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Autore: holls    21/01/2014    10 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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23. Ti aspetterò
 
 
21 gennaio 2005, pomeriggio.
Erano appena dieci minuti che Nathan sedeva su quella poltroncina tutto sommato morbida, tenendo tra due dita il bigliettino con su scritto il suo turno. Se ne stava stravaccato, facendo spenzolare l’ombrello in mezzo alle gambe, appeso al suo corpo solo per il dito indice. Non si era nemmeno tolto il cappotto, nella speranza che non ce ne fosse bisogno. In effetti lui era il numero dieci, e il tabellone elettronico segnava già l’otto. Non avrebbe dovuto aspettare molto.
Intorno a lui c’erano solo altri cinque ragazzi: un gruppo di tre amici che riempivano l’aria con le loro chiacchiere, una ragazza mora che leggeva gli annunci in bacheca dietro lenti spesse e un altro ragazzino, probabilmente una matricola, che giocava con il suo cellulare, spostando continuamente lo sguardo tra il telefono, il bigliettino e il tabellone.
Nathan chiuse gli occhi per un momento e ascoltò il picchiettare ovattato della pioggia che si infrangeva sull’asfalto. Nonostante il brutto tempo lo facesse sentire spesso giù di morale, probabilmente per via dei pantaloni che gli si attaccavano addosso fradici, in quel momento si sentiva pulito. Gli sembrava di assomigliare a un tossico che finalmente era uscito dal giro. Non avrebbe più servito alcun cliente, né sulla strada, né in privato. Era pronto a ricominciare una vera vita.
Se accanto ad Alan o meno, non lo sapeva.
Si sentiva ancora titubante all’idea di lasciarlo entrare di nuovo nella sua vita; da una parte desiderava davvero stare con lui, ma dall’altra lo spaventavano le sue uscite acide o quella riluttanza quando lo guardava negli occhi.
Non sapeva che fare.
 
Il tabellone segnò il numero dieci. Ancora un po’ intontito per la rapidità, Nathan si risvegliò di scatto dai suoi pensieri, per poi drizzarsi subito su. Si avviò a passi svelti verso lo sportello, adagiando l’ombrello ai suoi piedi. Curvò un po’ la schiena, in modo da essere più vicino al foro nel vetro, unico tramite tra lui e la segretaria.
« Buongiorno, vorrei ritirare il bollettino per il pagamento della prima rata. »
L’affabile segretaria gli sorrise.
« È in ritardo, lo sa? Dovrà pagare anche la mora, adesso. »
« Sì, lo so. Grazie comunque per l’informazione. »
Lo sapeva bene, eccome. Aveva intenzione, effettivamente, di pagare la rata con i soldi di Brucknam, senza intaccare i suoi risparmi; ma, per come si erano evolute le cose, era dovuto correre a saldare il suo debito con l’università, pur spendendo parte dei soldi che aveva messo da parte per sua madre e Jimmy. Se avesse aspettato altro tempo, rischiava di pagare una rata bella salata.
« Può comunicarmi la sua matricola e il suo corso di laurea? »
Nathan fornì prontamente le sue informazioni, ma la segretaria continuava a fissare stranita lo schermo del monitor, senza dare segno di reazione. Scorreva la pagina su e giù con la rotellina del mouse, la fronte che si aggrottava sempre più, il volto sempre più vicino allo schermo come per verificare che non avesse avuto un’allucinazione. Alla fine, dopo uno schiocco di lingua e un abbandono totale sulla sedia, sconfitta, la segretaria tornò a voltarsi verso Nathan.
« La rata è già stata pagata. »
L’espressione di Nathan era sorpresa almeno quanto quella della giovane donna. Si sentì il cervello come se fosse andato in corto circuito. C’era qualcosa che aveva reciso il filo dei suoi pensieri.
« Come sarebbe a dire, ‘già pagata’? Io sono sicurissimo di non aver effettuato il versamento. »
La segretaria tornò con scoramento alla pagina web che riportava, chiaramente, il pagamento della somma. Aveva un’espressione realmente smarrita.
« Mi dispiace, non so che dirle. Il pagamento risulta registrato. »
Nathan si sentiva confuso: non riusciva a capire se gioirne o se preoccuparsene. Era impossibile che qualcuno avesse pagato la sua rata per sbaglio.
« Scusi, ma quando sarebbe stata pagata? »
La donna ricontrollò ancora, sperando forse in un errore informatico che smentisse quel dato di fatto.
« Ieri pomeriggio. Versamento eseguito da un certo Alan Scottfield. Lo conosce? »
Nathan si strusciò una mano sul volto, sollevato, mentre un sorriso cominciava a farsi strada tra le sue labbra.
« Sì, sì, lo conosco. Allora è tutto in regola. La ringrazio. »
« Ne è sicuro? »
Nathan annuì, ringraziò ancora la segretaria e si avviò verso l’uscita.
E così, Alan aveva pagato la rata al posto suo. Il perché gli appariva cristallino, ma voleva un’ulteriore conferma.
 
Arrivato davanti a casa di Alan, corse verso il portone, godendo del riparo dato dal terrazzo soprastante. Suonò il campanello, osservando, nell’attesa, la pioggia che continuava a imperversare funesta.
« Chi è? »
La voce dal citofono lo destò dai suoi pensieri. Esitò un poco prima di rispondere.
« Sono Nathan. »
Non ottenne risposta. Immaginò che anche per Alan non fosse una situazione facile, soprattutto dopo quanto era accaduto il pomeriggio precedente. Nathan ricordava ancora il loro litigio, il ceffone, la supplica di Alan. L’ultima parte lo fece traballare sulle reali intenzioni che lo facevano stare lì, in piedi, davanti al portone. Voleva ringraziarlo, ne era certo. Ma, riguardo al resto, non era sicuro di nulla.
« Dai, sali. »
 
Alan lo aspettava sulla soglia, la spalla appoggiata allo stipite e le braccia incrociate. Sul volto, però, c’era l’abbozzo di un sorriso. Era teso, lo capì subito.
Come Nathan fu più vicino, sciolse le braccia da quella posizione, tornando eretto e allargando il sorriso.
« Ciao. »
Nathan rispose con un’occhiata e serrò le labbra in un sorriso di circostanza. Per una frazione di secondo, i loro sguardi si incrociarono, ma senza imbarazzo; anzi, era come se ci fosse qualcosa, tra di loro, che li costringesse ad attrarsi.
Si accarezzavano con gli occhi l’un l’altro, senza dire niente, come se quello sguardo fosse un tocco desiderato da tempo, ma che non avevano il coraggio di tradurre in gesti.
Il sorriso di Alan gli entrò dentro, e avvolse di un calore inaspettato la parte più fredda e impaurita del suo cuore, quella che ancora non voleva lasciarsi andare e quella che ancora temeva una delusione. Si sentì diverso, tanto che un timido sorriso riuscì a farsi strada, in mezzo a tutta quell’insicurezza.
C’era davvero qualcosa, tra di loro, che non poteva esser descritto a parole.
 
Dopo essersi risvegliato da quel momento quasi onirico, Alan si girò appena verso l’appartamento, allungando il braccio verso di esso, segno che aveva intenzione di accogliere Nathan.
« Vieni, entra. »
Nathan entrò cauto, allungando il collo in cerca di altri ospiti, ma constatò presto che Alan era solo in casa.
« Ti offro qualcosa? La borsa puoi metterla al solito posto. »
“Il solito posto” erano i piedi del divano. Nathan lo sapeva bene, ma aveva evitato di sfilare la borsa di proposito. Non sapeva cosa sarebbe potuto accadere se avesse tolto anche il giubbotto e messo le pantofole, sentendosi così a casa. La cintura della tracolla che gli premeva sul petto rappresentava quasi una sorta di marchingegno, capace di imprigionare i più reconditi desideri della sua anima.
« Allora? Vuoi qualcosa? »
Nathan scosse il capo, repentino.
« No, no, sono a posto così. »
Voleva semplicemente ringraziarlo e andare via, ma, al contempo, sentiva di non trovare il coraggio per toccare quell’argomento. Sapeva che quel gesto era indirettamente collegato alla sua professione, e sapeva anche quanto temeva la solita acidità nei suoi confronti. Alan lo faceva perché voleva fargli imparare la lezione, certo. Ma non poteva negare che, ogni volta, faceva più male di uno schiaffo in pieno volto.
Alan uscì dalla cucina con un bicchiere di aranciata in mano.
« Non ti spogli? »
« Sono venuto per ringraziarti. »
Alan sembrò inizialmente confuso, ma trovò presto la soluzione alle sue domande.
« Oh, quello. Non è niente. »
Ormai superato l’imbarazzo iniziale, Nathan cominciò a sentirsi più sicuro di sé.
« Perché lo hai fatto? »
Alan posò il bicchiere sul tavolino davanti al divano, poi si mise in piedi, a pochi centimetri da lui. La mente di Nathan tornò a quel bacio nel parco di Washington Square e il cuore prese a pompare sangue a un ritmo davvero sostenuto.
« Qualcuno mi aveva detto che non aveva abbastanza soldi per la rata, dico bene? »
Le dita di Alan si posarono sul suo orecchio, carezzandolo lentamente. Si sentì avvampare e la testa si riempì di ogni sorta di pensieri, molti senza un senso compiuto. Si rincorrevano, si fondevano, sparivano e se ne creavano di nuovi. Non avrebbe neppure saputo dire il suo nome, se glielo avessero chiesto.
Lo stomaco attorcigliato, le guance in fiamme, il cuore pronto a esplodere: sapeva cosa significava tutto quello. Voleva soltanto dire che avrebbe desiderato ardentemente colmare quei pochi centimetri che separavano le loro labbra, senza pensare alle conseguenze. Solo sentirsi vicini, finalmente, dopo tanto.
E invece continuava a fissarlo, spostando il suo sguardo da un occhio all’altro, incapace di tenerlo fermo.
« Grazie. »
Fu l’unico pensiero che riuscì a esternare, in mezzo a quella nebulosa confusa che aleggiava nella sua testa.
Alan tornò ad accarezzarlo, tenendogli il collo con la mano e facendo scorrere il pollice sulla pelle del suo viso.
« Non volevo che... » Alan respirò profondamente, continuando le sue carezze. «… che qualcuno ti mettesse le mani addosso, per una motivazione così stupida. »
« Non l’avrebbe fatto comunque. Ho disdetto tutto quanto. »
Alan lo attirò a sé improvvisamente e lo abbracciò. Lo strinse forte, talmente tanto da fargli quasi male. Lo teneva chiuso nella sua morsa, come se non volesse farlo fuggire mai più, come se il loro contatto fosse ossigeno, per lui, senza il quale sarebbe morto dopo pochi secondi.
Stettero così per molto tempo, o forse poco; Nathan non era in grado di percepire il tempo, in quel momento. Piano piano, Alan allentò la stretta e Nathan, senza quasi rendersene conto, si sfilò la borsa e la posò al solito posto.
Gli fu chiaro, in quel momento, che lui stesso aveva abbandonato ogni difesa, e che non era andato lì solo per la rata. Voleva rimanere. Che fossero abbracciati, seduti sul divano o distesi a letto: non gli importava. Voleva solo che Alan fosse sempre lì nei paraggi.
Per lui.
Che lo desiderasse, che lo chiamasse o che lo accarezzasse soltanto. Voleva essere il suo mondo.
Alzò il mento verso di lui e Alan si scostò quel poco che bastava per guardarlo negli occhi. A poco a poco, il mondo si fece tutto nero, e abbandonò la vista per far spazio al contatto di quelle labbra sulle sue.
Di nuovo ne assaporò la morbidezza, insieme a quegli aculei spinosi che gli solleticavano la pelle; e poté sentire finalmente il calore di quella lingua, che prestò cominciò a esplorare in cerca della sua.
E, come si unirono, sentì qualcosa pungergli lo stomaco; una sensazione che si irradiò al resto del suo corpo, fino a solleticare il suo cuore, che, in quel momento, mandava un unico messaggio, forte e chiaro.
Lo amava.
Quel contatto divenne sempre più appassionato, le lingue sempre più ansiose di riscoprirsi, le mani sempre più desiderose di accarezzare la pelle sotto le loro dita.
Si baciarono così, finché a entrambi non mancò l’aria, che recuperarono con ansimi profondi, mentre le loro fronti si adagiavano l’una sull’altra.
Alan si allontanò un poco, quel che bastava perché l’altro non gli apparisse sfocato. Riprese ad accarezzargli il viso, stavolta con entrambe le mani, mentre Nathan lo osservava senza capire.
Alan deglutì, mentre schiudeva le labbra più e più volte, nel tentativo di dire qualcosa.
« Che c’è? »
« Ssh. »
Nathan lo guardò stranito.
« Che succede? Non capis-- »
« Ti amo. »
Nathan non fu sicuro di aver capito. Un mezzo sorriso tentava di aprirsi in volto, ma senza successo.
« Che hai detto? »
Alan lo abbracciò di nuovo, nascondendo la testa nell’incavo della spalla di Nathan, in modo che non potesse vederlo.
« Lo sai, cosa ho detto. »
Nathan ridacchiò nervoso. Si sentì immensamente felice, tanto da voler liberare quell’emozione in un pianto sentito. Un enorme sorriso gli si stampò in faccia e strinse Alan ancora più forte.
« Non pensavo che te l’avrei sentito dire un’altra volta. »
Nathan ripensò alle poche occasioni in cui Alan gli aveva confessato apertamente i suoi sentimenti, e si ritrovò ad alzare mentalmente le dita di una sola mano.
L’altro finalmente vinse l’imbarazzo e tornò a guardarlo in viso, non senza provare vergogna per quelle guance arrossate, per poi lasciargli un candido bacio sulla fronte.
« Ti va di rimanere per cena? »   
Nathan rispose con un bacio altrettanto candido sulle labbra.
« Ti va bene come risposta? »
Il ragazzo gli sorrise maliziosamente, facendo sì che Alan scuotesse il capo, fintamente rassegnato da quell’atteggiamento.
« Tu stai qui, ti preparo una sorpresa. »
Nathan incrociò le braccia, facendo un finto broncio.
« Mi lasci da solo a guardare la tv? »
« Già senti la mia mancanza? »
L’espressione sul volto di Nathan mutò immediatamente, e Alan scampò per un pelo un calcio dato senza troppa convinzione.
Guardò l’altro entrare in cucina, seguito da un ‘Non sbirciare!’, e lo sguardo gli cadde sulle calzature che indossava: aveva ancora le scarpe. Avrebbe voluto girare per casa con le pantofole, anche solo per evitare di sporcare il pavimento, ma c’era qualcosa che lo frenava. Era abbastanza sicuro, infatti, che Alan tenesse le ciabatte di riserva in camera.
Quella camera.
I ricordi gli sfrecciarono per la mente. Il maniaco, il dolore, il freddo. La sensazione di sporco. Il fatto che il maniaco fosse morto aveva alleviato, quantomeno, il terrore che potesse succedere di nuovo; ma, nonostante le numerose docce che aveva cominciato a farsi da quel giorno, quella sensazione di intimità violata non ne voleva sapere di andarsene. Si era tormentato spesso su come potesse fare per seppellire quei ricordi in qualche angolo della sua testa, ma tutto quello che aveva ottenuto era solo la pelle arrossata per il troppo sfregamento. Niente sembrava riuscire a lavar via quella sensazione.
Provò a raccogliere tutto il suo coraggio. Lanciò un’occhiata in direzione della camera, intravedendo solo un muro bianco. Lo stesso muro, pensò, dove Alan aveva tirato quel pugno che lo aveva fatto tremare.
Emise un respiro profondo. Lanciò un’occhiata verso la cucina e gli sembrò di sentire Alan canticchiare.
Non voleva disturbarlo.
Deciso, si diresse verso la camera da letto, senza esitazione. Ma, mano a mano che si avvicinava, balzavano ai suoi occhi particolari di cui non si ricordava.
Nella sua testa, l’armadio era sulla destra appena entrati, mentre, sul lato sinistro, vi erano i cassettoni per la biancheria e il letto, vicino alla finestra.
Ma, come entrò, vide una stanza completamente rivoluzionata.
Il letto era stato spostato sulla destra e aveva una trapunta che Nathan non aveva mai visto; l’armadio grande era stato spostato al muro opposto; e, alla sua sinistra, c’era il cassettone basso accostato a una piccola scrivania.
Niente era come lo ricordava. Muovendo qualche passo verso il letto, si accorse che non solo la trapunta era cambiata, ma anche il letto stesso.
Quello vecchio non c’era più.
Si accorse che, per quanto si sforzasse, non riusciva a rivivere vividamente il ricordo di quel pomeriggio d’ottobre. Era come se una parte del ricordo se ne fosse andata, insieme a quel letto.
Osservò ancora la nuova disposizione dei mobili della stanza, e cominciò a sentirsi a suo agio. Chiuse gli occhi, godendosi quel momento di ritrovata tranquillità. Gli sembrò quasi che niente, in quel momento, potesse più fargli del male.
Una mano si posò sulla sua spalla, facendolo sobbalzare. Aprì gli occhi di scatto e si voltò: Alan era dietro di lui. Nei suoi occhi c’era quello sguardo indagatore di chi cerca di leggerti dentro.
« Tutto bene? »
« Sì, ero solo venuto a cercare le ciabatte. Le tenevi in camera, no? »
« Potevi chiedermelo, te le avrei prese io. »
Nathan sorrise, rivolgendo il suo sguardo verso la stanza.
« Mi piace la nuova disposizione. Non vedo l’ora di provare questo nuovo letto. »
« Sei sicuro? »
Nathan tornò a guardare Alan, abbozzando un sorriso.
« Va tutto bene, davvero. Allora, le ciabatte? Dai, che voglio togliermi questi scarponi. »
Alan si affrettò a tirar fuori le pantofole dal cassetto dove erano riposte e le porse a Nathan, che le infilò subito.
« Ah, sono così calde! Mi ci voleva proprio. »
Nathan continuò a guardarsi i piedi, quasi estasiato dall’improvviso calore da cui erano avvolti, quando Alan gli prese la testa tra le mani e gli baciò la fronte, nuovamente. Nathan lo guardò negli occhi, un po’ imbarazzato da quella ritrovata intimità, ma Alan gli sorrise dolcemente.
« Bentornato. »
 
La cena consisteva in un gustoso piatto di spaghetti, condito con sugo all’arrabbiata: polpa di pomodoro, aglio, olio e peperoncino, il tutto infiocchettato da un ciuffetto di basilico sulla sommità del monte di spaghetti.
Come Nathan vide il piatto, una deliziosa acquolina gli riempì la bocca. Era il suo primo preferito, benché semplice, e Alan lo sapeva bene. Odorò il profumo di quel piatto, di cui aveva sentito davvero la mancanza.
« Da quanto tempo non la mangiavi? »
Non appena il piatto fu davanti a lui, Nathan afferrò la forchetta, pronto a ruotarla in quel gomitolo fumante.
«Troppo! »
Detto ciò, si portò alla bocca la sua abbondante forchettata. Dopo aver masticato tutto, ed essersi stampato in faccia l’espressione più beata che potesse esserci, recuperò un po’ di contegno e guardò Alan imbarazzato.
« È buonissima. Piccante al punto giusto. Quanto mi era mancata…! »
Notò, con la coda dell’occhio, che Alan lo guardava divertito.
« A proposito di piccante… ho una cosa di cui vorrei parlarti. »
Nathan alzò gli occhi verso Alan, che subito assunse un’espressione seria. Mandò giù il suo boccone di spaghetti e posò la forchetta sul bordo del piatto. Alan continuò.
« Parlo di Jack. Mi ha telefonato ieri sera e mi ha raccontato del professore. Come lo sapeva? »
Gli tornò alla mente la minaccia del giorno prima, e capì che aveva fatto la scelta migliore: a quanto pareva, Jack avrebbe comunque spifferato tutto ad Alan.
Si sentì potente e, stranamente, libero. Si rese conto che non aveva più alcun segreto, che nessuno poteva tenerlo più in pugno.
« In realtà, non lo so. L’ho incontrato ieri mattina in biblioteca e mi ha minacciato di--- »
Nathan non ebbe il tempo di finire la frase, che Alan gli parlò sopra.
« Lui cosa? Ti ha minacciato? »
« Ti avrebbe spifferato tutto, se mi fossi presentato all’appuntamento. Sono stato più furbo di lui. »
Alan spostò lo sguardo vacuo verso il basso, pensieroso. Stette in silenzio per un po’, poi tornò a guardare Nathan.
« Certo, capisco. Non poteva sapere che, alla fine, ci siamo incontrati. » Alan scosse il capo e sospirò. « Sono felice che tu sia venuto, comunque. E anche che tu abbia preferito raccontarmi tutto. »
Nathan non disse nulla. Era stanco di parlare sempre di sé, dei suoi segreti, del suo passato. Avrebbe potuto dire che aveva imparato dai suoi errori, che non si era fatto incastrare una seconda volta, ma tacque. Voleva solo godersi il presente.
Si limitò ad annuire debolmente, dopodiché afferrò nuovamente la sua forchetta, tornando a mangiare come se nulla fosse. Sperò che quel segnale fosse abbastanza chiaro e, per sua fortuna, così fu.
Si affrettò a cambiare argomento, per sicurezza.
« Come procedono le indagini? »
L’espressione di Alan faceva chiaramente a cazzotti tra la felicità e la malinconia. Alla fine uscì fuori un sorriso impercettibile.
« Bene, direi, ma vorrei tanto avere un ruolo più attivo. Ti confesso che un po’ sono invidioso di Ash. »
« Ma avrai altri casi di cui occuparti, in futuro, no? »
« Sì, certo. Ma mi sono giocato la promozione, e penso proprio che la daranno a lui. So che non dovrei dirlo, ma un po’ mi rode. Era da tempo che la aspettavo. »
Nathan gli sorrise, complice.
« Non ci vedo niente di male. Almeno finché non compromette il tuo rapporto con lui, s’intende. »
« No, questo no. Lo sai che non sono il tipo da rovinare un’amicizia per una cosa del genere. »
 
Non parlarono più di Jack, né del professore. La cena, anzi, fu uno scambio di sorrisi e sguardi languidi, da parte di entrambi.
Trascorsero la serata sul divano, davanti a un buon film romantico, che però i due non degnarono di uno sguardo;  tra baci, coccole e pensieri tra le nuvole, del film non seppero dire una parola, a fine visione.
La pioggia, là fuori, batteva ancora e sembrava non avere alcuna intenzione di smettere. La vicinanza tra lampi e tuoni ne erano la prova: il temporale era proprio sopra le loro teste.
Impossibilitati a uscire, si spostarono subito dopo in camera da letto. Nathan non la trovò una conclusione malvagia, per quella serata. Era stato scosso da milioni di emozioni, e un po’ di riposo era ciò che gli serviva.
Non appena toccò il letto, Nathan si accorse di essere praticamente immune ai brutti ricordi. Non aveva dimenticato, certo, ma almeno la scena evitava di riformarsi nella sua testa esattamente com’era accaduta. Riusciva quasi a vederla come uno spettatore esterno, come se non fosse stato lui a subire tutto ciò in prima persona. Come se non fosse toccato a lui.
« Ti prendi il lato sinistro, come al solito? »
Nathan tirò su le coperte fino al busto.
« Non vedi il mio nome scritto sopra? »
I due risero con quella complicità che non avevano da tempo. La tensione nell’aria si era disciolta completamente, non c’era imbarazzo né nelle parole, né nei loro silenzi.
Nathan si infilò completamente sotto le coperte, imitando Alan. L’altro fece emergere un braccio da quel caldo rifugio e lo posò sulla spalla di Nathan, tirandolo a sé.
« Dai, vieni qui. »
Si strinsero in un tenero abbraccio, e Nathan adagiò la sua testa sul petto di Alan, che intanto gli accarezzava la nuca, dolcemente. L’altro prese a baciargli i capelli, e a ogni bacio lo stringeva più forte, forse per assicurarsi che non fosse un sogno: Nathan, il suo Nathan era lì, e quelle carezze e quei baci sembravano l’unico modo per accertarsi che fosse vero.
Piano piano, quei candidi baci scesero giù sulla fronte, disegnarono il profilo del naso e, famelici, arrivarono ad assaporare quelle labbra succose. Nathan ricambiò il bacio, prima un po’ titubante, poi deciso, e accavallò la sua coscia su quella di Alan, avvinghiandosi a lui.
Ogni centimetro di pelle esplorata accresceva la loro voglia di conoscersi ancora, di riscoprire quel sentimento che era stato assopito per tanto, troppo tempo.
Le dita di Alan scorrevano senza esitazione su quel corpo esile, e un sorriso gli si formò sul volto quando i suoi polpastrelli sfiorarono quelle costole troppo evidenti. La voglia gli salì dirompente e si fiondò a esplorare quel corpo da una posizione più comoda, senza nemmeno staccare le labbra da quelle del ragazzo. Si sistemò sopra di lui, continuando a stimolarlo seguendo i suoi gemiti; ma, all’improvviso, Nathan interruppe repentino il contato tra le loro labbra, costringendo anche Alan a fermarsi.
« Che c’è? »
Tra un ansimo e l’altro, Nathan indicò la lampada sul comodino, ancora accesa.
« Spegnila. »
Alan obbedì, con un sorrisetto malizioso in volto, poi si precipitò nuovamente sulle labbra del biondino.
Complice il buio, Alan continuò ad accarezzare il petto del ragazzo, per poi scendere, lentamente, sempre più giù. Si scontrò con i pantaloni del pigiama di Nathan e intrufolò la sua mano un paio di strati sotto, venendo a contatto con la pelle. Oltrepassò il cespuglietto di peli pubici alla base del suo membro, ma, come le sue dita lo toccarono, Nathan reagì con un gemito strozzato; e mano a mano che Alan riscopriva la sua intimità, Nathan si faceva sempre più rigido, i gemiti di piacere sempre più radi e silenziosi.
Alan abbandonò quelle labbra e si dedicò solamente al massaggio, nel tentativo di fargli recuperare quel piacere apparentemente perso, ma le sue carezze non davano l’esito sperato. Da Nathan provenivano solo mugolii abbozzati e le sue mani avevano smesso da tempo di guidare quelle dell’altro.
Alan pensò di aver corso troppo, di essersi lasciato andare troppo in fretta a quella voglia che gli pulsava dentro, che gli faceva bramare quel corpo davanti a lui. Così abbandonò le carezze e tornò a dedicarsi ai baci, a cui Nathan reagì con rinnovata passione; ma come Alan venne a contatto con la guancia del ragazzo, si fermò.
Si allontanò lentamente dalle labbra di Nathan, mentre, con una mano, si avvicinava al suo viso. E, come si aspettava, le sue dita sfiorarono qualcosa di liquido e caldo.
Lacrime.
Silenziose, ma devastanti.
Senza nemmeno attendere una risposta dal ragazzo, Alan riaccese la lampada sul comodino accanto a loro.
Deglutì a fatica quando si accorse che il tatto non l’aveva ingannato. Un rivolo umido si era fatto strada su quelle guance un po’ arrossate e, ora che lo osservava meglio, si accorse che Nathan tremava appena e aveva lo sguardo altrove, come per nascondere l’evidenza.
Non gli chiese niente, non ce n’era bisogno. Sospirò.
« Scusami, non avrei dovuto. Perdonami. Sbaglio sempre, con te. »
L’ultima frase sembrò più un sussurro, un pensiero ad alta voce, ma Nathan non reagì. Alan capì che aveva riaperto una ferita troppo grande, che ancora non si era rimarginata, e che l’aveva fatto nel peggior modo possibile.
Si avvicinò a lui per abbracciarlo, per offrirgli un altro tipo di calore e conforto, ma Nathan si ribellò, girandosi dalla parte opposta alla luce. Nascose il volto verso il cuscino, senza dire una parola.
Alan gli afferrò dolcemente una spalla, per farlo girare, ma l’altro la ritrasse.
« Ti prego, lasciami stare. »
Piangeva ancora, ne era sicuro;  lo sentiva da come tirava su il naso, più che dalle lacrime stesse, che si confermarono mute.
Alan gli carezzò la testa col dorso della mano.
« Non ti lascio stare, Nathan. Non un’altra volta. »
Adagiò parte del suo corpo su quello dell’altro, come fosse un abbraccio. Portò le sue labbra vicine all’orecchio del ragazzo, per sussurrargli qualcosa.
« Arriverà il tempo per ogni cosa. Ti aspetterò. Ma non vergognarti a parlarmi di come ti senti. Io sono qui, se hai bisogno. »
In quel momento, realizzò quando fosse stato grande l’errore commesso in quel pomeriggio d’ottobre. Si sentì in parte responsabile per quelle lacrime che, lo sapeva, continuavano a inumidire quel viso candido. Avrebbe voluto baciargliele e cancellarle una per una, ma capì che Nathan aveva bisogno di stare solo e, al contempo, sapere che aveva qualcuno vicino.
I respiri del ragazzo si facevano sempre più lunghi ed esitanti, segno che stava ricacciando le lacrime, ma continuò a non volersi voltare.
Alan non lo forzò. Tornò a baciargli la testa e sistemargli quei capelli ribelli, aspettando che il suo respiro si regolarizzasse. E non disse nulla, perché non c’era bisogno di parole.
Alan tornò nuovamente alla lampada, e la spense. Si rintanò sotto le coperte, poi si accoccolò dietro Nathan, abbracciandolo. Lasciò che il profumo di quei ciuffi cinerei stuzzicasse le sue narici, prima di addormentarsi con lui.
« Buonanotte. »
Quello di Nathan fu poco più che un bisbiglio strozzato.
Alan gli lasciò un ultimo bacio tra i capelli, poi adagiò nuovamente la testa sul cuscino.
« Buonanotte, amore. »

 

Come avevo già anticipato altrove, questo è il mio capitolo preferito. Spero che rientri anche nella vostra "top 3", perché io lo adoro *___*
E insomma, sembra che tutto vada per il meglio, vero? Ma il male è in agguato... già dal prossimo capitolo le cose torneranno normali, non preoccupatevi u.u E tornerà Ash, per la gioia delle sue fan! XD
Per questo capitolo, ringrazio ovviamente Silvia per i suoi commenti entusiasti e anche ladysyria per avermi aiutata con una frase rognosa. Grazie *___*
Ovviamente ringrazio anche tutti voi che mi seguite, è divertentissimo, oltre che utile, conoscere i vostri pareri e le vostre supposizioni.
Ho solo altri due capitoli pronti, spero di poter proseguire col ritmo settimanale, ma non so se ci riuscirò. In ogni caso, comunque, mancano una manciata di capitoli alla fine, quindi non sarebbe un gran danno XD
Alla prossima e grazie *___*
   
 
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