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Autore: bulmasanzo    20/01/2014    4 recensioni
Questo è una sorta di seguito dell'episodio EXCALIFERB. Ci saranno alcune situazioni impossibili, giustificabili solo all'interno del contesto fantastico in cui si svolgono. Vi è del fluff, ma NON si tratta di una storia romantica! Sono presenti un paio di piccole scene di violenza, ma ho cercato di farle più soft che potevo.
Genere: Azione, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Carl, Ferb Fletcher, Heinz Doofenshmirtz, Isabella Garcia-Shapiro, Phineas Flynn
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Premessa: devo avvisare che verso la metà di questo capitolo ci sarà una scena che forse potrebbe dar fastidio ai lettori più sensibili. Lo scrivo per correttezza e mi scuso fin da subito, ma non sapevo come alleggerirla... se doveste pensare che per questo sia opportuno alzare il rating ad arancione (anche se io credo di no) ditemelo.

 

Phineas aveva riconosciuto il posto in cui era stato rinchiuso per diversi giorni, dove per poco non era stato divorato da un serpente gigante e dove era entrato a contatto con quell'uomo dalla personalità così incoerente che lo aveva spinto a fare ciò che non voleva.

Scoprì di avere qualche ritrosia quando si trattò di rientrarci, anche se forse da questo sarebbe dipesa la vita di suo fratello.

Il tetto era sfondato, perché quando Malifishmertz aveva iniziato a trasformarsi era cresciuto al punto che gli spazi di quel locale non erano più bastati a contenerlo.

–È questa?– Isabel gli prese la mano. Era così fredda da dare l'impressione che il sangue non le scorresse più nelle vene, ma gliela strinse per farsi coraggio.

Chiuse gli occhi ed entrò insieme a lei, non sapeva se da solo ne avrebbe avuto la forza.

Poi gliela lasciò. –Da questa parte.– disse, dirigendosi immediatamente verso il laboratorio.

Buttato in un angolo c'era un materasso che era stato il giaciglio di Malifishmertz, Bufavulus vi fece sedere Ferbillotto e poi lo forzò a sdraiarsi anche se lui non voleva e faceva resistenza cercando di restare diritto.

–Come va?– gli chiese poi, come per riprendersi dalla brutalità che si era visto costretto a usargli.

Lui sollevò il pollice per dire che era tutto a posto, ma la sua fronte s'era imperlata di minuscole goccioline di sudore e la sua faccia aveva perso ancora più colore. Si premeva il ventre con le mani e tra le dita colava il sangue.

Era stato piuttosto fortunato, perché era stato colpito nella parete più alta dello stomaco, più o meno al centro tra i muscoli addominali, sopra l'ombelico. Nessun organo interno sembrava essere stato lesionato, per lo meno non in modo serio, ma questo non lo toglieva dal pericolo, la perdita copiosa di sangue poteva essere ugualmente dannosa.
–Trovate delle bende pulite. Dovrebbero essercene.– disse Phineas, che già si affannava nel reperire le giuste sostanze che avrebbero potuto servirgli, ma non è che ci fosse un granché di buono, lì in mezzo.

–Posso farti da assistente?– si offrì Isabel.

–No.– rispose Phineas –Qui non devi toccare niente.–

–Ok.– fece la ragazza ritraendosi, quasi spaventata dal suo tono secco.

Phineas si accorse di essere stato un po' rude e se ne pentì. –È che queste sostanze non le conosco tutte e potrebbe esserci qualcosa di pericoloso.– spiegò –Aspetta che le abbia esaminate, poi ti dirò quali puoi toccare senza rischio.– aggiunse.

–Va bene.– annuì la ragazza, convinta solo in parte.

Andò all'ingresso per non disturbarlo.

Perry si era messo a guardia della porta e Baljeetolas e Bufavulus controllavano le condizioni di Ferb che, anche se li aveva rassicurati, aveva inevitabilmente iniziato a non respirare bene, si era rigirato su un fianco ed era tormentato dalla tosse. Il fazzoletto di seta che si teneva davanti alle labbra era sporco di goccioline rosse.

I due gli avevano aperto la casacca e stavano cercando di fasciarlo con dei lenzuoli che avevano trovato lì e che avevano tagliato a strisce.

–Ma cosa fate?– li riprese Isabel –Prima dovete pulire la ferita! Vado a cercare dell'acqua.–

La sua specialità. Non è che fosse perfettamente indicata, ma poteva bastare in attesa che Phineas trovasse qualcosa di meglio.

Nella stanza attigua c'era un secchio mezzo vuoto, probabilmente era stato riempito in qualche pozzo vicino. Ringraziò il cielo per averlo trovato e lo spinse sul pavimento per portarlo da Ferb, poi vi immerse una pezza che una volta posta sul taglio si intrise di rosso.

La strizzò e reimmerse tre volte prima di riuscire a vedere cosa c'era sotto.

Ebbe un sussulto di pura sorpresa che nessuno notò.

–Usa questo.– Phineas era tornato e le porgeva una provetta.

–Che cos'è questa roba?– gli chiese Bufavulus.

–Una soluzione disinfettante. Non aggiusta ma aiuta.–

Isabel non aveva idea di cosa fosse ma si fidava di lui. E perché non avrebbe dovuto?

Versò il liquido trasparente sulla ferita di Ferb, che ebbe un trasalimento involontario e cercò di alzarsi, ma tale movimento gli fu impedito da Bufavulus che lo trattenne giù sul materasso semplicemente spingendolo con una mano.

Isabel arrossì vistosamente.

Ferbillotto si era aggrappato al braccio di suo fratello e si era del tutto scoperto, il petto era praticamente nudo. La vita di corte, in genere, appesantiva i sovrani. Lui non era certo il tipo che se ne restava seduto tutto il giorno sul suo trono a guardare gli altri dall'alto in basso, ma dalla sua corporatura esile non avrebbe mai detto che avesse un fisico così atletico e asciutto.

Ed era straordinario che resistesse ancora, che il suo sguardo fosse ancora così lucido. Quello di Phineas non lo era altrettanto.

–Lasciami, Ferb, non ho ancora finito...– protestò il ragazzo.

–C'è qualcosa che devo dirti.– sembrò che ogni parola gli costasse un grande sforzo –In privato. Per favore.–

Phineas fece il segno di uscire dalla stanza e loro li lasciarono soli.

Passarono quasi cinque minuti a chiedersi cosa mai avessero da dirsi in una situazione tanto critica.

Nessuno badava a lei.

Perry si muoveva nervosamente, passeggiando avanti e indietro per la stanza.

Lo guardò incuriosita.

Lo aveva notato prima, non sembrava più comportarsi come un animale, sembrava aver assunto atteggiamenti tipicamente umani. E in quel momento, la preoccupazione era molto evidente sul suo visetto peloso.

Non appena gli si avvicinò si fermò a fissarla.

Si accovacciò accanto a lui aspettandosi quasi che scappasse, ma non lo fece.

La sua espressione ora sembrava sorpresa. No, quegli occhi marroni erano troppo penetranti per essere quelli di un animale senza cervello.

–Noi due siamo simili, lo sai, Perry?– gli sussurrò abbozzando un sorriso –Vorresti essere un umano anche tu, non è così?–

Perry sgranò leggermente gli occhi e lei seppe che aveva capito perfettamente quello che gli aveva detto.

–Lo so, perché anche io ho tanto voluto esserlo. Però ora mi piacerebbe poter riavere i poteri che ho perso per aiutare i miei amici. E per poter parlare con te, poter capire cosa dici...–

Perry emise un verso strano, ma ancora più strano fu ciò che fece dopo.

Lasciò che lei avvicinasse una mano al suo viso e quando lo toccò, non solo accolse quel buffetto ma lo assecondò piegando la testa.

Isabel sentì quanto fosse morbido quel bel pellicciotto che lo ricopriva e pensò che stesse cercando di dirle qualcosa.

Phineas le aveva detto che Perry non si faceva toccare mai da nessuno che non conoscesse, quindi si sentì quasi una privilegiata.

Aveva da sempre un feeling speciale con gli animali, li comprendeva e loro capivano lei.

Era grazie a quella sua predisposizione se prima era riuscita a mettere in riga i segugi.

Ma stavolta non riusciva proprio ad afferrare.

Quello non era un animale come gli altri. Era una creatura straordinaria, per la sua essenza avrebbe meritato anche lui un corpo degno di ospitarla. Ma forse non era come lei, forse non lo avrebbe voluto, forse si amava e si accettava in toto per com'era. Anche se non poteva parlare, anche se i suoi sentimenti non sarebbero mai stati espressi allo stesso modo di quelli degli umani.

Non ci volle molto perché Perry perdesse tutte le resistenze e si lasciasse accarezzare senza problemi. Stavano facendo amicizia, e in un momento del genere!

Sentì un mezzo borbottio a bassa voce da parte di quei due che commentavano la scena, ma non aveva affatto voglia di preoccuparsene.

Phineas era rientrato. Si soffermò un attimo a fissarla, non riuscì a sorriderle e passò avanti.

Sembrava di fretta ed era evidente che avesse pianto. Non era esattamente una cosa comune da vedere, ma, dopo tutto quello che aveva passato, doveva credere che fosse naturale.

–Tutto ok?– gli chiese.

–Sì, devo finire...– fece lui debolmente.

Si asciugò gli occhi e la sua faccia sembrò cambiare completamente, si concentrò sul suo lavoro e sembrava che per lui non esistesse altro. E magari presto sarebbe stato così.

Isabel si rese conto della propria impotenza, adesso che non era più una fata.

Nella contea in cui era cresciuta aveva sempre conservato il suo ruolo e non aveva mai avuto il bisogno tutto umano di sentirsi felice.

Le fate non creano la vita, ma aiutano la natura a prosperare, avviano i processi di crescita delle piante, dirigono l'esistenza della fauna, non sono al mondo se non per quest'unica ragione che diventa il loro scopo.

Nel corso della vita che aveva preceduto la scelta di rendersi mortale non aveva conosciuto nient'altro.

Eppure lei non era mai stata come le altre, lei aveva sempre provato dei sentimenti.

Era stata uno spirito immortale, dai poteri legati alla terra, e aveva sempre avuto piena coscienza di cosa fosse.

Sua madre l'aveva istruita a svolgere i suoi compiti e un giorno, se mai ne avesse avuti, anche lei avrebbe dovuto fare altrettanto con i suoi figli.

In quanto immortali, infatti, le fate non hanno bisogno di riprodursi, restano giovani per sempre. Lei aveva compiuto centododici anni ed era ancora in fiore, non aveva nemmeno raggiunto l'età adulta. Ci sono anche delle fate vecchissime di settemila anni e più che conservano l'aspetto di creature giovanissime.

Ma a differenza di tutte le sue compagne che la trovavano grandiosa, quella prospettiva non le era più piaciuta. Aveva sempre sentito che c'era qualcosa di sbagliato in questo, ma non poteva capire che cosa fosse.

Era continuata in quel modo fino al giorno in cui aveva incontrato Phineas.

Non era previsto che una fata si innamorasse di un mortale.

Non sapeva perché, ma aveva sentito di amarlo sinceramente, quasi da subito. Legarsi a lui era stata una faccenda molto naturale.

E le era sempre stato detto che quando una fata si lega a qualcuno è per l'eternità.

Aveva dato per scontato che quel qualcuno sarebbe stata un'altra fata come lei. Sarebbe stato anche normale.

E dato che l'eternità trascende la vita mortale, non sarebbe mai stata felice sapendo che, un giorno, la persona che aveva scelto di avere al proprio fianco sarebbe dovuta morire.

Ecco perché era diversa dalle altre, ecco perché aveva scelto di diventare come lui.

E nonostante la sua impotenza, non si sarebbe mai pentita della sua decisione, nemmeno quando la sua pelle perfetta avrebbe iniziato ad avvizzire, nemmeno quando sarebbe giunto il momento di lasciare questo mondo. Era il cerchio della vita.

Non era stata una decisione avventata. L'aveva meditata a lungo prima che Phineas la mettesse di fronte a quella possibilità. Era stato spietato ed era per questo che lei lo avrebbe amato per sempre. Dio, quanto lo amava! E aveva rischiato di perderlo. Sarebbe stato un dolore troppo grande, insopportabile. Non sapeva se sarebbe riuscita a sopravvivere.

Sì, perché adesso la sopravvivenza non era più scontata.

Anche ora che Phineas era di nuovo libero, la sua sorte era decisamente incerta.

Lo vedeva lavorare troppo, avrebbe potuto morire soltanto per la fatica. Cercava di salvare suo fratello, naturalmente, e non c'erano intenzioni più nobili, ma lo sforzo eccessivo avrebbe potuto ucciderlo.

–Sono stanchissimo.– lo sentì mormorare, come se avesse sentito il suo pensiero. I suoi occhi erano iniettati di rosso. Stava per crollare.

–Per favore, devi riposarti.– gli disse –Hai fatto del tuo meglio.–

–Non posso!– esclamò lui –Che razza di suddito e sopratutto che razza di fratello sarei se lasciassi morire il mio re solo per...– esitò –...per pensare a me stesso?–

–In questo stato non riusciresti comunque a fare molto.– cercò di farlo ragionare, anche a costo di adottare un tono severo –Anche se non vuoi ammetterlo, tu hai avuto un trauma. E come potresti non averlo avuto? Ti hanno rapito e segregato, e non obiettare che sei stato trattato bene perché io ho visto il modo in cui quel mostro ti teneva. Chiunque al tuo posto ne sarebbe uscito distrutto, eppure tu sei qui, ancora in piedi, ad annientarti con le tue mani.–

Phineas mise su una faccia triste ma cocciuta. Ma doveva sapere che era lei ad aver ragione.

Gli cinse dolcemente le braccia e gli fece lasciare il becher che impugnava.

–Prenditi soltanto una mezz'ora. Ne hai bisogno.– sussurrò. Non glielo stava chiedendo, glielo stava prescrivendo –Le condizioni di Ferbillotto non sono così gravi da non poter aspettare.–

–Non è vero. Lo ha passato a fil di spada.– singhiozzò il ragazzo con una nota di disperazione nella voce, non riusciva più a trattenersi, era sopraffatto dalle proprie emozioni.

E forse lei stava mentendo, ma non le importava. –Ma lui è resistente, lo sai. Mezz'ora.– ribadì –Ti sveglio io.– gli promise.

Lo baciò e lo sentì rilassare le spalle e aprire la bocca docilmente.

–Sai che mi sei mancata?– le disse piano, senza staccare le labbra, ma lei lo allontanò gentilmente.

–Avremo tutto il tempo della nostra vita per coccolarci.– rispose, sempre dolce ma seria –Adesso fa' quello che ti ho detto.–

Phineas lasciò con riluttanza il suo lavoro a metà.

Praticamente si accasciò sul pavimento, non riusciva nemmeno più a reggersi in piedi.

Non c'erano altri materassi in quella casa, a parte quello occupato da Ferb, ma lei aveva raccolto della paglia da fuori per costruire un lettuccio.

Non era esattamente comodissimo, ma Phineas vi si addormentò istantaneamente non appena ebbe chiuso gli occhi, come un soldato.

Si soffermò a contemplarlo per qualche secondo.

Forse sarebbe stato questo il suo nuovo compito, prendersi cura di lui, assicurarsi che stesse bene, che non si ammazzasse di lavoro.

Decise di lasciarlo in pace e tornò al laboratorio. Guardò le sostanze che stava usando e si rammaricò di non essere in grado di continuare al suo posto.

–Isabel.– si sentì chiamare piano da una voce dolce che conosceva e che la fece allarmare.

–Ferb, cosa ci fai in piedi? Non dovresti nemmeno essere in grado di alzarti!–

Il ragazzo la guardava in modo strano. –Hai detto tu che sono resistente. Lasciami provare.–

–Provare a fare cosa?–

Lui indicò il lavoro incominciato da Phineas.

–Vorresti dire che puoi completarlo tu? Ma sei sicuro?–

Annuì. Il sudore ormai gli ricopriva ogni quadrato di pelle e le guance erano rosse per la temperatura corporea che si era alzata, nonostante l'apparente assenza di infezione. La benda che gli fasciava il ventre non era più del tutto pulita, anche se avevano fermato l'emorragia c'era il rischio che un movimento sbagliato riaprisse la ferita.

Isabel si chiese se ce l'avrebbe fatta.

La mano gli tremò violentemente quando cercò di prendere il becher e per poco non lo fece cadere. Quasi glielo strappò di mano.

–Ascolta. Lo faccio io. Tu dimmi semplicemente quello che devo fare. Ok?–

Lo vide deglutire e strizzare gli occhi lucidi per la febbre, come se quel gesto gli avesse fatto male. Ma in realtà stava mettendo a fuoco. La sua fronte si corrugò per un attimo.

Poi indicò una provetta, fece un segno a 'V' con le dita medio e indice quindi tornò a indicare il becher.

–Due gocce?– interpretò Isabel. Aspettò che lui le desse l'OK, poi mise l'imbuto sulla bocca del becher e vi versò attentamente due gocce -e non di più- del liquido della provetta.

Sussultò. La sostanza aveva cambiato colore. –È normale, questo?–

Ferb si morsicò un labbro, poi le indicò un'altra provetta e aprì la mano per indicare di mettere quattro gocce.

Obbedì, stavolta non cambiò colore ma si sentì una specie di sfrigolio come di olio che frigge.

Non fece in tempo a ripetere la domanda di prima che Ferb già le indicava un'altra sostanza. Gliene fece mettere altre cinque diverse, poi le disse di bollirla.

Appena messa sul fuoco era di un verde sporco. Isabel non ci capiva niente, ma si fidava dell'esperienza di lui, ed era lieta di potergli essere utile.

–Appena diventa blu limpida– disse Ferb –Vuol dire che è pronta.– detto ciò, fu come se avesse resistito solo per portare a termine quel compito, e venne meno.

Accadde di colpo. La voce s'era affievolita, gli occhi si rivoltarono nelle orbite mostrando solo la sclera bianca, la testa si reclinò in avanti sul corpo.

Isabel diede in un'esclamazione, la macchia di sangue s'era allargata in modo spropositato, forse aveva fatto un movimento che non doveva fare.

Chiamò Bufavulus e Baljeetolas, che stavano anche loro riposando nell'altra stanza, e lo stesero sul materasso.

Riaprirono in fretta le bende e di nuovo vide quella cosa che l'aveva tanto spaventata prima, ma stavolta la videro anche gli altri.

–Cos'è quello?– chiese l'elfo a occhi sgranati per la sorpresa e, forse, il disgusto.

C'era un corpo estraneo, piccolo ma non troppo, che spiccava scuro sotto la pelle cadaverica.

–Temo sia la punta della spada.– disse Isabel con calma apparente –Dev'essere rimasta dentro quando il traditore lo ha trafitto.– e sentì un conato di vomito ma lo mandò di nuovo giù, qualcosa le diceva di essere forte.

–Allora è spacciato!– sentenziò il nano.

–Niente affatto!– si arrabbiò –Mi sembra chiaro quello che dobbiamo fare: dobbiamo toglierla. Dammi il tuo coltello.–

Bufavulus se lo tolse dalla cintola e glielo porse –Stai attenta. Potresti ucciderlo.– la avvisò, come se questo la aiutasse a restare calma.

Isabel saggiò la lama con il pollice. Fece una piccola smorfia, era tagliente al punto giusto.

Le parve di escludere completamente tutte le emozioni dalla sua persona, chiudendosi in una specie di bolla di professionalità.

Esaminò il corpo, non sembrava conficcato molto in profondità, poteva farcela.

Fece passare la lama attraverso i lembi della ferita e spinse in giù finché non toccò quel piccolo pezzo di metallo.

Ma non appena ciò accadde, il corpo di Ferb ebbe una specie di impeto involontario nell'incoscienza che gli fece contrarre i muscoli.

E lei sentì una resistenza che non avrebbe mai immaginato, che attraversò la lunghezza della lama arrivando a farle sollevare di scatto la mano.

Ebbe paura, ma ancora non capiva.

–Tienilo fermo.– disse a Bufavulus che afferrò le braccia di Ferb per immobilizzarlo, e Baljeetolas fece lo stesso con le gambe.

Lei portò le dita della mano sinistra a schiacciare i labbri del taglio.

Reinserì la lama e stavolta, invece di toccare subito, tastò intorno sperando e pregando di non troncare qualche arteria importante.

Rigirò il coltello per qualche secondo. Poi, con un movimento secco e tutto in un colpo, ne rigirò la punta dal basso verso l'alto e, stringendo con l'altra mano, sentì l'oggetto risalire.

Allora cercò di afferrarlo utilizzando le dita nude come se fossero pinze, ma le sfuggì ancora una volta.

Sembrava assurdo, ma quella cosa aveva una volontà propria e non ne voleva sapere di essere tirata via.

Imprecò a bassa voce, ma non si perse d'animo e riprovò una seconda volta.

Fu costretta a tagliare un po', ma alla fine, dopo una breve lotta, esso si arrese e lei riuscì a estrarlo, facendo moltissima attenzione.

Lo strinse come se volesse fargli male. Non era più grande di un bottone, ma quanto dolore doveva provocare!

Ma non si trattava ancora di una vittoria, le cose iniziarono a precipitare quando vi fu una specie di scoppio di sangue.

–Tamponate!– ordinò con il tono di voce dell'urgenza.

–Meno male che era già svenuto!– perse tempo a commentare Baljeetolas. Buvafulus fu meno titubante e schiacciò la benda sulla ferita per fermare l'emorragia. Non sarebbe mai bastato a salvarlo, avevano bisogno di qualcos'altro e tutti e tre ne erano consapevoli.

Avevano solo una speranza.

Lei si alzò e andò ancora con le mani tutte insanguinate a controllare la pozione che aveva preparato.

Bolliva, ed era di un blu brillante.

Sentì la punta della spada che aveva asportato vibrarle tra le mani, come una farfalla che cercasse di sfuggire alla cattura, come se veramente avesse una testa propria.

–Che spada fenomenale.– disse in un soffio, ammirata nonostante tutto.

La poggiò sul tavolo e afferrò la pentolina.

–Isabel! Cosa succede?– Phineas s'era alzato e la guardava confuso.

–Spostati, per favore. Devo darla a Ferb.– gli disse con affanno.

Phineas guardò e capì. –Aspetta. Ma l'hai fatta raffreddare?–

Sentì un tuffo al cuore. –No.–

–Versala in una ciotola.– le consigliò.

–Non c'è tempo...–

–Fa' come ti dico!– insistette –Se no rischi di ustionarlo e fare ancora più danno.–

Lei prese un contenitore e ce la travasò.

Phineas le porse un fazzoletto per pulirsi le mani, poi mise un dito nella pozione per sentire se fosse ancora calda e la travasò nuovamente in un'altra ciotola. Per fortuna, abbondavano.

L'aspetto di Phineas sembrava decisamente migliore, era lucido e quasi pimpante, le occhiaie erano sparite. Il riposo, seppur fosse stato piuttosto breve, aveva fatto un miracolo. E ritornare ad affidarsi a lui fu una benedizione.

–Devo fargliela bere?– chiese.

–No, devi versarla dove c'è il taglio...– si interruppe irrigidendosi nel fissare Ferb con occhi sgranati –Che cavolo...è successo...– mormorò.

Isabel capì che era disturbato dalla vista del sangue. Ma avevano già perso troppo tempo.

Prese la ciotola, si inginocchiò sul ragazzo, strappò via la benda ormai martoriatissima e versò la pozione dentro la ferita.

Il liquido blu la riempì e colò da tutte le parti.

Ma non accadde niente. La pelle era sempre fredda e incolore.

Isabel rantolò angosciata.

Prese il polso di Ferb tra le dita e constatò che non c'era più nessun battito.

Il cuore si era fermato.

Realizzò che non ce l'avevano fatta, lo avevano perso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 








 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

–È uno scherzo, vero?- rabbrividì Monogram, tirando impercettibilmente su con il naso. -La pozione non ha funzionato? Me l'hai davvero fatto morire?-

–Si aspettava un finale lieto, signore?– sorrise in modo misterioso il diciottenne, soddisfatto da quella reazione. –Bisogna essere aperti a più di una possibilità.-

Era arrivato alla fine del paragrafo. Mostrò che il resto delle pagine era vuoto.

–Non dirmi che non hai altro.– cominciò l'uomo sbigottito –Non puoi farmi questo, non tenermi sulle spine, Carl. Giuro che ti licenzio se non mi dici subito...–

–Si calmi! Era sul serio uno scherzo!– alzò le braccia il ragazzo, ridendo.

Dalla borsa estrasse un'altra cartelletta, la aprì e ne tirò fuori un nuovo gruppo di fogli, notevolmente più piccolo di quello che aveva avuto in mano fino a quel momento.

–Allora, mi dica, si sente pronto per sentire il seguito?– fece, mettendosi già nella posizione di ricominciare a leggere, ma fu subito interrotto.

–Aspetta un attimo. E quegli altri invece che cosa sono?– chiese Francis dissimulando l'imbarazzo.

Carl seguì la direzione del suo dito teso, stava indicando un altro insieme di fogli che era rimasto nella cartella.

–Oh nulla...– minimizzò –Mi sono divertito a buttar giù un finale alternativo. Ma lei non se ne preoccupi, innanzitutto leggiamo questo.–

–Finale alternativo?– ripeté il capo impallidendo leggermente –Avevi paura che ciò che stai per leggere non mi soddisfi?–

Carl non rispose. Insistette nel suo gesto di mettersi alla lettura.

–Cosa c'è che potrebbe non piacermi?– incalzò l'uomo –Carl, non farmi stare in ansia, qual è il finale che stai per leggere?–

– Adesso lo scoprirà.– tagliò corto lui.

***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pioveva.

O nevicava, non riusciva a distinguere bene di cosa si trattasse, ma cadeva dal cielo, era fredda e gli provocava dei brividi che correvano lungo tutta la lunghezza del corpo.

Poi si ricordò che non si trovava all'aperto, e allora ebbe un secondo di confusione in cui non capiva da dove potesse provenire.

Era forse ricominciata la pioggia insalubre che aveva dato origine a ogni cosa?

Cercò di guardare in alto, per scoprirne la fonte, ma non vide praticamente nulla se non un bianco immenso nel quale il suo sguardo si confondeva e si perdeva.

Tutto sembrava appannato.

Da dove proveniva quella nebulosa?

E c'era veramente o si trattava di un sogno?

O, magari, di un lucido delirio?

Era probabile che non lo avrebbe saputo mai.

Eppur nel dubbio, sentiva una calma innaturale, qualcosa che ancora non avrebbe osato definire 'pace', ma che sembrava avvicinarvisi parecchio.

Non vedeva il proprio corpo ma sapeva, per via di una irragionevole sicurezza, di essere da qualche parte, ancora vivo nonostante il dolore lacerante che gli stava perforando lo stomaco.

Gli parve di vedere la spada Excaliferb, era ancora conficcata nella roccia e l'inscrizione in calce alla sua base avvertiva che avrebbe potuto essere impugnata solo da un proprietario alla volta.*

Ed era stato lui quel proprietario, ma adesso gliel'avevano rubata.

Come era stato predetto, si era rivoltata contro il suo padrone poiché questi non era più degno di essa, e qualcun altro l'aveva reclamata per sé.

Chissà se Roger si sarebbe mostrato più forte di lui, che aveva sempre dubitato di se stesso, chissà che non avrebbe dimostrato di meritarsi quel simbolo di potere e di grandezza.

Anche se lo aveva ottenuto con l'inganno e il tradimento.

Anche se lo aveva assassinato.

In un attimo, le immagini che scorgeva nel buio si fecero indistinte e tutto cominciò a cambiare.

Nel centro esatto di quel nulla, infinito e indefinito, si cominciava a scorgere qualcosa in lontananza che si avvicinava rapidissimo. Strisciava e sibilava come un serpente guizzante.

Quella entità si rese enorme, si fuse con l'immensità circostante e poi se ne separò bruscamente.

Mentre l'uno si elevava in alto, l'altro precipitò in basso e turbinò in un vortice che cercava di inghiottire ogni cosa, e anche lui che si trovava lì non vi sarebbe mai sfuggito.

Senza aprir bocca invocò pietà, chiamò aiuto, pregò di non essere lasciato cadere in quell'abisso, di venire sorretto, di essere salvato.

Ma la sua voce -anche se non aveva più una voce- suonava orribilmente flebile e non raggiungeva neanche la seconda tonalità, chi mai avrebbe potuto sentirla?

Una figura imponente e luminosa si materializzò di fronte a lui, era di una nitidezza che lasciava sfocato tutto il resto.

Vide due mani bianche e scheletriche e un viso incavato, bianco e smunto come un teschio.

Pure ne sentì il tanfo, che spiacevolmente gli arrivò sulla lingua, un'incredibile e nauseabonda combinazione come di carogna putrefatta mischiata all'inconfondibile acidità pungente del sangue.

Voleva gridare mentre quel braccio ossuto si tendeva verso di lui per ghermirlo, ma le sue labbra sembravano fuse nell'acciaio.

La mano dell'essere sfiorò la sua testa, poi si infiltrò tra i suoi capelli e andò a impigliarsi tra i ricci, tastando la cute, e lui sentì quanto fosse gelida ed ebbe il terrore di esserne toccato ancora.

Sembrava che con solo quel ridicolo gesto potesse prosciugare tutto il suo sangue vitale.

E lui non ne aveva più nemmeno un litro nelle vene, perché era morto. O lo sarebbe stato presto.

E c'era un tumulo di terra sopra di lui, che cresceva di secondo in secondo trasformandosi in una montagna che lo schiacciava con il suo peso.

Qualcuno gliela buttava addosso con un badile, se la sentiva sbattere in faccia, entrare nel naso, negli occhi, nella bocca e rotolare giù per la gola soffocandolo.

Era disperato e pianse. Chiamò il nome di Phineas, voleva sentire la sua confortante presenza prima di andarsene, ma c'era qualcuno che gli ripeteva, che voleva a tutti i costi fargli credere, che lui non fosse lì e che non lo avrebbe aiutato.

Eppure qualcos'altro gli diceva che, nonostante quella situazione fosse senza ritorno, ancora una volta lui sarebbe venuto a prenderlo, così come era accorso lui per strapparlo dalle grinfie di Malifishmertz.

Poi sentì qualcosa di bagnato e caldo che entrava nel suo corpo.

Sollevò la testa e vide il suo ventre dilaniato e un liquido blu che vi si allargava sopra, che lo riempiva colando da tutte le parti.

Si sentì afferrare da un'altra mano. Calda, solida, forte e pulsante di vita.

Vi si abbandonò con una fiducia immensa e inaspettata che non aveva idea da dove provenisse.

Lo tirava via, al sicuro da tutto quell'orrore. E lui provò fin dentro al cuore un tepore rassicurante e fu sicuro che nessuno glielo avrebbe mai tolto perché qualcuno che lo amava lo stava reclamando per restituirlo alla vita.

Il sollievo lo travolse mentre l'immagine dello scheletro che voleva catturarlo si faceva sempre più indistinta e lontana.

Vi sfuggiva. Non in maniera decisiva, ma non sarebbe stato quello il giorno in cui la morte lo avrebbe avuto. Ma capì che non sarebbe passato troppo tempo prima di rivederla ancora una volta. La definitiva.

Gli sembrò di risvegliarsi da un incubo.

Risentì la voce di Isabel, piangente e lamentosa come una nenia.

–Non è possibile, ho fatto esattamente quello che mi ha detto.– stava dicendo. Attraverso le palpebre semichiuse la intravvide voltarsi verso Phineas in cerca di una spiegazione, di un conforto, ma lui sembrava interdetto almeno quanto lei.

–Guardate! Qualcosa sta succedendo.– sentì risuonare improvvisamente la voce acuta di Baljeetolas, che stava indicando lui con il dito.

Isabel si era leggermente scostata, capì che non voleva guardare più, che sentiva il bisogno di andar via da quella stanza.

Ma Phineas la prese per le braccia e lei non ebbe cuore neanche di voltarsi.

La sua faccia costernata sembrò rianimarsi in un modo e con una velocità sorprendenti mentre guardava affascinato le guance bianche di Ferb che si andavano ricolorando leggermente.

Il ragazzo si riebbe del tutto. Schiuse gli occhi che per un attimo sembrarono rossi. Ma il blu aggredì il rosso e lo dissolse come un solvente, mescolandosi ad esso.

Il respiro dapprima si fece affannoso, poi pian piano si regolarizzò.

Ritrovò la voce, anche se era molto flebile. –Ho visto la morte in faccia.– disse. Sul suo viso c'erano ancora i segni della debilitazione che l'aveva prostrato.

Fu aiutato a sollevarsi a sedere, Isabel vide che c'era un segno molto profondo che spiccava nitidamente sulla sua pelle, dato dalla doppia aggressione, ma il taglio si era chiuso e, sopra, il sangue si rapprendeva velocemente a formare una crosta parecchio brutta da vedere. Ma si poteva dire che stesse guarendo. Se ne meravigliò per qualche ragione.

Phineas si inginocchiò accanto a suo fratello. –Allora è accaduto quello che ti ha predetto la Dama della pozza.– disse –Non si era sbagliata. Ma sei sopravvissuto.–

Ferb ebbe uno slancio improvviso e abbracciò entrambi, insieme. Baciò anche le guance di suo fratello, senza mostrare nessuna vergogna per tale gesto. Non gli importava di tradire le apparenze, non in un momento simile.

Isabel non se lo aspettava per niente, ma nemmeno Phineas, perché in effetti era un ringraziamento del tutto insolito da parte sua. Doveva aver avuto seriamente paura.

Fu come se si ricaricassero delle pile scariche.

–Certo, ringrazia soltanto loro.– brontolò Bufavulus –Perché noi non abbiamo fatto niente, vero?–

–Non prendertela.– disse Phineas ridendo –Voi avevate già dimostrato la vostra lealtà.–

Arrivò anche Perry, quasi correndo, quasi scodinzolando di gioia. Saltò addosso a Ferb e gli si accoccolò sotto il braccio come se avesse bisogno del suo affetto.

Lui, in risposta, lo accarezzò sulla testolina.

Isabel guardò la scena intenerita. Poi provò rabbia ripensando a ciò che l'aveva causata e chiese delle direttive a quello che sembrava il capo naturale della situazione, a Phineas: –E ora che cosa dobbiamo fare?–

Lui stringeva in mano una nuova boccetta che nessuno aveva ancora notato, piena di un misterioso liquido di color magenta. La esaminava e non rispondeva.

–Che cosa dobbiamo fare?- gli chiese di nuovo, più lentamente.

Lui rispose come sovrappensiero: –Dovremmo capire quale sia il trattamento che si riserva ai traditori. –

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*NOTA: Nell'episodio, sulla roccia su cui è conficcata la spada Excaliferb vi è questa inscrizione: “ONE YANKETH PER CUSTOMER”. Ho cercato su Internet, ma non sono riuscita a capire cosa significhi, pare comunque sia qualcosa di ironico. La traduzione che ne ho dato, sicuramente sbagliata, è puramente ma volutamente personale, in quanto adattata alla storia.
–––––––
Spazio autrice:
Se siete sopravvissuti alla lettura vi faccio i miei più vivi complimenti. Non so cosa sia andato storto nello scorso capitolo per indurre DUE di voi ad abbandonare questa fanfic. Come se già ce ne fossero abbastanza a seguirla... -. - non posso implorarvi di tornare, ma posso invitare chiunque stia leggendo a lasciare una recensione critica, invece di disprezzarmi in silenzio.

  
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