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Autore: Narvinye    21/01/2014    1 recensioni
Michael è il classico adolescente, ama uscire con gli amici e fare sport, ma lo studio non fa proprio per lui.
Giovanni invece è un ragazzo sempre circondato da buoni amici, curioso fino all'inverosimile, un po' impacciato nei rapporti con coloro che non conosce bene.
In un'età critica per il loro percorso di maturazione, come affronteranno i loro repentini cambiamenti e le difficoltà di comprensione?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Per il compleanno di Fire Gloove, il diciottesimo capitolo di questa "storia" —che ormai, supera l'arancione in un bel color melograno.


Considerate questo capitolo un'appendice del diciassettesimo. PoV di Michael.

 

Si gira, probabilmente con tutta l'intenzione di tirarmi un cazzotto in bocca, ma io, pronto, gli afferro le mani e lo sbatto contro il muro più vicino. Senza lasciare nemmeno il tempo per un pensiero, le mie labbra sono sulla pelle morbida del suo collo. Mi sembra di essere in un sogno: le dita, le labbra, la lingua si muovono seguendo percorsi semplici, che sembrano già tracciati. Le sensazioni sono amplificate, inverosimili, ma quelle ondate di desiderio e di piacere che sbattono contro il mio stomaco sono fin troppo reali. L'unica cosa che voglio, adesso, è di fronte a me.

Ma è quando sento la sua mano scorrere prima timida, poi sempre più audace sulla linea degli addominali, sulla schiena, sul sedere, che spazzo via ogni briciola di buon senso che poteva essermi rimasta. Con una mano sulla nuca di Giova e l'altra che si allarga sulla patta dei suoi jeans, soffoco i suoi mugolii tra le mie labbra. Ed è un bacio forte, che lascia trapelare tutto il rancore, la paura, il desiderio da troppo tempo represso. Un bacio di labbra, un bacio di morsi, un bacio che mi annulla e in cui sono annullato.
Sento le unghie intaccare la mia pelle, poi le dita si stringono sulle natiche e mi costringono ad avvicinarmi, a spingere ancora la lingua tra le sue labbra bollenti. E la mia mano è ancora incastrata tra le sue gambe, il braccio a dividere le nostre intimità. Allungo le dita verso i bottoni e, tentando di non perdermi troppo sotto le sue carezze, li inizio a sganciare. Quando i pantaloni sono arrotolati alle sue caviglie, lui alza una gamba e l'avvinghia ai miei fianchi, portando i nostri bacini a contatto. In quel momento, per me, è il caos: panico, confusione, piacere; perché le erezioni che si toccano attraverso la stoffa sono già tanto, ma i gemiti osceni che Giova non riesce a trattenere –e che spegne direttamente nella mia bocca– sono veramente troppo.
–Hm-maledetto– riesco a grugnire –non sono nemmeno riuscito a - ah - t-togliermi i pantaloni– ridacchio, per quanto mi sia possibile farlo, e la sua mano scende sotto l'elastico dei calzoncini per farli scivolare giù lungo le gambe. Momentaneamente, mi maledico per aver deciso di mettere le mutande, perché lui non sembra per niente intenzionato a toglierle, almeno per adesso.
Mi scrollo i pantaloncini dalle caviglie, e lo stringo ancora contro il muro, sentendolo più vicino a me. Il suo petto si muove velocemente, le sue braccia si appoggiano alle mie spalle, e le sue mani incontrano la mia schiena, la mia nuca. Le sue dita scendono come brividi tra i miei capelli e poi giù lungo il collo, seguendo la spina dorsale. Le mie giocano a sfiorare le miriadi di lentiggini sul suo viso, sulle sue spalle, finché non sento il suo palmo fermarsi deciso sulla base della mia nuca, e spingere giù, verso il suo stesso collo.
Mentre inspiro il suo profumo –si sente l'aroma prepotente del dopobarba, mischiato all'odore del suo corpo, del suo sudore– ed inizio saggiare con le labbra la consistenza della sua pelle nivea, lui si abbassa verso il mio orecchio. I suoi respiri profondi si infrangono sul mio viso, ed io già fremo, in aspettativa. Lo sento inumidirsi le labbra, ma non ho il coraggio di voltarmi a guardare e di trascurare la curva che si espone ai miei tocchi. Posso quasi vedere un sorrisetto nascere sulle sue labbra, quando tra baci e carezze inizio a mordicchiare, pizzicando leggermente i lembi di pelle più sensibili.
–Non sai cosa ti farei, Mikey–. L'accento che la sua voce arrochita, quasi irriconoscibile, pone su quell'appellativo infantile risulta per me così dannatamente eccitante che non riesco a trattenere un gemito. L'immagine delle sue labbra, lambite dalla lingua torturate e dai denti (e Dio, quanto vorrei che fossero i miei) si proietta chiara di fronte ai miei occhi.
Alzo lo sguardo, ed incontro il suo, ormai colmo di desiderio.
–Sorprendimi–. La mia voce è un sussurro, ma l'invito è urlato con indecente trasporto.
Non faccio in tempo a batter le ciglia che lui ha ribaltato le posizioni, e adesso sono io con le spalle al muro ed il collo torturato dalle sue attenzioni. Le sue mani scendono sui miei fianchi, ed indugiano sul bordo delle mutande. Fremo, ed inconsapevolmente spingo il bacino verso il suo. Sento le sue labbra curvarsi sulla mia pelle, e le dita continuare il loro percorso, per concluderlo in alto sulle cosce, poco sotto il sedere. Con le sue gambe divide le mie, e poi le guida a cingere il suo bacino, lasciandomi sospeso, premuto tra lui e la parete ruvida.
Fa scontrare i nostri nasi, prima di invadere la mia bocca con un'impeto rovente che mai mi sarei aspettato da lui. Sento le sue dita che stringono le mie cosce, e i polpastrelli affondano leggermente nella carne tonica. Le nostre eccitazioni si ergono calde tra di noi. Un migliaio di diversi stimoli, tutti egualmente piacevoli, affollano il mio cervello e lo mandano in corto.
Ansimo tra le sue labbra, e non posso fare a meno di seguirle, quando lui interrompe il bacio per spostarsi lungo la mandibola verso l'orecchio.
–Avrei dovuto farmi la barba– pigolo, con la voce più acuta di quanto non avrei voluto.
–A me piace–, inizia, soffiando piano –Mi piace quando la sento pizzicare sotto le labbra, così– dischiude la bocca e scende piano l'angolo del viso, fino a toccare la gola, poi torna su.
–Mi piace anche quando struscia sul mio viso, mentre ti sto parlando all'orecchio, come adesso. E mi piace quando solletica la mia pelle, mentre mi baci, mi mordi o mi lecchi.–
Le sue frasi sembrano studiate per farmi ardere di desiderio, per farmi anelare il suo corpo quando non ce l'ho a mia completa disposizione. Sento l'improvviso bisogno di mordere, succhiare, marchiare ogni centimetro del fisico possente che mi sta sorreggendo, ma la posizione non me lo permette.
Come se mi avesse letto nel pensiero, mi fa staccare la schiena dal muro e mi accompagna, prendendomi per un polso, verso il divano. Non c'è bisogno di alcuna parola e, quando cambio direzione verso camera mia, mi segue con un sorriso sulle labbra. Mi fa sdraiare sulle lenzuola, sale su di me e fa scontrare ancora i nostri bacini; io chiudo gli occhi e mi abbandono alla sua voce, che ormai scorre come veleno nelle mie vene.
–Adoro il tuo sapore–, dice, e stringe leggermente il mio labbro inferiore tra i denti e poi lo lecca, lo succhia –e le tue labbra morbide–.
–Amo la linea del tuo naso, il taglio dei tuoi occhi ed il loro colore.– Ogni parola viene enfatizzata da dolci carezze. Si blocca un attimo, e sento che sta scrutando i miei lineamenti. –Sei meraviglioso–, conclude. Mi sento avvampare, ma non apro gli occhi. Tremo sotto il suo tocco.
–Impazzisco per il tuo fisico asciutto–, e con le mani e con le labbra scende lungo il petto, lungo la linea degli addominali lievemente accennati, e poi sempre più giù, fino alle ossa del bacino. Contraggo alla follia i muscoli del basso ventre, e tendo quelli delle gambe. Accarezza le mie cosce. La sua voce è un sospiro: –e per le tue gambe–.
Risale con le mani lungo tutto il corpo, curandosi di sfiorare con le lunghe dita la stoffa dei boxer, ormai tesa e umida. Mi lascio sfuggire un'imprecazione, e arpiono il suo braccio: mai avrei pensato di potermi eccitare tanto con ancora addosso le mutande.
–Ti piace, hm?– Mi soffia sul collo.
Sospiro forte quando conclude la sua domanda, e lui ancora ride, sapendo l'effetto che mi fa: non lo avrei mai immaginato così piacevolmente loquace, nemmeno nelle mie fantasie più audaci. Una serie di brividi si irradiano fino all'inguine, ed una strana luce brilla nei suoi occhi.
Porta una delle mie mani all'altezza del viso, col palmo rivolto verso l'alto, e mentre con le labbra risale dalla clavicola al collo, le sue dita scorrono sulla pelle morbida dell'interno del mio braccio. Ed è nello stesso momento in cui le nostre labbra quasi si sfiorano che le sue dita raggiungono la mia mano. Per un attimo rimaniamo sospesi, consapevoli di essere arrivati al punto di non ritorno, immersi l'uno nello sguardo dell'altro, scossi dai nostri stessi respiri e dal battito forsennato dei nostri cuori.
Muovo la mano, sfioro con i miei i suoi polpastrelli. Intreccio le mie dita alle sue, e vedo la felicità, il piacere nei suoi occhi inscuriti dal desiderio.
Mentre stringe la mia mano copre la distanza tra le nostre labbra: è il nostro primo bacio. Timido, impacciato, delicato, ma soprattutto consapevole. Affondo la mano libera tra i suoi capelli, e mi lascio accarezzare il viso e il petto.
Ride quando i nostri nasi si scontrano, e io faccio lo stesso.
Mi sorprendo ad accarezzare con la punta delle dita le piccole pieghe che si sono formate ai lati dei suoi occhi, e quando me ne rendo conto mi blocco un attimo: tutto ciò è nuovo, per me. Non mi sento inadeguato a toccarlo in questo modo, a guardarlo in questo modo. Non provo quel senso di errore che mi ha sempre spinto a tralasciare ogni preambolo e a passare subito al sodo.
Però è un ragazzo.
Santo cielo, sono a letto –nel mio letto, nel quale non avevo mai portato nessuna– con un ragazzo.
–Qualcosa non va?– Il sorriso è scomparso dal suo viso, lasciando il posto ad un'ombra di preoccupazione.
Deglutisco, e abbasso lo sguardo.
Sento il suo pollice carezzare tutta la lunghezza del mio, e la sua voce lascia morbida le sue labbra: –Non sei obbligato a- –
Gli tappo la bocca. Ribalto le posizioni e salgo su di lui, senza lasciare un attimo le sue labbra. Scendo sul collo, sul petto; seguo la sottile linea di peli scuri sull'addome e raggiungo il cotone delle mutande. Con un'urgenza implacabile gliele faccio scivolare lungo le gambe e lo accarezzo.
Mi trema la mano, e non capisco se è eccitazione o timore. Alzo gli occhi verso di lui, e incontro il suo sguardo pieno di stupore. È caldo, però, e rassicurante. Saggio la pelle bollente con un dito, poi con tutta la mano. Osservo le sue reazioni: le scariche di piacere che tendono fino allo spasmo i muscoli del suo ventre, i respiri interrotti che muovono il torace, la lingua e i denti che ricercano le labbra ormai aperte. E continuare a muovere la mano è sempre più semplice. Mi sento afferrare il polso, e piano, Giova mi tira sul suo corpo. Cerco le sue labbra, ma trovo solo uno dei suoi diti.
–Tu stai sotto–.
Ammicco, dischiudo la bocca e faccio scorrere la lunghezza sulla lingua, guardandolo negli occhi. Lascio che Giovanni mi sovrasti, e mi abbandono alle sue carezze. Non riesco a far a meno di guardarlo mentre, seduto sulle mie cosce, fa scivolare il dito bagnato verso l'orlo delle mie mutande. Alza l'elastico sul mio bacino e intrufola una mano sotto il tessuto. Sussulto: le calde dita sono così fredde sulla mia pelle congestionata. Lascio che le nostre temperature si fondano e raggiungano un equilibrio, mentre guardo il suo corpo ondeggiare al ritmo del mio piacere.
I brividi che percorrono la schiena aumentano, ed io mi inarco verso di lui: ho bisogno di toccarlo, ho bisogno di stringere il suo corpo tra le braccia e la sua pelle tra le labbra. Le dita arrancano verso i suoi avambracci, e si serrano intorno ai gomiti, bloccandolo. Mi tiro a sedere, piegando le gambe indietro per mantenere l'equilibrio: le sue passano sopra le mie.
Allungando titubante le dita verso il suo basso ventre abbozzo una spiegazione: –Così p-posso…– ma la frase non si conclude, perché la mano che affonda tra i miei capelli e porta le nostre fronti a contatto cancella ogni mia capacità d'intendere e di volere. I nostri nasi si sfiorano, e l'anello chiaro delle sue iridi trema, quando comincio a carezzarlo.
Trattengo il fiato ogni volta che cambia movimento ed ogni volta che apre la bocca come se volesse parlare. È l'ennesima volta che annaspo, in quelli che sembrano essere stati attimi: non ce la faccio più.
Quello che pronuncio è un misto tra un ringhio e un gemito: –Cristo, Giova, dì qualcosa–.
Percepisco il suo sorriso dalla piega al lato degli occhi, perché, conscio dell'effetto che mi farebbe vedere le sue labbra che si muovono mentre mi dice quel tipo di cose, ho distaccato per tempo lo sguardo dalla sua bocca.
–Sono contento che tu apprezzi, Mikey. O forse dovrei chiamarti Michael?– I suoi movimenti, al contrario dei miei, sono ancora fluidi. La sua mente, al contrario della mia, è ancora lucida. Abbassa di un tono ancora la voce già roca: –Dimmi: quale preferisci?–
Non riesco a tenere gli occhi sui suoi, ma la sua mano è già sotto il mio mento, col pollice a carezzare il labbro inferiore.
–Lo sai, avrai un premio se mi rispondi–
Sussulto, e mi trovo incapace di formare vocaboli più complicati di mugolii di piacere e gemiti mal trattenuti. —Mi--mike-hy–.
—Oh-h così mi piaci—. Anche la sua voce trema un po', le nostre dita si muovono all'unisono. Una serie sempre più frequente di brividi scendono lungo la mia schiena, confluendo verso l'inguine. Mi mordo le labbra. Siamo entrambi al culmine, siamo vicini, sempre di più.
Fino a che i suoi movimenti non si fermano.
Calore pulsante, addominali contratti.
Mi blocca i polsi, perché l'istinto di concludere da solo è troppo forte.
–Dillo–, ordina.
Io mugolo: –Continua–.
Più forte. Voglio sentire il mio nome: implorami, Michael–.
Il fiato mi si blocca in gola.
Deglutisco. Non ce la faccio, tento di svincolarmi dalla sua presa, ma lui stringe più forte, e ride.
Mi sforzo di respirare, di calmare le ondate sempre più veementi che colpiscono lo stomaco.
–Ti prego, Giova, continua–
Sogghigna, mi lascia liberi i polsi e mi raggiunge —e anche io lo faccio.
Ci baciamo, ci stringiamo, mentre l'orgasmo ci scuote per la prima volta insieme.

Note dell'autrice
che tra l'altro, si deve scusare per il terrificante ritardo. Come scusa, 'sta volta, ho una mano destra in pessime condizioni che mi ha impedito l'utilizzo del computer per un po'. Un bel po'. Un po' troppo.
Voglio precisare, visto che ci tengo tanto, che il nome di questo capitolo è un omaggio a quello della mia puntata preferita di Supernatural. E guarda caso, "Point of no return" è proprio il diciottesimo episodio della quinta stagione. Non importerà a nessuno ma poco male, se qualcuno riesce a sopportare ancora le mie assenze capirà.
Un bacio a tutti.

 

A Costanza, quindi, che questo capitolo se lo merita tutto, visto che adesso non posso essere da lei.
Spero che in questo momento abbia i capelli di un colore decente, che si diverta con i suoi amici, che apprezzi questa sorta di "regalo" e che non mi sommerga di inutili ringraziamenti e di troppo affetto tra dieci minuti e ventitré secondi —giusto il tempo di leggere, offendermi in qualche strana lingua e mettersi a saltellare in tondo per casa a causa della mia prossima affermazione.
Ti voglio bene, gatto.

-Aw, dovresti dirlo più spesso, grizzly

         -Sarà per il prossimo compleanno

-Stronza                                                            

 

  
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