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Autore: TheLittleBlonde    20/01/2014    3 recensioni
Oggi non sei morta solo tu, ma anche io in un certo senso. Ma non mi stancherò mai di dirti grazie,
perché tu mi hai salvata.
Genere: Drammatico, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You saved me.
 

14|09|2008: Primo giorno di scuola.

22|09|2008: "Piacere, Serena."

22|07|2009: Giornata al mare.

09|03|2010: In punizione.

15|05|2012: Buon Compleanno.

25|01|2013: Mi hai salvata.





Quattordici settembre duemilaotto.

Primo giorno di prima media. Una vera schifezza.
A dir la verità pensavo che cambiando scuola, cambiando amici, qualcosa sarebbe cambiato.
Invece niente. Lo stesso schifo.
Il destino ha voluto, che mi ritrovassi con gli stessi identici amici, nonostante abbia cominciato un'altra scuola.
Come misi piede nel nuovo, grande cancello verde, sentii le solite risatine. Quelle che mi hanno sempre accompagnato. Fin dalla prima elementare.
Ridevano perché non avevo i capelli di color oro. Ridevano perché non avevo occhi azzurri. Ridevano perché avevo la faccia piena di brufoli. Ridevano perché avevo qualche chilo in più. Ridevano perché ero sempre sola. Ridevano perché non ero perfetta. Tutto qui.
Affrettai il passo, sperando di arrivare subito al muretto difronte l'entrata, dove potessi sedermi. Arrivai, finalmente. Su quel muretto di marmo freddo. Come il mio carattere. Era perfetto per me.
Mi ci sedetti lentamente. Guardai l'orario sul mio cellulare e mi feci capace che ci sarebbe voluto ancora molto per l'inizio delle lezioni.
Sbuffai, e iniziai a guardarmi intorno, con fare sconsolato. Come sempre.
Ad un certo punto, passò davanti a me Alessandra. Alessandra Bianchi. Lei sì che era perfetta.
Non aveva un filo di grasso, capelli color caramello e occhi azzurri. La più popolare della vecchia scuola.
Fece una leggera smorfia di disgusto e sentii mormorare un 'Questa ancora qui?'.
Abbassai lo sguardo, come sempre. Mi ci ero abituata, ormai.

 

Ventidue settembre duemilaotto.

Percorsi il tratto cancello-muretto, velocemente come sempre.
Mi sedetti sul solito pezzo di marmo, ormai diventato il mio posto fisso.
Erano ancora le 8:02, e per l'inizio delle lezioni ci voleva ancora molto tempo.
Stavo giusto pensando che quella giornata non era così male, fin quando davanti a me non passò Marco. Si fermò e mi osservò dalla testa ai piedi, con un sorriso strafottente.
“Ehi Grassa, ancora qui? Non sei ancora morta tagliandoti? Ah ah peccato.”
Quella frase mi ferì, profondamente. Sentivo gli occhi bruciarmi. Il corpo pesare. Le testa girare.
Tremavo come un gattino infreddolito. Ma questo bastò ad aumentare le risate di Marco.
Quel ragazzino non aveva un cuore. Una bambina di 11 anni non dovrebbe sentirsi dire queste cose.
Sentii qualcosa di umido rigarmi la guancia destra. Forse una lacrima.
Aggiustai una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro, e abbassai lo sguardo, sperando che Marco se ne andasse al più presto. E così fece, per fortuna. Mi lasciò finalmente, sola.
Continuavo a piangere.
Ma ad un certo punto, qualcuno mise la sua mano sulla spalla, e si posizionò davanti a me.
Quel qualcuno emanava un profumo fresco, di pulito.
Alzai curiosa lo sguardo. Vidi davanti a me, una ragazzina dagli occhi corvini, capelli castani raccolti in un morbida coda di cavallo, e uno splendido sorriso.
Avrebbe potuto illuminare tutta New York con quel sorriso.
Aspettate.. ma perché stava sorridendo a me?
“Ehi, non piangere. Comunque piacere. Mi chiamo Serena.” e mi tese la mano, non smettendo di sorridere. Il nome le si addiceva perfettamente. Serena.
Dava l'idea di qualcuno che ispirava serenità, felicità. Non
Non esitai a stringere la mano che mi aveva porto. "Alessia. Un piacere anche per me."


 

Ventidue luglio duemilanove.

Quel giorno, andai a trovare Serena nella sua casa al mare. Ci siamo divertite un mondo.
Siamo state quasi tutta la mattinata in acqua, a giocare a palla. Poi siamo uscite e siamo andate sotto l'ombrellone, dove abbiamo iniziato a parlare del più e del meno.
La mamma di Serena, più tardi, ci ha chiamato perché il pranzo era pronto.
Lasagna, pollo con le patate, frutta, torta alla panna, al cioccolato.
Il pomeriggio siamo state in camera sua. Abbiamo giocato a carte. Ci siamo messe lo smalto.
Mi ha anche regalato una sua maglietta, quella che mi piaceva tanto.
Purtroppo arrivò il momento di salutarci. Ci saremmo riviste un mese dopo, purtroppo.
Mi sarebbe mancata da morire. Ora non potevo stare più senza di lei. Da quel ventidue settembre, diventammo inseparabili. Lei non era come le altre. Era sempre lì al mio fianco ad ascoltarmi. Quando c'era bisogno mi difendeva. E quando c'era il motivo, si arrabbiava anche. Riusciva a farmi ridere anche quando l'unica cosa che volevo fare era buttarmi dal Tower Bridge.
Perché lei era Serena.
Prima che potessi andarmene, mi fermò, e mi abbracciò forte.
“Facciamo una promessa: quella di rimanere sempre amiche.” disse guardandomi dritta negli occhi. Come avrei potuto dire di no? Sarebbe stato da matti. Lei era tutto per me, e l'unica cosa che volevo era rimanere insieme a lei, fino al mio ultimo respiro.
Annuii convinta, le diedi un veloce bacio sulla guancia, e mi incamminai verso la macchina di mio padre, ripetendomi in mente le parole della promessa che avevamo appena fatto.

 

Nove marzo duemiladieci.

La prof. di tecnica ci mise in punizione. Il motivo? Veramente stupido. Mentre spiegava la sua interessantissima lezione sul come si fa la carta, noi stavamo chiacchierando.
Ma la punizione non fu tanto crudele. Avremmo dovuto pulire la biblioteca, che più di una biblioteca, sembrava uno stanzino con tanti libri messi a casaccio, qua e là.
Ci demmo da fare, e in un batter d'occhio, quello che era uno sgabuzzino chiamato 'biblioteca', ora lo era veramente. Era troppo pulita, mancava solo che si vedessero i ripiani sbrilluccicare, come nelle pubblicità.,
Ci sedemmo entrambe a terra, e siamo rimaste in silenzio.
Io giocavo con l'orlo della mia maglietta, mentre lei fissava il vuoto. Non so a cosa stessa pensando. Negli ultimi tempi, si era chiusa in se. C'era qualcosa me lo sentivo, ma aspettavo solo che me lo dicesse lei.
Fece un lungo respiro, poi iniziò a parlare. “Ale, devo dirti una cosa.” il suo sguardo si fece preoccupato. Non l'avevo mai vista così. Doveva essere successo qualcosa di grave, per non sfoggiare più il suo solito sorriso.
Speravo mi dicesse semplicemente, che era finito il suo smalto preferito, o qualcosa del genere. Ma non fu così.
“Era da tempo che volevo dirtelo, ma non trovavo il momento giusto. Ma credo sia arrivato il momento.” si fermò, sospirò e riprese. “Ho la leucemia.” disse tutto d'un fiato, facendo scivolare una lacrima sul suo viso.
Alzai di scatto lo sguardo, iniziando a guardare il vuoto davanti a me.
Mi ripetevo che avevo capito male, lei stava bene, e non se ne sarebbe mai andata.
Girai il mio viso di 90 gradi, e osservavo lei sorridermi debolmente.
No, non poteva essere. Aveva solo 13 anni. 13 anni. Non poteva andarsene a quell'età. Avevamo ancora molte cose da fare insieme. Iniziai a piangere come una fontana.
Le lacrime scendevano da sole, e non riuscivo a fermarmi.
Mi era crollato il mondo addosso. Giuro.


 

Quindici maggio duemiladodici.

Il mio compleanno. Quel compleanno è stato il più bello di tutta la mia vita.
Il primo compleanno a cui è venuto qualcuno. Serena. E non poteva rendermi più felice.
Non era mai venuto nessuno al mio compleanno. Anche se l'invitavo.
Ma quel compleanno fu diverso.
Ero impaziente all'idea che Serena sarebbe venuta con me al Luna Park, per festeggiare.
Sbattevo ritmicamente il mio piede in macchina, aspettando che arrivasse.
“Alessia, smettila.” mi rimproverò mio padre. Ma non gli diedi retta. Ero agitatissima.
Arrivò pochi minuti dopo. Indossava un vestitino a fiori, che arrivava sino alle ginocchia e delle ballerine. Era magnifica. Dietro di sé nascondeva una bustina rossa, molto piccola.
Non mancava ovviamente il suo sorriso radioso, più che mai. Corsi ad abbracciarla, quasi a soffocarla.
Mi porse la bustina che teneva dietro la schiena. Capii che era un regalo per me. Sorrisi allegramente e iniziai ad aprirlo. Non avevo idea di cosa fosse. Ma qualsiasi cosa, regalata da lei, era magnifica.
Finalmente riuscii ad aprire la confezione, e vidi un bracciale. Un bracciale con uno strano simbolo. Non avevo idea di cosa significasse. Era una specie di 'otto' steso, con una scritta che diceva 'BBF'.
Ovvero 'Best Friends Forever'. Una frase impegnativa, e sapevamo che non potevamo mantenerla, anche se lo volevamo con tutte noi stesse. Sarebbe arrivato il giorno in cui avremmo dovuto dirci addio. E quel giorno, si avvicinava sempre di più.
“Questo è il simbolo dell'infinito.” disse Serena osservando l'oggetto. Annuii lentamente.
Una lacrima fugace scivolò sulla mia guancia, e mi affrettai ad asciugarla.
Sussurrai un 'grazie mille', e la abbracciai di nuovo. Più forte che mai.


 

Venticinque gennaio duemilatredici.

Oggi te ne sei andata. Mi hai lasciato senza un saluto. Senza un 'ciao'. Forse è stato meglio così.
Sono davanti a te, o meglio al tuo corpo senza vita.
Non avrò più la possibilità di ammirare il tuo sorriso. Non potrò più abbracciarti.
Nessuno sarà più accanto a me per consolarmi. Nessuno si prenderà cura di me. Nessuno si arrabbierà con me, perché mi offendo da sola. Nessuno mi dirà più che sono 'perfetta'. Nessuno fermerà le lacrime scendere. Nessuno mi farà ridere, quando voglio buttarmi a picco dal Big Ben. Nessuno mi aspetterà all'entrata di scuola. Nessuno sarà con me alla mensa. Nessuno più, starà con me.
Questa mattina, mi sono svegliata. Sentivo una fitta al cuore. Sentivo qualcosa che mancava. Ed era come se sapevo quello che era successo. Ma la chiamata di tua madre, me lo ha confermato.
La sua voce distrutta, i suoi singhiozzi, le parole a metà. La sua voce metallica mi ha detto:
“Non c'è più.”.
Questa frase, mi ha fatto crollare nell'abisso più profondo. Una negazione, un avverbio di luogo, verbo essere terza persona singolare, un altro avverbio. Incredibile, vero?
E' stato incantevole incontrarti. Mi hai cambiato. Mi hai salvato. Mi hai reso felice, come nessuno mai ha fatto. Ma sei andata via. Troppo presto. Avevamo ancora tante cose da condividere, da fare, insieme. Dico bene, vero?
Ricordi, il nostro primo incontro? O quella giornata al mare. Mi sono divertita un sacco.
Quando abbiamo dormito insieme in albergo, in gita con la nostra classe. La serata a pattinare.
O semplicemente, quando ascoltavamo per ore la musica, distese nel giardino di casa tua.
Poi quella punizione dalla prof. di tecnica. Bhe... quella è impossibile dimenticarla. Il giorno più terribile della mia vita. Oltre a questo.
Quanti ricordi. E odio ricordarli. Dimostrano che senza di te, ora non sono più niente.
Perdendo te, ho perso il mio sorriso ritrovato. La mia felicità. Il mio ottimismo. Il motivo di alzarmi ogni santo giorno.
Fa male vederti, spenta. Fa male. Non sai quanto. Queste malattie non dovrebbero esistere. O almeno dovrebbero avere una cura.
Ora tutto quello che riguarda te, è conservato nel mio cuore. E da lì, non se ne andrà mai.
Ho decido una cosa. Mia figlia si chiamerà come te: Serena. Così ogni volta che la chiamerò, sarà come chiamare te.
Spero che tu sia contenta. Lassù almeno, non soffri più, come facevi qui.
Provavi dolore per il tuo fianco sinistro. Per la tua fiacchezza. La tua continua fame.

 

Oggi non sei morta solo tu. Ma anche io in un certo senso. Non mi stancherò mai di dirti grazie,
perché tu
, mi hai salvato.




Salve gentee.

Sono nuova. Quindi abbiate pietà. Lo so, doveva uscire molto meglio di questo schifo. Avevo in mente questa One Shot da tempo. E finalmente l'ho scritta. Ma era meglio se non lo facevo. Verità.
Non so che dire. Anzi si. Perdonatemi.
Comunque mi farebbe piacere, se per confermare i miei giudizi, lasciate una recensione.
Grazie a chi l'ha letta e gli è piaciuta.
Grazie a chi l'ha letta e ha detto 'Mamma che schifo di OS'.
Grazie a chi lascia una recensione.
Grazie di tutto.
Mi nebulizzo. Grazie ancora. ask: http://ask.fm/MapyLouisee
Mary.

 

 




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