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Autore: Thefoolfan    20/01/2014    4 recensioni
Seguito de "La storia continua...". Castle ripercorrerà alcune tappe importanti dell'ultimo anno trascorso, raccontando gli eventi più o meno felici che hanno condotto lui e Beckett a quel momento iniziale.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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- Questa storia fa parte della serie 'Le storie di una vita'
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Diverse ore dopo passate a pensare al niente Castle decise di muoversi, sentiva tutto il proprio corpo indolenzito, con la testa che stava in una condizione ancora peggiore. Si diresse su per le scale, senza sapere cosa dire, voleva solo stendersi accanto alla donna che amava e dimenticarsi quella serata. Dormire tra le sue braccia, sentendo il suo calore e il suo profumo che lo accompagnavano nel mondo dei sogni, togliendogli quella sensazione di freddo che si sentiva fin dentro le ossa. Guardò sotto la porta notando che la luce della camera era ormai spenta, segno che Beckett non l'aveva aspettato, che forse si era arresa, che per quella sera tutto era finito, ma quando fece per abbassare la maniglia notò che questa scattava a vuoto. La porta era stata chiusa a chiave, dopo tutto doveva immaginarselo. Tenne una mano sulla maniglia mentre l'altra la posò sulla porta accanto alla propria fronte, cercando di percepire anche il minimo suono proveniente dall'interno.

“Kate sei sveglia?”. Domandò con voce rotta bussando leggermente, attendendo qualche secondo per vedere se la moglie gli avrebbe risposto. Per qualche istante pensò si fosse addormentata, ma ormai la conosceva bene e sapeva che, nonostante tutto, non avrebbe mai preso sonno in una situazione simile.

“Non ho difese per il mio comportamento”. Farfugliò nel silenzio della notte, lasciando che le sue parole giungessero fin dalla donna, chiudendo gli occhi immaginandola distesa sotto le coperte, stringendole tra le dita, nascondendo dietro di esse gli occhi gonfi.

“Solo tante scuse, tante inutili scuse. Ho pensato erroneamente che potessimo andare avanti cosi, che potessi farmi carico io da solo dei miei dubbi, delle mie paure, dimenticandomi che tu non me l'avresti mai permesso. Ma ti giuro che non ho detto nulla solo perchè non volevo aumentare le tue preoccupazioni, volevo solamente che fossi serena”. Beckett girò lievemente il capo verso la porta, tendendo l'orecchio per captare ogni sua parola sussurrata. Si mosse sotto le coperte cercando di non far rumore, di non fargli capire che in realtà era sveglia, correndo il rischio di farlo fermare, di non fargli finire quella confessione appena cominciata.

“A volte mi viene da pensare ai nostri genitori, o meglio ai nostri padri,alla figura che sono stati per noi, all'importanza che hanno avuto per noi, a come hanno influenzato ogni nostra scelta”. Castle trattenne il fiato per diversi secondi, rilasciandolo poi lentamente mentre andava a passarsi una mano sulla bocca, sentendosi completamente sudato a causa della pressione che si sentiva addosso.

“E non posso fare a meno di paragonarmi a loro, chiedendomi se sarò alla loro altezza, ed è li che mi cade il mondo addosso”. Beckett andò a fissare la porta proprio come se davanti a se ci fosse l'uomo, incredula di quanto avesse appena sentito. Scostò le coperte da se e appoggiò i piedi a terra, raccogliendo la leggera vestaglia che giaceva a terra, indossandola con un movimento rapido mentre compiva diversi passi verso di lui.

“Penso a che tipo di padre sarò, faccio congetture di ogni tipo, ma ogni volta che accade, il mio passato e il mio presente entrano in contrasto, e per quanto mi sforzi a far prevalere chi sono oggi sento quella parte di me ancora viva.”. Il detective per un istante ebbe l'impressione che la maniglia della porta si stesse abbassando, che la chiave stesse girando nella serratura, e cosi attese trattenendo anche il fiato, sperando di vederla aprirsi davanti a se, di specchiarsi di nuovo negli occhi verdi della moglie, ma alla fine fu tutto frutto della sua immaginazione.

“Non posso più mentire a me stesso, a te. Non sono cambiato Kate, e quanto successo con il russo lo dimostra. Ho solo nascosto la mia natura, aspettando la scusa migliore per poter indossare di nuovo quella maschera.” Castle fece ciondolare la testa contro la porta non sapendo nemmeno lui dove portava il discorso che aveva cominciato, non sapendo nemmeno quale sarebbe stata la sua prossima parola. Beckett invece se ne stava davanti alla porta, con un braccio posato sopra il proprio ventre e l'altro proteso verso il volto cosi da formare un angolo retto con gli arti superiori. Si mordeva un unghia per non parlare, dopo tutto cosa sarebbe servito farlo in quel momento, solo a bloccarlo e costringerlo a rimandare quel confronto in un momento successivo e non potevano permetterselo, non ora che si trovavano a metà strada.

“L'altra notte ho avuto un incubo, è successo quando mi hai trovato addormentato la mattina dopo sul divano”. La donna ripensò a quel momento. Non l'aveva sentito svegliarsi durante la notte, e si era accorta della sua assenza solo una volta aperti gli occhi al suono della sveglia. L'aveva poi trovato in sala, addormentato ma con un espressione sofferente, dovuto a un sonno agitato a cui non aveva dato alcuna spiegazione, almeno fin quel momento.

“Sognavo di tenere in braccio nostro figlio, di tenerlo saldo contro di me mentre lo coccolavo. Poi d'un tratto ho visto le mie mani sudare sangue, dei piccoli rigagnoli che andavano via via ad allargarsi finchè non ne fui completamente intriso. La cosa peggiore è che le gocce di quel sangue cadevano sul bambino ed era come se la sua pelle le assorbisse e i suoi occhi divennero improvvisamente vuoti”. Castle ebbe un brivido che gli fece stringere ancora più stretti i pugni, conficcandosi le dita nel palmo della mano mentre combatteva quel conato che gli saliva dallo stomaco.

“Quel sogno mi ha ricordato ciò che abbiamo negato in ogni modo. Sono un assassino Kate, mio figlio avrà come padre un assassino. Un uomo che uccideva nascondendo le sue vere motivazioni dietro al proprio lavoro, ma in realtà sappiamo che lo facevo perchè mi piaceva. “. L'uomo si sentì la gola completamente secca, provando dolore semplicemente parlando mentre ancora si accasciava contro la porta, aggrappandosi a quel sostegno immaginandosi tra le braccia della moglie.

“Negli ultimi tempi ho come la sensazione che quella parte di me malata, corrotta, abbia in qualche modo lasciato il mio corpo per trasferirsi in quello di nostro figlio e ho paura, che in futuro, io non riesca ad insegnargli ad affrontare quei mostri che gli si potrebbero creare nella mente.”. Beckett schiuse la bocca provando nel petto lo stesso dolore che in quel momento sentiva anche il marito, con le mani tremanti che si stringevano sopra il proprio ventre, volendo proteggere il proprio bambino da quelle parole, come se potessero ferirlo fin da quel momento.

“Che aumentino come successe a me e possano farlo diventare un giorno ciò che ero io.”. Castle chiuse gli occhi sentendo una lacrima formarsi dentro di essi, rimanendo appesa sulle sue ciglia, sforzandosi per impedirle di manifestare cosi la sua sofferenza, non volendola sentire scenderle lungo la guancia lacerandogli la pelle come una lama.

“Non so come proteggerlo da me stesso Kate, vorrei solo cancellare quella parte della mia vita ma non posso.”. Si staccò dalla porta ormai avendo perso quasi la speranza di vederla aprirsi, forse Beckett dormiva sul serio e non aveva udito nulla di quanto lui le aveva confessato con cosi tanta difficoltà. Fece qualche passo indietro fino a che non sentì la propria schiena contro il muro, lasciandosi scivolare su di esso fino a ritrovarsi seduto per terra.

“Ogni volta che mi dici che speri che possa assomigliare a me sento come una coltellata al cuore perchè io non voglio che sia come me. Ho abbandonato la mia famiglia e sono tornato solo perchè costretto, perchè il mio egoismo ha vinto anche sul senso della logica, portandomi ad affrontare Stark, solo per dimostrarmi il migliore.”. Beckett non sapeva che pensare, che dire, avrebbe voluto ora più che mai aprire quella porta, prenderlo tra le braccia e dirgli che tutto sarebbe andato bene. Sapeva però che non sarebbe bastato quello al marito per far cessare quelle sue paure, sarebbe stato solo un mero placebo che avrebbe solo posticipato quel confronto.

“Non voglio che il nostro bambino sia cosi, non voglio vedere nei tuoi occhi la stessa espressione che aveva mia madre ogni volta che tornavo a Los Angeles, non voglio sentire la tua voce rotta come la sua quando credeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che ci saremmo visti. Non voglio darti un figlio per poi portartelo via avvelenato dalle mie stesse ambizioni”. Castle distese le gambe davanti a se, lasciando che le braccia gli ricadessero a peso morto lungo i fianchi mentre lui osservava fuori dalla finestra posta alla fine del corridoio.

“Come potrò essere un buon padre se non sopporto già da ora l'idea che il sangue del mio sangue possa essere come me?”. Beckett sfiorò la maniglia della porta per poi levare la mano come se quel pezzo di metallo scottasse. Quelle idee non le avevano mai sfiorato la mente fino a quel momento. Mai prima dall'ora aveva pensato che il figlio potesse un giorno avere le stesse manie di grandezza che avevano caratterizzato diversi anni della vita del padre, non ve ne era mai stata ragione. L'egoismo, la superbia, l'onnipotenza erano ormai difetti che non vedeva più in Castle, che non riusciva nemmeno più ad associare alla sua persona. Tanto meno si sarebbe mai immaginato un figlio con quei difetti, nemmeno sforzandosi con tutta se stessa riusciva a immaginarlo cosi. Castle vedeva solo il lato negativo della questione. Non comprendeva che avendole già vissute sarebbe stato un sostegno per lei e quel bambino e non un brutto esempio da non seguire. Decisa di parlargli, di togliergli quelle idiozie dalla testa girò a chiave nella serratura e abbassò la maniglia certa di ritrovarselo davanti. Quando però la porta si spalancò si ritrovò a fissare il muro bianco. Si sporse oltre il confine della stanza cercandolo nel corridoio ma non lo trovò.

“Rick”. Lo chiamò sentendo la sua voce rimbombare nella casa silenziosa. Abbandonò quel piano e si diresse a quello inferiore ma anche quello era completamente vuoto. Castle aveva lasciato l'appartamento e non potè non darsi la colpa. Se gli avesse aperto prima invece di starsene ad ascoltare inerme il suo discorso lui sarebbe stato li con lei e invece ora si trovava da sola nel soggiorno a combattere contro il freddo che provava.

 

“Ho bisogno di te”. Era il messaggio che Beckett gli aveva inviato più di mezz'ora prima e che ancora non aveva ricevuto replica nonostante lei tenesse il cellulare tra le mani invocando una qualsiasi risposta da parte del marito.

Camminava avanti e indietro per la sala, non sapendo nemmeno lei cosa pensare, chiedendosi se fosse il caso di andarlo a cercare, ma poi la ragione prendeva il sopravvento ricordandole che non sapeva nemmeno da dove iniziare a cercarlo e che la soluzione migliore era quella di aspettare il suo ritorno.

Quando sentì la porta di casa aprirsi non aspettò nemmeno di assicurarsi che fosse lui a varcare quella soglia. Per quanto le fu possibile accelerò il passo lanciandosi tra le sue braccia con veemenza, stringendo le braccia attorno al suo collo cosi strette da fargli perdere il fiato.

“Come stai?”. Le domandò Castle avvinghiando il braccio sinistro attorno al suo fianco mentre la mano destra teneva stretta tra le sue dita una borsa di plastica.

“Ora che sei qui bene”. Ribattè lei contro il petto dell'uomo, schiacciandosi ancora di più contro di lui inebriata da quel profumo famigliare che la rassicurava.

“Avevo voglia di fare due passi e già che c'ero ti ho comprato qualche stuzzichino per soddisfare le tue voglie notturne”. Sogghignò alzando la mano con la borsa cosi da fargliela vedere ma la donna nemmeno si voltò.

“Non mi importa”. Ribattè Beckett dandogli un debole pugno contro la spalla per poi spalancare la mano e infossare le dita nella sua carne. “L'unica cosa di cui ho bisogno sei tu”. Proseguì mentre Castle se ne rimaneva immobile, quasi impassibile. Non aveva nemmeno il coraggio di proferir parola e calmare l'agitazione che sentiva percorrerle tutto il corpo.

“Per quanto detto prima...” Esordì l'uomo sentendosi a disagio a parlare di quel bambino che ora sentiva contro il proprio stomaco.

“Non provare a rimangiarti ciò che hai detto. Non essere cosi ipocrita da dirmi che ora è tutto passato, che è tutto finito”.Castle riuscì a individuare la rabbia nella sua voce seppur la donna cercasse di trattenersi il più possibile per una serie di ragioni che lui capiva a pieno, ma comprendeva anche che aveva toccato il limite con il suo comportamento.

"Perchè sei fuggito invece di parlarmi faccia a faccia?”. Gli domandò Beckett alzando una mano contro il suo petto, girando la testa cosi che il suo orecchio fosse all'altezza del cuore dell'uomo, cullata da quel battito lento e ritmato.

“Sei tu quella che mi ha chiuso fuori”. Quell'affermazione la colse di sorpresa come una doccia fredda. Spalancò gli occhi lasciando che la sua mente registrasse quelle parole e poi lentamente si staccò da lui, facendo ricadere le proprie mani senza però staccare gli occhi da lui. Le loro espressioni erano cosi diverse ma entrambe avevano lo stesso potere di ferire l'altro solo con la loro presenza. Castle la guardava con un aria impudente mentre Beckett aveva disegnata sul viso una profonda sofferenza e delusione.

“Ora osi pure dare la colpa a me”. Disse spintonandolo via con tutta la forza che riuscì a trovare, spostandolo effettivamente di un solo passo. “Ti ho supplicato più volte perchè mi dicessi la verità e solo quando ho minacciato di andarmene mi hai ascoltato. Ti chiedo scusa se non avevo più le forze fisiche e mentali per starmene li buona buona ad attendere che tu ti decidessi a parlare. Pensavo che avessi capito come mi sentissi ma a quanto pare mi sbagliavo”.

“Kate aspetta”. Cercò di fermarla pentendosi di quelle parole non volute che gli avevano lasciato le labbra. Lasciò cadere a terra la borsa facendo diversi passi in sua direzione ma lei si scostò impedendo alla sua mano di raggiungerla. “Volevo fare solo una battuta”.

“No, non è cosi. Almeno non in parte”. Replicò Beckett dandogli le spalle quando sentì una fitta al ventre che andò subito a coprire con una mano. Quella situazione non faceva bene ne a lei ne al bambino. Avrebbe voluto scappare da sua madre ma ormai era troppo tardi. L'unica soluzione era quella di rintanarsi di nuovo nella loro camera, attendere il mattino e decidere i da farsi a mente più lucida.

“Hai detto che non sopporti l'idea che tuo figlio possa essere come te.”. Sospirò ancora prima di riuscire a muovere un passo in direzione delle scale. Si stava facendo del male da sola chiedendo quelle cose, e ne era ben consapevole, però voleva sapere, voleva chiedere ciò che non aveva avuto il coraggio di fare prima. “Dimmi che non intendi la possibilità di non volergli bene un giorno”.

“No, questo mai”. Disse risoluto Castle sgranando gli occhi mentre correva verso la moglie, parandosi davanti a lei portando velocemente le mani sul suo grembo. “Io amo già questo bambino con tutto il cuore e niente al mondo potrà farmi cambiare idea. Quello che odio è me stesso perchè non potrò mai essere un buon esempio per lui, perchè non potrò mai essere il tipo di padre che abbiamo avuto noi. Ho una paura dannata di non essere il padre che tu vorresti per tuo figlio e non voglio, non posso deluderti, non in questo.”

“Se questo bambino decidesse di seguire le tue orme sarei ancora più orgogliosa di lui. Perchè non riesci a vedere l'uomo fantastico che sei? Perchè dovrei aver paura che nostro figlio possa essere altrettanto straordinario?”. Alzò la voce Beckett aggrappandosi ai suoi capelli, tirandoli con forza per mostrare la sua decisione, osservando le smorfie di dolore che comparivano sul volto dell'uomo.

“Altrettanto straordinario?”. Ridacchiò Castle insolente, scambiandosi di posto con lei, ritrovandosi ora lui a tenerla ferma portando con fermezza le mani sul suo esile collo. “In cosa lo sarei? Nell'aver abbandonato la mia famiglia, nell'aver mentito per anni a chi mi stava attorno?, a farti star male giorno dopo giorno con queste mie paranoie?”. Ringhiò a denti stretti mentre muoveva un braccio dietro di se, gesticolando con frenesia, muovendo la mano ancora attorno alla sua giugulare cosi da farle inclinare la testa, sentendo sotto il palmo della propria mano il battito accelerato del suo cuore.

“A volte mi chiedo se ti ascolti quando parli”. Fu il turno di Beckett di prendere la parola ma a differenza di prima non c'era più rabbia nella sua voce, ne tormento o rimorso. “Vedi solo le cose negative della tua vita e non ti accorgi di tutto il bene che hai fatto invece. Hai sempre mentito per proteggerci, sei sempre tornato da noi, hai rinunciato a Los Angeles per noi, trovi sempre il modo per rimediare alle sofferenze che mi causi”. Affermò parlando con un tono invece leggero, quasi tremante a causa delle diverse emozioni che provava ad ogni scorrere dei minuti. “A me, a nostro figlio, non importa chi eri quando ancora non eravamo nella tua vita. A noi importa chi sei in questo momento, chi sarai quando lui sarà qui”. Continuò prendendo la mano di lui portandosela di nuovo sopra il ventre mentre con il viso si avvicinava a Castle.

“Sarò un uomo che porta sul suo corpo i segni del suo passato e che un giorno dovrà spiegarlo a suo figlio”. Constatò avvilito abbassando lo sguardo mentre con la mano libera andava ad aprire i primi bottoni della maglietta cosi da osservarsi la parte superiore della cicatrice.

“Non un uomo”. Lo corresse Beckett con un leggero sorriso sulle labbra, andando a toccare quella cicatrice, tracciandone i contorni sfiorandoli con i polpastrelli, pensierosa sulla risposta da dare al marito. “Un supereroe che porta sulla sua pelle le tracce delle battaglie che ha affrontato e ha vinto contro le forze del male. Questo è quello che dirò al bambino quando mi chiederà le risposte che tu hai paura di dargli. Ed è questo che gli insegnerò, di imparare da suo padre, di essere come lui, anche con i suoi difetti, perchè pure quelli contribuiscono a renderlo la persona migliore che abbia mai conosciuto”. Il respiro della detective divenne poco a poco più affannoso a causa dei repentini baci che rubava dalle labbra del marito, aggrappandosi alle sue spalle,alle sue braccia mentre gli vezzeggiava il collo per giungere cosi al suo orecchio.

“L'unica persona che abbia mai veramente amato con tale intensità da sentirmi trascinata via, in un mondo fatto solo di cose belle che tu hai creato per me”. Ansimò mordendogli la tenera carne, sentendo il sangue cominciare a pulsarle nel cervello mentre le mani si muovevano con una volontà propria, toccando, stringendo quel corpo che ormai conosceva meglio del proprio.

“Rick”. Pronunciò solo il suo nome seguito da un gemito, un eco di emozioni passate che finalmente stavano tornando ad essere vive mentre sentiva la bocca vorace di Castle saziarsi con la propria, scendendo fino al seno per poi risalire alle spalle e di nuovo alla bocca, ebbro del suo profumo, delle sue suppliche, che riuscirono in breve tempo a fargli perdere il senno della ragione andandole a strappare da dosso la vestaglia con un irruenza che non credeva esser propria. Averla cosi era l'unica via di fuga che Castle intravedeva.

“Ti prego, non cominciare nulla che poi non vorrai finire”. Asserì Beckett aiutandolo a disfarsi della sua maglietta, levandogliela con gesti più lenti, volendo godersi ogni istante, volendo sentire sotto le proprie dita i muscoli delle sue braccia, del suo petto, aprendo la mano facendo scorrere le proprie dita su e giù fino ai suoi pantaloni, ancora e ancora, sentendolo diventare più impaziente ad ogni secondo che passava.

“Voglio solo darti piacere”. Le sospirò contro la pelle mentre abbassava una spallina della camicia da notte giù per la spalla, cosi da scoprirle un seno che andò prontamente ad afferrare con la propria mano per divorarlo con la bocca, scendendo con la mano fino alla coscia, infilandola sotto l'indumento cosi da accarezzarle la pelle nuda, attirandola verso di se nel mentre.

“Io voglio te”. Gemette la donna allungando il collo respirando con la bocca aperta, portando le mani ancora sui pantaloni di lui con l'intenzione di slacciarglieli, mordendo e succhiandogli le labbra quando l'uomo tornò a baciarla, solo per venir fermata dallo stesso Castke ancora prima di aver modo di abbassarne la cerniera.

“Mi avrai”.Affermò divertito e altezzoso Castle lasciando che i propri occhi scorressero tutta la figura della moglie, soffermandosi sul seno, come ipnotizzato dal suo oscillare dovuto ai respiri affannosi della moglie. Rimanendo li fermo immobile l'unica cosa a cui riuscì a pensare era a come aveva fatto a resistere cosi tante settimane senza averla, senza desiderare quel corpo che lo attirava a se come una calamita, con il sapore di Beckett che si sentiva in bocca e gli faceva desiderare di assaggiarne ancora. Scostò lo sguardo e vide a pochi passa da loro quel divano che più volte era stato metà dei loro incontri più passionali, quando il desiderio era cosi grande da costringerli a prendersi li piuttosto che ritardare il tutto di qualche minuto per raggiungere la camera da letto, e per un istante ancora pensò di gettarla li sopra, di averla fino a farla supplicare di fermarsi, ma quando le sue dita si mossero d'istinto su di lei tornò violentemente alla realtà. Socchiuse gli occhi mentre accarezzava con entrambe le mani il ventre rigonfio, rinchiudendo velocemente quei desideri carnali in un angolo remoto del suo cervello.

“Alle mie condizioni però”. Suggellò tornando a guardarla dritta negli occhi, chiudendole la bocca con un bacio cosi da impedirle di protestare, aspettando che lei si perdesse in quello prima di farla indietreggiare di diversi passi cosi da farla ritrovare con la schiena al muro. Incastrò una gamba tra quelle della moglie per far si che le divaricasse quel quanto bastasse, tornando a toccare l'interno coscia con la mano destra, assaltando di nuovo il suo collo mentre Beckett si aggrappava alle sue spalle sentendo la propria biancheria scivolarle lungo le gambe.

“Non ti muovere”. La donna sentì il fiato caldo del marito accarezzarle il collo, e la sua bocca che prese a succhiare delicatamente appena sopra la clavicola. Un “finalmente” le morì in gola mentre stringeva la sua camicia da notte tra le dita sollevandola poco a poco fino al suo fianco, usando l'altra per accarezzare la nuca di Castle, mordendosi il labbro inferiore quando sentì il suo dito medio insinuarsi dentro di lei, incalzando subito un ritmo che rifletteva l'impazienza dell'uomo che aumentò la pressione dei suoi baci, premendo il proprio bacino con quello di lei per tenerla ferma in quella posizione. In breve tempo la casa si riempi degli ansimi di Beckett, stretta contro il petto del marito, usando il suo corpo per tenersi dritta in piedi, mentre lui ancora muoveva le dita alternando movimenti rapidi ad altri più dolci, senza mai staccare gli occhi dal suo volto. Non poteva negare a se stesso che il sesso gli mancava, anzi in quel momento comprese che il desiderio era ancora più forte di quanto il suo cervello avesse registrato, ma si accorse anche che gli era mancato sopratutto il sentire la moglie cosi vicino a se, sentire ancora una volta quel legame che nonostante le lunghe settimane non si era scalfito.

“Kate”. La richiamò bloccando ogni suo movimento, non sapendo nemmeno lui cosa dire in quel momento, se scusarsi per il suo comportamento, se giustificarsi ancora una volta, per definirsi uno stupido. Beckett sbattè le palpebre e andò a ricambiare il suo sguardo, perdendosi in quegli occhi che per un istante le dettero una sensazione di smarrimento, di commiserazione.

“Forse tu ne hai più bisogno di quanto ne abbia io.” Disse cercando di riprendere fiato, portando entrambe le mani sul suo viso per avvicinarlo a se mentre lo baciava. “Andrà tutto bene amore mio”. Gli sussurrò contro le labbra e Castle comprese che Beckett non stava parlando solo di quel momento che stavano vivendo ma la sua era una constatazione più generale, voluta per dissipare quelle sue paure ancora vive dentro di lui. “Andrà tutto bene”.

 

Beckett si svegliò stupendosi di essere cosi rilassata e piena di energie nonostante il giorno precedente non fosse stato facile ne dal punto di vista lavorativo ne tanto meno riguardo alla sfera privata. Eppure, nonostante tutto, non avrebbe potuto desiderare una conclusione migliore a tutto quel caos. Seppur le temperature si stessero abbassando notò di non provar freddo malgrado si trovasse nuda sotto le coperte e lo doveva semplicemente al corpo caldo che le premeva contro la schiena, di cui poteva sentire i profondi respiri contro di se e una mano del marito abbandonata sul suo ventre a proteggere quel bambino anche nel sonno. Lentamente si girò sentendo un leggero dolore nella parte bassa della schiena ma non ci fece troppo caso, di certo non sarebbe stato quello a fermarla. Si ritrovò cosi faccia a faccia con Castle ancora perso nella trama complicata dei suoi sogni, incosciente delle carezze che la donna gli stava prodigando su tutto il volto. Un pensiero malizioso prese forma nella mente di Beckett manifestandosi con un sorriso altrettanto intrigante mentre la sua mano scompariva sotto le coperte, seguendo il petto dell'uomo, prendendo a baciargli il collo con l'intenzione di risvegliare in tal modo tutti i suoi sensi.

Castle si sistemò meglio sul cuscino, portando una mano sul petto e l'altra sotto la nuca, con gli occhi chiusi a godersi quelle attenzioni a cui non era più abituato. La lasciò fare per diversi secondi, permettendo al suo egoismo di vincere, di tornare quel semplice uomo desideroso di fare l'amore con la donna amata e non quel futuro padre pieno di apprensioni che si celava nascosto nella sua mente pronto a tornare alla ribalta alla sua minima debolezza.

“A quanto pare non mi sono impegnato abbastanza prima”. Ridacchiò il detective sollevando una palpebra in modo da spiare l'operato della moglie, sollevando le coperte cosi da avere ancora una volta la vista del suo corpo nudo.

“Tutt'altro, per questo ora ne voglio ancora”. Ribattè Beckett andando a dare dei piccoli morsi sul petto del marito, risalendo velocemente cosi da aver modo di succhiargli il collo, gesto a cui lui rispose con una serie di risatine e mugugni.

“Per oggi va bene cosi”. Castle l'allontanò gentilmente da se, spingendola con entrambe le mani cosi che la donna si trovasse sdraiata sulla schiena, a fissarlo mentre poneva una mano accanto alla sua nuca, sollevandosi con il petto sopra di lei, mantenendo i loro visi a una breve distanza.

La detective per un istante pensò di protestare, di farlo cedere ancora una volta sapendo che ora aveva un animo più tranquillo, ma non voleva nemmeno forzarlo, costringerlo a fare qualcosa che sapeva gli creava dei problemi. Gliel'aveva detto lui stesso dopo tutto e ancora di più Beckett l'aveva notato mentre facevano l'amore, dal modo in cui si tratteneva e si preoccupava della sua salute.

Ma altri pensieri le si formarono nella mente e a quelli non riuscì a porre un freno.

“Voglio che tu gli dica tutto”. Affermò tutto d'un fiato mentre Castle la guardava spaesato, non capendo a chi fosse destinata quella frase. Beckett puntò i gomiti sul materasso e si tirò più su con la schiena cosi da rimanere appoggiata sopra il cuscino. “Al bambino. Voglio che tu gli dica di Los Angeles, del Cirg, di Stark, tutto, anche quei dettagli che hai fatto fatica a rivelare a me”. Spiegò meglio studiando il viso dell'uomo farsi improvvisamente pallido mentre le braccia, che lo tenevano sollevato sopra di lei, quasi cedettero a causa di quelle parole, facendogli sprofondare la testa tra le spalle. La detective aspettò una sua risposta serrando le labbra, muovendo il collo cosi da cercare i suoi occhi, da leggere dentro di essi le sue emozioni. “Voglio che capisca ciò che hai fatto e che sia orgoglioso del suo papa”.

Castle chiuse gli occhi afferrando la mano di Beckett che gli stava accarezzando la guancia, posando le labbra al centro del suo palmo per un lungo bacio, cogliendo quei secondi di silenzio per riflettere su quelle parole.

“Un bambino merita le favole della buona notte, non questo”. Sorrise l'uomo rilasciando la mano della moglie per portare la propria a massaggiarle il ventre, scostando anche gli occhi su quel punto, incominciando quel discorso mentale con il figlio chiedendogli di scalciare, di farsi sentire, per rassicurarlo che tutto fosse a posto.

“Tuo figlio merita di scoprire che a volte quelle favole possono avverarsi anche nella realtà. Non negargli la possibilità di sapere che anche quando accadono le cose più brutte rimane sempre la speranza ”. Ancora i loro sguardi si incrociarono e Castle vide una profonda decisione, devozione, negli occhi della moglie, che riuscirono a infonderla anche in lui stesso, facendogli compiere un respiro profondo, eliminando l'aria dai polmoni per riempirli di coraggio. Fece scivolare le lenzuola fino a fianchi di Beckett e poi si sdraiò orizzontalmente sul letto cosi da riuscire a posare la testa sopra il grembo della donna.

“Ciao piccolino”. Esordì non troppo convinto delle parole che stava per usare, ma poi la sua mente razionale gli ricordò che in realtà il figlio non poteva ascoltarlo, o comunque non avrebbe avuto alcun ricordo di ciò, e che non erano tanto le parole in se che importavano ma il gesto che stava compiendo. “Voglio raccontarti una storia, che sentirai tante volte, tutte quelle che vorrai ascoltare.”. Asserì posando un delicato bacio contro la pelle di Beckett prima di continuare. “La storia di un valoroso cavaliere che dopo molti viaggi, molte rinunce e sofferenze, è tornato a casa e ha scoperto cosa volesse veramente dire vivere e amare”.


 

  
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