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Autore: xheyme    20/01/2014    1 recensioni
C’è un momento prima di svegliarsi in cui la coscienza galleggia senza sforzo, leggiadra; un momento in cui ogni incubo della notte viene scacciato, lasciando posto ad un senso di leggerezza che presagisce un risveglio sereno.
Questo, però, non era il caso di Allie.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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LOST MEMORIES.

 
Capitolo 3

 
I primi tre passi fondamentali per un miglioramento della memoria: alimentazione controllata, tenere un diario personale e la cosiddetta “tecnica di muovere gli occhi”, che consiste nel muovere gli occhi alternativamente da destra a sinistra per almeno trenta secondi. E se il tutto fosse avvenuto in un ambiente “familiare” avrebbe giovato la situazione.
Il dottore era stato piuttosto tassativo, ed era per quel motivo che mi ritrovai all’interno dell’appartamento di Jamie – o per meglio dire il “nostro” appartamento – nella periferia di New York.
«Non è molto grande, ma all’acquisto avevamo pensato che per noi due era più che sufficiente» disse Jamie, chiudendo la porta di casa e appoggiando la mia valigia a terra. Mi osservava e il suo sguardo puntato addosso mi infastidiva leggermente. «Non c’è nulla di familiare?» chiese.
Per rispondergli scossi la testa: parlargli con naturalezza mi era ancora troppo difficile; per quanto potesse sembrare insensibile, ai miei occhi quel ragazzo era un estraneo.
«Immaginavo – disse in tono amareggiato. – Ad ogni modo, ti mostro la tua stanza» aggiunse infine, facendo strada.
La camera non era molto spaziosa: un letto matrimoniale posto al centro della stanza, due comodini posti uno al lato destro e l’altro al lato sinistro del letto e un armadio lungo la parete destra la ornavano. Nella parte sinistra vi era una porta finestra che dava su un piccolo balconcino: mi avvicinai e l’aprii, lasciando che una leggera brezza mi accarezzasse.
Chiusi gli occhi e lasciai che quel fenomeno naturale portasse, per un istante, la mia mente lontano dal caos che era diventata la mia vita. Un istante che durò troppo poco.
Riaprii gli occhi e tornai nella stanza, notando Jamie sul ciglio della porta. Continuavo a guardarmi in torno e più osservavo e più continuavo a pensare che tutto ciò che mi circondasse fosse strano: era mio ma, al contempo, non lo era.
Lasciai soffermare il mio sguardo sulla parte di fronte al letto: era completamente bianca, non un quadro o una mensola; completamente vuota, come la mia testa.
«È la tua parete» disse Jamie. Lo guardai prima confusa e poi desiderosa di saperne il motivo. «Ti piace dipingere, nel tempo libero non fai altro».
«Io dipingo?» chiesi con sorpresa.
Annuì. «È un anno e mezzo che ti dedichi alla pittura».
Mi soffermai a pensare su quella nuova scoperta che mi riguardava. «E perché è ancora bianca?» domandai poi.
Fece spallucce. «Hai sempre detto che era un segreto e annotavi tutte le tue idee su un quaderno. Se anche solo mi azzardavo a guardarlo, minacciavi di depilarmi le gambe» disse, sorridendo a quel suo ricordo.
«Posso vederlo?» chiesi, curiosa di vedere ciò che ero in grado di fare.
«No».
Fu una risposta talmente veloce che quasi ne rimasi scioccata. Aveva distolto lo sguardo e quando lo riportò sul mio, e si accorse della mia espressione, si affrettò a giustificarsi. «Non è che non voglia fartelo vedere, è che non posso. L’hai nascosto da qualche parte e non ho mai scoperto quale fosse il nascondiglio».
Tirai un sospiro di rassegnazione. In quel momento desiderai con tutta me stessa che un qualche tipo di flashback mi facesse ricordare la me prima dell’incidente, con in mano matita e pennello. «I miei disegni piacevano?»
«Oh sì» disse e dai sui occhi si poteva vedere quanto fosse fiero. Per la prima volta nel mese della mia nuova vita, il suo sguardo non mi disturbava e arrossii. «Vieni» aggiunse poi, avvicinandosi e cercando di afferrare la mia mano.
Ma mi ritrassi ancor prima di accorgermi della mia reazione. Vidi il suo sguardo ferito inchiodato al mio e con lentezza abbassò la mano. «Ah… Scusa…» mormorai. Distolse lo sguardo, sospirò lievemente e poi, quando lo riportò su di me, i suoi occhi grigi erano di nuovo sereni. O almeno lo sembravano.
«Voglio mostrarti una cosa» disse, riprendendo il discorso interrotto un istante prima. Non tentò di riafferrare la mia mano, e gli fui mentalmente grata. Mi fece segno con la testa di seguirlo.
 
Camminammo, attraversando varie viuzze, per una decina di minuti, fino a quando non ci fermammo di fronte ad un palazzo e disse: «Quella è una tua creazione», indicando con un dito la facciata dello stesso. L’immagine che mi si presentava davanti agli occhi occupava l’intero esterno e mi tolse il fiato: raffigurava il bacio di due innamorati dai volti dipinti in bianco e nero, mentre la vivacità dei colori era concentrata sui cappotti e lo sfondo.
Sentii Jamie affiancarmi e un sorriso da un orecchio all’altro comparve sul mio viso.
 
Strinsi la sua mano, incantata da quell’arcobaleno di colori.

 
  
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