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Autore: OctoberCiara    21/01/2014    2 recensioni
- Sei importante, sei parte di me. Entrambi sappiamo cosa sceglierò; se cercherai di tirare per trattenermi sarò il primo a spingere e lottare per rimanere -
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Ho bisogno di te, credo di stare per morire -

Queste erano le uniche parole che riecheggiavano nella mente di Sherlock mentre se ne stava li, sdraiato su quel gelido marciapiede fuori dal Saint Barts. E credeva davvero di morire al pensiero di come sarebbe stata da quel momento in poi la vita di John e di tutti coloro che piano piano avevano imparato ad amarlo. Non riusciva a credere a tutte le bugie che aveva detto a John pochi minuti prima al telefono, così come non riusciva a pensare alla menzogna in cui tutti avrebbero dovuto vivere da lì in avanti.
- Sono un bugiardo - era l’unica frase che gli sembrava adatta come definizione di sé stesso. Un tempo avrebbe affermato di essere un “sociopatico ad alta funzionalità”, come amava lui stesso definirsi, ma in questo momento si sentiva come tutti lo avevano sempre definito, uno psicopatico, un bugiardo psicopatico per l’esattezza. E ora? Cosa sarebbe successo? Come sarebbe stata la sua vita? Dove si sarebbe nascosto? E Mrs Hudson? Cosa avrebbe fatto ogni giorno, con chi avrebbe battibeccato a causa del disordine e di quelle “schifezze”, come le chiamava lei, che riempivano l’appartamento al secondo piano del 221B di Baker street? E Lestrade? Chi avrebbe chiamato ad aiutarlo a risolvere quel caso su cui era bloccato da mesi e per il quale ancora non aveva un colpevole? E John? John…

- Lasciatemi passare, sono un dottore! E’ un mio amico, lasciatemi passare! -

All’udire queste parole i pensieri di Sherlock si bloccarono di colpo. L’unica cosa che sentiva era la disperazione nella voce del suo migliore amico, quel migliore amico che lui stesso si era scelto e a cui mai avrebbe pensato di poter volere così tanto bene. Sentì una mano afferargli il polso ed ascoltare il battito del cuore, quel battito che tanto sapientemente era riuscito a bloccare. Improvvisamente sentì la mano di John mollare la presa e lo vide accasciarsi a terra, svenuto. In quel momento Sherlock non riuscì a contenere le lacrime che gli avevano gonfiato gli occhi fin da quando era sul tetto, davanti a quell’uomo spregevole che mai pensava lo avrebbe fatto arrivare a tanto. Delle gocce cristalline iniziarono a solcargli il volto,  cadendo da quegli occhi azzurri come non era mai stato neanche il cielo di Londra in una delle giornate più belle dell’estate. Quegli occhi azzurri che ora erano offuscati e che gli regalavano una visuale annebbiata della strada ma che gli consentivano comunque di vedere quei finti medici e infermieri della sua rete di senzatetto avvicinarsi con una barella, pronti a portarlo via. Mentre si allontanava su quella barella vedeva John sempre più lontano, fino a che, dopo aver svoltato l’angolo dell’ospedale realizzò che probabilmente non lo avrebbe mai più rivisto. Per Sherlock era l’inizio della fine. Aspettò di essere all’interno di una stanza del Saint Barts per saltare giù da quel trabiccolo a quattro ruote che lo aveva portato lontano dal suo migliore amico, stanza all’interno della quale c’era lei, Molly, lei che lo aveva aiutato a mettere in atto quel piano tanto elaborato di cui sperava di non aver mai dovuto aver bisogno davvero. Le corse incontro e le saltò al collo,  abbracciandola e scoppiando in un pianto di cui non credeva neppure di essere capace.

- Sei importante per me.  Lo sei sempre stata; mi sono sempre fidato di te e lasciami dire che Moriarty ha commesso un errore enorme, perché la persona che pensava non fosse affatto importante per me era in realtà la più importante di tutte -, mormorò Sherlock tra le lacrime e aggiunse

- Sei parte di me, Molly -.

Molly stette immobile in quell’abbraccio, come pietrificata da quelle parole che aveva da sempre desiderato sentirsi dire; stette in silenzio sperando di non dover mai mollare la presa e lasciare andare via l’unica persona, per quanto rude e sociopatica fosse, che avesse mai amato. Dopo alcuni minuti che sembravano interminabili, Sherlock sciolse quell’abbraccio dal quale nessuno dei due avrebbe mai voluto liberarsi. Prese il viso di Molly tra le mani, la guardò negli occhi e le diede un tenero bacio sulla fronte.  

- Ti prego, non dire nulla mentre cerco di andarmene - , mormorò Sherlock - perché entrambi sappiamo cosa sceglierò; se cercherai di tirare per trattenermi sarò il primo a spingere e lottare per rimanere -.
Molly era come paralizzata, incapace di aprire bocca per dire anche solo la più semplice delle parole; ma l’unica cosa che il suo corpo e la sua mente riuscirono a fare fu afferrare la mano di quell’uomo dal cappotto nero che si stava allontanando. Lo tirò verso di sé, lo abbracciò un’altra volta e tutto quello che riuscì a dire tra le lacrime fu

- Credevo di essere invisibile e di esserlo sempre stata ai tuoi occhi, ma sappi che sarei disposta a tutto per te -.

- Tu hai reso tutto possibile, non ti ringrazierò mai abbastanza per questo -.

Sherlock abbassò lo sguardo e, girandosi, si allontanò da lei, percorrendo a testa bassa, con le lacrime negli occhi e la morte nel cuore quell’interminabile e buio corridoio che lo separava dall’uscita secondaria dell’edificio. Fuori dal portone lo aspettava un’auto nera, a bordo della quale vi erano il fratello, Mycroft, e l’autista, il quale, non appena Sherlock salì in macchina, schiacciò a tavoletta, diretto verso l’ aeroporto.

- Ti prego, facciamo una deviazione. L’aereo può aspettare - disse Sherlock scuro in volto al fratello.

- Voglio fermarmi al cimitero. John sarà lì sicuramente, non voglio andarmene con l’immagine di lui svenuto davanti al mio “presunto” cadavere -.

E di fatti John era lì, davanti a quella lapide che riportava la scritta “Sherlock Holmes” a caratteri dorati. Ci fu subito un dettaglio che attirò l’attenzione di Sherlock: il bastone. Erano passate poche ore, ma il disturbo psicosomatico di John si era già ripresentato. Vederlo lì in quello stato contribuì a stringere il nodo che Sherlock aveva allo stomaco. Il suo braccio era teso e la mano appoggiata sulla cima del blocco di marmo nero pece; il volto era solcato dalle lacrime e dalla sua bocca uscivano a malapena delle flebili parole che Sherlock, nascosto dietro all’albero più vicino, riuscì ad ascoltare:

- Una volta mi hai detto che non eri un eroe. Devo ammettere che ci sono state volte in cui ho persino dubitato che tu fossi umano ma lascia che ti dica una cosa… Tu eri l’uomo migliore, l’uomo più umano che io avessi mai incontrato e nessuno potrà mai convincermi che tu mi abbia mentito. Ero così solo, e ti devo così tanto… Ma per favore, ti prego, c’è solo un’altra cosa, un altro miracolo, Sherlock, per me… Non essere morto. Lo faresti solo per me? Per favore, smettila, metti fine a tutto questo…-

- Non preoccuparti John, sarò di nuovo con te molto presto - mormorò Sherlock sottovoce mentre si avviava nuovamente verso la macchina del fratello, pronto a dirigersi verso quell’aereo che lo avrebbe portato solo Dio sa dove. 
  
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