “- Ti pare il momento di pensare alla serata per i tuoi 20 anni? Dannazione, Leon! Se continui di questo passo non ci sarà nessun party!” strillò, perdendo le staffe, Galindo, scattando in piedi e prendendo a camminare nervosamente per la stanza. “- Ho solo fatto un murales con Diego! Non è mica la fine del mondo!” si lagnò il giovane, facendo scuotere il capo al padre. “- Sì, sulla facciata principale della Cattedrale della città! E’ illegale, Leon! La devi smettere di vedere quel perdigiorno di Dominguez e compagnia!” il tono di Pablo era tornato serio e freddo e il ragazzo lo osservò con calma… lo conosceva troppo bene e sapeva che l’uomo, se solo glielo avesse chiesto, avrebbe soddisfatto ogni suo desiderio, nonostante i guai in cui si cacciava fin troppo spesso. “- Papino, sai che quella festa mi spetta!” tentò di dissuaderlo con decisione il figlio, cambiando argomento, dall’accaduto alla sua festa. “- Non ti spetta proprio niente finché continui ad avere questi atteggiamenti!” urlò il padre, sbattendo un pugno sul tavolo che il ragazzo ignorò, restandosene immobile, seduto scompostamente sull’elegante sedia il legno color ciliegio. “- Jackie ha già invitato tutta l’alta società di Buenos Aires! Non annullerebbe mai, neppure per tutto l’oro del mondo…” replicò il ragazzo con noncuranza, alzandosi e cominciando ad avviarsi verso la porta della stanza. “- Leon non osare varcare quella soglia! Mi hai sentito? LEON!” ma l’urlo di Pablo terminò a vuoto, il giovane era già fuori, nel corridoio al secondo piano della loro enorme villa, probabilmente una delle più grandi di tutta l’Argentina. “- Amore, perché gridavate tanto? Cosa è successo di così grave sta volta?” l’elegantissima Jacqueline Saenz fece capolino nello studio dell’uomo, venendo quasi travolta da Galindo che stava andando a rincorrere il figlio che, nel frattempo, era già in fondo alle scale. “- Non ce la faccio più. Quel ragazzo mi manderà in manicomio!” esclamò Pablo, portandosi una mano alla fronte e ritornando ad accasciarsi sulla sua poltrona, dietro all’ordinatissima scrivania. Jackie si sedette di fronte a lui e prese a fissarlo con aria preoccupata… era un’ottima attrice nel fingere interessamento per la situazione e, dopo essere riuscita a raggirarselo in tutti i modi, era prossima al fidanzamento ufficiale con lui, avendo sbaragliato la concorrenza di altre donne che puntavano al denaro dell’uomo.
“- Tesoro, Leon è in un’età difficile. Dagli tempo e vedrai che metterà la testa apposto!” sorrise, quasi in un ghigno, la bionda, poggiando la sua mano su quella dell’uomo che prese a fissarla un po’ stranito. “- Quanto tempo ancora dovrei dargli? Tra una settimana compirà 20 anni! E’ ora che maturi! Che la smetta con questa vita frivola! Deve finalmente riuscire a diplomarsi e iscriversi ad Architettura, dovrà portare avanti le mie imprese, Jackie. E’ il mio unico figlio, tutto dovrà passare a lui e non posso lasciare i miei beni nelle mani di un vandalo che si fa arrestare con i suoi amichetti una notte sì e l'altra pure!” sentenziò duramente Galindo, facendo annuire la Saenz che sospirò, chinando il capo sui progetti disposti sul tavolo da lavoro dell’uomo: ville, ponti, palazzi, centri sportivi… Galindo era sempre pieno di lavoro per il suo talento riconosciuto in tutta la città e anche all’estero: tutti lo cercavano, tutti volevano che fosse lui a dirigere le costruzioni più importanti della capitale e le sue imprese edili gli fruttavano tantissimi soldi.
“- Pablo, si sistemerà tutto, vedrai. Ed io sarò al tuo fianco, come sempre.” Sussurrò quasi la donna, alzando gli occhi scuri e specchiandosi in quelli altrettanto neri dell’uomo che aveva, però, lo sguardo spento e preoccupato per il suo amato figlio. Dio solo sapeva quanto ci tenesse a Leon: era tutta la sua vita e detestava essere così severo con lui ma era certo che a quel ragazzo servisse un atteggiamento del genere per poter rigare dritto. Doveva mantenere il controllo, lui era il padre e il giovane doveva rispettarlo, che gli piacesse o meno. “- Cosa pensi di fare per quanto riguarda l’istitutrice per Leon?” domandò poi, con calma, Jacqueline, analizzando il volto del moro per cercare di comprendere una sua possibile reazione di risposta. “- Ho pensato ad un’inserzione sul giornale. La troveremo, vedrai.” Sorrise Pablo, apparendo, finalmente, più rilassato. “- Ma… hai dimenticato a quello che ha fatto alle ultime due insegnanti? Sono fuggite a gambe levate, tesoro! Si saranno tutte passate parola. Nemmeno si presenteranno ai colloqui e ti ricordo che l’ultima volta l’agenzia non ce ne inviò neanche una!” Si incupì Jackie, inarcando un sopracciglio e rimuginando sui guai che aveva combinato Leon con le altre insegnanti private. “- Sta volta no. Qualcuna si presenterà di sicuro, vedrai. Sanno che siamo dei Galindo e lo stipendio ricco farà di certo gola a qualcuna. Ora va’, e porta questa busta a Roberto. Voglio che la consegni subito al giornale locale per far sì che già da domani l’annuncio sia tra le offerte di lavoro… niente agenzia, facilitiamoci le cose per una volta.” Ordinò Pablo, porgendo una lettera alla compagna che annuì, facendogli l’occhiolino. “- Ci penso io, ma tu rilassati! Non mi piace vederti così teso. Ci vediamo dopo.” Ghignò la bionda, appoggiandosi alla maniglia della porta e, girandola lentamente, uscendo così dallo studio. Galindo si prese la testa tra le mani e sospirò, sperando di calmarsi. Quella situazione non poteva continuare, doveva cambiare tutto in quella enorme casa e sperava che, prima o poi, qualcosa o qualcuno fosse riuscito a stravolgere in positivo la vita di Leon e forse, anche la sua.
 
 
Angie si ritrovò di fronte ad una casetta malridotta con un piccolo giardino antistante: non era per nulla ben curato e l’erba avrebbe avuto proprio bisogno di una bella potata. La piccola aiuola di violette era secca e l’albero che era lì da quando anche lei era una bambina stava perdendo le foglie a causa del periodo autunnale che incombeva. La bionda camminava a passo deciso sul breve vialetto in pietra e bussò ripetutamente alla porta della casa. “- Angie! Che bello vederti! Entra, forza!” una ragazzina sui 16 anni sorrise candidamente alla donna, pulendosi le mani sporche di farina sul grembiule da cucina e facendole cenno di accomodarsi ma subito, poi, lo sguardo della giovane si posò sulle valigie della bionda e le girò intorno sconvolta. “- Oh no! Non dirmi che stai per partire! No, per favore non puoi andartene! Ed io come faccio senza di te?” chiese, quasi con gli occhi lucidi, la ragazza, vedendo Angie accasciarsi sul logoro divano con aria pensierosa. “- Magari avessi i soldi per lasciare questo posto, Violetta cara!” si lagnò, scuotendo il capo con rassegnazione. “- Cosa ti è successo, allora?” domandò la giovane, prendendo posto accanto a lei e poggiando la sua mano su quella della donna. “- Mi hanno beccata. Devo lasciare la villa di Caldez e, avendo venduto la mia sono praticamente senza casa! Sono stata un’idiota, pensavo di farla franca stavolta ma a quanto pare è andato tutto in frantumi! L’unica cosa che mi ha lasciato quell’infame per giunta, sono i suoi debiti ma almeno per quelli hanno trovato la soluzione! E la sola nota positiva è che non sono stata di nuovo denunciata!” strillò Angie, prendendosi il capo tra le mani e massaggiandosi le tempie con foga per un gran mal di testa che si era prontamente impossessato di lei ma una voce la fece sobbalzare e, istantaneamente, innervosire. “- Mi dispiace ma qui non ci puoi restare!” il tono acido di Jade La Fontaine attirò la sua attenzione, facendola scattare in piedi e voltare nella sua direzione. “- Zia Jade! Ma non vedi che è disperata?! Papà dì qualcosa!” accanto alla mora, sentendo la voce della Saramego, si era materializzato lui: Matias La Fontaine, padre di Violetta La Fontaine, nonché migliore amico storico di Angie. “- Mati! Proprio te cercavo! Senti, è un’ emergenza! Sono senza casa, senza soldi e senza un lavoro! Mi devi aiutare! Ospitami per qualche giorno, solo un paio di notti! Ti prego! Poi ti giuro che ti lascerò in pace, troverò un’ altra sistemazione quanto prima.” La voce supplichevole di Angie fece abbassare lo sguardo al biondo che, continuando a fissare il pavimento, fece alcuni passi verso di lei. “- Per favore!” lo pregò ancora la donna, fissandolo intensamente con i suoi occhi verdi e magnetici, afferrandogli le mani dolcemente.
“- Fratellino, non vorrai mica…?” tentò di iniziare Jade, rimasta alle sue spalle ma l’uomo la ignorò e, incrociando il suo sguardo con quello della bionda, gli sorrise amaramente. “- E va bene. Ma sai che stiamo messi peggio di te, quindi o collabori economicamente cercandoti finalmente un lavoro che sia degno di questo nome o mi vedrò costretto a doverti far andare altrove.” Spiegò Matias, facendo sì che lei sgranasse gli occhi e lo abbracciasse di colpo. “- Oh, grazie, grazie amico mio! Sapevo che non mi avresti abbandonata!” urlò, entusiasta, la bionda, fissando in malo modo Jade alle spalle del suo grande amico. La loro era una storia molto particolare: abitando nello stesso viale si conoscevano sin da bambini ed erano cresciuti insieme. Matias era come un fratello maggiore per lei, quel fratello che non aveva mai avuto e a cui voleva un bene dell'anima. Erano così simili eppure avevano intrapreso strade decisamente differenti: Angie era sempre stata vivace, iniziò a studiare musica ma la sua vita cambiò radicalmente quando rimase orfana, troppo giovane di entrambi i genitori e fu costretta a diventare adulta troppo in fretta, iniziando a guadagnare qualcosa con piccoli lavoretti per poi dedicarsi alla sua prima, vera e propria truffa. Matias, invece, perse la testa per un’altra coetanea del quartiere, Esmeralda Ferrara che, contro il volere dei suoi genitori ebbe una relazione con lui dalla quale nacque Violetta, la loro bambina. Ovviamente, però, la madre e il padre della ragazza lo scoprirono e, una volta nata, lasciarono la piccola a La Fontaine, non volendo sapere nulla di lei, non potendo tollerare di subire quello scandalo e decidendo di partire quando la piccola era ancora neonata, per l’Europa.  Il destino però, fu fatale e volle che la giovane e la sua famiglia prendessero l’aereo sbagliato, quello che, dopo poche ore di volo, precipitò, non lasciando alcun superstite. Quando Matias seppe la notizia rimase troppo scioccato e cadde in uno stato di depressione fortissimo ma non demorse mai: non era più lo stesso ma la figlia fu la sua forza e crebbe anche grazie all’aiuto di Angie che l’adorava e le faceva da madre. Le due avevano uno splendido rapporto anche se, spesso, era la ragazzina a consigliare e aiutare la donna, perennemente in mezzo ai guai. Jade, in tutto questo, avrebbe regalato volentieri, con un bel fiocco in testa, la mocciosa alla bionda… per lei era solo un’altra testa da sfamare e la situazione era già complessa di per sé. La zia della ragazza e, senza ombra di dubbio, avrebbe preferito un trattamento da gran signora alla SPA piuttosto che occuparsi della nipote, figlia di quell’inetto del fratello che, se fosse stato per lei, avrebbe dovuto già sbarazzarsi della bambina anni addietro, lasciandola in un qualche orfanotrofio. Angie la detestava, Violetta ancor di più e anche con Matias non scorreva buon sangue, nonostante lui le volesse bene lo stesso essendo suo fratello.  
“- Angie puoi restare tutto il tempo che vuoi!” sorrise Violetta, prendendole il trolley e portandoglielo al lato del divano. “- Dormirò io sul sofà e tu al posto mio, accanto a Violetta, d’accordo?” propose il capofamiglia, facendo annuire con gratitudine la bionda. “- Grazie. Sul serio! Ti voglio bene.” sorrise la Saramego, portandosi le valige in camera ma prima fermandosi sul posto per riabbracciare l’amico. “- Di nulla, di nulla.” Balbettò, in imbarazzo, l’uomo, sciogliendo quella stretta e dirigendosi verso il giardino probabilmente per uscire di casa. “- Io vado alle terme!” strillò Jade, facendo sgranare gli occhi alla ragazzina. “- E con quali soldi, zia? Sentiamo!” chiese, indispettita, la piccola, andando prontamente a proteggere il barattolo dei risparmi sulla mensola più alta della cucina. “- Con quelli!” gracchiò la mora, strappandole il contenitore dalle mani. “- No, Jade! Quelli ci servono per vivere! Smettila!” strillò Violetta, afferrando il salvadanaio e tirandolo a sé. “- Ci hai già abbastanza rovinato la vita, mocciosa! Tu e tua madre! Ora dammi questi soldi e torna a fare i piatti!” la voce di Jade era dura e fredda e una lacrima scese lungo il viso della giovane… quanto gusto poteva provare nel farla sentire in colpa del solo fatto di essere nata? Lo faceva di continuo e Violetta soffriva anche troppo per quell’accusa così malvagia. “- LASCIA STARE MIA MADRE! NON NOMINARLA NEMMENO! NON NE HAI IL DIRITTO!” urlò, furiosa e ormai in lacrime la giovane, continuando a tirare a sé quei risparmi. Angie, sentendo quelle grida, si fiondò nella cucina e trovò zia e nipote a litigare, la piccola in un pianto disperato e la donna che, conquistato il barattolo, lo teneva in alto con un braccio teso per non farlo afferrare a Violetta. “- Che diamine succede qui?” strillò Angie, facendole azzittire, mentre la giovane le corse incontro alla bionda e l’abbracciò. “- Ehi, tesoro! Perché piangi? Jade che le hai fatto?” chiese prontamente la Saramego con tono seccato, conoscendo sin troppo bene la mora. “- Fatti gli affari tuoi. Tu sei un altro intralcio qui dentro, come la ragazzina!” disse con acidità la donna, aprendo il barattolo ed estraendone una decina banconote verdi. “- Lo vedi, Angie? Ruba i soldi di papà per le sue stupidaggini e poi non abbiano nemmeno un centesimo per mangiare!” urlò la nipote della La Fontaine, mentre la donna continuava a stringerla a sé, accarezzandole lievemente i capelli castani. “- Tieni. Prendi questi e vattene.” Angie aveva armeggiato nella tasca dei jeans per poi tirarle sul tavolo una banconota stropicciata del valore superiore a quella decina che aveva preso lei. “- Brava, comincia a renderti utile da subito!” borbottò la mora, afferrando i soldi e uscendo di fretta dalla casa.
“- Perché tuo padre non la caccia di casa? Sa che è lei che vi ruba tutti i risparmi, no? E allora perché non le da un bel calcione nel fondoschiena e la manda altrove?” disse, con stizza, la bionda, rimasta da sola in casa con la ragazzina. “- Non lo farebbe mai. Vuole bene a quell’arpia di sua sorella e poi lo sai… lui è buono, non caccerebbe mai nessuno da casa sua, anche se fosse in miseria. Lui finge di non credermi quando gli dico che Jade ruba i nostri risparmi ma in fondo so che ne è consapevole.” Sussurrò quasi la ragazza, ritornando presso il lavello e continuando a lavare i piatti. “- Dai, ti aiuto… faccio io qui, vai a riposarti un po’.” Sorrise dolcemente la bionda, con fare materno. Lei era sempre stata la madre che la giovane non aveva mai avuto: le voleva bene, un mondo di bene, era praticamente cresciuta con lei… meno vedeva sua zia e meglio era per entrambe. Quando viveva con la Saramego era tutto un’avventura… le truffe, le ville enormi… una vita da nababbi! Tornava a casa solo per suo padre, la sera. Almeno si risparmiava di dover stare con quell’arpia di Jade per tutto il giorno. Angie era diversa: ci teneva tanto a lei, la sentiva come una sua nipotina anche se non lo era e Violetta ne percepiva l’affetto. Si divertiva un sacco ad andare alla reggia del vecchio Caldez dove la donna lavorava come cameriera, tentando di diventare l’unica amica di quel vecchio acido e scorbutico nella speranza che quel tipo le lasciasse qualcosa in eredità, non avendo alcun familiare o amico. E glielo ripeteva spesso, avrebbe lasciato tutto a lei e la donna era così felice da aver venduto la sua casetta vicina a quella dei La Fontaine… ma non era andata a buon fine. Il vecchio prima la inserì nel testamento e poi, in punto di morte, l’aveva fatta escludere, ed ora eccola lì, senza casa né lavoro, sperando nel prossimo colpo di fortuna. “- Prima o poi la caccerò io se tuo padre me lo consentirà!” ridacchiò la bionda, infilandosi i guanti di lattice per iniziare il lavoro interrotto dalla ragazza, mentre Violetta si andava a sedere alla sedia del piccolo tavolo in legno scuro posto proprio alle spalle del lavandino. “- Come farai adesso?” chiese la giovane, mentre la bionda smise di strofinare dei bicchieri e si voltò di colpo. Già, come avrebbe fatto ora per vivere? Voleva avere una vita normale, seppur non era lo stile che si aspettava… aveva conosciuto la ricchezza, le bellezza e gli sfarzi delle ville dei ricchi e sarebbe stato difficile lasciar andare quei sogni. “- Mi troverò un lavoro vero e proprio. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di fare qualcosa di utile e onesto.” Sussurrò quasi la donna, per poi voltarsi e continuare a sciacquare delle stoviglie. “- Tu? Un lavoro normale e onesto? Ma figurati!” sghignazzò la giovane, facendola voltare solo per lanciarle un’occhiataccia di rimprovero. “- Angie, mi prometti che mi porterai con te, qualunque cosa accada?” chiese la piccola, avvicinandosi a lei che le sorrise teneramente. “- Dove vuoi che ti porti? Qui c’è tuo padre, la tua casa…” iniziò la donna, venendo però interrotta di colpo da Violetta: “- …E c’è mia zia! Ed è quello il problema fondamentale!” esclamò la ragazzina, incrociando le braccia al petto con rabbia. “- E va bene, te lo prometto. Spero di trovare un impiego in cui me lo consentiranno… almeno tutto il giorno non dovrai stare qui solo con l’oca giuliva e perfida!” esclamò, con una mezza risata, Angie. “- Ti voglio bene!” urlò la giovane, abbracciandola. “- Oh, anch’io, lo sai. Tanto, tanto, tanto!” sorrise la bionda, abbracciandola e riempiendola di schiuma bianca del sapone dei piatti. “- Ops… scusami!” urlò poi, togliendosi i guanti impiastricciati. “- Ah, vuoi la guerra? E guerra sia!” urlò la giovane, ridendo, prendendo una manciata di bolle di sapone e lanciandogliele. “- No, basta che poi tocca a noi pulire!” la rimproverò Angie, ridendo e scansando quel colpo con riflessi invidiabili. “- Ok, hai ragione… ma conserviamone un po’, così quando Jade torna dal parrucchiere…” si interruppe la ragazza, alzando un sopracciglio con aria furba. “- …Noi le rifacciamo lo shampoo!” concluse Angie, facendo scoppiare a ridere anche la giovane. “- Ottima idea!” esclamò Violetta, slacciandosi il grembiule da cucina e appoggiandolo sul bordo della sedia su cui si trovava prima. “- Sono sicura di una cosa…” disse la ragazza sottovoce, incuriosendo la bionda che, lasciando perdere la mansione le si andò a sedere accanto, seguendola sul divano del salottino, antistante alla cucina. “- Che Jade sarà furiosa se dovessimo mettere in atto il nostro piano malvagio e schiumoso?” chiese, ridendo, Angie, mentre la ragazza scosse il capo con decisione, guardando la donna negli occhi. “- Che se tu sarai qui la mia vita, almeno un po’ cambierà in meglio. Quando sono con te migliora sempre tutto!” esclamò, sorridendole con dolcezza. “- Sei un tesoro, lo sai? Prima o poi vivrai nel castello che meriti, lontana da quell’arpia di zia che ti ritrovi e con il tuo papà accanto. Vi meritate una vita perfetta, tutti e due.” Le disse la donna, stringendole la mano con fare rassicurante. Dopo quella vita di sacrifici e dolore lei e Matias si meritavano proprio una bella rivincita ed Angie era sicura che, prima o poi, il destino gliel’avrebbe concessa.
 
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Eccomi qui, con una nuova storia! Vi sono mancata? *Coro di no* ahahahah Pensavate di esservi liberata di me, eh? *Coro di sì* e invece no! u.u Emh, bene andiamo un po’ a commentare questa nuova follia… ops, volevo dire fan fiction. Dunque, Angie truffatrice, Violetta LA FONTAINE e Matias buono! Scioccante, lo so… abbiamo tante novità a parte l’essere odioso e petulante rappresentato da Jade che resta tale o forse ancor più cattivo. Leon è un po’… particolare! E vi ricordo che si parla di Leon GALINDO! *-* Povero padre, il figlio lo esaspera! XD Jackie giù le manacce da Pablito! Ecco un’altra che mantiene il suo essere… insopportabile! U.U  Bene, attendo commenti! Alla prossima, ciao! :)
  
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